Il bene e la notte

Sussidio di riflessione sulla testimonianza
di Dietrich Bonhoeffer

a cura di Massimo Maffioletti



3. “Preservare l’anima dal caos”

All’atto di responsabilità che pagò con la sua vita (sospensione dall’insegnamento, divieto di tenere conferenze e di predicare, due anni di carcere e l’esecuzione capitale), Bonhoeffer non ci arrivò per caso. Nessuna grande biografia arriva a scelte alte, così per caso… La sua azione responsabile di arginamento e lotta contro il Male non s’improvvisa, viene da molto lontano, dal milieu socio-culturale della borghesia tedesca alla quale apparteneva la sua famiglia (quando la parola borghesia non era ancora una colpa). E anche noi dobbiamo scavare in profondità nella biografia culturale del teologo. La raccolta delle lettere dal carcere Resistenza e resa è una mappa utilissima per lasciarci intuire il suo background familiare e culturale.

Caldeggio il ritorno alla bellezza della scrittura epistolare e comunque della scrittura come purificazione del pensiero, azione di verità su di sé e sulle proprie scelte, ricerca personale. Bonhoeffer considerava le lettere come degli “eventi” [22].


Ciò che innanzitutto salva l’uomo dalla barbarie e dalla rinuncia a vivere (diventando connivente, suo malgrado), ciò che tiene in piedi la vita nonostante la morte è la parola. Dare il nome al Male, guardarlo in faccia. Smascherarlo. Sbugiardarlo. La verità, anche quando sembra perdente e richiede il sacrificio della vita, è in grado di respingere l’urto della malvagità. E, poi, avere il coraggio di dare nome anche ai propri fantasmi, alle proprie paure e tentazioni. Bonhoeffer era un protestante e quindi sapeva molto bene quale importanza rivestiva la parola nel cristianesimo della Riforma. Ma si tratta anche di dare parole alla Parola, di leggere la vita, gli avvenimenti storici, il mondo, la tragedia, la morte alla luce della Parola. Come diremo…

Sottolineo l’importanza del contesto familiare. La famiglia Bonhoeffer aveva il gusto per la cultura, non tanto o soltanto quella di carattere accademico né quella che si autocontempla nella sterile erudizione.

La cultura in casa Bonhoeffer va intesa come coltivazione dello spirito, cura del pensiero, passione per verità, gusto per le cose nuove e intelligenti, cura della Tradizione: in casa Bonhoeffer lo spirituale (non c’è nulla di più concreto dello spirituale) era nutrito da letture raffinate, ascolto di musica colta, gioco degli scacchi, dialoghi con gli ospiti e anche da un’armonica sintonizzazione con la natura.

(Colpisce – diciamolo di passaggio – che nell’orrore del carcere mentre si elevavano le urla dei prigionieri dopo ogni bombardamento, urla che mettevano angoscia e inquietudine, il nostro abbia mantenuto il piacere di osservare il passaggio delle stagioni, ascoltare il canto degli uccelli, essere felice per i mazzi di fiori che arrivavano con i pacchi familiari, la meraviglia per il sole [23]: non era un atteggiamento bucolico o romanticismo sdolcinato ma omaggio alla Creazione ed esso stesso un atto di resistenza attiva al dominio dittatoriale di un Male che vuole convincere che è tutto una rovina e la Creazione un solenne inganno).


Bonhoeffer manterrà anche in carcere l’irrinunciabile compito del pensare. Leggeva e scriveva molto, non per tener occupato il tempo, anzi il tempo sembra non bastargli mai. La cura della qualità spirituale sarà il primo vero argine all’alluvione totalitarista e massificante del regime e la sua prima vittoria sulla stupidità del male. Scrive all’amico BETHGE: «Il senso della qualità non si lascia distruggere, ma diventa più forte di anno in anno» [24]. Dunque, innanzitutto la cura per la qualità dell’interiorità (che predispone alla cura dei legami esterni) come antidoto per fronteggiare l’abisso innominabile del Male. D’accordo, il nostro teologo era un intellettuale, ma non era un credente pantofolaio da “divano” (per rubare un’immagine che Francesco ha utilizzato con i giovani della Gmg di Cracovia lo scorso 30 luglio 2016).


Il non senso che l’abisso del Male semina nei cuori delle persone lo si contrasta soltanto con la ricerca di un di più di senso delle cose e non con l’abbandono della ricerca. La prima forma di vigilanza è sulla propria coscienza affinché non ceda al nichilismo [25].

 Il nostro amico Bonhoeffer era un tipo che amava molto scrivere. Le lettere uscite dal carcere di Tegel sono molte più di quelle che abbiamo a disposizione. Oggi non si scrive più con carta e penna.
Tu, per esempio, hai mai scritto una lettera oppure la tua comunicazione si limita a Facebook o, meglio, a Whatsapp? E che tipo di comunicazione è quella che usi quotidianamente? A volte le nostre frasi scritte, guarnite da mille emoticons, rischiano di fare danni enormi. Non so se sei d’accordo.

♠ C’è anche una cura delle parole. Le parole che diciamo hanno un peso enorme.


 Bonhoeffer scriveva lettere non perché aveva tempo da perdere, ma per un’esigenza dell’anima, perché scrivere è come mettersi davanti a uno specchio, fare verità, mettere ordine nella camera della propria coscienza. Non ti sembra possa tornare ad essere ancora una buona maniera di comunicare? Hai mai scritto una lettera a tua madre o a tuo padre in un momento importante della tua o della loro vita? Oppure a un amico o amica?

La qualità spirituale non è intellettualismo ma azione e approda all’azione, ma occorre lavorarci tanto: «La formazione culturale deve poter affrontare il pericolo e la morte» [26]. Nel bilancio del Natale 1942, consapevole di essere «davanti a una grande svolta della storia» si appella agli uomini che «si sono fatti carico di pensare in modo responsabile». Il 17 dicembre 1943 da Tegel riconosce ai genitori che «[...] voi ci avete preparato per decenni feste di Natale tanto meravigliose che il loro ricordo riconoscente è abbastanza forte da illuminare questo Natale buio. È in tempi come questi che si dimostra veramente che cosa significhi possedere un passato e una eredità interiore che non dipendono dal mutare dei tempi e degli eventi. La consapevolezza di essere sorretti da una tradizione spirituale che si estende nei secoli dà una salda sensazione di sicurezza davanti a qualsiasi transitoria difficoltà». Nel già citato bilancio programmatico del 1942 scrive: «Noi ci troviamo al centro di un processo di involgarimento che interessa tutti gli strati sociali; e nello stesso tempo ci troviamo di fronte alla nascita di un nuovo stile di nobiltà che coinvolge uomini provenienti da tutti gli strati sociali attualmente esistenti. La nobiltà nasce e si mantiene attraverso il sacrificio, il coraggio e la chiara cognizione di ciò cui uno è tenuto nei confronti di sé e degli altri; [...] si tratta di un ordine fondato sulla qualità. La qualità è il nemico più potente di qualsiasi massificazione. Dal punto di vista sociale questo significa rinunciare alla ricerca di posizioni preminenti, rompere col divismo, guardare liberamente in alto e in basso, specialmente per quanto riguarda la scelta della cerchia intima degli amici, significa saper gioire di una vita nascosta ed avere il coraggio di una vita pubblica. Sul piano culturale l’esperienza della qualità significa tornare dal giornale e dalla radio al libro, dalla fretta alla calma e al silenzio, dalla dispersione al raccoglimento, dalla sensazione alla riflessione, dal virtuosismo all’arte, dallo snobismo alla modestia, dall’esagerazione alla misura. Le quantità si contendono lo spazio, le qualità si completano a vicenda». E scrivendo ancora alcuni pensieri per il battesimo del nipote Dietrich afferma che il «compito della nostra generazione non sarà ancora “cercare grandi cose, ma salvare e preservare la nostra anima dal caos e vedere in essa l’unica cosa che possiamo trarre come “bottino” dalla casa in fiamme» [27]. Il “bottino” è l’anima, cioè la qualità spirituale dell’esistenza, la vita attiva interiore.

 Bonhoeffer ha coltivato, anche prima di entrare in carcere, la qualità spirituale della vita che è, prima di tutto, voler bene alla propria interiorità e intimità. È custodire il tesoro immenso del nostro cuore, quello che poi metteremo a disposizione come dono per gli altri. Noi viviamo di emozioni cui dare voce, sentimenti, desideri. Siamo fatti anche di pensieri, siamo ciò che pensiamo, guardiamo, ascoltiamo, leggiamo, siamo le nostre idee, i progetti… È importante mettersi in ascolto della propria interiorità, regalarsi momenti di silenzio, cercare spazi di riflessione… I pensieri che nascono dentro di noi ci “costruiscono” facendosi essere quello che siamo e quello che saremo. Ti invito a continuare questa riflessione.

 D’accordo, il vocabolario di Dietrich fa parte di una cultura che non è mai stata la tua. Oggi non parliamo più di nobiltà d’animo, di tradizione spirituale, di disciplina, di qualità spirituale. Eppure, proprio la cura della qualità spirituale è stata per Bonhoeffer l’arma più efficace per fare fronte alla sua epoca di imbarbarimento e involgarimento, che hanno covato e generato malvagità e brutture.

Il male nasce sempre da un’umanità che trascura l’anima, che rimane superficiale, che svende il cervello e il cuore, che si lascia incantare dal pifferaio magico di turno… La cura della qualità spirituale è allenamento ad avere un proprio pensiero e proprie idee. È imparare l’arte dell’essere liberi. Quali sono le “volgarità” e le “barbarie” che vedi attorno a te e, se le giudichi, come le giudichi? Ci sono barbarie in atto – sentimenti, pensieri, emozioni, azioni, violenze verbali, cattiverie di pianerottolo, guerre intestine, invidie… – che danno molto da pensare e che portano in sé lo stigma di qualcosa che non sa di buono.

Bonhoeffer aveva un’idea pluridimensionale-polifonica della vita.
Commentando in carcere la Pentecoste affermava che «[…] anche il dolore e la gioia appartengono alla polifonia della vita nel suo complesso, e possono sussistere autonomamente l’uno a fianco dell’altra» [28]. Dunque no al “pensiero unilaterale”, massificante e riduttivo che rischia di far ripiegare su di sé: «Il cristianesimo ci pone continuamente in molte dimensioni diverse della vita; noi alberghiamo in certa misura Dio e il mondo intero in noi. Piangiamo con chi piange e contemporaneamente gioiamo con chi è felice; ci preoccupiamo […] della nostra vita, ma dobbiamo contemporaneamente avere dei pensieri che per noi sono più importanti di essa. […] Bisogna strappare la gente dal pensiero unilineare […] è soltanto la fede stessa a rendere possibile la vita nella pluridimensionalità» [29]. Come dire: occorre uscire dal guscio della sola preoccupazione di sé, della concentrazione di sé su se stessi (anche quando suonasse l’allarme in cella), come se la messa in salvo della propria esistenza fosse la preoccupazione principale della vita di una persona. Anche questa libertà del pensiero e dello spirito, che è perfino libertà di sé da sé è un potente strumento per non lasciare che il Male di vivere s’insinui tra le pieghe della speranza. Ma, appunto, non s’improvvisa. Bonhoeffer non temeva di parlare di “disciplina”. Oggi è categoria rottamata, eppure il coraggio di vivere all’altezza del compito che ci attende richiede a volte perfino un po’ di rigore: «Nessuno apprende il segreto della libertà, se non attraverso la disciplina» [30].
In questo senso si comprende la sua paura di adagiarsi, di lasciare che le cose vadano come vadano, seguendo un percorso già segnato: è il rischio di quella che Bonhoeffer chiama “assuefazione” o “decantazione” [31]. O, peggio, “rassegnazione”: «Nell’ambiente in cui mi trovo ora ho a che fare quasi soltanto con uomini che si attaccano ai loro desideri e che perciò non sono nulla per gli altri; non riescono a sentire più niente e sono incapaci di nutrire amore per il prossimo.
Credo che anche qui si debba vivere come se non ci fossero desideri né futuro, ed essere totalmente quelli che siamo. [...] qui io vivo prevalentemente nella riflessione [...] io credo sempre di più che noi ci avviciniamo anche alla realizzazione dei nostri desideri, e non dobbiamo assolutamente lasciarci andare alla rassegnazione» [32]. Non cedere nemmeno all’“autocommiserazione” [33].

 C’è un passaggio formidabile in Bonhoeffer. È proprio là quando dice che il dolore, la sofferenza, la morte possono convivere con un’idea di felicità. Di per sé sono tutte cose che noi chiameremmo “male”. E, tu, che idea hai di felicità? Davvero la felicità può abitare nel cuore di una persona chiamata a fare l’esperienza durissima del dolore o della sofferenza? Possono essere felici gli immigrati che sbarcano sulle nostre coste dopo aver perso tutto? Possono essere felici le persone costrette a letto? Possono essere felici i carcerati o i poveri? Che ne pensi?

Occorre respingere tutto questo con un’estrema fedeltà al quotidiano, che è sempre il segno di una grande maturità umana, quella tipicamente biblica dei salmi «abita la terra e vivi con fede» [34] (Sal 37) o con le parole di Alëša ne I fratelli Karamazov di Dostoevskij: «Bacia la terra e amala incessantemente». «[...] fa parte della natura dell’uomo [...] che il baricentro della sua vita sia lì dove egli appunto si trova» [35].
Fedeltà alla vita, sì, ma anche pazienza [36], senso di profonda gratitudine («Si prova gratitudine anche per le piccole cose, ed anche questa è senz’altro una conquista» [37]; «s’impara a diventare riconoscenti […] soltanto la gratitudine rende davvero ricca la vita» [38]), «bisogno di gioia» «in questa casa tanto severa, dove non si sente mai ridere» [39], serenità («non è contagiosa solo la paura, come constato continuamente ad ogni nuovo allarme aereo, ma anche la serenità e la gioia con cui affrontiamo ciò che di volta in volta ci viene imposto» [40]) e perfino hilaritas. Non perdere mai il sorriso.
In carcere Bonhoeffer ha sempre mantenuto una sorta di regola di vita, cioè una rigorosa disciplina del quotidiano, che probabilmente egli aveva già predisposto per i futuri pastori della Chiesa confessante nella vita comunitaria del seminario di Finkenwalde sul Baltico. «La prima conseguenza che simili periodi di nostalgia producono – scrive da Tegel all’amico BETHGE il 18 dicembre 1943 quando comincia a nutrire la certezza che non sarà mai liberato – è che si vorrebbe trascurare in qualche modo la scansione normale della giornata, per cui un certo disordine minaccia di penetrare nella nostra vita. Qualche volta ho avuto la tentazione di non alzarmi la mattina alle 6 come al solito – il che sarebbe certamente possibile – e di dormire più a lungo.
Finora mi è sempre riuscito di costringermi a non farlo; mi era chiaro che ciò sarebbe stata una capitolazione, e che probabilmente ne sarebbe seguito di peggio; l’ordine esteriore è puramente personale (fare ginnastica la mattina, lavarsi con l’acqua fredda) fornisce sicuramente un certo sostegno all’ordine interiore. [...] Credo che dobbiamo amare Dio e avere fiducia in lui nella nostra vita e nel bene che ci dà, in una maniera tale che quando arriva il momento – ma veramente solo allora – andiamo a lui ugualmente con amore, fiducia e gioia». La fedeltà alla vita è per il nostro prigioniero la questione capitale della fede o della fiducia. La fiducia che si oppone all’accidia o, detto con linguaggio contemporaneo, alla noia del vivere: cedere all’idea che tutto è uguale, che nulla può cambiare perché tanto il destino è segnato. È una tentazione che Bonhoeffer confida all’amico di sempre: «Sei l’unico a sapere che sono stato spesso perseguitato dall’acedia-tristitia e dalle sue pericolose conseguenze» [41]. Mantenere il desiderio di vivere, della cura di sé, della custodia del pensiero in un ambiente di annichilimento e di repressione dell’identità non era facile. Mantenere la volontà di vita, mantenersi vivi nella volontà di pensare al futuro e al destino degli altri mentre il Male si abbatte e toglie le energie per vivere è stata una prova durissima. Bonhoeffer cercherà silenziosamente di leggere questa sua esperienza proprio alla luce del Vangelo e della passione e morte di Gesù (senza accorgersene leggerà la biografia di Gesù come autobiografia): «Finché non è giunta la sua ora, Cristo si è sottratto alla sofferenza; a quel punto però è andato liberamente incontro ad essa, l’ha affrontata e vinta. Cristo – così dice la Scrittura – ha provato nel suo corpo come sue proprie tutte le sofferenze di tutti gli uomini – un’idea di ineccepibile altezza! – prendendole liberamente su di sé» [42].

 Una cosa forte Bonhoeffer ce la sta dicendo: la sua vita è un continuo stimolo a non rassegnarci e combattere contro il Male e le sue cause, a non arrenderci e a sperare contro ogni ragionevole speranza. Per questo egli non cede alla pigrizia, alla noia, al lasciar perdere tutto… Rimane in piedi, e chissà quanto gli sarà costato, continua ad avere passione per quello che fa, cerca di condurre una vita “normale”, perché è nella libertà che si superano le difficoltà. E tu che tipo sei?

Lo terrà in vita sia l’amore per la numerosa parentela, l’affetto sincero dei e per i genitori, il legame profondo con gli amici, il continuo tenersi informato di come stanno procedendo i preparativi per l’attentato del 1945, ma anche l’amore per la diciannovenne Maria. È un tratto umanissimo della vita di quest’uomo, intellettuale tutto d’un pezzo, stimatissimo e rispettato dalle guardie carcerarie, capace di portare coraggio ai prigionieri (comporrà anche una splendida preghiera per pregare con loro, li aiuterà a pregare e a non disperarsi [43]). Quello con Maria sarà un amore durissimo e difficilissimo da portare avanti, per via delle oggettive difficili condizioni (si vedono solo e sempre in carcere, sotto lo sguardo di una guardia, senza mai potersi toccare né vivere momenti di intimità e rubandosi una volta sola un bacio quasi di nascosto); progettare però con lei il futuro, disegnare sulla carta da lettere i futuri mobili della casa, consigliarsi letture, nutrirsi di lettere, pensare all’anello di fidanzamento, vedersi saltuariamente in un angolo del carcere: tutto questo sarà decisivo per mantenersi vivo e come muro di contenimento alla barbarie e all’abbruttimento che vorrebbe togliere qualsiasi dignità e sentimento.
Il Male non distrugge l’amore anche se sembra impedirne le condizioni. Progettare il futuro dell’amore: questo sì sconfigge il Male.
Il Male non può nulla di fronte a chi progetta la vita insieme. Nessuna vendetta, nessun risentimento o odio, semmai dare parola all’amore per qualcuno: così se ne escono vittoriosi Dietrich e Maria. Non sappiamo nulla del potere dell’amore sul quale, però, vale la pena di scommettere. Sempre.
Consiglio la lettura delle lettere di Bonhoeffer alla fidanzata: «Tu non puoi immaginare che cosa nella mia attuale situazione significhi l’avere te. Sono sicuro che qui c’è la guida speciale di Dio» [44]; «Io sono grato, ogni giorno, di avere te, e ciò mi rende felice» [45].

 Ho inserito volutamente il riferimento al rapporto d’amore tra Bonhoeffer e la fidanzata Maria, perché sarebbe coraggioso aprire il capitolo di come i giovani e gli adolescenti oggi si relazionano, come costruiscono i loro legami amorosi, come provano ad amarsi e a promettersi futuro. Stupisce sempre come essi si prendano e si lascino con un sms o con un messaggino via Whatsapp. Stupisce sempre che si debba ricorrere al meno doloroso messaggio tecnologico senza avere il coraggio di guardarsi in faccia. A forza di comunicazione digitale-virtuale abbiamo perso il senso del corpo. E magari della realtà.

 

NOTE

22 Lettera a Eberhard BETHGE, Tegel 24 marzo 1944.
23 Lettera a Eberhard BETHGE, Tegel 30 giugno 1944.
24 Lettera a Eberhard BETHGE, Tegel 11 aprile 1944.
25 È un discorso molto attuale: il grande rischio che stanno attraversando le nuove generazioni è “credere” che sia insensato anche solo pensare che ci sia un senso. Il nichilismo che è una malattia dello spirito (così lo intendeva NIETZSCHE), vorrebbe convincerci dell’assurdità e inutilità di affidare la nostra vita a un senso.
26 Lettera a Renate ed Eberhard BETHGE, Tegel 23 gennaio 1944.
27 Pensieri per il giorno del battesimo di Dietrich Wilhelm Rüdiger Bethge in Resistenza e resa, pp. 386ss.
28 Lettera a Eberhard BETHGE, Tegel 21 maggio 1944.
29 Lettera a Eberhard BETHGE, Tegel 29 maggio 1944.
30 Dalla poesia Stazioni sulla via verso la libertà: «Disciplina. Se tu parti alla ricerca della verità, impara soprattutto / la disciplina dei sensi e dell’anima, affinché i desideri / e le tue membra non ti portino ora qui ora là. / Casti siano il tuo spirito e il tuo corpo, a te pienamente sottomessi / ed ubbidienti, nel cercare la meta che è loro assegnata. / Nessuno apprende il segreto della libertà, se non attraverso la disciplina.
31 Lettera a Eberhard BETHGE, Tegel 19 marzo 1944 e ai genitori 26 aprile 1944.
32 Lettera a Eberhard BETHGE, Tegel 19 marzo 1944.
33 Lettera a Eberhard BETHGE, Tegel 18 dicembre 1943.
34 Preferisco ancora la vecchia traduzione del salmo 37 rispetto alla nuova («Confida nel Signore e fa’ il bene: abiterai la terra e vi pascolerai con sicurezza») che ha perso il fascino lapidario del comandamento.
35 Lettera a Eberhard BETHGE, Tegel 19 marzo 1944.
36 Lettera a Eberhard BETHGE, Tegel 5 maggio 1944.
37 Lettera ai genitori, Tegel 14 aprile 1943.
38 Lettera ai genitori, Tegel 13 settembre 1943.
39 Lettera ai genitori, Tegel 4 giugno 1943.
40 Lettera a Eberhard BETHGE, Tegel 5 dicembre 1944.
41 Lettera a Eberhard BETHGE, Tegel 18 novembre 1943.
42 Dieci anni dopo, in Resistenza e resa, p. 73.
43 in Resistenza e resa, p. 217 ss.
44 Lettera a Maria VON VEDEMEYER, Tegel 12 agosto 1943.
45 Lettera a Maria VON VEDEMEYER, Tegel 19 dicembre 1944.