Il docente, una presenza ‘sorgiva’

nella prassi educativa

Giorgio Infantino


 

Le ragioni di una riflessione intorno all’educare si condensano ai nostri giorni particolarmente attorno all’identità professionale del docente e alla funzione che esercita nella prassi formativa.
Questa figura è infatti una presenza fondamentale nei processi di apprendimento, nella costruzione non solo del sapere ma anche dello sviluppo armonico e graduale di ogni discente: in sintesi una guida autorevole, impegnata in prima linea nel mondo della scuola nel prendersi cura del processo di maturazione degli alunni.
L’episodio della Samaritana al pozzo di Giacobbe narrato dall’evangelista Giovanni (Gv 4,5-42), rappresenta un chiaro modello di interazione pedagogica, un paradigma di riferimento significativo, con una forte connotazione simbolica, esistenziale e formativa che ci permette per analogia di definire la figura del docente come presenza ‘sorgiva’ nel processo educativo.
Avvieremo la nostra riflessione osservando la dinamica comunicativa che si sviluppa in quell’incontro casuale per interpretarla in chiave pedagogica.
Lo scenario si contestualizza presso una città della Samaria chiamata Sicar; qui vengono presentate le figure di Gesù seduto al pozzo e di una Samaritana che va ad attingere acqua. È un incontro generato da un bisogno da parte di entrambi: soddisfare la propria sete.
Il Maestro svolge un ruolo educativo singolare: non si colloca in una posizione di giudizio, nè di pre-giudizio, ma di accoglienza solidale, di ascolto, di accettazione del mistero dell’altro e di apertura alla diversità. Avvia un dialogo che conduce gradualmente a un livello sempre più profondo, esternando il suo bisogno col chiedere: ‘Dammi da bere’. La donna, in quella richiesta, non solo intuisce un bisogno che va oltre la sete materiale, ma viene introdotta in un itinerario di conoscenza di sé e del suo interlocutore. Quella ‘sete’ introduce alla relazione, a condividere il proprio bisogno. Il testo non spiega infatti se, durante il colloquio, uno dei due abbia realmente bevuto. Parimenti instaurare relazioni educative, significative ed efficaci è una caratteristica peculiare della professionalità di ogni docente: educare alla relazione instaurando relazioni. Educare significa anche uscire da se stessi per entrare nella vita dell’altro e assumerlo su di sé, per condividerne l’impegno, le prospettive e le attese. Il docente, percorrendo lo stesso itinerario degli alunni, avvia il dialogo a partire dal bisogno di ciascuno, per condividerlo: non sono solo i discenti ad avere bisogno, ma anche i docenti.
Quella donna ‒ che nella sua vita aveva vissuto relazioni prostranti e deludenti, che l’avevano inaridita ‒ è stata accompagnata a scendere in profondità nel pozzo della sua esistenza, accettando e riconoscendo anche i propri sbagli, imparando a comprendersi e a non mentire a se stessa, per attingere alle risorse del cuore e a tutto ciò che c’era di buono in lei, da cui ricavare il potenziale necessario per risalire la china e ri-prendere in mano la sua vita. Ed è proprio nella profondità di quel pozzo esistenziale che è avvenuto un incontro educativo, fecondo e rigenerante.
Il docente espleta la sua funzione educativa quando fa sì che ogni incontro risulti fecondo e rigenerante anche per i discenti: accompagnandoli a non rimanere in superficie, ma a scendere in profondità, a ricercare quanto di buono, di bello e di valevole c’è in loro. Sa, altresì, attendere i tempi dell’educare, ravvisa le strategie di intervento opportune e necessarie, anche quando sembra risultare impossibile o improbabile ottenere esiti positivi.
Come il Maestro ha saputo irrigare nel deserto affettivo di quella donna, facendole scorgere una visione nuova della sua realtà, così anche il docente ha il compito di irrigare generosamente nel campo educativo degli alunni, dissetando il loro bisogno e affrontando le sfide anche in quelle aree esistenziali apparentemente desertiche, da cui far germogliare semi di speranza e progettualità.
Il dialogo simmetrico col Maestro ha cambiato la vita della donna. La Samaritana diventa dunque icona di quell’anfora ‘vuota’ perché ha saputo dare un nome alla sua sete, perché ha ricevuto in cambio non un po’d’acqua per riempire la sua brocca, ma una sorgente a cui attingere. È riuscita a superare gli steccati del pregiudizio e ogni forma di resistenza, lasciandosi educare, colmare di acqua viva e ricondurre alla verità, ri-trovando se stessa.
Per essere una presenza ‘sorgiva’ nel mondo della scuola, la funzione del docente, allora, dovrebbe conglobare due aspetti imprescindibili: una professionalità qualificata e qualificante e una vocazione a generare ‘vita educativa’.
Il docente rappresenta una presenza fattivamente ‘sorgiva’ che nella prassi educativa ‘disseta’: si fa trovare in sosta presso i pozzi esistenziali, ovvero nelle storie degli allievi, e li accompagna anche quando sembrano stanchi e demotivati. Con la sua azione scende con loro nelle profondità dell’esistenza per ri-viversi, conoscersi e riempire le loro anfore insegnando loro a riconoscere l’acqua viva, che serve a irrigare e rinvigorire i loro ideali di vita, dalle acque torbide che talvolta rischiano di inquinare le profondità, rallentando o deviando il percorso.
Così come è avvenuto presso il pozzo di Giacobbe, il docente esercita nel sostare la pazienza: attende i tempi educativi di ogni alunno, per avviare una relazione educativa costruttiva e rigenerante che apra verso orizzonti di luce e di speranza.
È nella ‘profondità’ infatti che si impara a conservare e custodire la qualità dell’insegnamento appreso a scuola, per poi raccoglierne frutti maturi e fecondi.