Maria e la Chiesa

Bruno Forte


Arcivescovo di Chieti-Vasto


La convinzione che la contemplazione della figura di Maria offra uno sguardo sull’intero mistero cristiano fa parte della grande tradizione della fede indivisa: Zwinglio, il riformatore di Zurigo, non esita ad affermare che “quanto più cresce la gloria e l’amore di Cristo Gesù fra gli uomini, tanto più cresce la valorizzazione e la gloria di Maria, perché Maria ci ha generato un Signore e Redentore così grande e ricco di grazia” [1]. E il teologo evangelico Hans Asmussen afferma: “Non ci si può interrogare intorno a Cristo senza avere sotto gli occhi sua madre; non si ha Gesù Cristo senza Maria” [2]. Chi contempla Maria si approssima al mistero rivelato nel suo insieme e si apre alla verità dell’essere umano davanti al Dio vivente. Mosso da questa convinzione, Paul Claudel asserisce: “Semplicemente perché tu esisti, madre di Gesù, che tu sia ringraziata” [3]. Alle voci della fede d’Occidente, si uniscono quelle della tradizione orientale: San Giovanni Damasceno, chiamato in Oriente il “sigillo dei Padri”, riassume la costante che emerge dalla storia della riflessione della fede intorno a Maria con queste parole: “Il solo nome della Madre di Dio contiene tutto il mistero dell’economia dell’Incarnazione” [4].

Il discorso di fede su Maria testimonia l’intimo intrecciarsi dei vari aspetti della salvezza nella loro reciprocità e nell’unità profonda che li lega. Perciò si può dire - col teologo russo Pavel Evdokimov - che la storia di Maria è “la storia del mondo in compendio, la sua teologia in una sola parola” e che ella è “il dogma vivente, la verità sulla creatura realizzata” [5]. “Entrata intimamente nella storia della salvezza” - afferma il Vaticano II - “(Maria) riunisce in sé e riverbera i massimi dati della fede; così quando la si predica e la si onora, ella rinvia i credenti al Figlio suo, al suo sacrificio e all’amore del Padre” [6]. Maria rinvia al tutto del Mistero ed insieme lo riflette in sé: in lei il Tutto si affaccia nel frammento, come avviene in tutte le forme possibili della bellezza. Perciò di lei si dice che è la Tutta Bella, la Tota Pulchra. Il discorso della fede intorno a Maria può contemplarla, allora, come l’immagine fedele e perfetta della Chiesa, che come lei è vergine, madre e sposa [7]. Nelle riflessioni che seguono, verifico questa tesi nell’opera lucana, mettendo a confronto quanto l’Evangelista dice della donna Maria e quanto negli Atti degli Apostoli afferma della comunità dei credenti, la Chiesa.

1. Maria e la Chiesa nell’annunciazione e nella Pentecoste

Maria, la madre di Gesù, ci è presentata dall’evangelista Luca nella scena dell’annunciazione (1,26-38), secondo un modello biblico pregnante, seguito anche immediatamente prima nel racconto dell’annuncio a Zaccaria, padre del Battista (cf. Lc 1,11-20: si parla perciò di un “dittico delle annunciazioni”). Si tratta del modello delle annunciazioni, frequente nell’Antico Testamento (ad esempio nella storia di Mosé in Es 3), articolato in cinque momenti: l’apparizione di un angelo; la reazione del destinatario; l’annuncio; l’obiezione umana; l’offerta di un segno. Si possono mettere a confronto questi cinque elementi così come sono presenti nel racconto dell’annuncio a Maria e in quello dell’annuncio a Zaccaria. Da questo confronto emerge il messaggio centrale che Luca ha voluto trasmettere attraverso la sua narrazione riguardo alla Vergine Madre.
Il primo elemento del racconto è costituito dall’apparizione dell’angelo al padre del Battista ed alla Vergine Maria. Mentre l’apparizione a Zaccaria avviene nel tempio di Gerusalemme (cf. Lc 1,11), il luogo sacro per eccellenza, l’apparizione a Maria si compie “in una città della Galilea chiamata Nazaret” (Lc 1,26), città minuscola di una regione piuttosto disprezzata (come fa capire la domanda di Natanaele in Gv 1,46: “Può mai venire qualcosa di buono da Nazaret?”). La differenza mostra come cessi l’economia del tempio di pietra e la divina presenza si offra in un luogo ordinario, in una povera, giovane donna della Galilea. Il confronto fa risaltare la svolta decisiva: si entra in una nuova economia della salvezza, che inizia da ciò che non è considerato dagli uomini e ritenuto anzi perfino vile ed umile ai loro occhi. È il segno chiaro dell’assoluta gratuità dell’iniziativa divina rispetto ad ogni presupposto umano e del primato dell’umiltà in tutte le vie che dall’uomo si aprono verso Dio.
Il secondo elemento, la reazione del destinatario, mostra un’ulteriore differenza: Zaccaria ed Elisabetta, secondo il racconto di Luca, sono “giusti davanti a Dio, osservano irreprensibili tutte le leggi e le prescrizioni del Signore” (Lc 1,6). Pii osservanti della legge, essi rappresentano il più alto compimento umano del precetto divino, e quindi la suprema potenzialità della creatura davanti al Creatore. Chi è, invece, Maria? La parola che viene utilizzata in Luca 1,28 è di difficile traduzione: “kekaritoméne”. L’espressione è il participio perfetto passivo di “karitóo”, verbo causativo. Il termine sta a dire che Maria è totalmente sotto l’influsso dell’iniziativa di Dio e vi rimane, che ella è ricolma di una benevolenza attiva, dinamica, totalmente gratuita. Mentre nei genitori del Battista si compie la religiosità osservante dell’Antico Testamento, nella Madre di Gesù risplende l’iniziativa gratuita di Dio. Ciò che si compirà in Maria non sarà frutto di carne e di sangue, perché ella ha trovato grazia presso Dio. Maria è il silenzio in cui risuona la parola dell’Eterno; è il terreno d’avvento della pura grazia: proprio così, ella è veramente libera, libera di una libertà donata, che è appunto l’“impossibile possibilità” concessa dalla grazia divina.
Il terzo elemento del racconto è costituito dall’annuncio dell’angelo: esso si esprime anzitutto attraverso l’invito “Non temere”, rivolto sia a Maria che a Zaccaria (Lc 1,13. 30). Diverso è però il contenuto del messaggio. A Zaccaria l’angelo annuncia che nascerà il figlio dell’attesa: ciò che è promesso è il compimento di un desiderio umano. A Maria, invece, è detto: “Hai trovato grazia presso Dio. Ecco, concepirai un figlio... sarà grande e chiamato Figlio dell’Altissimo” (vv. 30-32). In Maria si compie l’iniziativa assolutamente sorprendente e indeducibile di Dio. Il Dio che qui si rivela non è semplicemente la risposta alle attese del cuore dell’uomo, ma anzitutto la sovversione delle nostre domande, e a questo prezzo, a un livello più alto, egli diventa anche il compimento della nostalgia, del desiderio e dell’attesa.
Il quarto elemento consiste nell’obiezione del destinatario. L’obiezione di Zaccaria è: “Da che cosa posso conoscere questo?” (l’originale greco “katà tí” vuol dire propriamente: “In base a che cosa?”). Zaccaria chiede una garanzia, quasi una prova di quello che gli viene promesso: la sua domanda rivela una mancanza di fede. Egli non riesce a fidarsi della sorpresa di Dio. Che cosa avviene, invece, in Maria? Ella dice: “Come è possibile? ... Non conosco uomo” (v. 34: il “come” è in greco “pôs”). Maria non chiede una garanzia né un segno: ella interroga il mistero di Dio non per dubitare di esso, né per chiedere segni, ma perché le sia indicato il cammino che, nell’obbedienza della fede, deve e vuole percorrere. La Vergine esprime questa disponibilità e la conferma con la frase finale del racconto: “Eccomi, sono la serva del Signore, avvenga in me quello che hai detto” (Lc 1,38). Maria è così libera da sé, da fidarsi totalmente di Dio.
L’ultimo elemento dei due racconti è il segno, la nascita dei due bambini. Da una parte c’è Giovanni “pieno di Spirito Santo fin dal seno di sua madre” (Lc 1,15b), che preparerà le vie del Signore (cf. v. 16); dall’altra c’è Gesù, che non soltanto è “pieno di Spirito Santo” (Lc 4,1), ma è concepito per opera dello Spirito Santo e sarà chiamato Figlio dell’Altissimo (Lc 1,32). In lui viene a compiersi il nuovo inizio del mondo. È interessante notare l’uso dei verbi. Mentre Elisabetta genera (il verbo in Lc 1,13 e 57 è ghennào), Maria partorisce (il verbo in Lc 1,31 e 2,7 è tikto). Quest’uso accurato di termini differenti è una conferma ulteriore del messaggio che l’Evangelista intende offrire nel racconto della concezione verginale di Maria: quello che è avvenuto in lei, è avvenuto per opera dello Spirito Santo e, dunque, non è frutto di carne e di sangue, ma solo della libera iniziativa di Dio, cui ha corrisposto il libero assenso della fede.
Questa lettura è confermata da altri due elementi: il verbo col quale viene indicata l’azione dello Spirito Santo su Maria (“lo Spirito ti coprirà con la sua ombra”: v. 35) è episkiázein, lo stesso che nella traduzione greca di Esodo 40,34-35 sta ad indicare la gloria che copre e riempie la tenda del convegno. Maria è la dimora di Dio, la nuova tenda del patto, e colui che è venuto a dimorare in lei per iniziativa gratuita dell’Altissimo è l’equivalente, in maniera assolutamente nuova e sorprendente, della divina presenza che abitava la tenda dell’antica alleanza. L’altro elemento è il cháire, con il quale l’angelo saluta Maria (v. 28): tradotta normalmente con: “Ti saluto, o Maria” o “Ave, Maria”, quest’espressione si trova nei Settanta, in modo particolare in alcuni testi profetici, tra cui spicca Sofonia 3,14: “Rallegrati, figlia di Sion” (cf. anche Gl 2,21-23 e Zc 9,9). È l’annuncio della gioia messianica, fondata nel compimento delle promesse di Dio. Dio è venuto a compiere l’attesa in maniera sorprendente, inaudita, sconvolgente e meravigliosa. Ciò che avviene in Maria è il nuovo inizio del mondo. Dove nel padre del Battista giunge al suo vertice l’osservanza della Legge e il desiderio della preparazione e dell’attesa, nella Figlia di Sion risplende il primato della grazia divina, la libera e gratuita iniziativa dell’amore eterno, cui corrisponde il libero destinarsi della giovane Donna ai disegni insondabili del Signore.
Il tratto fondamentale di Maria che emerge dalla scena dell’annunciazione è, dunque, la sua fede, espressa nel suo libero, docile consenso alla Grazia. La sua esistenza è tutta un itinerario di libertà donata, un perseverare nell’abbandono al Dio vivente, lasciandosi docilmente condurre da Lui nell’obbedienza alla sua Parola. Maria è la “Virgo fidelis”, la Vergine credente, la Donna dell’ascolto, il terreno d’avvento della parola di Dio, il silenzio in cui essa risuona per noi. Proprio così, Maria è la Figlia di Sion, perché realizza in se stessa nella maniera più alta la spiritualità ebraica dello “shemà”, quell’ascolto che è al tempo stesso confessione dell’unicità divina e decisione di porsi docilmente davanti all’Eterno, destinandosi al Dio dell’alleanza, il quale a sua volta si è prioritariamente destinato a noi. L’“eccomi” di Maria è esemplare per la Chiesa in quanto manifesta la sua povertà come assenza di ogni sicurezza umana, di ogni garanzia legata alla capacità e alla potenza dell’uomo. Il “non conosco uomo” della Vergine non nasce da disprezzo o da paura, da presunzione o autosufficienza, ma dal suo totale abbandonarsi a Dio: alla scuola di Maria, il “non conosco uomo” della Chiesa è il suo essere totalmente confidente in Dio, e perciò il suo rifiuto non dell’umano, ma di tutto ciò che implica compromesso con la presunzione umana di farsi protagonista esclusiva del proprio destino. Sul modello della Vergine Maria la Chiesa è totalmente “creatura Verbi”, plasmata dalla Parola di Dio viva e potente.
Infine, l’“eccomi” di Maria è modello per la Chiesa in quanto manifesta l’esperienza profonda che ella ha fatto dell’obbedienza a Dio vissuta come un continuo stare alla Sua presenza, corrispondendo alla Sua volontà con tutta la carica di sorpresa e novità che questo comporta: alla scuola della Vergine la Chiesa, e i singoli battezzati in essa, apprendono l’amore al silenzio interiore, l’ascolto profondo, in cui la Parola viene a mettere la sua tenda fra gli uomini, sovvertendo spesso i loro calcoli e le loro attese. Questa fede, che sta e permane sotto l’assoluto primato di Dio, è tutt’altro che pura passività: col suo “eccomi” la Vergine ha veramente “cooperato” alla storia del nuovo inizio del mondo, partecipando nella grazia liberamente accolta al “sì” dell’unico mediatore fra Dio e gli uomini, il Figlio suo, Gesù Cristo (cf. l Tm 2,5). In Maria Dio non fa concorrenza all’uomo né edifica la sua gloria sulle ceneri della creatura: la cooperazione obbediente e libera della Vergine Maria, plasmata dalla Grazia e accogliente davanti al Mistero, è icona della più generale possibilità dell’uomo, libero davanti al suo Dio.
Nell’altra sua opera, gli Atti degli Apostoli, Luca stabilisce un parallelismo preciso tra la narrazione della vita e dell’opera di Gesù e quella della nascita e dello sviluppo della Chiesa: così, le scene dell’Annunciazione e della Pentecoste appaiono come le tavole di un dittico. In ambedue si trovano espressioni come “Spirito santo / venir sopra / forza” (Lc 1,35; At 1,8) e vi è descritto lo stesso dinamismo che, da contesti a dimensione domestica, va verso il mondo intero, coniugando la lode di Dio, l’annuncio del mistero di Cristo e la testimonianza dell’azione dello Spirito Santo. Molto chiara è l’analogia fra ciò che avviene alla Madre di Gesù nel Vangelo e quello che succede alla Chiesa negli Atti: come lo Spirito ha coperto della sua ombra la Vergine Madre Maria, così viene a coprire la Vergine Madre Chiesa, rendendo presente nella prima il Verbo nella carne e nella seconda il Cristo presente nella Sua comunità, operante nella storia. Come la Vergine, colmata dalla grazia divina, lascia la casa di Nazaret e si reca in fretta in montagna da Elisabetta per portarle l’annuncio e il dono della presenza del Signore (cf. Lc 1,39-56), così la comunità di Gerusalemme, riempita del dono dello Spirito, esce dal suo “ritiro” per offrire a tutta l’umanità la salvezza venuta fra noi.
Come Maria sente il bisogno di proclamare le “grandi cose” operate in lei dall’Onnipotente (Lc 1,46-55), così Pietro tiene un discorso in cui celebra la gloria di Dio rivelata nella risurrezione di Gesù (At 2,14-36). Come il saluto di Maria raggiunge Elisabetta, facendo esultare il bambino che porta in grembo, così quanti sono presenti alla Pentecoste sono arricchiti dal dono della glossolalia e cominciano a parlare in lingue (cf. At 2,3-4). Maria sperimenta la prima Pentecoste in vista della nascita del Messia ed è presente nella Pentecoste della Chiesa, vera e propria nascita della comunità cristiana a Gerusalemme (cf. At 1,14 e 2,1-4). Come Maria è grembo dell’Eterno venuto fra noi, dimora dell’Altissimo che ha accettato di farsi piccolo per venire a dimorare in mezzo a noi, sì da abitare il tempo e irradiarvi la Sua presenza, così la Chiesa è il luogo vivo in cui il Figlio opera nello Spirito attraverso il ministero apostolico e la comunità tutta, il tempio del Paraclito, che in essa e attraverso di essa rende presenti le meraviglie della salvezza e compie l’opera divina nel cuore di chi crede e nel popolo dei redenti dal sacrificio pasquale di Gesù. Alla luce del parallelismo stabilito da Luca fra Maria e la Chiesa possiamo allora chiederci: siamo consapevoli della grande grazia che la Chiesa - di cui Maria è icona perfetta - è per ciascuno di noi e per il mondo intero? Riconosciamo in essa la Vergine Madre che ci ha generati nella gratuità e gratuitamente ci nutre e ci accompagna? Amiamo la Chiesa in risposta all’amore con cui attraverso di essa siamo amati dal Dio della vita, Signore della storia?

2. Maria e la Chiesa nella visitazione e nella missione apostolica

Maria, avvolta nel grembo divino della Trinità nella scena dell’annunciazione, diviene il grembo accogliente del Figlio di Dio, la Madre del Messia: in quanto tale ella è la figura perfetta della creatura inabitata dalla grazia, l’immagine compiuta della nuova creazione che le missioni del Verbo e dello Spirito realizzano nella storia e nella vita degli uomini. È quanto l’evangelista Luca intende trasmettere, narrando subito dopo l’annuncio a Maria l’episodio della visita di lei ad Elisabetta: ricolma della presenza dell’Altissimo, la Vergine Madre la irradia nel gesto della carità. Il mistero della Sua voce, che appena udita dalla Madre del Battista fa esultare il Bambino di lei nel suo seno, indica questa sovrabbondanza del cuore, questo trasmettersi ad altri, nel dono dell’amore, della vita nuova, resa presente dalla benevolenza divina nel grembo della giovane Donna. Contemplando la scena della visitazione diviene allora possibile riconoscere le caratteristiche dell’agire della Chiesa e del discepolo che, credendo all’annuncio pasquale, si lasciano introdurre nel seno della vita trinitaria per divenirne a loro volta testimoni trasparenti e innamorati fra gli uomini.
Il racconto di Luca 1,39-45 risulta chiaramente modellato su quello del trasporto dell’arca dell’alleanza a Gerusalemme, che si trova nel secondo libro di Samuele (2 Sam 6,2-16). Le analogie sono marcate: lo stesso è il contesto geografico, la regione di Giuda (cf. 2 Sam 6,1-2 e Lc 1,39); in entrambi gli episodi vi sono manifestazioni di gioia (Davide fa “festa davanti al Signore”: v. 5; trasporta l’arca “con gioia”: v. 12; danza “saltando e ballando”: vv. 14.16; il bambino nel grembo di Elisabetta “sussulta”, “esulta di gioia”: vv. 41 e 44); la gioia si traduce in acclamazioni, che hanno un sapore liturgico (“Davide e tutta la casa d’Israele trasportarono l’arca con tripudio e a suon di tromba”: v. 15; “Elisabetta fu ripiena di Spirito Santo ed esclamò a gran voce...”: vv. 41-42); la presenza dell’arca nella casa di Obed-Edom di Gat è motivo di benedizione (cf. 2 Sam 6,11-12: “Il Signore benedisse Obed-Edom e tutta la sua casa”), come pure quella di Maria in casa di Zaccaria (“Elisabetta fu ripiena di Spirito Santo”: v. 41); come Davide è preso da religioso timore davanti all’arca (v. 9: “come potrà venire da me l’arca del Signore?”), così Elisabetta davanti a Maria (“A che debbo che la madre del mio Signore venga a me?”: v. 43); l’arca sosta tre mesi in casa di Obed-Edom (cf. v. 11: “L’arca del Signore rimase tre mesi in casa di Obed-Edom di Gat”), Maria rimane “circa tre mesi” (v. 56) in casa di Elisabetta.
L’idea teologica che emerge da questo parallelismo è di grande intensità e bellezza: Maria è l’arca della nuova alleanza (“foederis arca”, come la saluta l’invocazione della fede!), il luogo della presenza salvifica del Dio con noi, così come già il racconto della concezione verginale aveva fatto comprendere. Proprio così, nella scena della visitazione Maria è icona della Chiesa, a sua volta arca della nuova alleanza, chiamata a portare nel mondo la presenza salvifica del Figlio eterno venuto nella carne: come la Madre Maria porta il Figlio e lo offre suscitando la gioia della vita nuova in chi lo accoglie, così la Chiesa Madre genera figli per Dio col battesimo e i sacramenti, e accende nei fedeli la vita della grazia, partecipazione alla vita trinitaria, che dovrà manifestarsi soprattutto nella testimonianza della carità suscitata dalla fede. Arca dell’alleanza nuova e definitiva fra l’Eterno e il Suo popolo, Madre del Messia di condizione divina e salvatore, Maria è non solo il terreno d’avvento di Dio fra noi, ma anche l’irradiazione della Sua presenza amorosa e trasformante, la Madre del Bell’Amore, che rende belli i figli nel Figlio e trasmette loro la certezza di essere amati nell’Amato, amati per amare. Come la Vergine accogliente nella fede è la Madre generosa nell’amore, così la Chiesa, Vergine e Madre, è la comunità dei discepoli trasformati dalla grazia, luogo dell’agire della nuova creatura che l’Incarnazione e la Pasqua del Verbo hanno reso possibile.
Quali sono i tratti di questo agire credente, che deve caratterizzare la nuova creatura nata col battesimo e il popolo di cui essa è membro vivo? Facendo eco alla grande tradizione patristica e teologica, che si è fermata sulla scena della visitazione in numerosi commenti, si possono sottolineare tre tratti che emergono nella Madre della visitazione come caratteristici di chi ha creduto all’amore del Dio trinitario. La prima caratteristica dell’agire di Maria in cammino verso la casa di Elisabetta è l’attenzione: la giovane Madre del Messia ha capito il bisogno della donna divenuta gravida in età già avanzata e le corre in aiuto. Maria non ha aspettato richieste di soccorso, non ha avuto bisogno di parole: il suo sguardo, nutrito d’amore, ha capito il da farsi al di là di ogni comunicazione verbale. “Ubi amor, ibi oculus”: dove c’è l’amore, lì l’occhio vede ciò che nessuno sguardo privo d’amore saprebbe vedere. L’attenzione è la vigile disponibilità verso l’altro, la prontezza a notarne l’attesa, la sensibilità a coglierne la sofferenza e il pudore, l’attiva generosità del donarsi senza aspettare appelli o precetti: l’attenzione vive di un movimento sorgivo del cuore, di cui può essere veramente artefice solo lo Spirito Santo, inviato ad effondere in noi l’amore del Padre (cf. Rm 5,5). La Madre del Bell’Amore e la Chiesa sul suo esempio sa vedere l’essenziale in sé e negli altri e sa corrispondere ad esso con spontaneità e scioltezza.
Proprio così il suo agire si carica di concretezza: questa vuol dire il non indulgere a sogni di bene, il non crogiolarsi nelle illusioni di ciò che vorremmo essere o fare, senza compiere nulla di vero e di buono per l’altro. L’opposto della concretezza è l’ideologia, la visione della vita e del mondo che fa degli altri un semplice caso dell’universale a cui applicare regole generali senza rispetto e senza amore. Maria è concreta perché obbedisce alla verità che il suo intelletto d’amore le ha fatto conoscere e agisce di conseguenza, senza alibi o fughe. È quanto esprime in maniera stupenda la notazione del racconto, secondo cui la Madre di Gesù “si mise in viaggio verso la montagna e raggiunse in fretta la città di Giuda”, dove Elisabetta dimorava (v. 39). Quell’espressione “in fretta” (“metà spoudés”) dice tutta la sollecitudine e la premura con cui Maria concretizza la decisione del cuore di andare in aiuto alla Madre di Giovanni: il participio “anastàsa” - che letteralmente vuol dire “alzatasi” ed evoca il linguaggio della resurrezione - fa comprendere come quella fretta non abbia nulla dell’improvvisazione, dell’attivismo, del fare per il semplice gusto di fare, ma sia frutto di una sovrabbondanza d’amore, di un moto dell’anima maturato nel segreto del cuore. Tale deve essere anche l’agire della Chiesa dell’amore, comunità chiamata a esprimersi nella carità operosa e nei gesti umili e concreti che la realizzano.
Infine, la terza caratteristica dell’agire di Maria secondo il racconto della visitazione è la gioia: la sua visita è mossa da un amore così sorgivo e irradiante, che colma lei e la sua voce di una gioia, capace di contagiarsi agli altri. La Madre del Messia non vive i suoi atti come il compimento forzato di un dovere o in ottemperanza ad un obbligo impostole dalle circostanze: in lei tutto è gratuità, bene diffusivo di sé, generosità vissuta senza calcolo o forzature. Gioia è sentirsi amati così profondamente da avvertire l’incontenibile bisogno di amare, per corrispondere all’amore ricevuto al di là di ogni misura con l’amore donato senza condizioni. Abitata dall’amore dei Tre, arca della divina presenza, la Vergine Madre Maria, come la Vergine Madre Chiesa, dà gratuitamente quanto gratuitamente ha ricevuto: in lei tutto è grazia, e proprio così tutto è gioia. Perciò il suo agire si carica di tenerezza: la tenerezza è propria dell’amore che non crea distanze, che avvicina i lontani, facendoli sentire accolti, e li riempie dello stupore e della gioia di scoprirsi oggetto immeritevole di tanta gratuità, di così puro dono. “A che debbo che la madre del mio Signore venga a me? Ecco, appena la voce del tuo saluto è giunta ai miei orecchi, il bambino ha esultato di gioia nel mio grembo” (vv. 43s). La tenerezza è dare con gioia suscitando gioia nell’amato, è contagiare libertà e pace: chi non ama con tenerezza, crea dipendenze o mantiene distanze in cui è impossibile far sprigionare la gioia.
La Vergine Madre della visitazione ci interroga allora sulla verità di ciò che siamo nel nostro agire ecclesiale: siamo una comunità attenta agli altri, concreta nelle decisioni e nei comportamenti della carità, frutto dell’amore di Dio effuso in noi dallo Spirito del Risorto? viviamo la gioia del saperci amati con Cristo e in Lui dal Padre? siamo rispettosi e delicati in tutti rapporti, senza fare distinzione di persone, senza creare distanze e senza produrre o accettare dipendenze catturanti? siamo mossi dalla gratuità nelle scelte, o cerchiamo di farci strada più che far strada a Cristo e ai poveri? cerchiamo di piacere a Dio nella silenziosa eloquenza dei gesti, senza inseguire l’immagine o crearci maschere di difesa o di evasione? Possa la Vergine Madre dell’amore aiutarci a rispondere con verità a questi interrogativi ed a vivere, come lei lo ha vissuto, il primato dell’amore come caratteristica del discepolo del Risorto.

3. Maria e la Chiesa Sposa delle nozze messianiche

Il racconto evangelico della visitazione si conclude con il cantico di Maria, il suo Magnificat (Lc 1,46-55): come l’incontro fra la Vergine ed Elisabetta aveva manifestato l’amore materno, generoso e irradiante della Madre del Signore, così il Suo cantico mostra Maria come la Sposa delle nozze messianiche, in cui l’Eterno è venuto a inaugurare e realizzare nel tempo le meraviglie del Suo amore. Il Magnificat rivela così in certo modo la natura sponsale dell’incontro con la Trinità Santa realizzatosi nella Vergine Madre e destinato ad attuarsi nella Chiesa, di cui Lei è icona. Proprio in quanto è celebrazione dell’alleanza nuova ed eterna stabilita in Lei fra il Dio vivente e il Suo popolo, il Magnificat è anche per eccellenza il canto del popolo di Dio, che vi ritrova espressa la sua spiritualità di comunità dell’alleanza, la cui comunione è icona della comunione divina. Cantico di Maria, cantico della Chiesa, il Magnificat è veramente il canto delle nozze messianiche, dell’alleanza fra la terra e il cielo compiutasi nel Figlio di Maria.
Va osservato anzitutto che il testo del Magnificat testimonia chiaramente la fede pasquale nel Crocifisso - Risorto: ne è indizio l’uso dei verbi al passato (undici all’indicativo aoristo, uno all’infinito aoristo), che presuppone come già avvenuta la manifestazione gloriosa del Messia, indicando così nella concezione verginale - narrata poco prima dall’evangelista Luca - un’anticipazione misteriosa e reale della Pasqua di Gesù: “Ha spiegato la potenza del suo braccio, ha disperso i superbi nei pensieri del loro cuore, ha rovesciato i potenti dai troni, ha innalzato gli umili...” (vv. 51-52). Queste espressioni rivelano la situazione vitale di chi ha conosciuto la vittoria della resurrezione sulla morte del Figlio di Maria. Tuttavia, che il cantico risalga a Maria e che Luca abbia attinto ad una fonte preevangelica non può essere messo in dubbio: a prescindere dall’accuratezza di cui dà prova il racconto, lo si ricava dagli elementi del cantico che potrebbero apparire non del tutto appropriati a colei che Elisabetta saluta come “la madre del Signore”. Così, l’affermazione “ha guardato l’umiltà della sua serva”, che contiene la parola “tapéinosis” - ovvero “bassezza”, “umiltà” - riferita a Maria (v. 48), è il segno evidente di un testo adottato dall’Evangelista sulla base di una solida tradizione prepasquale, radicata nell’esperienza stessa e nella testimonianza diretta della Madre di Gesù.
Nel cantico sono numerose le evocazioni dei Salmi dei poveri di Dio (“anawim”) e più in generale dell’attesa veterotestamentaria: così, i vv. 46-47 richiamano quasi in parallelo il Salmo 35,9: “Esulterò nel Signore per la gioia della sua salvezza”; ma anche 1 Samuele 2,1s: “Il mio cuore esulta nel Signore, la mia fronte s’innalza grazie al mio Dio, ... perché io godo del beneficio che mi hai concesso. Non c’è santo come il Signore...” (cf. pure Ab 3,18). Le antitesi dei vv. 51-53 hanno un archetipo nel cantico di Anna in 1 Samuele 2,6-8: “Il Signore fa morire e fa vivere, scendere agli inferi e risalire. Il Signore rende povero e arricchisce, abbassa ed esalta. Solleva dalla polvere il misero, innalza il povero dalle immondizie, per farli sedere insieme con i capi del popolo e assegnar loro un seggio di gloria”. Il v. 51 echeggia il Salmo 89,11: “Con braccio potente hai disperso i tuoi nemici”; il v. 52 il libro del Siracide 10,14: “Il Signore ha abbattuto il trono dei potenti, al loro posto ha fatto sedere gli umili”; il v. 54 Isaia 41,8s: “Ma tu, Israele mio servo, ... sei tu che io ho preso dall’estremità della terra ... e ho chiamato dalle regioni più lontane e ti ho detto: Mio servo tu sei, ti ho scelto, non ti ho rigettato”; il v. 55, infine, richiama Michea 7,20: “Conserverai a Giacobbe la tua fedeltà, ad Abramo la tua benevolenza, come hai giurato ai nostri padri fino dai tempi antichi”.
La ricchezza di risonanze vetero-testamentarie nel Magnificat è, dunque, evidente: segno che la spiritualità della Vergine Madre, come quella della Chiesa di cui è icona perfetta, è radicata nella grande attesa d’Israele. Maria è la Figlia di Sion, che vive la fede nell’ascolto del Dio vivente (“Shemà, Israel” - “Ascolta, Israele”: Dt 6,4), mantenendosi aperta alle Sue sorprese. La Chiesa è la comunità dell’alleanza che riconosce nella fede d’Israele la sua santa radice (cf. Rom 11). Che cosa il Cantico manifesta di Colei che lo pronuncia? Presentando Maria come portavoce dell’attesa messianica dei poveri, che trova il suo compimento nell’azione potente di Dio operata nella Pasqua, Luca vuole indicare in lei la figura esemplare della prima discepola cristiana, compimento e superamento dell’Israele della speranza: sulle labbra della Vergine Madre risuona anticipatamente la buona novella specialmente della predilezione di Gesù per gli ultimi, particolarmente sottolineata da Luca (cf. Lc 7,11-17. 36-50; 10,29-37; 17,11-19), così come nella concezione verginale si è compiuta anticipatamente la Pasqua. Maria, “beata” perché ha creduto (cf. Lc 1,45), è colei in cui si realizza in maniera esemplare la novità dell’evangelo, il nuovo inizio che Dio opera a partire dai poveri: è la Sposa delle nozze messianiche, con cui l’Eterno stringe il patto dell’alleanza nuova e definitiva.
Lo stesso dovrà dirsi della Chiesa: quanto è avvenuto nell’umile serva dell’Altissimo diviene motivo di fiducia e di speranza per i poveri, provati e sofferenti delle prime generazioni cristiane, come per quelli di tutte le generazioni che - insieme con esse - la chiameranno beata. Il Magnificat è il canto della salvezza possibile per chi non ritiene di avere alcun titolo a meritarla, è il canto della pura grazia che colma il cuore di gioia e fa della Chiesa dell’amore la comunità della festa delle nozze messianiche, in cui lo Sposo è venuto a saziare l’attesa umile della Sposa oltre ogni calcolo ed ogni misura. Cantico dell’esultanza per l’avvento del Messia, il Magnificat è veramente il cantico del possibile, impossibile amore, offerto da Dio con larghezza e gratuità a chiunque si apra a riceverlo con umiltà e fede. La spiritualità del Magnificat è quella della Chiesa dell’amore, nata dalle nozze del Messia col popolo che l’attendeva, di cui Maria Figlia di Sion è la figura più alta, che trascende ogni misura di ipotizzabile compimento: perciò nella Vergine Madre del cantico la fede dei discepoli trova la conferma più bella della sua speranza e della sua fiducia.
La meditazione sul cantico di Maria non solo ci riempie di speranza e di gioia, ma ci invita anche alla verifica della nostra vita personale ed ecclesiale su quanto lei annuncia e celebra col suo Magnificat. Ci chiediamo perciò: siamo nella gioia perché ci riconosciamo amati sotto lo sguardo del Padre? Viviamo la grazia di un incontro sempre nuovo col Signore Gesù, vero senso della nostra vita? Ci sforziamo di dimorare nella Trinità per il dono dello Spirito, dando il primo posto alla dimensione contemplativa della vita, lasciandoci colmare dall’amore dei Tre, fonte di vera e profondissima gioia? Siamo i collaboratori della gioia vera di chi ci è affidato? Come viviamo nella nostra vita la gioia della speranza escatologica? Ne siamo annunciatori e testimoni in parole ed opere? Ci aiuti a rispondere a queste domande con la fedeltà della vita la Vergine Madre del Magnificat, perché il suo cantico di Sposa delle nozze messianiche sia anche il nostro, il cantico della speranza dell’Amata, che è la Chiesa dell’amore. Unendoci a tutte le generazioni, anche noi La invochiamo con fiducia, servendoci delle parole di un singolare testimone dell’amore a Maria, Martin Lutero, e di quelle di un innamorato cantore delle Sue glorie, Sant’Alfonso Maria de’ Liguori.
Afferma Lutero nel suo commento al Magnificat, scritto nel 1521, in un’ora di grande pericolo e imminente minaccia per lui: “La dolce Madre di Dio mi procuri lo Spirito, affinché io possa spiegare con giovamento e bene questo suo canto, in modo che tutti ne possiamo trarre un’intelligenza che ci porti alla salvezza e a una vita degna di lode, sì che poi nella vita eterna possiamo celebrare e cantare questo eterno Magnificat… Che questo canto non soltanto illumini e parli, ma arda e viva nel corpo e nell’anima. Cristo ce lo conceda per l’intercessione e il volere della sua diletta madre Maria!” [8]. A questa voce sembra far eco quella di Sant’Alfonso, che prega così: “O Madre del santo Amore, o vita, rifugio e speranza nostra, voi già sapete che il vostro Figlio Gesù Cristo, non contento di farsi nostro perpetuo avvocato presso l’Eterno Padre, ha voluto che ancora voi v’impegniate appresso di lui per impetrarci le divine misericordie... Dunque a voi mi rivolgo, o speranza dei miseri, io misero peccatore. Io spero, Signora, di potermi salvare per i meriti di Gesù Cristo e poi per la vostra intercessione. Così confido, e confido tanto che se la mia salvezza eterna stesse nelle mie mani, la metterei in mano vostra, poiché mi fido più della vostra misericordia e protezione che di tutte le opere mie. Madre e speranza mia, non mi abbandonate, come meriterei. Guardate le mie miserie e muovetevi a pietà, soccorretemi e salvatemi... O Maria, io mi fido di voi; in questa speranza vivo e in questa voglio e spero morire” [9].

NOTE

1 H. Zwingli, Marienpredigt, in Das Marienlob der Reformatoren, hrsg. Von W. Tappolet, Tübingen 1962, 238.
2 H. Asmussen, Maria, die Mutter Gottes, Stuttgart 1950, 13.
3 P. Claudel, La Vierge à midi, in Id., OEuvre poétique, Poëmes de guerre, Paris 1957, 531: “Simplement parce que vous êtes Marie, simplement parce que vous existez, Mère de Jésus-Christ, soyez remerciée !”.
4 De fide orthodoxa, l. III, c. 12: PG 94,1O29 C.
5 P. Evdokimov, La donna e la salvezza del mondo, Jaca Book, Milano 1980, 54 e 216.
6 Costituzione dogmatica sulla Chiesa Lumen Gentium, n. 65.
7 Cf. il mio volume Maria, la donna icona del mistero. Saggio di mariologia simbolico-narrativa, Edizioni San Paolo, Milano 1989. 20116.
8 M. Lutero, Il Magnificat tradotto in tedesco e commentato, in Id., Scritti religiosi, a cura di V. Vinay, Torino 1967, 435 e 508.
9 Sant’Alfonso Maria de’ Liguori, Le glorie di Maria, in Id. Opere spirituali, vol. V, Roma1954, Cap. III, 162s.

(Spoltore, Chiesa di San Panfilo, 30 Agosto 2018)