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    Sono solo un ragazzo. Profezia e gioventù


    I giovani nella Bibbia /3

    Raffaele Mantegazza

    (NPG 2017-06-73)

    Ecco io non so parlare perché sono ancora troppo giovane (Ger 1,6). Geremia, nella sua opposizione alla chiamata divina, ci fornisce un vago dato biografico, uno tra i pochi che possediamo a proposito dei profeti. La discussione sulla collocazione storica e geografica dei profeti biblici è ancora aperta; e se siamo ormai arrivati a una datazione accettabile delle loro opere, almeno per quanto ci si può riferire allo spartiacque dell’esilio babilonese, spesso non abbiamo che scarsi riferimenti alle loro esperienze esistenziali e biografici.
    Ma la profezia è gioventù: è il rinnovamento del patto, il ripensamento dell’alleanza, la linfa di nuovo pensiero e nuova azione che YHWH vuole immettere nel suo popolo. E’ in questo senso metaforico che intendiamo dunque il rapporto tra profezia e gioventù, tenendo conto comunque del passo di Geremia che non è casuale. Infatti esso sottolinea come nella scelta del suo portavoce YHWH si disinteressi delle gerarchie sociali, anche di quelle relative all’età. Non è un caso che YHWH scelga un uomo balbuziente come Mosè per comunicare al Faraone le sue volontà, così come non è un caso che sia “solo un ragazzo” il giovane Geremia quando riceve l’incarico: nella società giudaica il giovane doveva tacere e imparare, non poteva certo pensare di produrre e diffondere una propria verità. Il giovane era relegato al ruolo di allievo, molto più passivo di quanto possiamo pensarlo oggi: Il maestro era per l’allievo qualcosa di simile a un padrone per un servo: l’unica cosa che l’allievo non era tenuto a fare era sfilare i sandali del maestro, per il resto tutto quanto egli chiedeva – anche quanto a servizi personali - doveva essere eseguito. L’idea di un allievo che supera il maestro, che noi potremmo considerare quasi scontata (come potrebbe altrimenti esserci progresso di conoscenza?) era inaudita per i giudei, tanto più che l’unico vero maestro, modello di tutti gli altri era YHWH, e nessun allievo umano poteva pensare di superarlo. Ovviamente poi l’allievo che scegliesse di diventare maestro occupava una posizione di superiorità, ma sui suoi allievi, e mai sul suo maestro. E’ in questo contesto che va letto il detto di Gesù in Mt 10,24-25: “un discepolo non è da più del maestro, né un servo da più del suo padrone; è sufficiente per il discepolo essere come il suo maestro e per il servo come il suo padrone”. Se l’uguaglianza con il maestro era il massimo obiettivo per l’allievo alla fine del rapporto educativo, possiamo capire come fosse impensabile una superiorità del secondo sul primo nel corso del rapporto medesimo.
    Dunque l’investitura che YHWH offre al “ragazzo” Geremia è davvero sconcertante:

    Ma il Signore mi disse: «Non dire: Sono giovane,
    ma va' da coloro a cui ti manderò
    e annunzia ciò che io ti ordinerò.
    Non temerli,
    perché io sono con te per proteggerti».
    Oracolo del Signore.
    Il Signore stese la mano, mi toccò la bocca
    e il Signore mi disse:
    -Ecco, ti metto le mie parole sulla bocca (Ger, 1,7-9).

    Inizia così l’esistenza profetica di Geremia; e l’esistenza del profeta è davvero rinnovamento e ringiovanimento della società. Il profeta non può tenere per sé la conoscenza ma la deve annunciare, non è solo il chiamato ma l’inviato: e il messaggio che egli porta al popolo davvero un messaggio nuovo inaudito (spesso giocato in una bivalenza tra terribile e gioioso) che il popolo non è pronto ad accettare.
    Ma il profeta è soprattutto reso giovane dal suo mandato, è modificato nel suo intimo come viene sottolineato nella metafora del libro da mangiare in Ezechiele

    Tu, figlio d'uomo, ascolta ciò che ti dico; non essere ribelle come questa famiglia di ribelli; apri la bocca e mangia ciò che ti do». Io guardai, ed ecco una mano stava stesa verso di me, la quale teneva il rotolo di un libro; lo srotolò davanti a me; era scritto di dentro e di fuori, e conteneva lamentazioni, gemiti e guai . Egli mi disse: «Figlio d'uomo, mangia ciò che trovi; mangia questo rotolo, e va' e parla alla casa d'Israele». Io aprii la bocca, ed egli mi fece mangiare quel rotolo. Mi disse: «Figlio d'uomo, nùtriti il ventre e riempiti le viscere di questo rotolo che ti do». Io lo mangiai, e in bocca mi fu dolce come del miele (Ez, 2,8-3,3).

    Il libro è qui la metafora della parola che invade i profeti, li modifica psichicamente li rende pazzi. La parola è antitesi del silenzio, di quel silenzio richiesto dell’estasi e dalla magia, ma è anche contrapposta al silenzio di YHWH che non parla più al popolo o al silenzio del popolo che non risponde più a YHWH. Dio aspetta una risposta dal profeta e la vera risposta del profeta non è la preghiera ma l’annuncio. Rinnovando esistenzialmente il profeta la parola di Dio sblocca l’immobilità dell’universo, sblocca il tempo storico, regala al popolo una nuova giovinezza, una nuova possibilità.
    L’esistenza profetica è però dura e difficile il profeta scopre di non essere più un bambino (YHWH lo ha negato esplicitamente) ma che essere un giovane adulto comporta una difficoltà estrema: l’alterazione radicale alla quale il profeta è sottoposto: il profeta è un uomo che è reso diverso, ma che non si cristallizza mai in una sola identità. Il profeta deve essere pronto a crescere sempre, a cambiare sempre, a mantenersi giovane. Secondo Neher Dio sceglie spesso i ragazzi e i fanciulli proprio per questa idea di crescita continua “come se l’assoluto avesse bisogno di un essere in fase di crescita”.[1]
    Ma crescere sempre è difficile e pesante: il rifiuto della vocazione (Mosè), la fuga (Giona), la rivolta (Geremia) non sono solamente esempi del tipico atteggiamento giudaico di sfida e contrattazione con YHWH (il riv) ma sottolineano una reale fatica anche fisica che il giovane teme e cerca di rifiutare. Il profeta deve mantenersi sempre in tensione, deve dedicare la sua vita all’annuncio e soprattutto deve continuare a sentirsi abitato dalla ruah di YHWH, deve essere fuori di se, o peggio ancora avere qualcosa di estraneo dentro di sé: e per un giovane, che ha la vita davanti, questo essere inabitato dallo Spirito non doveva essere cosa facile da sopportare: 

    Mi hai sedotto, Signore, e io mi sono lasciato sedurre;
    mi hai fatto forza e hai prevalso.
    Sono diventato oggetto di scherno ogni giorno;
    ognuno si fa beffe di me.
    Quando parlo, devo gridare,
    devo proclamare: «Violenza! Oppressione!».
    Così la parola del Signore è diventata per me
    motivo di obbrobrio e di scherno ogni giorno.
    Mi dicevo: «Non penserò più a lui,
    non parlerò più in suo nome!».
    Ma nel mio cuore c'era come un fuoco ardente,
    chiuso nelle mie ossa;
    mi sforzavo di contenerlo,
    ma non potevo (Ger 20, 7-9).

    Non è un caso peraltro che il simbolismo coniugale abbia largo utilizzo nella vita dei profeti (in un’epoca nella quale, come sappiamo, ci si sposava molto giovani). L’esempio di Osea è quasi ovvio: l’amore coniugale diventa simbolo dell0’amore tra YHWH e il suo popolo e deve mantenere ed esibire la stessa tensione e lo stesso carattere drammatico di questo. Osea non può pensare al normale matrimonio di un ragazzo israelita: in quello che doveva essere (e che ancora oggi rimane) un passaggio fondamentale nella vita di un giovane, egli non è libero: Va', prenditi in moglie una prostituta e genera figli di prostituzione (Os 1,2). Le tre ipotesi che gli esegeti avanzano a proposito di questo ordine divino (Osea deve sposare una donna che poi gli sarà infedele; oppure deve sposare una prostituta; oppure deve sposare una prostituta sacra ,il che rimanderebbe direttamente all’idea del culto di Baal) non tolgono il senso di espropriazione e di alienazione che il giovane deve avere provato nel sottomettersi alla parola di YHWH.
    Dunque la gioventù che il profeta offre al popolo di Israele, il rinnovamento che gli propone non è mai separato da quello che Neher definisce il cammino nella notte: la strada che il profeta percorre non avvicina Dio ma lo allontana, l’assoluto si fa più oscuro mentre si procede verso la notte dell’inesplicabile[2], il percorso non è mai illuminato a giorno e anche se la fiducia in YHWH serve a sperare che il piede non inciamperà, l’impressione che ricaviamo dalle storie profetiche è quella di un percorso accidentato e mai garantito.
    Ma proprio questa è la caratteristica simbolicamente giovane del profeta. Non conta la sua età, egli deve fondere insieme la risposta adulta all’appello di YHWH e la fiducia totale, quasi ancora infantile, nel suo messaggio e nel fatto che YHWH sarà sempre al suo fianco nelle difficoltà. Per questo abbiamo scelto il profeta come emblema del giovane: perché la giovinezza non è sempre legata a schemi cronologici ma è continua tensione tra fiducia e autonomia, tra ascolto e parola, tra passività e azione. Quello che il profeta offre al suo popolo dunque, una volta uscito dal percorso nella notte, è la giovinezza del mondo, o forse “la giovinezza del nulla. O meglio un nulla prima dell’origine, prima della nascita. Forse la terra risuonava così, nel tempo bianco dell’era glaciale”[3]. La parola del profeta, la parola di YHWH è parola di gioventù perché dice che la notte sta per passare, che non esisteranno sempre le tenebre. Forse solo un giovane ha la forza, l’incoscienza e l’incorruttibilità per poter rispondere alla domanda: “Sentinella, quanto resta della notte?” (Is 21,11-12).

    NOTE

    [1] Andrè Neher, L’essenza del profetismo, Genova, Marietti, 1989 pag. 251.
    [2] Cfr. Neher, op, cit.
    [3] Wassily Kandinsky, Lo spirituale nell’arte, Milano, Se, 1989 pag. 67.


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