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    Il primato della prossimità


    Laboratorio dei talenti 2.0 /6

    La relazione come linguaggio dell’oratorio

    Luca Ramello

    (NPG 2018-08-77)

     

    Andare all’oratorio, stare in oratorio, fare l’oratorio: l’oratorio può essere inteso in molti modi, rispettivamente come un luogo, un tempo, un’attività. Ma c’è una prospettiva che permette di cogliere in profondità la sua autenticità educativa e la sua peculiarità evangelizzatrice: il primato della relazione. Nel percorso tematico che Note di Pastorale Giovanile sta presentando, il tema delle relazioni in oratorio rappresenta, in verità, il cardine attorno al quale si sviluppa e si sostanzia ogni proposta educativa e ogni altra declinazione dell’oratorio stesso. Le relazioni sono cioè l’ordito con cui poter tessere la trama delle attività e dei percorsi in oratorio e con l’oratorio. La stessa Nota pastorale sul valore e la missione degli oratori nel contesto dell’educazione alla vita buona del Vangelo, «Il laboratorio dei talenti», indica con chiarezza questo primato, fondante rispetto all’intenzionalità educativa ed evangelizzatrice dell’oratorio. Scrivono in proposito i nostri vescovi:
    «l’oratorio educa ed evangelizza, in un contesto ecclesiale di cammino comunitario, soprattutto attraverso relazioni personali autentiche e significative. Esse costituiscono la sua vera forza e si attuano sia attraverso percorsi strutturati sia attraverso espressioni informali. L’attuale emergenza educativa è letta da più parti come esito di un impoverimento delle relazioni educative personali. In particolare va sottolineato come l’accrescersi esponenziale della comunicazione virtuale costituisca una sorta di surrogato della relazione, che rischia di trarre in inganno molti giovani. Anche laddove i social network sembrano semplicemente prolungare e rafforzare rapporti di amicizia, appare necessario aiutare i giovani che abitano il mondo della rete a scendere in profondità coltivando relazioni vere e sincere. […]. Tutte le attività dell’oratorio sono, perciò, improntate a favorire un contesto di dialogo sereno e costruttivo nella consapevolezza che nessuna attività può sostituire il primato della relazione personale» (n. 15).
    Più volte nella Nota ritorna la sottolineatura dello «stile relazionale» specifico dell’oratorio, esplicitato fin dall’apertura del documento, come a tracciare l’orizzonte di fondo di tutta la riflessione, a partire dalla stessa memoria delle tradizioni dell’oratorio: «di fronte ad una tale ricchezza di esperienze viene da chiedersi quale sia la chiave interpretativa o la cifra sintetica di una così sorprendente e variegata pratica pastorale. Nel medesimo e più ampio orizzonte in cui le singole esperienze si collocano – quello dell’educazione – esse sono di fatto accomunate dalla loro peculiare offerta di prossimità alle giovani generazioni, amate, accolte e sostenute nella loro concretezza storica, sociale, culturale e spirituale. Si tratta di un atteggiamento suscitato e animato dalla carità evangelica, testimoniato innanzitutto dai singoli iniziatori, custodito dagli sviluppi e dalle opere successive e, infine, assunto come specifico stile educativo» (ib. n. 4). La prossimità – prosegue infatti la Nota - è segno distintivo dell’oratorio: «la Chiesa per sua natura è chiamata ad evangelizzare con quello slancio missionario che le permette di essere prossima ad ogni persona, perché il Vangelo sia annunziato a tutte le creature. È all’interno della prossimità, spazio indicato da Gesù per vivere il comandamento dell’amore, che si svolge l’attività educativa oratoriale, attenta alle fragilità e alle povertà dei ragazzi di ogni tempo, ma anche capace di svilupparne le risorse e le potenzialità per una vera promozione della persona» (ib. n. 6). Così la capacità prossimità rappresenta anche il prezioso frutto educativo dell’oratorio: «attraverso i linguaggi del mondo giovanile, l’oratorio promuove il primato della persona e la sua dignità, favorendo un atteggiamento di accoglienza e di attenzione, soprattutto verso i più bisognosi. È in questo modo che l’esperienza formativa apre i ragazzi alla disponibilità, alla generosità e alla prossimità, che fanno di loro autentici testimoni di carità. Di fronte alla crescente presenza di ragazzi e giovani appartenenti ad altre culture e religioni deve crescere la capacità di accoglienza senza venire meno all’identità del luogo e alla peculiarità della proposta educativa improntata ai valori cristiani. Si tratta di nuove e preziose occasioni di dialogo e di evangelizzazione» (ib. n. 11).
    Il «primato delle relazioni» di cui vive l’oratorio e che si sostanzia in uno «stile relazionale» trova dunque nella prossimità la sua forma specifica, confermata dall’Esortazione Apostolica Evangelii Gaudium. Scrive in proposito Papa Francesco: «In una civiltà paradossalmente ferita dall’anonimato e, al tempo stesso, ossessionata per i dettagli della vita degli altri, spudoratamente malata di curiosità morbosa, la Chiesa ha bisogno di uno sguardo di vicinanza per contemplare, commuoversi e fermarsi davanti all’altro tutte le volte che sia necessario. In questo mondo i ministri ordinati e gli altri operatori pastorali possono rendere presente la fragranza della presenza vicina di Gesù e il suo sguardo personale. La Chiesa dovrà iniziare i suoi membri – sacerdoti, religiosi e laici – a questa “arte dell’accompagnamento”, perché tutti imparino sempre a togliersi i sandali davanti alla terra sacra dell’altro (cfr Es 3,5). Dobbiamo dare al nostro cammino il ritmo salutare della prossimità, con uno sguardo rispettoso e pieno di compassione ma che nel medesimo tempo sani, liberi e incoraggi a maturare nella vita cristiana» (n. 169). E precisa: «La prima cosa, nella comunicazione con l’altro, è la capacità del cuore che rende possibile la prossimità, senza la quale non esiste un vero incontro spirituale. L’ascolto ci aiuta ad individuare il gesto e la parola opportuna che ci smuove dalla tranquilla condizione di spettatori. Solo a partire da questo ascolto rispettoso e capace di com-patire si possono trovare le vie per un’autentica crescita, si può risvegliare il desiderio dell’ideale cristiano, l’ansia di rispondere pienamente all’amore di Dio e l’anelito di sviluppare il meglio di quanto Dio ha seminato nella propria vita» (n. 171).
    Se approfondiamo sullo sfondo di Evangelii Gaudium il «primato della prossimità», quale stile specifico educativo indicato dalla Nota sugli oratori, possiamo coglierne la dinamica propria, sopratutto nel suo intrecciarsi con le dimensioni del luogo, del tempo e delle attività, che caratterizzano l’azione pastorale tipica dell’oratorio. Tale dinamica, della prossimità, offerta e significata dall’oratorio, si struttura secondo una triplice dimensione: come soglia del legame, responsabilità della cura e linguaggio del dono.

    Soglia del legame

    L’oratorio, in quanto prossimità della comunità cristiana offerta e significata alle giovani generazioni, afferma da sempre il primato dello spazio sul tempo (cfr Evangelii Gaudium, nn. 221-225). L’accoglienza che l’oratorio offre, prima di essere uno spazio in un cortile è un tempo nel cuore, cioè un ritmo fatto innanzitutto di attesa e di ascolto, che smuove dall’indifferenza e resta attento all’altro così come egli è e non come vorremmo che fosse. Lo spazio aperto alle giovani generazioni nasce dunque da questa prima capacità di stare nel loro tempo, rispettando i tempi di un incontro che spesso avviene prima e fuori dall’oratorio in quanto luogo fisico, ma che è già oratorio in quanto stile di relazione, primato della prossimità: «accoglienza semplice e schietta, ascolto profondo e sintonia empatica» (Nota sugli oratori, n. 15). La seconda caratteristica di questo primato del tempo in oratorio si qualifica poi come durata, come fedeltà. Sottolinea infatti la Nota: «in un tempo segnato dalla consumazione immediata del presente e dal continuo cambiamento, dalla frammentazione delle esperienze, l’oratorio si propone di suscitare e alimentare relazioni costanti nel tempo senza sfuggire le responsabilità e le sfide del “rischio educativo”. […] Molto spesso il tempo concorre notevolmente a definire lo spessore della relazione; perciò l’oratorio favorirà, per quanto possibile, una continuità relazionale, senza la quale difficilmente si potrà costruire un percorso educativo promettente» (ib. n. 15). In questo duplice senso lo stile della prossimità caratterizza dunque le relazioni in oratorio, rendendo l’oratorio «soglia di un legame», in quanto attesa e accoglienza, durata e stabilità delle relazioni.

    Responsabilità della cura

    Dopo l’accoglienza nel rispetto dell’alterità e oltre ogni estemporaneità e immediatezza delle relazioni, l’oratorio si rivela come un legame capace di cura, della presa in carico della vita di ogni singolo bambino, ragazzo e giovane che ne varca la soglia, perché l’amore concreto è la vera qualità delle relazioni educative in oratorio. «La qualità delle relazioni incide profondamente sul processo educativo. Inoltre tale stile deve aver cura di un aspetto particolare dell’emergenza educativa che stiamo vivendo: quella della frammentazione dell’identità e del senso della vita, con tutte le conseguenze che ne scaturiscono per ogni cammino vocazionale.
    «Oltre a essere costanti e qualificate, quelle che si vivono in oratorio mirano ad essere anche relazioni autorevoli in grado di aiutare i ragazzi e i giovani a fare sintesi. La vita dei ragazzi e dei giovani è segnata da diversi rapporti, per lo più settoriali, che raramente riescono a fissare l’attenzione su tutta l’ampiezza e la complessità del vissuto personale. Occorre passare dalla “consumazione delle relazioni” ad una sapiente e qualificata “costruzione delle relazioni”. L’esperienza insegna che spesso l’oratorio finisce per essere di fatto il luogo unificante del vissuto, aiutando chi lo frequenta a superare il rischio, oggi tutt’altro che ipotetico, della frammentazione e della dispersione» (Nota sugli oratori, n. 15). Non possiamo infatti ascrivere ai ragazzi e ai giovani tutta la responsabilità di fare sintesi fra i diversi percorsi formativi in cui sono impegnati. Sono gli educatori stessi a dover favorire la costruzione unitaria dell'identità del giovane, attraverso il proprio stile educativo. In quanto presa in carico della vita ed educazione alla sintesi del vissuto, attraverso l’oratorio le comunità cristiane esprimono davvero la responsabilità per la cura dei giovani loro affidati.

    Linguaggio del dono

    La terza dimensione che caratterizza il primato redazionale dell’oratorio, in quanto stile di prossimità, si esprime nel linguaggio del dono. «La caratteristica forse più significativa delle relazioni che un ragazzo vive in oratorio è quella della gratuità che nasce dalla fede ed è totalmente protesa al bene dell’altro» (ib.). Se tutte le attività e le proposte dell’oratorio trovano la loro intenzionalità ultima nella cura del bene delle giovani generazioni, essa non può non rivelarsi loro come gratuità, che gli educatori credenti sanno sgorgare da Dio stesso e possono attingere attraverso la sua Chiesa. «Il servizio della carità è una dimensione costitutiva della missione della Chiesa ed è espressione irrinunciabile della sua stessa essenza. Come la Chiesa è missionaria per natura, così sgorga inevitabilmente da tale natura la carità effettiva per il prossimo, la compassione che comprende, assiste e promuove». (cfr Evangelii Gaudium, n. 179). Solo in questo orizzonte di dono può davvero risuonare l’annuncio del Vangelo, con tutta la sua forza, la sua gioia, la sua bellezza. «Tale atteggiamento genera stupore e dischiude orizzonti di fiducia, insieme al desiderio di mettersi in gioco e di imitare chi si spende con generosità per gli altri» (Nota sugli oratori, n. 15). Così la prossimità si manifesta, alla fine, come esperienza di iniziazione alla cura degli altri, attraverso i molteplici servizi che l’oratorio propone, dall’animazione al volontariato alle attività nei diversi campi. Il linguaggio del dono raggiunge la sua pienezza: non si tratta solo del dono offerto – nel quale viene annunciato il Vangelo – ma della stessa capacità dei ragazzi e dei giovani di diventare dono a loro volta, nella rottura dell’identità, nell’esodo dell’io da se stesso, nell’apertura al mistero della grazia e della fede.
    Ecco come educa ed evangelizza l’oratorio: assumendo fino in fondo lo stile della prossimità. È soglia di un legame, per tutti e stabile nel tempo; è responsabilità per la cura della vita delle giovani generazioni nell’educazione alla sintesi del vissuto; è linguaggio del dono ricevuto e a propria volta ridonato. Così l’oratorio esprime il primato delle relazioni, della prossimità. Essa stessa è il primato della «compromissione», per amore alle giovani generazioni, nel nome e con la forza del Signore Gesù.


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