Il buon ladrone (Lc 23,40-41)

Il buon ladrone (Lc 23,40-41)

José Miguel García


S
econdo i racconti evangelici di Marco e Matteo, Gesù non venne schernito unicamente dai capi del popolo ebraico e dai soldati, ma anche dai malfattori appesi alla croce accanto a lui. Luca, tuttavia, specifica che solo uno dei due ladroni lo insultava, mentre l'altro rimproverava il suo compagno per il suo comportamento. Il buon ladrone giunse addirittura a proclamare l'innocenza di Gesù e gli rivolse una supplica. Il fatto di non avere notizie simili in nessun'altra parte del Nuovo Testamento, e di leggere un'affermazione molto diversa negli altri due vangeli sinottici (Mt 27,44; Mc 15,32b), [1] ha indotto numerosi studiosi a considerare questo racconto come una creazione letteraria di Luca a sostegno di un'affermazione teologica: la dichiarazione della natura messianica di Gesù e la sua venuta gloriosa. Secondo questa ipotesi, l'evangelista avrebbe posto in bocca al ladrone pentito una credenza tipicamente cristiana. Se questa fosse l'unica interpretazione possibile del racconto, dovremmo concludere che i fatti in esso narrati sono inammissibili dal punto di vista storico e, seguendo l'opinione della maggior parte degli studiosi, bisognerebbe considerare questo racconto di Luca come una leggenda o una storia fantasiosa. In primo luogo, ricordiamo ciò che è narrato in Lc 23,39-43, secondo la traduzione corrente:

39 Uno dei malfattori appesi alla croce lo insultava: «Non sei tu il Cristo? Salva te stesso e anche noi!».
40 Ma l'altro lo rimproverava: «Neanche tu hai timore di Dio, benché condannato alla stessa pena?
41 Noi giustamente, perché riceviamo il giusto per le nostre azioni, egli invece non ha fatto nulla di male».
42 E aggiunse: «Gesù, ricordati di me quando entrerai nel tuo regno».
43 Gli rispose: «In verità ti dico, oggi sarai con me nel paradiso».

1. Le parti oscure del racconto

È davvero stupefacente che i commentatori del terzo vangelo abbiano cercato in ogni modo di identificare l'intenzione teologica contenuta in questo racconto di Luca, mentre hanno trascurato o totalmente ignorato le difficoltà e le oscurità linguistiche in esso racchiuse. Iniziamo, pertanto, col segnalare i problemi originati dal testo greco. In primo luogo, non si capisce perché l'essere condannati alla stessa pena di Gesù debba motivare il timore di Dio (v. 40). I commentatori avvertono che il buon ladrone richiama l'attenzione del suo compagno sul comportamento di Gesù, la sua serena accettazione della volontà di Dio; allo stesso modo, anch'egli dovrebbe trasformare il suo atteggiamento ribelle in pura accettazione. Non è tempo di ingiurie, ma di timore di Dio. Sicuramente questa interpretazione è frutto dell'immaginazione degli studiosi piuttosto che una lettura fedele del testo greco. D'altronde, ribadiamo, non è chiaro il motivo per cui l'essere crocifisso con Gesù debba necessariamente far nascere il timore di Dio. Se il buon ladrone avesse ricordato al suo compagno che, per il fatto di essere appeso alla croce, sta per morire e, quindi, per comparire davanti al tribunale di pio, il suo richiamo al timore di Dio sarebbe stato pienamente giustificato. Ma la sua argomentazione, secondo il testo greco, è totalmente diversa. Egli parla semplicemente del fatto che condividono la stessa pena di Gesù.
Inoltre, attenendoci alla sua redazione greca, questo versetto ci obbligherebbe a cogliere nelle parole del buon ladrone un riferimento a Dio, visto che il nome che precede la frase «benché condannato alla stessa pena» non è Gesù, bensì Dio. Ovviamente le parole di questo ebreo crocifisso non possono significare che il suo compagno è condannato alla stessa pena, allo stesso supplizio di Dio; dando una simile interpretazione alla frase, saremmo portati a pensare che il ladrone parla mosso dalla fede nella divinità di Gesù. Pur supponendo di trovarci di fronte a una composizione letteraria tardiva, scritta dopo l'anno 80, con la quale si vuole innanzitutto trasmettere un contenuto teologico o catechetico, questo linguaggio risulta francamente inammissibile.
D'altra parte, la costruzione greca del v. 41 è molto strana. Tradotta letteralmente, dice così: «E in verità noi giustamente, perché riceviamo cose degne di ciò che abbiamo fatto, questi invece non ha fatto nulla di male». Per quanto riguarda le prime quattro parole dobbiamo dire che peccano totalmente di sintassi e di significato: abbiamo una congiunzione «e», kai, un soggetto, «noi», hemeis, una particella enfatica, «in verità», men, e un avverbio, «giustamente», dikaíos, ma manca totalmente il verbo. La stranezza delle parole iniziali ha indotto i traduttori a procedere nella più 
assoluta libertà. Passando alla proposizione causativa, solo chiudendo gli occhi si riesce a glissare sulla profonda stranezza di significato che contiene: qui, sorprendentemente, è la pena a essere degna del reato. Di norma è vero il contrario: un reato grave è degno di una pena grave, merita una pena grave.
Anche la richiesta che il buon ladrone rivolge a Gesù risulta sorprendente. In essa gli studiosi leggono di solito una confessione esplicita della dignità messianica di Gesù e del suo ritorno glorioso alla fine dei tempi. Ecco, per esempio, il commento di B. Prete: «Il ladrone pentito, dicendo a Gesù "quando verrai nel tuo regno", si riferiva alla venuta di Gesù nella parusia; cioè, alla fine dei tempi, quando si compirà la resurrezione dell'umanità e il giudizio finale. Il buon ladrone chiede al Salvatore di essere benevolo con lui nel giudizio finale, rendendolo partecipe del suo regno glorioso». [2] Questa confessione cristiana posta in bocca a un ebreo, probabilmente zelota, che ha appena conosciuto Gesù, è del tutto inverosimile. Di sicuro una simile confessione di fede non poté trovarla nella sua fede ebraica: nel giudaismo non esiste una profezia che parli di una duplice' venuta del Messia, l'una in umiliazione-debolezza, l'altra in gloria-potenza, né tantomeno si afferma che il Messia sarà il giudice universale. Se il significato delle parole del buon ladrone è quello abitualmente indicato dagli esegeti, dobbiamo concludere che il racconto non narra un fatto storico. Ci troviamo, piuttosto, dinanzi a una leggenda o a un racconto fantasioso, inventato a sostegno di una finalità catechetica.

2. L'originale aramaico

Tutte queste difficoltà di redazione e significato non sono dovute all'imperizia o alla goffaggine dell'evangelista. Come dimostra il prologo del terzo vangelo, Luca aveva uno stile eccellente. Le oscurità contenute nel suo greco non possono essere imputate alla sua penna. Ci è dato conoscere. dallo stesso autore che per la composizione del suo vangelo si servì di fonti la cui origine, prestando attenzione al greco, dobbiamo dedurre che era sicuramente aramaica. Allora dobbiamo attribuire a questa fonte palestinese la presenza di quelle stranezze del greco che abbiamo segnalato. In effetti, dopo una lunga e accurata ricerca, pensiamo di essere riusciti a ricostruire l'originale aramaico che, tradotto in maniera molto approssimativa, diede origine al racconto greco che ci è pervenuto. Ecco la versione del racconto:

39 Uno dei malfattori appesi (alla croce) lo insultava dicendo: «Non sei tu il Messia? Salva te stesso e anche noi!».

40 Ma l'altro, rispondendo, diceva rimproverandolo: «E non temi Dio, dinanzi al quale, come giudice di tutti, andrai?
41 E noi giustamente riceviamo ciò per cui sono degne le cose che abbiamo fatto; questi invece non ha fatto nulla di male».
42 E diceva: «Gesù, ricordati di me, quando andrai nel tuo, regno».
43 E gli rispose: «In verità ti dico: oggi sarai con me nel paradiso».

Crediamo sinceramente che il risultato concordi alla perfezione con la situazione suggerita dalla scena. Nel racconto aramaico, uno dei ladroni rimprovera il suo compagno per il modo ironico e beffardo con cui si rivolge a Gesù. Con le sue parole gli ricorda di essere molto vicino alla morte, e quindi al giudizio di Dio, dopodiché riceverà la pena che si merita per le cose che ha fatto. Gesù, invece, non ha fatto nulla di male. È tempo di pentirsi per ottenere il perdono di Dio, non continuare ad agire iniquamente.

In queste parole del ladrone non si legge la benché minima intenzione catechetica o teologica. Il racconto non è il risultato di una creatività letteraria mirata a trasmettere una teologia o a realizzare una predicazione catechetica attraverso le parole pronunciate da uno dei due malfattori crocifissi con Gesù. Sicuramente il racconto e le parole del ladrone che muove quei rimproveri possiedono un formidabile valore teologico e catechetico, ma né più né meno di qualsiasi storia reale interpretata senza la benché minima deformazione devota.
La redazione greca della supplica che il buon ladrone rivolge a Gesù può essere tradotta così: «Quando andrai (o giungerai) nel tuo regno», che equivale alla versione popolare: «Quando sarai nel tuo regno». [3] In altre parole, la costruzione greca non obbliga a leggervi una confessione della venuta gloriosa di Gesù alla fine dei tempi. In realtà, il buon ladrone si rivolge a Gesù come a un uomo giusto, e di conseguenza in buoni rapporti con Dio, per chiedergli la sua intercessione. È vero che la supplica, alludendo al regno di Dio, sembra essere pronunciata da un credente. Ma non dobbiamo dimenticare il fatto che il buon ladrone potrebbe aver acquisito l'idea del regno udendo ciò che fu detto durante la crocifissione, oltre che il proclama del banditore, concisamente espresso nell'iscrizione inchiodata alla croce: «Questi è il re dei giudei».

3. Storia inventata o fatto reale?

All'inizio della nostra analisi abbiamo affermato che la maggior parte degli studiosi considerano questo racconto come una leggenda creata da Luca. Due dati hanno fortemente influenzato il nostro giudizio. Da una parte, il fatto che gli altri vangeli non contengono una notizia simile, anzi, affermano che i due ladroni deridevano Gesù. Dall'altra, l'interpretazione ordinariamente attribuita alle parole del buon ladrone, che vengono considerate come una confessione della venuta gloriosa di Gesù. [4]
È arbitrario dedurre il carattere leggendario di un avvenimento, solo perché appare in un unico vangelo. Il noto criterio della testimonianza multipla non può essere usato come dimostrazione in negativo. Pertanto, l'assenza negli altri vangeli della notizia che leggiamo in Lc 23,39-43 non invalida la sua storicità. Inoltre, sarebbe opportuno ricordare che l'informazione di Matteo e Marco può riflettere un plurale di categoria: le ingiurie pronunciate da un solo ladrone vengono attribuite a entrambi.
D'altra parte, secondo la traduzione dell'originale aramaico, la supplica del buon ladrone non implica necessariamente una credenza nella venuta gloriosa di Gesù; possiamo addirittura affermare che una simile interpretazione traviserebbe il testo sacro. Il racconto ci presenta un ebreo coscienzioso, pentito, che riconosce le proprie colpe e l'innocenza di Gesù, che è crocifisso accanto a lui. Dopo aver rimproverato il suo compagno, si rivolge a Gesù come a una persona eccezionalmente buona, e di conseguenza in buoni rapporti con Dio, per chiedergli la sua intercessione nell'ora decisiva della morte e del giudizio divino. Tuttavia, non bisogna escludere la possibilità che l'evangelista abbia letto il racconto contenuto nelle sue fonti nella prospettiva della sua fede, e che pertanto abbia esplicitato determinati aspetti. Ma questo può dirsi a proposito di quasi tutto il materiale raccolto nei vangeli.

NOTE

1 Già in epoca patristica si era cercato di risolvere questa discordanza, sia attribuendo a uno dei ladroni un successivo cambio di atteggiamento, sia vedendo qui una generalizzazione: così come l'evangelista dice che i sinedriti e i soldati schernivano Gesti, senza che ciò implicasse necessariamente che tutti lo insultavano, allo stesso modo attribuisce a entrambi i ladroni lo scherno di uno solo di essi.
2 B. Prete, La passione e la morte di Gesù nel racconto di Luca (SB 115), Brescia 1997, p. 95.
3 Per una giustificazione dettagliata di questa traduzione, vedere J.M. Garda Pérez, San Luca: evangelio y tradición (SSNT 4), Madrid 1995, pp. 243-259.
4 Così, per esempio, S. Légasse, El proceso de Jesús. La Historia, trad. di M. Montes, Bilbao 1995, p. 29, sostiene che questo racconto è dovuto alla creatività letteraria dell'evangelista Luca e non all'utilizzo di una fonte propria; affermazioni identiche sono contenute anche nel secondo volume, intitolato El proceso de Jesús. La Pasión en los Cuatro Evangelios, traduzione di M. Montes, Bilbao 1996, pp. 383-385, dedicato alla teologia degli evangelisti; trattasi di un libro cinque volte più voluminoso di quello relativo alla valutazione storica degli avvenimenti, il che risulta davvero sbalorditivo.

(La vita di Gesù nel testo aramaico dei Vangeli, BUR 2005, pp. 245-252)