Europa e laicità

Lettere europee /11

Renato Cursi

(NPG 2021-06-2)


La parola “laicità”, tra le più abusate del nostro tempo, è radicata nell’idea di popolo. Sul piano etimologico, è laico ciò che è del popolo, di tutto il popolo, in contrapposizione a ciò che appartiene ad una o più parti separate dal resto. Se è in pericolo la laicità, è in pericolo l’esistenza stessa del popolo che la esprime.

I popoli europei hanno imparato a conoscere interpretazioni diverse di questo concetto nel corso della storia, con particolare riferimento al rapporto tra religioso e civile nell’ordinamento giuridico e nella vita sociale e politica. In questo percorso storico, certamente la parola di Gesù nel Vangelo (Mt 22,21; Mc 12,17; Lc 20,25) segna una forte discontinuità con il passato (come testimoniato da alcune descrizioni della vita delle prime comunità cristiane, non ultima la cosiddetta Lettera a Diogneto), anche se lo stesso non si può sempre dire delle sue interpretazioni e applicazioni successive da parte degli stessi cristiani.
Oggi la laicità in Europa è in pericolo, sotto i colpi di opposti fondamentalismi che fingono di combattersi per alimentarsi a vicenda. Una laicità di Stato che nega il diritto dei cittadini a vivere e testimoniare una fede trascendente o che comunque relega queste persone ad una cittadinanza di livello inferiore rispetto agli altri, è infatti la migliore alleata dei fondamentalismi religiosi. Non a caso, papa Francesco nel suo messaggio per le celebrazioni del 40° anniversario della Commissione degli Episcopati dell'Unione Europea (COMECE), ha affermato di sognare “un’Europa sanamente laica, in cui Dio e Cesare siano distinti ma non contrapposti. Una terra aperta alla trascendenza, in cui chi è credente sia libero di professare pubblicamente la fede e di proporre il proprio punto di vista nella società”. Papa Francesco afferma inoltre di sperare che sia finito, con il tempo dei confessionalismi, “anche quello di un certo laicismo che chiude le porte verso gli altri e soprattutto verso Dio, poiché è evidente che una cultura o un sistema politico che non rispetti l’apertura alla trascendenza, non rispetta adeguatamente la persona umana”. Una laicità atea non è laica: divide il popolo in se stesso e lo lacera.
Non si tratta quindi di abbracciare mode e ideologie dell’ultima ora, volte a negare acriticamente le radici per darsi slanci illusori con ali di cera. La sfida della cancel culture, ad esempio, forma moderna di ostracismo neopuritano, impone di educare al pensiero critico e ad una “coscienza storica”, come leggiamo nella Lettera Enciclica Fratelli Tutti (FT) dedicata da papa Francesco alla fraternità e all’amicizia sociale (FT 13-14). In quest’Enciclica papa Francesco rivolge due appelli fondamentali ai giovani, entrambi connessi esplicitamente con l’Esortazione Apostolica Christus Vivit. Il primo di questi due appelli è dedicato esattamente al tema che stiamo affrontando: «Se una persona vi fa una proposta e vi dice di ignorare la storia, di non fare tesoro dell’esperienza degli anziani, di disprezzare tutto ciò che è passato e guardare solo al futuro che lui vi offre, non è forse questo un modo facile di attirarvi con la sua proposta per farvi fare solo quello che lui vi dice? Quella persona ha bisogno che siate vuoti, sradicati, diffidenti di tutto, perché possiate fidarvi solo delle sue promesse e sottomettervi ai suoi piani. È così che funzionano le ideologie di diversi colori, che distruggono (o de-costruiscono) tutto ciò che è diverso e in questo modo possono dominare senza opposizioni. A tale scopo hanno bisogno di giovani che disprezzino la storia, che rifiutino la ricchezza spirituale e umana che è stata tramandata attraverso le generazioni, che ignorino tutto ciò che li ha preceduti» (FT 13, ChV 181).
Nel secondo appello rivolto ai giovani nella sua ultima Enciclica, papa Francesco chiede loro di rimanere fedeli a se stessi, senza lasciarsi influenzare negativamente da chi non possiede la novità del loro sguardo, di fronte alla sfida della convivenza tra persone provenienti da culture diverse: «chiedo in particolare ai giovani di non cadere nelle reti di coloro che vogliono metterli contro altri giovani che arrivano nei loro Paesi, descrivendoli come soggetti pericolosi e come se non avessero la stessa inalienabile dignità di ogni essere umano» (FT 133, ChV 93).
Agli opposti fondamentalismi atei o di matrice religiosa, occorre proporre con convinzione una laicità non più fondata sulla mera tolleranza del diverso, bensì sulla fraternità radicale e sulla “coesistenza attiva” di visioni trascendenti, agnostiche e atee. È quanto sta cercando di promuovere, tra gli altri, il movimento internazionale di giovani chiamato “Coexister”, sorto pochi anni or sono in Francia, Paese particolarmente sensibile a questa sfida. Il dialogo interreligioso rientra in questo sforzo di coesistenza attiva, ma non lo esaurisce, in quanto la coesistenza attiva si sforza di includere anche le visioni agnostiche, indifferenti, in ricerca o convintamente atee. Il fatto che a parlarne in questi termini siano dei giovani dimostra quanto essi siano sensibili alle novità spirituali dell’Europa: le nuove forme di adesione al cristianesimo, cattolico e non, la crescente indifferenza verso il fatto religioso, le nuove spiritualità non religiose, la crescita dell’ateismo, l’emergenza di nuove forme di laicismo aggressivo e la crescente presenza di altre religioni, in particolare l’Islam nelle sue varie denominazioni, fanno dell’Europa un laboratorio della fraternità e della coesistenza attiva. La pastorale giovanile, se non lo sta già facendo, dovrebbe provare a bussare alla porta di questo laboratorio.