Dove va la pastorale universitaria in Italia?

Ernesto Diaco *

(NPG 2017-06-8)

 

Chiesa e Università hanno finalità diverse. La prima è tesa all’annuncio del Vangelo e alla formazione cristiana delle coscienze; la seconda ha il compito di produrre e trasmettere cultura, mediante l’insegnamento e la ricerca. Ci sono però alcuni ambiti in cui esse, nel rispondere alla rispettiva missione, hanno grandi chances di incontrarsi: sia la comunità ecclesiale che quella accademica, infatti, operano per la formazione della persona, per l’elaborazione di una cultura pienamente umana, per la crescita della società in cui sono inserite. Il “luogo” dove avviene questo incontro, con reciproco vantaggio, è la pastorale universitaria.
Essa, infatti, oltre alla cura pastorale delle persone (studenti, docenti, personale tecnico e amministrativo), è volta all’animazione culturale della vita universitaria e all’approfondimento del messaggio cristiano nei diversi ambiti del sapere. Così facendo si affianca ed entra in dialogo, anche dialettico, con un’istituzione formativa che sempre più si percepisce come motore di una “società della conoscenza” in cui la risorsa strategica non sono le macchine bensì l’uomo, con la sua capacità di sviluppare le proprie potenzialità conoscitive, creative ed etiche per un bene globale.
A stimolare e orientare queste possibilità di incontro tra Chiesa e Università interviene il contesto ecclesiale e culturale odierno, come mostrano le provocazioni emergenti da almeno tre direzioni: le spinte di apertura impresse alla cattolicità da papa Francesco, l’interesse per le “alleanze educative” che caratterizza il decennio pastorale in corso nella Chiesa italiana, il senso di ripensamento incompiuto che attraversa il nostro sistema universitario.
L’insistenza di papa Francesco sul dinamismo di “uscita” che la fede genera nei credenti, portandoli a raggiungere tutti gli ambiti che hanno bisogno della luce del Vangelo, invita a riconsiderare con forme aggiornate quella che in passato si definiva la “pastorale d’ambiente”, arricchita e non delegittimata dall’attenzione agli ambiti esistenziali che ha contraddistinto il cammino tra il convegno ecclesiale di Verona e quello di Firenze. In questo senso, la pastorale universitaria fa vivere la Chiesa proprio là dove dovrebbe essere, ossia fuori di sé. “Considerata da alcuni ambienti ecclesiali come un qualcosa di sospetto – riconosce Rossano Sala – proprio perché effettivamente sembra essere fuori dagli schemi ecclesiali preconfezionati”, la pastorale universitaria “è invece da pensare perfettamente compatibile con il fatto che la Chiesa va e sta esattamente lì dove i giovani sono” [1], in piena coerenza con l’orientamento impresso dal Papa al prossimo Sinodo dei Vescovi, a cui egli chiede di farsi vicino e di parlare a tutti i giovani, “nessuno escluso”.
Come sottolinea ancora Francesco, la Chiesa non si limita a rivendicare una presenza, bensì opera per dare ad essa lo stile audace e creativo di chi non ha interessi da difendere ma si pone accanto a ciascuno per condividere l’esercizio della ragione in tutta la sua ampiezza. E il modo migliore per dialogare – ricordava il papa a Firenze – “non è quello di parlare e discutere, ma quello di fare qualcosa insieme, di costruire insieme, di fare progetti:non da soli, tra cattolici, ma insieme a tutti coloro che hanno buona volontà” [2].
Il terreno, dunque, è quello delle “alleanze educative” auspicate dagli orientamenti decennali dell’episcopato italiano: alleanze da stringere sia verso l’esterno che all’interno stesso della comunità cristiana. Per la pastorale universitaria ciò significa mettersi a disposizione di un’azione più sinergica e condivisa della Chiesa verso i giovani e verso il mondo della cultura. Dopo il tempo della spiccata articolazione e specializzazione pastorale, viene oggi il momento di ritrovare una maggiore unità tra pastorale giovanile, scolastica, universitaria, vocazionale, dell’educazione e della cultura, e un più forte collegamento tra i diversi soggetti che si riferiscono al mondo universitario: i centri pastorali, le cappellanie, le associazioni, i collegi e anche le parrocchie. Senza perdere naturalmente le acquisizioni maturate da ciascuno e la ricchezza del pluralismo esistente, ma vincendo con decisione i rischi dell’autoreferenzialità e della burocratizzazione pastorale.
Legato a tale dinamica, c’è un ulteriore cambio di mentalità da favorire, passando da una Chiesa che si organizza “nell’Università” a una Chiesa “per l’Università”, così come insegna l’esperienza fatta in questi anni, a livello nazionale e locale, nei confronti della scuola.
Di questo atteggiamento di servizio fa parte un’attenzione profonda alla situazione che caratterizza oggi la formazione accademica. È compito dei credenti tener viva la questione del senso dello studio, della cultura e della stessa Università, stretta in logiche economicistiche, di spiccato individualismo e competizione che ne snaturano il carattere di comunità di conoscenza e di ricerca, dotata di un progetto educativo a cui concorrono, ciascuno per la sua parte, docenti, studenti e altre forze vitali. Un progetto che non si esaurisce nell’erogazione di alcuni servizi e alla cui attuazione offre il suo contributo anche la pastorale universitaria, ossia l’alleanza tra Chiesa e Università, stretta da un riconoscimento reciproco che si serve anche di espliciti accordi e intese, investimento di mezzi e di persone.

 

NOTE

1 R. Sala, I giovani, la fede e il discernimento vocazionale. Prospettive per la pastorale universitaria, in “La Rivista del Clero Italiano”, 4/2017, 304.
2 Francesco, Incontro con i rappresentanti del V Convegno Nazionale della Chiesa italiana, Firenze 10 novembre 2015.

* Direttore dell’Ufficio Nazionale per l’Educazione, La Scuola e l’Università della Conferenza Episcopale Italiana.