«Chi sogna è scelto»

Agnes Heller


L'intervista è la trascrizione (a cura di Francesco Comina) di una trasmissione televisiva, che l'emittente «Azzurra Tv» trasmise nel settembre 2016 a seguito di un incontro di Agnes Heller con la Società Filosofica a Verbania, sul tema dei sogni (inquadrato in particolare nell'ambito della narrazione biblica). Un tema che in quel periodo interessava particolarmente la scrittrice e che verrà sviluppato successivamente nel libro
La filosofia del sogno.


Perché parlare di sogni

«Sto lavorando a un libro sui sogni e mi affascina moltissimo il ruolo che riveste il sogno nella narrazione biblica. Chi sogna è scelto. Sarà lui, il profeta che ha avuto la visione notturna, il prescelto da Dio a guidare il popolo verso la salvezza».
Agnes Heller ha cominciato a parlarmi del suo lavoro sui sogni a partire dal 2015. Ma fu a Verbania, in occasione di un incontro con la Società Filosofica nel settembre del 2016, che il tema occupò le nostre giornate al punto che decidemmo – su suggerimento del coordinatore nazionale di «Pax Christi» don Renato Sacco – di tenere un dialogo per una doppia puntata della rubrica «Non di solo pane», che don Renato Sacco cura per la televisione locale «Azzurra Tv». Quella che segue è la trascrizione di quell'intervista.
A distanza di quasi un anno dalla morte improvvisa di Agnes Heller è possibile ora leggere anche in italiano la sua Filosofia del sogno, pubblicata da Castelvecchi (2020, pp. 190).


D.
Agnes, come mai hai sentito il bisogno di scrivere un libro sui sogni?

R. Prima di tutto volevo descrivere qualcosa che assolutamente tutti noi sperimentiamo, ossia la dimensione del sogno. Ognuno di noi sogna. Sempre. Anche chi dice di non sognare, in realtà sogna. Noi possiamo raccontare i sogni, che sono di nostra proprietà. Li raccontiamo ma quasi sempre non diciamo tutto quello che viviamo nel nostro mondo onirico. E ciò racchiude e nasconde le nostre caratteristiche individuali. Una delle ragioni per cui ho deciso di parlare dei sogni, in questo libro su cui lavoro da tempo, è perché i sogni, a partire da Freud, si sono democratizzati. Prima erano importanti i sogni dei re, delle regine o di persone influenti nella società e nella politica, ma a partire da Freud i sogni di tutti sono diventati importanti, quelli del re, come quelli del suo schiavo. Non c'è un sogno che è più importante dell'altro. Un'altra ragione che mi ha spinto a indagare sui sogni è che ciò che avviene in un sogno ci proietta in una dimensione che sfugge totalmente alla logica. Il sogno è qualcosa che ha a che fare con l'immaginazione, la quale assume il ruolo principale come fosse lei il direttore d'orchestra dei nostri viaggi notturni. Noi possiamo sognare di cadere dall'aereo e di rialzarci improvvisamente come se nulla fosse successo contraddicendo tutte le leggi di natura. Nel sogno il principe diventa la rana e la rana diventa il principe, ed è proprio questo il motivo che mi ha spinto a lavorare su questo grande tema che ha implicazioni laiche e religiose.

D. Martin Luther King aveva un sogno. «I have a dream» aveva urlato nel 1963 davanti al Lincoln Memorial di Washington. Il suo sogno era quello della giustizia e dell'uguaglianza fra gli uomini e i popoli. C'è, in casi particolari, come un richiamo dall'alto, come una voce che si insinua nel sogno di una personalità che viene scelta per modificare il corso della storia? Le visioni bibliche sono spesso rivelazioni attraverso un sogno. Non è così?
R. Con Martin Luther King ci troviamo nell'ambito dei sogni diurni. Lui parla di desiderio, di volontà... Nei sogni biblici noi abbiamo normalmente a che fare con sogni notturni, anche se erompono le visioni diurne. I sogni della Bibbia sono sogni in cui si riceve una voce, c'è qualcuno che parla e chi sogna entra in diretto contatto con questa voce soprannaturale che gli parla. Siamo totalmente fuori dalla logica del sogno diurno inteso come prefigurazione di un desiderio interiore. Noi non abbiamo mai sentito Martin Luther King affermare che egli ha sentito delle voci divine, che parlavano a lui attraverso un sogno.
Quello che mi interessa molto è lo sconvolgimento della logica giorno/notte, per cui ciò che avviene nel racconto biblico è la visitazione attraverso una visione onirica che può avvenire a occhi aperti o chiusi. I sogni notturni sono delle allegorie e pertanto hanno bisogno di essere interpretati per capire il loro vero significato. I sogni diurni, invece, non hanno bisogno di interpretazioni. Il messaggio del sogno di Martin Luther King è chiarissimo.
Nella Bibbia i sogni sono allegorici e vanno interpretati. Ci sono due sognatori importanti: Giuseppe e Daniele. Entrambi i profeti sono sia sognatori, sia interpreti di sogni. Giuseppe ha fondamentalmente due sogni, il primo è che verrà umiliato nel futuro. Lui e la sua famiglia subiranno delle angherie e delle ingiustizie. I suoi fratelli interpretano il suo sogno, lo analizzano, al punto da andare a cercarlo per ammazzarlo. L'altro sogno è quello del faraone. Giuseppe scappa in Egitto e riesce a interpretare perfino il sogno del faraone. Anche Daniele è capace di interpretare le visioni del re di Babilonia. Ma perché? Come fanno questi profeti a interpretare i sogni di qualcuno che appartiene a una cultura differente? Questa è la straordinaria particolarità del sogno nella Bibbia. E proprio perché tu non fai parte di quella cultura puoi capirne la metafora, puoi decodificare la tradizione dell'altro.

Quando Samuele, per ben tre volte, è chiamato

D. C'è un rapporto fra sogno e liberazione, ossia fra la liberazione dalla schiavitù d'Egitto e la ricerca di una terra promessa, che oggi si determina nella sete di libertà dei migranti che cercano di approdare in Europa e che vedono il vecchio continente come una sorta di terra promessa in grado di riscattare «le vite di scarto» come direbbe Bauman?
R. lo non mi sono mai approcciata ai sogni di liberazione diurni, che è ciò che tu poni in questa domanda, ossia i sogni di libertà, di pace, di sicurezza sui quali si spera, si cerca, si immagina. Mi viene in mente Shakespeare e il suo lavoro sulla personalità, ossia su come la personalità esca allo scoperto e immagini il futuro. C'è qualcosa in quella personalità che verrà premiata in qualche modo da Dio, ma non per quello che quella persona stessa pretende bensì per la densità e la profondità di una personalità che nemmeno lei si conosce dal di dentro, in quella tensione fra terra e cielo e per quella intensità che invece viene percepita da fuori. Insomma, non è l'individuo singolo che determina se stesso, ma c'è qualcosa di superiore che lo convoca e lo chiama alla realizzazione di sé. Questo è il senso del sogno nella Bibbia, ossia l'essere scelti. Nel racconto biblico l'individuo non è interprete in prima persona del suo futuro ma viene scelto. È il caso di Giacobbe sulla scala o pensiamo a quando egli lotta con l'angelo o pensiamo a Samuele quando per ben tre volte è chiamato. E dice: «Sei tu, Elia, che mi hai chiamato?». No! Non è Elia che Io ha chiamato. Non è una questione di volontà o di azione, ma è essere chiamati per qualcosa. I sogni, nel quadro biblico-religioso, portano consigli e ammonimenti. Pensiamo, facendo un altro esempio, a quando a Giuseppe è stato detto: «Tu devi sposare Maria», oppure quando a Giacobbe è stato detto: «Vai da tuo figlio Giuseppe». Il sogno è proprio caratterizzato da ammonimenti e consigli. Rispetto alla tua domanda sui sogni di liberazione dei profughi, io posso solo parlarti in nome dei sogni diurni, ossia il desiderio di vivere in pace, in un contesto di rispetto, di lavoro, di amore. Per quanto riguarda, invece, i sogni notturni dovremmo metterci a lavorare, a studiarli, a interpretarli con l'aiuto di analisti e psicologi che sanno come indagare quei sogni in base ai casi clinici.
I sogni sono assolutamente connessi al tuo bagaglio culturale. Io posso solo dire, rispetto alla mia vita e all'esperienza traumatica che ho vissuto in Ungheria sotto il regime comunista, che noi non sognavamo affatto la liberazione ma sognavamo la paura. I nostri sogni notturni erano gli incubi di essere continuamente imprigionati, di essere vittime, di morire. Questi erano i nostri incubi ricorrenti. Altro che liberazione! Erano sogni commisurati alla nostra percezione storica, culturale, politica. Walter Benjamin diceva, addirittura, che nonostante lui non credesse in Dio, sognava Dio, perché era parte della sua cultura. Quindi, per capire i sogni notturni, noi dobbiamo anche studiare la cultura dei profughi e di tutte quelle persone che rivelano e raccontano quello che sentono, vedono, immaginano, vivono, soffrono...

D. Che differenza c'è fra sogno e utopia?
R. L'utopia non ha nulla a che fare con il sogno notturno bensì con quello diurno. L'utopia delinea il desiderio: «Voglio vivere in un mondo più giusto, in una società che mi rispetti...». Possiamo pensare a Ovidio o a Marx. Entrambi prefiguravano una società senza la proprietà privata, in cui i governi fossero giusti, la gente fosse totalmente libera di vestirsi o no, di lavorare o no, di vivere secondo regole culturali o no, insomma in piena autonomia ed emancipazione... Questo è il mondo dell'utopia. Il filosofo è scontento della società in cui vive e allora si edifica una struttura che rimpiazza quella reale, ne immagina un'altra che crede sia quella giusta. Tommaso Moro ha fatto così nel suo capolavoro di cinquecento anni fa, L'Utopia. Ha offerto un modello altro rispetto alla società ingiusta dell'Inghilterra di quel tempo, si è inventato una società remota come lui l'aveva in mente. Ha immaginato il modello fantastico, l'isola di Utopia dove in realtà nessuno avrebbe mai voluto viverci.

 (Testimonianze n. 530.531, pp, 141-143)