Voce che grida nel deserto

II domenica d’Avvento C

Ludwig Monti

¹Nell'anno quindicesimo dell'impero di Tiberio Cesare, mentre Ponzio Pilato era governatore della Giudea, Erode tetrarca della Galilea, e Filippo, suo fratello, tetrarca dell'Iturea e della Traconìtide, e Lisània tetrarca dell'Abilene, ²sotto i sommi sacerdoti Anna e Caifa, la parola di Dio venne su Giovanni, figlio di Zaccaria, nel deserto. ³Egli percorse tutta la regione del Giordano, predicando un battesimo di conversione per il perdono dei peccati, ⁴com'è scritto nel libro degli oracoli del profeta Isaia:
Voce di uno che grida nel deserto:
Preparate la via del Signore,
raddrizzate isuoi sentieri!
⁵Ogni burrone sarà riempito,
ogni monte e ogni colle sarà abbassato;
le vie tortuose diverranno diritte
e quelle impervie, spianate.
⁶Ogni uomo vedrà la salvezza di Dio!

Lc 3,1-6

Nel nostro cammino verso il Signore che viene, in questa II domenica di Avvento ecco Giovanni il Battista, che apre per noi il sentiero e con la sua obbedienza radicale alla Parola di Dio ci guida all’incontro con Gesù Cristo. Giovanni è stato il precursore di Cristo nella storia e lo sarà fino alla fine dei tempi, come aveva compreso con intelligenza Origene.
Nella persona di Giovanni avviene l’incontro tra la storia, sempre fallibile e problematica (come attesta la lista di nomi redatta dall’evangelista: si pensi solo ai due sommi sacerdoti in contemporanea!), e la Parola potente di Dio, qui contenuta in un famoso oracolo del profeta Isaia (cf. Is 40,3-5), ripreso da Baruc (prima lettura: cf. Bar 5,1-9). La Parola non cessa di risuonare nella storia, giorno dopo giorno, e chi si mette seriamente al suo ascolto deve essere consapevole di una sua condizione permanente, perenne: sempre la Parola giunge a noi attraverso una “vox clamantis in deserto”, “voce di uno che grida nel deserto”. La Parola e il deserto, binomio inscindibile. Il deserto personale è la condizione necessaria affinché l’umano sia reso servo della Parola, facendo tabula rasa di idee preconcette, facendo tacere dentro di sé le immagini idolatriche. Nel deserto siamo tentati, come Gesù fin dall’inizio del suo ministero (cf. Lc 4,1-13), di fuggire dalla comunione con il Dio invisibile per cedere alle suggestioni di Satana, suggestioni ben visibili, scorciatoie verso una vita che pare più felice e invece è semplicemente disumana. E il deserto avanza anche intorno a noi, se abbiamo il coraggio di “discernere con sapienza le realtà terrene” (orazione dopo la comunione) e osservare la realtà per quella che è.
In questo deserto non dobbiamo però disperare: la Parola di Dio continua a risuonare, il Vangelo continua a brillare come luce che non può essere sopraffatta dalle tenebre (cf. Gv 1,5). Certo, Giovanni morirà martire, decapitato in carcere dall’arroganza di un potente di questo mondo; ma proprio lui, che Luca ci presenta come “colui che annuncia il Vangelo” (cf. Lc 3,18), proprio lui è voce che continua a gridare, che non può essere messa a tacere da niente e da nessuno. E cosa grida? “Ogni carne vedrà la salvezza di Dio”: salvezza gratuita, che dipende solo dall’accogliere la misericordia preveniente di Dio, misericordia che rimette i peccati e causa la conversione, conversione segnata da un gesto puntuale, fatto una volta per tutte, l’immersione nell’acqua. Ma qui appare il paradosso inesauribile del Vangelo: “Voce che grida nel deserto: Ogni carne vedrà la salvezza di Dio”. Gridare nel deserto è già un paradosso; gridare nel deserto la salvezza offerta gratuitamente a tutti mediante la remissione dei peccati è un doppio paradosso!
Ma proprio qui, e non altrove, sta la potenza crocifissa del Vangelo. Questa, del resto, è stata anche la dinamica interiore della vita di Gesù, Vangelo fatto carne. Dall’inizio alla fine, come ci testimonia Luca. Gesù apre la sua predicazione, nella sinagoga di Nazaret, facendosi eco di un’altra parola di Isaia, quella che annuncia la buona notizia della liberazione di tutti i prigionieri e proclama l’anno di grazia del Signore (cf. Is 61,1-2); eppure già allora i suoi concittadini fanno il deserto attorno a lui e cercano di ucciderlo, non sopportando tale annuncio (cf. Lc 4,16-30). Poi Gesù dice al capo dei pubblicani Zaccheo: “Oggi per questa casa è avvenuta la salvezza … Il Figlio dell’uomo infatti è venuto a cercare e a salvare ciò che era perduto”; eppure al vedere ciò tutti mormorano e lo disprezzano (cf. Lc 19,7.9-10). Infine Gesù muore su una croce, solo e abbandonato da tutti, dicendo: “Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno” (Lc 23,34); eppure, proprio mentre prega in questo modo, tutti lo scherniscono, con quella che agli occhi del mondo suona come una ridicola sconfitta e invece agli occhi di Gesù è la grande vittoria: “Ha salvato altri e non può salvare se stesso!” (cf. Lc 23,35.37.39)… Non ha voluto salvare se stesso!
Sì, anche Gesù, come Giovanni, è stato “voce che grida nel deserto”. Non si è ribellato alla contraddizione manifesta tra il contenuto gioioso e liberante del suo annuncio e la durezza di cuore di chi non voleva accoglierlo, vicino o lontano da lui. “Ha proseguito nel suo cammino” (cf. Lc 13,33), nel suo stile di vita evangelico, senza disperare per la sconfitta a cui andava incontro agli occhi del mondo. Ha cercato tenacemente di far fiorire il deserto, a beneficio di tutti. E il fatto che ancora oggi ci riuniamo insieme per fare memoria del gesto sintetico dell’intera sua vita conferma che il Vangelo di Cristo non può essere incatenato (cf. 2Tm 2,9) e che la sua salvezza ha già avuto inizio, nonostante noi e nonostante il poco che possiamo vederne, un inizio del quale attendiamo il compimento alla sua venuta. Se ci fidiamo di Gesù e del suo Vangelo, ecco dunque delinearsi il compito che spetta a noi suoi discepoli e discepole, quel compito in cui si riassume “l’essere integri e irreprensibili per il giorno di Cristo” (Fil 1,10, dalla seconda lettura). Compito semplicissimo: continuare a essere anche noi, con la nostra vita – nonostante tutto! –, “voce che grida nel deserto”, in ogni deserto: “Ogni carne vedrà la salvezza di Dio”.