Le ultime ore di Gesù
José A. Pagola
Che cosa ha realmente vissuto Gesù durante le sue ultime ore? [61] La violenza, le percosse e le umiliazioni hanno inizio la stessa notte del suo arresto. Nei racconti della passione leggiamo due scene parallele di maltrattamenti. Entrambe seguono immediatamente la condanna di Gesù da parte del sommo sacerdote e da parte del prefetto romano, ed entrambe sono in relazione con i temi trattati. Nel palazzo di Caifa, Gesù riceve «percosse» e «sputi», gli coprono il volto e si fanno beffe di lui dicendogli: «Profetizza, Messia, chi è stato a picchiarti?»; le beffe si incentrano su Gesù come «falso profeta», l'accusa che fa da sfondo alla condanna giudaica. Nel pretorio di Pilato, Gesù riceve di nuovo «percosse» e «sputi», e viene fatto oggetto di una mascherata: gli mettono addosso un mantello di porpora, gli calcano sul capo una corona di spine, gli mettono in mano una canna a mo' di scettro regale e piegano le ginocchia davanti a lui dicendo: «Salve, re dei giudei»; qui tutta la beffa viene concentrata su Gesù come «re dei giudei», che è la preoccupazione del prefetto romano [62].
Così come sono descritte, probabilmente nessuna di queste due scene gode di rigore storico. Il primo racconto è stato suggerito in parte dalla figura del «Servo sofferente di Yahvè», che offre le spalle alle «percosse» dei suoi carnefici e non si sottrae agli «insulti» e agli «sputi» [63]. La mascherata dei soldati, da parte sua, è probabilmente ispirata al rituale dell'investitura dei re, con i simboli ben noti della clamide di porpora, la corona di foglie silvestri e il gesto di prosternarsi, cui prende parte, secondo Marco, «l'intera coorte» (600 soldati!). Si tratta indubbiamente di due scene profondamente rielaborate, nelle quali, in maniera indiretta e con non poca ironia, i cristiani fanno confessare agli avversari di Gesù ciò che egli è realmente per loro: profeta di Dio e re.
Questo non significa affatto che tutto sia finzione. All'origine della prima scena nel palazzo di Caifa sembra soggiacere il ricordo di schiaffi assestati da una o più guardie del sommo sacerdote nella notte dell'arresto [64]. Questo trattamento vessatorio nei confronti degli arrestati era abbastanza abituale. Quando, trent'anni più tardi, intorno agli anni sessanta, Gesù, figlio di Ananìa, fu arrestato dalle autorità giudaiche perché profetizzava contro il tempio, ricevette numerose percosse prima di essere consegnato ai romani [65]. Qualcosa di simile si può dire degli scherni da parte dei soldati di Pilato. La scena non si ispira ad alcun testo biblico e l'atteggiamento vessatorio nei confronti di un condannato è verosimile; i soldati di Pilato non erano legionari romani disciplinati, ma truppe ausiliarie reclutate fra la popolazione samaritana, siriaca o nabatea, popolazioni profondamente antigiudaiche. Non è improbabile che esse siano cadute nella tentazione di farsi beffe di quel giudeo, finito in disgrazia e condannato dal prefetto. Non sappiamo esattamente quello che fecero di Gesù; la descrizione concreta che i Vangeli ci offrono è sempre ispirata a beffe e incidenti come quello che narra Filone. Secondo questo scrittore giudeo, nell'anno 38, per farsi beffe del re Erode Agrippa in visita ad Alessandria, venne preso un minorato mentale detto Carabbas, che fu «intronizzato» nel ginnasio della città: gli venne messo in testa un foglio di papiro in forma di diadema, gli vennero coperte le spalle con un tappeto come mantello regale e gli si diede da tenere una canna a mo' di scettro; poi, come nei «mimi teatrali», dei giovani gli si misero in piedi da entrambi i lati imitando una guardia personale, mentre altri gli rendevano omaggio [66].
I soldati di Pilato cominciarono a intervenire in maniera davvero ufficiale quando il loro prefetto diede loro l'ordine di flagellare Gesù [67]. La flagellazione, in questo caso, non è un castigo indipendente e neppure un ulteriore gioco dei soldati; fa parte del rito dell'esecuzione, che comincia in genere con la flagellazione e culmina con la crocifissione propriamente detta [68]. Dopo aver ascoltato la sentenza, Gesù viene probabilmente condotto dai soldati nel cortile del palazzo, chiamato «cortile lastricato», per procedere alla sua flagellazione. L'atto è pubblico; non sappiamo se qualcuno degli accusatori assista a quel triste spettacolo. Per Gesù cominciano le ore più terribili; i soldati lo spogliano completamente e lo legano a una colonna o un supporto adeguato. Per la flagellazione veniva utilizzato uno speciale strumento chiamato flagrum, dal manico corto e costituito di strisce di cuoio terminanti in palle di piombo, ossa di montone o pezzetti di metallo pungente. Ignoriamo di quali strumenti abbiano potuto servirsi i carnefici di Gesù, ma sappiamo quale era sempre il risultato. Gesù rimane sfigurato, appena con le forze per tenersi in piedi e con il corpo ridotto a carne viva. Così rimase anche Gesù, figlio di Ananìa, quando venne flagellato da Albino nell'anno 62; Giuseppe Flavio lo descrive «scorticato a frustate fino alle ossa» [69]. La punizione è talmente brutale che a volte i condannati muoiono durante il supplizio. Non si trattò del caso di Gesù, ma le fonti suggeriscono che gli rimasero ben poche forze; a quanto sembra, si dovette aiutarlo a portare la croce, perché non ce la faceva a reggerla, e di fatto la sua agonia non si prolungò: morì prima degli altri due colpevoli crocifissi insieme con lui.
Conclusa la flagellazione, si procede alla crocifissione; non c'è motivo di ritardarla; l'esecuzione di tre crocifissi richiede del tempo, e mancano poche ore al tramonto del sole, che segnerà l'inizio delle feste di Pasqua. I pellegrini e la popolazione di Gerusalemme si affrettano a fare gli ultimi preparativi: alcuni salgono al tempio per acquistare il loro agnello e sgozzarlo ritualmente, altri vanno nelle loro case per preparare la cena. Si respira l'ambiente festoso della Pasqua. Dal palazzo del prefetto, una lugubre comitiva si mette in marcia sulla via del Gòlgota; il tragitto è relativamente corto, non arriva forse a cinquecento metri; uscendo dal pretorio, prendono probabilmente la stretta strada che corre fra il palazzo-fortezza di Pilato e le mura; quando usciranno dalla città della porta di Efraim, si troveranno già sul luogo dell'esecuzione [70].
I tre condannati camminano scortati da un piccolo plotone di quattro soldati; a Pilato è parso sufficiente per garantire la sicurezza e l'ordine; i seguaci più vicini di Gesù sono fuggiti: non teme grandi disordini per l'esecuzione di quei disgraziati. Probabilmente, insieme alla comitiva vanno anche i carnefici incaricati di giustiziarli; i colpevoli sono tre, e la crocifissione richiede destrezza. Portano con sé il materiale necessario: chiodi, corde, martelli e altri oggetti. Gesù cammina in silenzio; come gli altri colpevoli, porta sulle spalle il patibulum, o traversa orizzontale su cui sarà presto inchiodato; quando arriveranno al luogo dell'esecuzione, esso verrà assicurato a uno dei pali verticali (stipes) fissati in permanenza sul Gòlgota per essere adoperati nelle esecuzioni. Appesa al collo porta una piccola tavoletta (tabella) su cui, secondo l'abitudine romana, è scritta la causa della pena di morte. Ognuno porta la sua; è importante che tutti sappiano che cosa attende coloro che li imitassero: la crocifissione deve servire di monito generale. Secondo alcune fonti, Gesù non poté trascinare la croce fino alla fine; a un certo punto, i soldati, nel timore che non arrivasse vivo al luogo della crocifissione, costrinsero un uomo che veniva dai campi per celebrare la Pasqua a trasportare la croce di Gesù fino al Calvario; si chiamava Simone, era oriundo di Cirene (nell'attuale Libia) e padre di Alessandro e Rufo [71].
Non tardano ad arrivare al Gòlgota. Senza essere altrettanto famoso del Campus Esquilinus di Roma, il posto era forse noto a Gerusalemme come luogo di pubbliche esecuzioni; così suggerisce il suo sinistro nome: «luogo del Cranio» o «luogo del Teschio». In italiano, «il Calvario» [72]. Si trattava di una collinetta rocciosa di dieci o dodici metri di altezza sulla zona circostante. Anticamente era stata una cava da cui si estraeva materiale per le costruzioni della città. All'epoca serviva, a quanto sembra, come luogo di sepoltura nelle cavità delle rocce. Nella parte superiore della collinetta si potevano vedere i pali verticali saldamente infissi nella roccia. Accanto al Gòlgota passava una strada molto transitata che conduceva alla vicina porta di Efraim; il luogo non può essere più appropriato per fare della crocifissione un castigo esemplare.
Quindi si procede all'esecuzione dei tre colpevoli. Con Gesù si fa probabilmente quel che si faceva con qualsiasi condannato: lo spogliano completamente per degradare la sua dignità, Io gettano a terra, gli stendono le braccia sulla traversa orizzontale e con chiodi lunghi e solidi lo inchiodano attraverso i polsi, facili da attraversare e che permettono di sostenere il peso del corpo umano; poi usando strumenti adatti, alzano la traversa insieme con il corpo di Gesù e la fissano al palo verticale prima di inchiodargli i due piedi alla parte inferiore. [73]. Di solito, l'altezza della croce non superava di molto i due metri, in modo che i piedi del crocifisso restassero a trenta o cinquanta centimetri da terra; in questo modo la vittima restava più vicina ai suoi torturatori durante il suo lento processo di asfissia e, una volta morta, poteva essere facile pasto dei cani selvatici [74].
I soldati si preoccupano di collocare sulla parte superiore della croce la piccola placca di colore bianco su cui, in lettere nere o rosse ben visibili, si indica la causa per la quale Gesù viene giustiziato. È quanto si usa fare in questi casi [75]. A quanto sembra, il cartello di Gesù era scritto in ebraico, la lingua sacra più utilizzata nel tempio, in latino, lingua ufficiale dell'Impero romano, e in greco, lingua comune di tutti popoli dell'oriente, certamente la più parlata dai giudei della diaspora [76]. Il delitto di Gesù: «re dei giudei» deve risultare ben chiaro; queste parole non sono un titolo cristologico inventato in seguito dai cristiani [77], e non si tratta neppure di una notifica ufficiale che raccolga gli atti del processo davanti a Pilato: si tratta piuttosto di un modo per informare la popolazione, affinché l'esecuzione di Gesù serva di monito; in maniera intelligibile e con la sua piccola dose di beffa, si avvertono tutti di ciò che li attende se seguono i passi di quest'uomo che pende dalla croce.
Gesù viene giustiziato con altri condannati; a quanto sembra questo tipo di esecuzioni di gruppo era abbastanza abituale; le fonti cristiane parlano soltanto di altri due crocifissi; potevano essere di più non sappiamo se fossero «banditi» catturati in qualche genere di scontro contro le autorità romane o, piuttosto, «delinquenti comuni» condannati per qualche crimine punito con la pena di morte [78]. Alcuni mettono in dubbio il fatto. Ritengono che si tratti di un dettaglio inventato a partire da testi biblici come Isaia 53,12 o il Salmo 22,17 [79], per mostrare con maggior forza l'atrocità commessa contro Gesù, che - innocente - è stato giustiziato come un criminale qualsiasi. Il dettaglio venne forse raccolto con tale intenzione, ma non sembra un fatto fittizio; Gesù fu giustiziato insieme con altri condannati seguendo una prassi abituale; la maniera di rappresentare Gesù in un luogo preminente e centrale, in mezzo ai due banditi, può tuttavia essere dovuta a motivi di «estetica cristiana» [80].
Terminata la crocifissione, i soldati non si muovono dal posto. È obbligo vigilare perché nessuno si avvicini a togliere i corpi dalla croce, e attendere fino a quando i condannati abbiano emesso l'ultimo rantolo. Frattanto, secondo i Vangeli, si dividono i vestiti di Gesù tirando a sorte cosa ciascuno si porterà via [81] . Probabilmente avvenne così; secondo una prassi romana abituale, i beni del condannato potevano essere presi come «spoglie» (spolia): il crocifisso doveva sapere di non appartenere più al mondo dei vivi [82].
I Vangeli hanno conservato anche il ricordo del fatto che, in un qualche momento, i soldati hanno offerto a Gesù qualcosa da bere. Non è facile sapere che cosa sia avvenuto; secondo Marco e Matteo, giunti al Gòlgota, prima di crocifiggerlo, i soldati offrono a Gesù «vino mischiato con mirra», una bevanda aromatica che sopiva la sensibilità e aiutava a sopportare meglio il dolore; ci viene detto che Gesù «non lo prese» [83]. Alla fine, poco prima di morire, succede qualcosa di completamente diverso. Udendo che Gesù lanciava un forte grido invocando Dio, uno dei soldati si affretta a offrirgli del «vino inacetito», chiamato in latino posca, una bevanda forte, molto popolare fra i soldati romani, che la usavano per riacquistare forze e riprendere coraggio. Questa volta non si tratta di un gesto di compassione per calmare il dolore del crocifisso, bensì di una sorta di beffa finale affinché sopporti ancora un poco, nel caso che Elia venisse in suo aiuto (!). Non ci viene detto se Gesù lo abbia bevuto; probabilmente non aveva più la forza di far nulla; quest'offerta dell'aceto nei momenti finali è così radicata in tutte le fonti da essere, probabilmente, storica: ancora una beffa, questa volta in piena agonia [84]. Ma il dettaglio fu certamente raccolto nella tradizione perché acquistava una particolare profondità alla luce delle proteste di un orante che si lamenta così: «Attendo compassione invano, non trovo chi mi consoli; mi hanno messo veleno nel cibo, hanno spento la mia sete con aceto» [85]. Ormai non c'è che da aspettare. Gesù è stato inchiodato alla croce fra le nove di mattina e le dodici a metà giornata [86]; l'agonia non si prolungherà. Per lui sono i momenti più duri; mentre il suo corpo si va deformando, cresce l'angoscia della progressiva asfissia; poco a poco rimane senza sangue e senza forze; i suoi occhi possono a malapena distinguere qualcosa. Da fuori gli giungono soltanto alcune beffe e le grida di disperazione e di rabbia di quanti agonizzano accanto a lui; presto sopraggiungeranno le convulsioni; poi il rantolo finale [87].
NOTE
61 I racconti della passione ci offrono una fredda informazione sui fatti; fin dall'inizio, i cristiani hanno fatto ricorso alle sacre Scritture, e in particolare ai salmi sulla sofferenza del giusto (22 e 69), per dare un qualche significato a quella così orribile fine di Gesù. Tale riferimento alle Scritture ha influito in maniera notevole sul modo di presentare la passione, ma ciò non implica in alcun modo che tutto sia stato inventato a partire da testi biblici. Per determinare il carattere storico di ogni dettaglio è necessario analizzare con cura quanto può essere una reminiscenza storica e quanto è un chiarimento proveniente dai testi biblici.
62 Le beffe dei giudei sono descritte in Marco 14,65; Matteo 26,67-68; Luca 22,63-65. Le beffe dei soldati di Pilato in Marco 15,16-20; Matteo 27,27-31; Giovanni 19,2-3. Luca parla dello scherno nel palazzo di Erode (23,11).
63 Così dice questo personaggio, che per i primi cristiani era una figura di Gesù: «Ho offerto le spalle a quanti mi colpivano, non ho tratto indietro il volto dagli insulti e dagli sputi» (Isaia 50,6).
64 Giovanni parla dello schiaffo che una delle guardie diede a Gesù durante l'interrogatorio (18,22-23).
65 Giuseppe Flavio, Guerra giudaica VI,302.
66 Filone, In Flaccum 6,36-40.
67 Quello della flagellazione è un fatto considerato storico praticamente da tutti (compresi J.D. Crossan e il gruppo del Jesus Seminar).
68 I romani stabilivano una differenza fra la fustigatio, punizione preventiva e dal carattere più lieve, e la flagellatio, terribile preludio alla crocifissione. Gli autori ritengono che Gesù sia stato assoggettato alla flagellazione che dava inizio alla sua esecuzione.
69 Guerra giudaica VI,304.
70 Gli autori discutono sul percorso preciso che Gesù poté compiere sulla via della crocifissione.
71 Così lo presenta Marco 15,21 (Matteo 27,32; Luca 23,26); di lui, tuttavia, in Giovanni non si dice nulla. Alcuni autori lo ritengono un personaggio fittizio, inventato per essere presentato come fedele seguace del crocifisso: Simon Pietro non prende la croce di Gesù, anzi scappa; Simone di Cirene prende la croce di Gesù e lo segue (Reinach, Jesus Seminar, Crossan); come però sottolinea Brown, il gesto di Simone non è volontario bensì forzato; come esempio di sequela il suo atto non va bene; si tratta probabilmente di un fatto storico (Taylor, Gnilka, Brown).
72 Il termine «Gòlgota» proviene dall'aramaico gulgulta, luogo del cranio o del teschio.
73 Non è possibile precisare ulteriori dettagli. A quanto sembra, Gesù non venne legato per le braccia alla croce, ma fu inchiodato all'altezza dei polsi. Non sappiamo se i suoi due piedi siano stati inchiodati separatamente o se venne utilizzato un unico lungo chiodo. Non sembra siano stati usati né il sedile, piccolo appoggio di legno collocato sul palo verticale per scaricare il peso del corpo, né il suppedaneum, per appoggiare i piedi: non si aveva interesse a prolungare la sua agonia.
74 Nel giugno del 1968, a Giv'at ha-Mitvar (a nord-est di Gerusalemme), una tomba del I secolo scavata nella roccia. Uno degli ossari conteneva le ossa di un uomo dei venti ai trent'anni chiamato Yehohanan, morto crocifisso. Le braccia non erano state inchiodate bensì legate alla traversa orizzontale; i piedi erano stati separati da entrambi i lati dal palo verticale per essere inchiodati non di fronte bensì di lato. Ciascuno dei piedi era stato inchiodato con un lungo chiodo che aveva attraversato dapprima una tavoletta di ulivo (posta affinché il piede non si strappasse), poi il tallone e infine il legno del palo. Uno dei chiodi, piantandosi nel legno nodoso della croce, si ritorse e non si poté ritirare dai piedi del cadavere. Nell'ossario sono stati rinvenuti ancora uniti il tallone, il chiodo e la tavoletta di ulivo. Il cadavere di Yehohanan, detto tra gli archeologi il «crocifisso di Giv'at ha-Mitvar», getta una luce sinistra sul supplizio sofferto da Gesù.
75 Per la maggioranza degli storici, tale iscrizione o titulus della condanna è uno dei dati più solidi della passione di Gesù (Légasse, Fitzmyer, Brown, Bovon, Gnilka...), contro lo scetticismo di Bultmann e Linnemann.
76 Soltanto Giovanni 19,20 ci informa del carattere trilingue del titulus della croce.
77 I primi cristiani non hanno mai chiamato Gesù «re dei giudei»; sulla croce avrebbero posto altri titoli: «Messia», «Salvatore del mondo», «Signore»...
78 Secondo Marco e Matteo, si tratta di due «banditi» (plurale di lêstês); secondo Luca si tratta di «malfattori» (plurale di kakourgos); egli evita forse il termine «bandito» (lêstês) a motivo del contenuto antiromano che avrebbe potuto avere per i suoi lettori.
79 Così dice Isaia 53,12 del Servo di Yahvè, figura di Gesù per i cristiani: «Si consegnò indifeso alla morte e fu annoverato fra i criminali». Nel Salmo 22,17 un giusto perseguitato grida: «Mi accerchia una banda di malvagi». Crossan vede i questi testi l'origine della scena narrata dai Vangeli.
80 Così suggerisce R.E. Brown.
81 Marco 15,24.
82 Il dettaglio è ampliato nel Vangelo di Giovanni (19,23-24), che parla di una «tunica senza cuciture», probabile allusione alla tunica portata dal sommo sacerdote. L'episodio è inoltre teologicamente illustrato con la citazione del Salmo 22,19: «Si sono suddivisi i miei vestiti, hanno tirato a sorte la mia tunica».
83 Marco 15,23 // Matteo 27,34.
84 Tutti gli evangelisti parlano di questo episodio in diverse maniere: Marco 15,36; Matteo 27,48-49; Luca 23,36; Giovanni 19,28-30. Secondo il Vangelo [apocrifo] di Pietro (15-16), a Gesù viene dato questo «miscuglio» per avvelenarlo e far sì che muoia prima del tramonto del sole (!).
85 Salmo 69,21b-22.
86 Marco sembra ordinare cronologicamente il racconto in intervalli di tre ore. Alle tre del mattino canta il gallo (14,72); alle sei (alba) Gesù è condotto da Pilato (15,1); alle nove viene crocifisso (15,25); a mezzogiorno (ore dodici) l'oscurità comincia ad avvolgere tutto (15,33); alle tre del pomeriggio Gesù muore (15,34); alle sei (tramonto) viene sepolto. Lo schema, chiaramente artificioso, negli aspetti fondamentali non si allontana molto dalla realtà: Gesù venne crocifisso fra le nove del mattino e mezzogiorno, e morì intorno alle tre del pomeriggio.
87 Gli evangelisti non si accaniscono nel descrivere l'orrore dell'agonia di Gesù. Possiamo dedurlo dai dati che conosciamo intorno alla pratica romana della crocifissione (Hengel, Sloyan, Légasse...). Le diverse teorie sulla causa fisiologica della morte di Gesù (Le Bec, Barbet, Behaut, Gilly, Edwards...) sono ipotesi mediche basate a volte su dettagli evangelici che non rivestono carattere storico bensì teologico...
(FONTE: Gesù. Un approccio storico, Borla 2010, pp. 441-449)