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    Mi racconto nella 

    pastorale giovanile italiana

    a partire dalle

    redazioni di NPG

    Domenico Sigalini


    Sono stato buttato nella pastorale giovanile dalla vita. Il seminario ci stimolava sempre a fare incontri con i giovani, accompagnando iniziative già programmate e ben delineate in cui però c’era spazio per noi giovani chierici per l’amicizia, il servizio liturgico e le varie discussioni. Distinguo nettamente il periodo precedente al ’68, da quello successivo.
    Una bella novità scoppiò negli anni ’60: il Concilio Ecumenico Vaticano II che iniziò a creare entusiasmo e partecipazione nel mondo giovanile alla vita della chiesa, alla vita associativa, alla partecipazione soprattutto alla liturgia. Il 1963 ancor prima della conclusione del Concilio col dono della Costituzione Sacrosanctum Concilium sulla liturgia segnò l’inizio della attesa vivace dell’uso della lingua italiana nella celebrazione della messa. Ricordo che nel 1965, prima che divenissi prete, ma già frequentante la facoltà di matematica alla statale di Milano, erano già pronti i testi liturgici in Italiano e in quella quaresima si diede proprio inizio alle celebrazioni in italiano col popolo. Il mondo giovanile già stava cantando in italiano salmi, cantici, musiche italiane, francesi con la chitarra e ciclostilava alla grande fogli di ogni tipo per aiutare la partecipazione della gente. Si stava passando in maniera molto naturale e spontanea a riunioni di gruppo anziché adunanze; si spensero senza grandi traumi le riunioni frontali tra prete, catechista o responsabile di associazione e giovani, per passare alle riunioni di gruppo che erano collocazione in cerchio senza distinzioni di grado, di responsabilità, di sesso. Tutti attivi, tutti impegnati, tutti coinvolti.
    Ci tengo a precisare che a partire dai primi anni ’60 i gruppi giovanili ecclesiali erano già molto vivaci nel vivere rapporti paritari e democrazia di conduzione della vita di gruppo, corresponsabilità, ben prima del famoso ’68, che vedemmo come uno sbocco necessario da applicare anche alla scuola e alle varie prese di posizione. Non fu assolutamente traumatico per i nostri giovani trovarsi in gruppo, armati di chitarre, con eschimo e jeans, e partecipare a iniziative e dimostrazioni.
    C’era però una grave carenza di responsabili, per il forte calo di associati nell’Azione Cattolica che da sempre offriva per quasi tutte le parrocchie l’ossatura formativa e la necessità di qualificare giovani responsabili delle vite di questi gruppi spontanei, ma già ben orientati a fare della vita comune una forza per crescere personalmente e incidere sulla realtà, a partire dalla comunità che celebrava l’Eucaristia domenicale. Il mitico ’68 ha poi fatto esplodere il mondo giovanile con l’esigenza di trovarsi, stare assieme, fare gruppo, anche con la voglia di imparare e incidere sulla comunità, la scuola e la società.
    Intanto terminavo la frequenza quotidiana all’università statale di Matematica a Milano e cominciò l’Azione Cattolica, oltre a coinvolgermi negli incontri estivi, a darmi l’incarico di prete assistente del Movimento Studenti, sfrattato dai locali dell’Azione Cattolica a Brescia e disperso, a motivo una contestazione fatta dal gruppo davanti alle porte di una chiesa contro il finanziamento della Università Cattolica. Il mandato del vescovo fu: lascia il paesello, in cui già potevo applicarmi ai gruppi giovanili e in piccolo alla nuova vita di gruppo, e vai a raccattare casa per casa il gruppo degli studenti dispersi in città. Grazia volle (allora dicevo: fortuna volle) che in città i giovani fossero impegnati a raccogliere carta, stracci, ferri vecchi, mobili per le missioni. Ho visitato molte cantine di Brescia e partecipato a grandi e bellissime riunioni con i ragazzi e ragazze in genere di età scolare dai 13 ai 18 anni. Ci chiamavamo GS, Gioventù studentesca, ma non eravamo assolutamente collegati a quella che poi diventò CL e ricostruimmo abitabilità di questi ragazzi e ragazze nel centro diocesano di AC. Nasceva il Movimento Studenti di AC con un nome impronunciabile MSAC, con tutti i collegamenti con Roma.
    Qui inizia la ricerca per capire di più le età, per esempio distinguere tra adolescenti e giovani, il modello educativo, gli operatori e la necessità di confronto, ricerca, analisi della realtà (mi aiutava la Università con l’esame di statistica) e del mondo giovanile. Qui avvenne l’incontro con i salesiani, Note di pastorale giovanile, don Riccardo Tonelli e tutto il gruppo di redazione. Le prime riunioni di redazione avvengono a Torino presso la basilica dell’Ausiliatrice in Valdocco. Ci andavo quasi sempre in treno, scendevo alla stazione di Porta Susa e a piedi mi portavo in quel bellissimo pezzo di città dove c’erano i Salesiani con san Giovanni Bosco, santa Maria Domenica Mazzarello, san Domenico Savio, il Cottolengo con san Giuseppe Benedetto, la Consolata con san Giuseppe Cafasso, più in là il santo Canonico Allamano… luoghi di santi, di missionari, e di opere formative e di carità. Spesso era solo andata e ritorno in giornata, altre volte, con qualche pausa per andare in Duomo e pregare alla Sindone e in altre belle chiese.
    Per me le redazioni di NPG sono state la mia specializzazione in Pastorale Giovanile. Provenivo da studi matematici in una università statale come Milano negli ‘65-’70 a cavallo del ’68 quindi; al primo anno non ero ancora prete; destava curiosità e facilità di dialogo la mia presenza per un anno in tonaca e poi in clergyman, la tuta CEI, la chiamavo io. Grande coinvolgimento quasi alla pari nel mondo giovanile, quindi questa era la mia pratica di pastorale giovanile e le redazioni la parte teorica. Infatti avevo ogni mese o due alcune ore in cui ascoltavo i migliori specialisti nei vari campi della vita dei giovani, con le accentuazioni teologiche di ciascuno, che, grazie a Dio, non potevano sbrodolarsi, parlavano poco, conciso, ma sempre sul pezzo, sul tema del quale alla fine potevo chiudere un capitolo della mia specializzazione con la conclusione sempre saggia, rispettosa di tutti contributi di don Riccardo Tonelli.
    Nei primi anni non si parlava molto di pastorale giovanile. C’erano varie attività, c’era un buon settore giovani di Azione Cattolica, in grande contrazione; in Lombardia, oratori e parrocchie saggiamente portavano avanti l’ordinarietà, che, con il Concilio prima e il ’68 dopo, non fu così scontata sia nel metodo che nel contenuto, sia nella vita di gruppo che soppiantò l’adunanza, sia nei programmi che dovevano aggiornarsi al Concilio e alle contestazioni generali del mondo giovanile. Avrei tanti episodi e ricordi al riguardo, che indicavano la voglia di cercare un nuovo modo di educare i giovani alla vita e alla fede, ma non penso interessino molto il lettore! Era una delle fatiche dello stare con adolescenti, senza educatori, animatori, altri che accompagnassero i ragazzi e le ragazze in un percorso umano e cristiano di crescita.
    Ne nacque ancora di più la convinzione di preparare animatori e i famosi quaderni. A mio avviso oggi non siamo molto lontani da quelle carenze. Occorre una nuova generazione di animatori, di operatori pastorali, di formatori e formatrici; il Sinodo sui giovani di alcuni anni fa ha dato indicazione belle, ma occorre oggi preparare i formatori nuovi, con gli stili di vita degli adolescenti di oggi, i loro cellulari, gli smartphone i tiktok, le loro nuove solitudini, il loro doversi arrangiare da soli, come sempre…
    Molta curiosità nell’analizzare, conoscere, interpretare la vita del mondo giovanile, nel lasciarsi interrogare, nel leggerne le domande e progettare assieme il percorso educativo. Campiscuola, campi-studenti, tre giorni in preparazione alle solennità liturgiche, Natale e Pasqua. Non si poteva più fare niente con i giovani in quei tempi se non con riunioni frequenti, almeno settimanali e convivenze in strutture anche molto spartane nel massimo della spontaneità. Allora con gli studenti si potevano tenere campiscuola in qualche paese della valle Camonica fino alla fine di settembre. La scuola iniziava sempre il primo ottobre. Altre convivenze si tenevano nelle vacanze di Natale e di Pasqua
    Dal lato della rivista NPG c’era una immersione nella base fatta di convegni per persone interessate al mondo giovanile; non si potevano ancora chiamare operatori pastorali o animatori, ma se ne vedeva l’assoluta necessità. I convegni di NPG fatti a Brescia presso le suore di Cemmo al Centro "Mater Divinae Gratiae" sul mondo degli adolescenti, sulla teologia dell’incarnazione sono stati quelli che mi hanno “obbligato” a fare il salto di stare nella redazione, poi almeno per 20 anni. Il primo articolo che scrissi fu una relazione che dovetti mettere assieme con un po’ di faccia tosta e incoscienza, come sempre, per sostituire un salesiano in un convegno cui non potè partecipare per malattia. E da allora ho continuato, sempre con grande interesse, condivisione della linea pastorale e della visione salesiana. Tanto che alla fine di una relazione da me tenuta, dopo essermi presentato esplicitamente come prete diocesano, in un convegno in centro Italia sulla pastorale giovanile, un giovane mi si accosta e mi domanda. “Ma è proprio sicuro di non essere salesiano?”.
    Di fronte alla richiesta pressante dei ragazzi e dei giovani di incontrarsi, di poter fare gruppo, di capire qualcosa di più della fede non eravamo attrezzati di giovani o adulti che potessero fare da educatori e “inventammo”, demmo colore, la figura dell’animatore. Con una serie di opposizioni perché secondo la vecchia prassi facevamo troppo parlare o divertire gli adolescenti, i ragazzi che partecipavano volentieri alle nostre riunioni. Animatore allora era sinonimo di giocoliere, intrattenitore, senza mai andare al sodo. Ci facevamo anche esami di coscienza, ma eravamo troppo convinti anche culturalmente che era finito il tempo dell’educazione a imbuto come metodo e che era da apprezzare, far crescere la gioia di vivere da cristiani convinti, dando nobiltà e voce alla nostra umanità.
    Interessantissimi, faticosi, impegnativi i quaderni dell’animatore che hanno occupato per alcuni anni la rivista, con la consapevolezza che non avevamo da proporre vita facile agli animatori, per cui nella mia incoscienza ho scritto almeno 4/5 articoli della serie Animatore vita da cani,1,2,3…).
    La cosa più importante però è sempre stato l’impianto teologico da approfondire, da sminuzzare, da comunicare, da scrivere in tutte le scelte, che riassumo in queste battute:
    1. cambiare il binomio “a domanda, risposta”, a buca, coperchio, in a sfida, scommessa; perché una domanda è sempre sfida che viene dalla vita e la risposta non può essere turare il buco lasciato dallo scavo nella domanda, mentre invece occorre una scommessa di vita nuova. La vita deve essere sempre il punto di partenza e il punto di arrivo di un dialogo educativo.
    2. che occorre per essere cristiani veri? Un incontro sempre da ricercare tra Parola di Dio e vita dell’uomo della serie: Che cosa offre la Parola di Dio all’uomo e che cosa offre la parola dell’uomo per accogliere la Parola di Dio, che è sempre detta con parole umane e non finisce in esse?
    3. Gesù è stato uomo fino in fondo e la sua umanità, stroncata e risorta, è necessaria per dare luce e salvezza alla nostra
    A questo riguardo non posso mai dimenticare quel pezzo che san Giovanni Paolo II a Tor Vergata ebbe a dire ai giovani:
    “In realtà, è Gesù che cercate quando sognate la felicità; è Lui che vi aspetta quando niente vi soddisfa di quello che trovate; è Lui la bellezza che tanto vi attrae; è Lui che vi provoca con quella sete di radicalità che non vi permette di adattarvi al compromesso; è Lui che vi spinge a deporre le maschere che rendono falsa la vita; è Lui che vi legge nel cuore le decisioni più vere che altri vorrebbero soffocare. È Gesù che suscita in voi il desiderio di fare della vostra vita qualcosa di grande, la volontà di seguire un ideale, il rifiuto di lasciarvi inghiottire dalla mediocrità, il coraggio di impegnarvi con umiltà e perseveranza per migliorare voi stessi e la società, rendendola più umana e fraterna”.
    Questo è guardare la vita in Trasfigurazione, in trasparenza; non è operazione psicologica, non è autosuggestione, ma è avere gli occhi dello Spirito, che ci permette di cogliere i tratti dell’umanità di Gesù nella nostra umanità per incontrarlo ancora vivo e poterlo amare in ogni persona.

    La proposta di pastorale giovanile italiana

    La proposta di pastorale giovanile con la rivista Note di Pastorale Giovanile era sempre molto libera e fatta circolare all’interno della chiesa non solo italiana, anche spagnola e in America latina
    L’idea di dare alla PG italiana una sorta di maggior attenzione progettuale per tutte le chiese fece maturare tra una redazione e l’altra, tra un convegno e l’altro anche l’esigenza che a livello italiano la PG acquisisse una sua attenzione coordinata di tutto il bene che esisteva per i giovani in ogni regione italiana. Le GMG cominciarono ad essere sempre più progettuali e non solo celebrative.
    (Per una storia ancora approssimata, ma meglio sviluppata, rimando al supplemento del testo: Dizionario di Pastorale Giovanile. A cura dell’UPS. LDC)
    Come rivista e redazione si spingeva per una scelta esplicita della CEI di questo genere, facendo capire che NPG era sì una proposta di stampo salesiano, ma aperta ad aiutare in ogni diocesi la crescita di una attenzione progettuale verso la formazione cristiana dei giovani. L’Azione Cattolica cominciava a rifiorire, cosi CL, i Focolarini, il Rinnovamento nello Spirito, gli Scout e tante altre aggregazioni. Maturava anche in redazione la proposta di dare vita a un coordinamento della PG. C’era da inventare il Servizio Nazionale della Pastorale Giovanile nel momento in cui la Santa Sede premeva per dare unità di partecipazione dei giovani italiani alle GMG. Un buon aiuto di metodo quindi lo ebbi proprio avendo lavorato alla rivista NPG anche nella impostazione formativa della partecipazione e preparazione dei giovani italiani alla GMG a cominciare da Denver (1993) fino a Toronto (2002). Qui ho passato il testimone a don Paolo Giulietti, ora arcivescovo di Lucca, che si era specializzato presso l’UPS proprio in pastorale giovanile.
    A tutto questo lavoro con la redazione devo citare anche la collaborazione con Dimensioni Nuove, anch’essa per tanti anni. Il tutto mi ha dato anche la possibilità di produrre anche qualche testo sulla PG, sull’animatore. Ho iniziato con una pubblicazione per gli oratori lombardi: Animatore, tentare è bene prepararsi è meglio, un primo spontaneo tentativo di dare aiuto ai ragazzi adolescenti che stavano volentieri con quelli più giovani e maturavano la vocazione all’educazione che non si improvvisa a vent’anni. Poi pubblicai “Animatore dalla parte delle ragioni di vita” presso la LDC 2004, un testo un poco più strutturato. Ma chiudo raccontando ciò che mi è capitato con il testo: Meglio una carezza e un bacio, LDC 2005.
    Sono a Roma e vivo a Casa Assistenti, mentre ho l’incarico di Vice Assistente Generale di Azione Cattolica. A pranzo ogni tanto (meglio, molte volte) si scherza e si ride, a me non è mai mancato l’umorismo (confermo adesso la mia battuta di allora: non è ancora nato chi mi toglierà il sorriso dalla bocca). Si scherzava sulle varie nomine vescovili che venivano comunicate, dove a volte c’erano anche le nostre candidature e – sempre scherzando – eleggevamo il presidente degli “ex-futuri vescovi”. Io ero proprio con questa nomina quando mi assalgono alcuni confratelli chiedendomi quante copie avevo ancora invendute di Meglio una carezza e un bacio e si offrivano di comprarmeli tutti loro e scherzavano. Io non capivo proprio… poi dopo i fatti mi si aprì la fantasia. Avevano sentito che sarei diventato vescovo, io proprio non ne seppi nulla fino alla convocazione del Nunzio apostolico per l’Italia. Io il “presidente degli ex-futuri vescovi” rischiavo di mantenere la presidenza a vita perché quel titolo di libro era troppo osè. Senza sospettare cercavo di spiegarlo: era un articolo di “Dimensioni Nuove” in cui di fronte al dilagare dei giornali e dei video pornografici, su cui tanti giovani e meno giovani sbavavano, dicevo ai giovani che piuttosto di quelli valeva la pena di tentare un bacio o un abbraccio. Delicato sì, ma vero, necessario il salto nella vita concreta. Ma prima di riuscire probabilmente a spiegarlo per bene, ero già stato nominato vescovo, per il quale ministero la mia indegnità è nota, ma non certo per quel titolo.


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