Analisi di recenti

Rapporti

su Politica e Scuola


Guglielmo Malizia
[1]

toso


Cattolici e politica in un tempo di cambiamento epocale

(Mario Toso)

È del tutto evidente che, come tutti gli altri cittadini, i cattolici devono prendere parte alla vita politica dell’Italia, ma la problematica che nel volume viene trattata riguarda il coinvolgimento diretto e attivo nella democrazia del nostro Paese[2]. Il dato che emerge in maniera chiara è l’irrilevanza dei cattolici in questo ambito. Il libro lo attesta con tutta evidenza, ma non si ferma qui, ne esplicita le cause e avanza proposte per ovviare a una problematica così seria.

Una situazione preoccupante

Un primo dato che attesta in maniera inequivocabile l’ininfluenza dei cattolici in politica può essere facilmente identificato negli esiti delle ultime elezioni generali, quelle cioè del 4 marzo 2018. Il complesso delle persone, dei gruppi e delle organizzazioni che nel passato condividevano la stessa sensibilità pubblica, ispirata ai valori cristiani, oltre che a quelli laici con essi consonanti, sono risultati totalmente sconfitti come emerge dal fatto che, o non hanno partecipato alla competizione elettorale o, se lo hanno fatto, hanno ricevuto ben pochi consensi. Le elezioni generali potevano offrire l’opportunità di una confluenza della più gran parte dei cattolici democratici in vista della costituzione di nuovi soggetti politici, aperti anche a forze liberali, e in grado di fare delle proposte valide, innovative, realistiche, sostenibili e capaci di raccogliere un numero rilevante di adesioni. Al contrario gli esiti della competizione avrebbero, a parere di alcuni, segnato l’uscita di scena del movimento politico dei cattolici; in ogni caso, da questo punto di vista non si può non convenire sull’andamento molto deludente delle votazioni che ha sancito la marginalità del mondo cattolico sul piano della vita pubblica a tutti i livelli: propositivo, organizzativo, aggregativo, comunitario e formativo.
Tale verdetto è stato confermato dalle elezioni europee del 26 maggio 2019. A livello generale è sufficiente richiamare il confronto tra gli andamenti in Italia e nel resto dell’Europa: mentre negli altri Paesi si sono imposti gli europeisti, in Italia la vittoria è andata ai sovranisti. Se si fa riferimento ai numeri, emerge l’irrilevanza di due liste di ispirazione cristiana: il Popolo della Famiglia e i Popolari per l’Italia hanno ottenuto rispettivamente lo 0,43% e lo 0,30% per cui, anche se ambedue i partiti devono essere oggetto del massimo rispetto, tuttavia non si può non evidenziare ancora una volta che, data la logica maggioritaria della democrazia, la mancata aggregazione tra loro e con altre forze li ha condotti a un’umiliante sconfitta. Sugli esiti negativi delle due elezioni appena menzionate ha sicuramente inciso lo scollamento dalle organizzazioni, dalle associazioni e dai movimenti cattolici e di ispirazione cristiana; più gravi, tuttavia, si sono manifestate criticità come l’incapacità di superare le divisioni tra cattolici della morale e quelli del sociale e la mancanza di intellettuali e di persone competenti che sapessero predisporre validi progetti a partire dalla Dottrina Sociale della Chiesa.
A prova della preoccupante ininfluenza dei cattolici nella politica, oltre a dati quantitativi si possono portare anche altri elementi di natura qualitativa. I credenti si trovano infatti disseminati tra vari partiti e movimenti nei quali, però, non riescono a far valere neppure quei loro valori che sono divenuti parte della nostra Costituzione. Non infrequentemente le proposte dei cattolici e la loro cultura sono ritenute marginali in relazione alla cultura predominante nel Paese. Tutto ciò si riscontra in un contesto in cui si riconosce l’importanza della presenza e delle iniziative dei credenti e della Chiesa nell’area caritativo-assistenziale; però, tale atteggiamento si accompagna alla resistenza o al disinteresse del mondo cattolico a entrare in politica, con la conseguenza negativa di rinchiudere le organizzazioni sociali nei loro piccoli mondi. Pertanto, l’azione politica dei cattolici si presenta dispersa e debole in relazione alla gravità e all’urgenza delle problematiche da affrontare nel Paese e alla necessità di inculturare i valori evangelici nelle legislazioni e nelle istituzioni.
Un terzo dato di fatto da tenere in debito conto è costituito dalla diaspora dei cattolici nell’area della politica. Se agli inizi degli Anni ’90 si sarebbe potuta auspicare, attualmente essa è divenuta una delle manifestazioni principali dell’ininfluenza dei cattolici in politica.
Le ragioni per cui la diaspora è errata sono molteplici: ha provocato notevoli contrapposizioni e divisioni nel mondo cattolico; il bene comune e i principi politici vanno perseguiti mediante la cooperazione di tutti; l’unità sui valori precede qualsiasi pluralismo; la diaspora implica che i cattolici siano sempre in minoranza, che le loro proposte non vengano mai accettate e che di conseguenza siano destinati a scomparire politicamente. Inoltre, si avrebbe una situazione paradossale per cui i cattolici si assocerebbero a un partito sapendo a priori che non potranno far valere le loro proposte, né ci si può aspettare - e gli avvenimenti recenti lo attestano come nei casi della libertà di educazione e del suicidio assistito - che i cattolici, appartenenti a diversi partiti, si colleghino trasversalmente fra di loro sulle questioni di loro interesse, ottenendo con un voto di coscienza l’approvazione delle loro posizioni. Inoltre, mentre le altre forze culturali presenti nel Paese potrebbero presentare i loro progetti e trovare consensi sulla scena politica, questo verrebbe impedito ai cattolici.
L’Autore fa giustamente notare il cambiamento che si è registrato ultimamente circa la natura della posizione degli italiani in politica. Mentre nel passato essa qualificava tutta la persona, collegandosi con la sua visione del mondo, adesso invece ne rappresenta solo una parte. Pertanto, «[…] il cattolico vive scisso da sé. Semplicemente da elettore. A prescindere dalla sua fede e dalla sua appartenenza a Cristo e alla Chiesa»[3]. Di conseguenza, si approfondisce la separazione tra i pastori e una parte consistente del mondo cattolico, tra la pratica della fede e il comportamento in politica per cui sono compossibili nella medesima persona la predilezione per Papa Francesco e il consenso alla chiusura dei porti.
Di fronte all’irrilevanza dei cattolici in politica non sono mancati i richiami della Conferenza Episcopale alla necessità e all’urgenza di una nuova presenza dei credenti nella vita pubblica del Paese. Finora, non si sono viste molte reazioni positive, forse anche perché non sono state neppure adeguatamente capite. Questa situazione va attribuita molto probabilmente alla carenza di una cultura in grado di comprendere il significato e la rilevanza di questi inviti e al riguardo non si può escludere la responsabilità della stessa Chiesa che non si è impegnata sufficientemente a sostenere le sue Associazioni, Università e Istituzioni culturali nel ripensamento delle proposte del passato e soprattutto nel loro rinnovamento.
Non va dimenticato neppure il cambiamento di registro che si è verificato nel mondo della comunicazione. Ad un pensiero prevalentemente analitico, logico, dimostrativo si viene a contrapporre (o preferire) un pensiero più narrativo, più espositivo; alle concettualizzazioni generali si controbilanciano le molte forme dell’autobiografia, del saggio esplorativo attento alle sfumature, alle contaminazioni cognitive, ai giochi linguistici, alle ibridazioni dei punti di vista. L’assolutezza della scienza lascia il passo a modi di vedere e di esprimersi più “ermeneutici” (cioè insieme più soggettivi, più interpretativi, più comprensivi). Si parla per questo di “pensiero debole”. In sintesi, si può dire che ha preso il sopravvento la modalità emotiva e utilitaristica della comunicazione e che si riscontra il venire meno di conoscenze diffuse nella popolazione.

Fattori della irrilevanza dei cattolici in politica

Come premessa, vale la pena richiamare i modelli principali dell’impegno dei cattolici nella politica. Nel recente passato il primo è costituito dal partito dei cattolici, di cui certamente in Italia non si possono negare il successo e i meriti che sono di molto superiori alle criticità. Il secondo modello consiste nella diaspora in base alla quale, e con riferimento all’immagine evangelica del lievito, i cattolici dovrebbero dividersi tra i partiti per fermentarli dall’interno; sono già stati messi in evidenza i molti punti deboli di tale proposta. La terza impostazione fa leva sull’associazionismo politico e soprattutto sulla elaborazione di un ben definito progetto caratterizzato da una serie di indicazioni qualificanti e sostenuto dal consenso del mondo cattolico.
Passando ai fattori della ininfluenza dei cattolici in politica, il volume in esame ne indica principalmente tre. Il primo viene identificato nella scarsa considerazione riservata alle regole procedurali della democrazia, soprattutto al principio di maggioranza. In un regime come quello che vige nel nostro Paese, l’inculturazione degli ideali cristiani nella legislazione e nelle istituzioni richiede il consenso di una maggioranza che li condivida e l’esistenza di una massa critica che li promuova. La diffusione del modello della diaspora ha operato in direzione opposta in quanto i cattolici si sono dispersi fra tutti i partiti ed è mancata la formazione di una maggioranza a sostegno del loro progetto politico. La conseguenza è stata che le posizioni dei credenti non hanno ottenuto il necessario consenso e sono regredite sul piano politico.
Come gli altri cittadini, il credente è consapevole che in un regime democratico è possibile patrocinare tutti i valori sia umani che cristiani in cui si crede a condizione che si faccia parte di un’aggregazione e non disseminati fra tutti i gruppi, le organizzazioni e i partiti. Per l’approvazione delle idee che si vogliono promuovere è decisivo che insieme ad altri si arrivi a divenire maggioranza. Pertanto, bisogna evitare la diaspora e puntare invece ad essere il più possibile uniti e coesi.
Un altro fattore determinante va ricercato in una fede e in una spiritualità cristiana che hanno perso di vigore e che, di conseguenza hanno provocato una separazione tra i valori religiosi della persona e la sua attività politica. Una dinamica simile si è registrata sul piano delle organizzazioni cattoliche e di ispirazione cristiana che sono state raggiunte dal fenomeno del secolarismo che ha provocato un indebolimento della formazione e della mentalità credente. Al riguardo, ha influito anche il fatto che parrocchie, diocesi e aggregazioni abbiano delegato ad altri la preparazione politica dei credenti coinvolti nella gestione della cosa pubblica.
Da questo punto di vista sono particolarmente istruttive le vicende riguardanti la diffusione della Dottrina Sociale della Chiesa. Le organizzazioni e i movimenti cattolici e di ispirazione cristiana continuano a menzionarla nei loro statuti e regolamenti, ma la considerano come una raccolta di affermazioni di principio astratte incapaci di risolvere i problemi concreti per cui non vengono tradotte nella pratica. Di fatto, i membri di tali aggregazioni non la conoscono e ciò vale specificamente per i giovani. La situazione nelle parrocchie è altrettanto problematica. Al riguardo è sufficiente ricordare che la maggior parte dei catechisti la ignorano e, pertanto, non la insegnano nella loro attività educativa. In questa maniera si priva la vita della Chiesa di uno strumento essenziale per il discernimento e la progettualità.
La terza causa consiste in una serie di equivoci e di vedute sbagliate che, una volta accettate, contribuiscono a provocare l’irrilevanza dei cattolici in politica. Uno di questi fraintendimenti consiste nell’opinione, diffusa negli ultimi anni, per cui non potrebbero più aversi schieramenti di ispirazione cristiana; il motivo di tale affermazione andrebbe cercato nella mancanza di deleghe da parte della Chiesa. In questo caso si equivocherebbe sul fatto che, invece di disperdersi in una diaspora ininfluente, i credenti, insieme ad altre persone di buona volontà, decidano di fondare un partito di ispirazione cristiana. È vero che erroneamente sono state interpretate come contrarie alla nascita di un partito di cattolici alcune parole di Papa Francesco, da lui pronunciate nell’aprile del 2015, senza tener conto che una tale spiegazione, se vera, avrebbe sancito la fine di tali partiti ancora attivi negli Stati dell’Europa centrale a partire dalla Germania e dalla sua CDU. Quello che va veramente escluso è che sia compito del Papa, dei Vescovi e della Chiesa in quanto tale creare partiti i cattolici; a loro spetta invece educare al discernimento, a una fede matura e alla vocazione al sociale, fornendo accompagnamento spirituale e culturale a coloro che militano nella politica per cui sarebbe necessario favorire nei seminari la conoscenza della Dottrina Sociale della Chiesa. La decisione di fondare o meno partiti di cattolici e di quando crearli è compito dei fedeli laici senza aspettare, come è accaduto in passato, una delega o un accompagnamento da parte della gerarchia e dei sacerdoti.
Un equivoco diffuso tra i cattolici consiste nell’opinione secondo la quale il credente sarebbe libero di decidere riguardo alla politica in maniera totalmente indipendente rispetto agli orientamenti della comunità cristiana; di conseguenza, egli potrebbe aderire a qualunque partito quando e come ritiene opportuno. In contrario, va sottolineato che i credenti in quanto tali non possono lecitamente abbandonare la propria identità cristiana.
Oltre agli equivoci appena menzionati è opportuno richiamare alcuni pregiudizi che possono comportare la rinuncia a coinvolgersi nella politica. Per esempio si può ricordare l’opinione secondo la quale l’esercizio del potere sarebbe sostanzialmente corrotto, o quella per cui l’autorità costituirebbe una realtà diabolica. Indubbiamente la politica può implicare rischi a livello morale, ma al tempo stesso va sottolineato che essa è basilare e necessaria per il raggiungimento del bene comune.

Proposte in prospettiva di futuro

Se si vuole rendere importante e influente la partecipazione dei cattolici alla politica, la prima indicazione che il volume in esame fornisce è che bisogna ripartire dalle fondamenta e più precisamente da una conversione convinta che si estenda a tutti i livelli: quelli pastorali, educativi, politici, economici e culturali. Questo comporta la partecipazione diretta delle diocesi, delle parrocchie e dei movimenti, soprattutto riguardo alla formazione politica delle persone chiamate ad operare nell’area socio-politica. In tale ambito è necessario preparare «cristiani ben consapevoli della dimensione sociale della loro fede, che assumono con coraggio e responsabilmente la loro vocazione al bene comune»[4].
Per ripartire dalle fondamenta, non basta coinvolgere i singoli credenti, ma bisognerà dar vita a un nuovo movimento sociale cattolico, come laboratorio e palestra di vocazioni al servizio del bene comune e senza abbandonare l’ispirazione cristiana anche quando si è inseriti in aggregazioni aconfessionali. Condizioni necessarie per far emergere questa tipologia di fedeli possono essere identificate nelle seguenti e cioè che: nel mondo cattolico si attivi un’azione sociale di popolo; si riesca a predisporre un progetto di trasformazione del Paese, di bene comune e di cittadinanza attiva e responsabile; venga elaborata una nuova cultura politica al centro della quale si collochi la Dottrina Sociale della Chiesa che va insegnata in particolare ai giovani e anche sperimentata; si promuova una spiritualità conforme e un discernimento costante nelle aggregazioni cattoliche o di ispirazione cristiana.
Nel suo magistero Papa Francesco sembra dare la priorità ai movimenti popolari piuttosto che ai partiti. Pertanto, i primi dovranno rafforzarsi, ovviare al pericolo di farsi strumentalizzare o, peggio, corrompere dal sistema economico e impegnarsi nella rifondazione dell’attuale democrazia che si presenta oligarchica, populista e che emargina i poveri. Per rendere sempre più rilevanti i credenti nella politica, è necessario preparare delle alternative basate su realtà sociali di chiara identità cristiana e su un popolo in movimento. I punti di riferimento principali sono i seguenti: «a) fedeltà al vangelo; b) presenza vitale di movimenti nella società; c) non un partito cattolico unico, che sarebbe del tutto anacronistico; e) pluralità partitica laica e di ispirazione cristiana; f) comunione con i propri pastori»[5].
A questo punto, mi pare opportuno riportare il pensiero dell’Autore del saggio in esame riguardo alla questione del “partito cattolico. Il volume non sostiene l’opzione del partito cattolico che, comunque, non è mai stato creato, né lo si dovrebbe, perché, come scriveva don Luigi Sturzo, la religione ha una natura universale, del tutto lontana dal carattere parziale della politica. La DC non può essere etichettata come partito cattolico, né la si può considerare un partito di soli cattolici. Sulla stessa linea, l’Autore parla «[…] della eventualità che vi possa essere - date determinate condizioni storiche, come ad esempio la strumentalizzazione del voto cattolico, la dannosità delle decisioni politiche di partiti nettamente antidemocratici, laicisti e libertari -, all’interno del legittimo pluralismo delle scelte politiche per i cattolici, anche quella di un eventuale partito di ispirazione cristiana, comprendente cattolici, uomini di buona volontà, liberali cultori della giustizia sociale, credenti protestanti o appartenenti ad altre religioni, ossia di un insieme di cittadini convergenti su una piattaforma di beni-valori condivisi»[6].
Sul tema del saggio in esame, non basta certamente limitarsi alla rifondazione, ma bisogna pensare anche al resto dell’edificio e al riguardo si richiamerà in sintesi il contenuto di quello che il volume chiama “il trinomio di Papa Francesco inscindibile per i cattolici: buona politica, diritti e bene comune”. Incominciando dalla prima dimensione, la buona politica è quella che è finalizzata al servizio del bene comune, inteso come il bene di tutti, e che esige l’apporto responsabile di tutti. Con riferimento al n. 74 della “Gaudium e Spes”, si può precisare che la politica richiede di impegnarsi insieme al fine di creare le condizioni sociali di un futuro umanamente degno e giusto per tutti, mediante il contributo di tutti. I cittadini e i loro rappresentanti sono invitati ad attuare un grande bene, non separatamente, ma cooperando tra di loro mediante il dialogo pubblico al fine di assicurare ai singoli, alle famiglie, alle organizzazioni e ai popoli il raggiungimento della pienezza umana in Dio. Pertanto, essi vanno preparati a servire il bene comune, formandoli alla virtù teologale per eccellenza, la carità, e alle virtù umane della giustizia, della equità del rispetto reciproco, della sincerità e della onestà. Ancora più precisamente, la politica deve essere redenta attraverso l’evangelizzazione del sociale. Sul lato negativo, bisogna liberarla dai vizi distruttivi quali il disprezzo per il diritto, l’inosservanza delle norme comunitarie, l’arricchimento illegale, la xenofobia, il razzismo, lo sfruttamento delle risorse naturali per un guadagno individuale immediato e soprattutto la corruzione che distoglie l’attività politica dalla sua finalità propria, quella cioè di realizzare il bene comune.
Passando al secondo elemento del trinomio, i diritti umani, la questione principale riguarda la loro fondazione che si presenta estremamente debole nelle due posizioni prevalenti, una individualistica e libertaria e l’altra contrattualista: infatti, la prima esalta i diritti singolarmente senza il corrispettivo dei doveri e cade nell’arbitrio; l’altra è esposta agli umori mutevoli delle deliberazioni maggioritarie delle assemblee parlamentari. Per trovare una base incontrovertibile bisogna ricorrere alla Dottrina Sociale della Chiesa e a San Tommaso. Tale fondamento viene offerto dalla persona umana in quanto “capax veri, boni et Dei”. Al riguardo vale la pena citare le parole dell’Autore: «È nella capacità umana di perseguire la ricerca del bene, di riconoscerlo, di aderirvi liberamene orientandosi a Dio, che si trova il fondamento della inviolabilità, della dignità della persona e dei suoi diritti»[7].
L’Autore si sofferma a indicare alcuni orientamenti fondamentali per l’educazione della coscienza dei cittadini e dei popoli. In primo luogo, si tratta di far scoprire che la persona possiede una capacità naturale di conoscere, di volere e di scegliere il vero, il bene e Dio. L’educazione politica deve includere la formazione ai doveri e non solo ai diritti, quella sovra-storica della coscienza oltre a quella storica, quella religiosa e non solo quella umana perché non si possono separare i diritti da Dio senza perdere il criterio principale di riferimento. Una raccomandazione speciale riguarda l’uso critico dei mass media a cui si devono preparare le persone data la capacità delle nuove tecnologie della informazione di formare le coscienze non solo nel bene, ma anche nel male.
Rimane da considerare l’ultimo elemento del trinomio, la concezione di bene comune, che dovrà essere in consonanza con la buona politica. Frequentemente tale nozione è considerata come equivalente a interesse generale per cui viene ad assumere una caratterizzazione giuridica e amministrativa a scapito della sua naturale appartenenza all’area dell’etica; in altri casi, è intesa come bene totale, cioè come la somma dei beni o l’utilità media. Queste concezioni sono del tutto insoddisfacenti perché il bene comune è un bene fondamentalmente umano nel senso che si riferisce alle persone, ai gruppi, alle organizzazioni e alle società umane. Esso non può essere considerato come la sintesi di interessi particolari, ma costituisce un insieme ordinato di beni-valori riguardanti la realizzazione della persona umana in Dio. Esso si definisce in relazione ai doveri e ai diritti ed è funzione dei fini delle persone. Inoltre, non può essere attuato in qualunque modo, ma in relazione a una scala di valori.
Tale concezione del bene comune rinvia a una nozione di giustizia sociale che non sia formale e che, invece, sia basata su una comune ricerca del bene. Modelli culturali secondo i quali l’etica pubblica è solo procedurale e la giustizia è priva di contenuti sostanziali non possono offrire contributi positivi a livello dell’equità nelle nostre società pluraliste perché essi implicano che l’obbligazione politica resti senza una giustificazione soddisfacente. Pertanto, è necessario ripristinare l’ottica in base alla quale le persone operano anche nella politica secondo la rettitudine del loro giudizio. Nel privato e nel pubblico, i soggetti agiscono sulla base di un ordine intenzionale che corrisponde alla loro nozione di bene, regolando il raggiungimento dei singoli beni. Certamente non si può pretendere che le persone non tengano conto della loro visione del bene, mentre si può domandare loro di «[…] perseguire la ricerca di regole pubbliche alla luce del vero bene umano, verso cui tutti hanno il dovere morale di convergere»[8].
In sintesi, il trinomio di Papa Francesco vuole significare che la buona politica rimanda a una società dove si opera secondo un agire politico virtuoso, rivolto ad organizzare e ad orientare con costanza le condizioni sociali alla realizzazione umana delle persone da sole e in gruppo. In tale contesto emerge che l’essenza del bene comune è la dignità umana, intesa come capacità di vero di bene e di Dio, per cui si può affermare che ogni persona è in grado di realizzare il bene comune che risulta dalla sua natura e dalla sua vocazione. Pertanto, anche nelle nostre società frammentate e multiculturali è possibile che tutti i cittadini confluiscano su una piattaforma di valori condivisi che viene a costituire il quadro di riferimento per l’attuazione del bene comune.
La semplice presentazione del volume che, come è stato detto sopra, non ha potuto evidenziare tutta la ricchezza di argomenti del saggio, ha già fatto emergere molti aspetti positivi del libro. Ad essi va aggiunto che il libro costituisce un atto di coraggio per aver affrontato un argomento molto discusso. Particolarmente apprezzabile è pure lo stile narrativo dell’opera che si caratterizza per una prosa asciutta. Soprattutto è condivisibile la finalità principale del saggio e cioè identificare le ragioni profonde dell’irrilevanza dei cattolici in politica a partire dagli effetti negativi provocati dall’ideologia della diaspora per poi elaborare proposte in vista della formulazione di una nuova cultura politica; in aggiunta, va sottolineato che questi obiettivi sono stati perseguiti con una grande ricchezza di argomentazioni valide ed efficaci.
Giustamente l’Autore ha evitato di limitarsi a mettere in evidenza i fattori della situazione attuale e, invece, ha sostenuto la necessità di impegnarsi a ripensare le istituzioni economiche e finanziarie che costituiscono uno dei fattori principali della perpetrazione di tante ingiustizie e di tante limitazioni degli spazi di libertà. Inoltre, egli non si è limitato ai momenti della descrizione della situazione e della identificazione delle cause, ma ha avanzato una serie di proposte efficaci che toccano tutti gli aspetti rilevanti, culturali, economici, sociali, politici e pastorali, e in particolare ha toccato una dimensione che di solito viene trascurata, quella educativa, indicando finalità, obiettivi, contenuti, metodologie - e alcuni di essi è riusciti a segnalarli nella presentazione - che risultano del tutto validi e condivisibili.

Personalizzazione e curricolo
Il XXI Rapporto 2019 sulla Scuola Cattolica in Italia

La scuola per la sua natura non può che collocare l’allievo al centro della sua azione educativa e deve aiutarlo a maturare in pienezza tutte le sue potenzialità[9]. Un tale presupposto giustifica il primato sul piano pedagogico della personalizzazione che vuol dire dare spazio all’esperienza vitale dello studente, puntando a sviluppare tutte le sue capacità con il coinvolgimento suo e della famiglia. Come si è evidenziato nella presentazione del precedente Rapporto, si può dire che la pedagogia della persona costituisca la teoria educativa propria delle scuole cattoliche.
In questo volume si approfondiranno i rapporti con il curricolo in una prospettiva didattica e, quindi, più focalizzata sulla pratica, anche se l’approccio rimane teorico nel quadro di riferimento. Come negli altri Rapporti, l’articolazione fondamentale resta tripartita e comprende le categorie di base, l’applicazione concreta e le condizioni di esercizio. Le tre sezioni verranno esaminate nel primo paragrafo, mentre il secondo si occuperà dei dati dell’anno 2018-19 relativi alle scuole cattoliche.
Personalizzazione e curricolo: lo stato dell’arte e le prospettive
La prima parte del Rapporto ha inteso esaminare le relazioni della personalizzazione con tre categorie di base e cioè l’istruzione, il curricolo e la competenza. Anzitutto, è l’istruzione a entrare in gioco e ci viene ricordato che nella scuola si educa istruendo, una formula che permette di superare l’antica contrapposizione fra i due poli. La personalizzazione costituisce fondamentalmente un metodo educativo e di istruzione e attua tre aspetti essenziali dei processi educativi quali la conoscenza della realtà, lo sviluppo pieno della persona e l’uso della libertà. Inoltre, essa implica la de-ideologizzazione della docenza perché le attività educative nella scuola dovrebbero caratterizzarsi per l’intervento alla pari degli insegnanti e degli studenti, anche se con ruoli e funzioni diverse. La sua adozione comporta un’apertura al modello laboratoriale e il ricorso a metodi partecipativi con esclusione, invece, della trasmissione unidirezionale del sapere.
Tali dinamiche trovano conferma nell’adozione del concetto di curricolo che è tutto l’opposto di quella di programma, legato al centralismo che permette a livello di scuola solo l’attuazione puntuale di quanto stabilito dai Ministeri, mentre il curricolo si distingue per la sua caratterizzazione sociale, essendo il frutto della cooperazione fra tutte le parti interessate, e prevede una progettazione in comune che si basa sull’analisi del contesto e della condizione iniziale degli allievi. Di conseguenza, gli insegnanti cessano di essere dei burocrati, meri esecutori di disposizioni superiori, per diventare membri di una comunità professionale e gli studenti non vengono più considerati utenti anonimi di un servizio uniformato, ma assumono il ruolo di attori di un processo che si realizza con il loro apporto determinante. L’approccio curricolare trova un supporto decisivo nell’introduzione dell’autonomia in base alla quale ogni scuola deve essere messa in grado di elaborare un proprio progetto educativo in cui si rispecchi la sua identità e la sua fisionomia; inoltre, ambedue le strategie portano al riconoscimento della centralità della persona che apprende.
L’ultimo concetto chiave che viene preso in considerazione tra le categorie di riferimento, è quello di competenza che è legato strettamente alla personalizzazione perché la prima non è qualcosa di esterno, ma dipende dalle disposizioni potenziali di un soggetto che la scuola contribuisce a far maturare gradualmente. La definizione che viene offerta nel volume conferma questa connessione: «Una competenza si evidenzia quando si è in grado di affrontare un compito o una sfida moderatamente nuova e complessa, attivando e coordinando tra loro le risorse interne possedute (conoscenze, abilità e disposizioni interne stabili) e quelle esterne disponibili (libri, risorse digitali, internet, compagni, docenti…) in maniera valida ed efficace»[10]. Questa definizione è particolarmente significativa perché collega la competenza con i processi cognitivi in un’ottica personalizzante. Più precisamente, lo sviluppo delle competenze di ciascun allievo viene connesso con il suo stato di preparazione, i suoi ritmi di apprendimento, i tempi e le strategie didattiche e la capacità degli insegnanti di guidare e di favorire la maturazione del soggetto.
Si è già accennato sopra alla profonda consonanza che esiste tra la strategia della personalizzazione e la scuola cattolica: fra le tante caratteristiche comuni è sufficiente ricordare la centralità della persona dell’alunno, la valorizzazione delle sue potenzialità, la rilevanza della comunità educativa, la particolare considerazione che viene riservata agli ultimi. Pertanto la seconda parte del Rapporto è stata dedicata a una rassegna delle buone pratiche riscontrate in un gruppo significativo di scuole cattoliche di ogni ordine e grado. La rigorosa analisi qualitativa che è stata condotta su di loro ha portato all’identificazione di un certo numero di elementi comuni che verranno qui di seguito richiamati: la riflessione continua degli insegnanti sulla propria attività educativa e sul comportamento degli studenti; l’adozione condivisa della strategia dell’apprendimento fondato sui problemi; il miglioramento di elementi rilevanti come l’apprendimento responsabile, l’auto-percezione, l’impegno motivato, il senso critico e auto-critico, la serenità e la gioia, l’autocontrollo, la soddisfazione per le attività scolastiche, la cooperazione e la solidarietà e l’etero-percezione. In sintesi, si può affermare che ogni studente riceve l’insegnamento di cui necessita. Effetti positivi si riscontrano anche tra i docenti che dimostrano di avere migliorato i loro interventi nella gestione del gruppo, nell’apprendimento cooperativo, nella consapevolezza della complessità del loro operato, nelle competenze valutative, metacognitive e progettuali, nella gestione di un compito di realtà e delle dinamiche di gruppo, nella comunicazione di un senso di fiducia, nell’uso delle nuove tecnologie sul piano didattico, nell’ascolto attivo e nella facilitazione dell’apprendimento.
La terza parte del Rapporto si focalizza sulle condizioni di esercizio della personalizzazione e sulle proposte per ripensare la scuola a partire dalla strategia in esame. La prima considerazione viene riservata all’introduzione dell’autonomia che in Italia si presenta come una riforma debole e incerta. Le stesse scuole cattoliche, per loro natura autonome, hanno adottato al riguardo un atteggiamento troppo prudenziale, subendo cosi l’influsso negativo del resto del sistema di Istruzione e di Formazione. Riguardo ai rapporti con la personalizzazione, si è passati da una sua assunzione coraggiosa a uno smantellamento di quel tentativo fino ad un rilancio, caratterizzato da una integrazione specifica tra individualizzazione e personalizzazione.
Un’altra strategia rivelativa del significato della personalizzazione è costituita dalle modalità che vengono assunte dalla valutazione. Da questo punto di vista è necessario che la seconda venga ritenuta parte essenziale del processo di apprendimento. Gli errori degli studenti devono essere considerati come un’opportunità positiva per capire le loro problematiche e gli aspetti su cui intervenire per aiutarli nel processo di apprendimento; bisogna, invece, evitare ogni intendimento di etichettarli in negativo. Una valutazione personalizzata è chiamata a svolgere un ruolo proattivo, permettendo a ciascuno studente di conoscere il proprio obiettivo finale e i passi da fare per conseguirlo.
Un capitolo è dedicato agli scenari internazionali della complessità. In questo caso, la prospettiva è costituita dal benessere dello studente quale indicatore rilevante della qualità del sistema di Istruzione e di Formazione. In tale contesto, la personalizzazione richiede di mutare il modello scolastico di riferimento per abbandonare la visione di una scuola omologante e adottare, invece, un paradigma in cui la didattica possa assicurare a ciascun allievo l’opportunità di trovare spazi per una reale valorizzazione di sé.
In conclusione, si può affermare che la personalizzazione costituisce una strategia del tutto in sintonia con la scuola di oggi e con gli orientamenti pedagogici e didattici più avanzati e capaci di garantire efficienza ed efficacia. Quanto poi ai rapporti con la scuola cattolica, viene confermato ciò che è già emerso dal Rapporto precedente e cioè che la personalizzazione ne rappresenta la teoria educativa propria.


La scuola cattolica in cifre (2018-19)

Una novità caratterizza le statistiche dell’anno scolastico 2018-19: per la prima volta si è stati in grado di presentare i dati relativi alla Provincia Autonoma di Trento (tranne quelli della scuola dell’infanzia). Continuano, invece, a rimanere esclusi quelli della Regione Valle d’Aosta e della Provincia Autonoma di Bolzano. Anche se la novità ha comportato qualche problema sul piano dei confronti con il passato, tuttavia si è preferito inserirli nel Rapporto in modo da poter rispecchiare maggiormente la situazione reale.
Un altro dato meno negativo rispetto a quelli del passato riguarda le scuole paritarie che tra il 2018 e il 2019 subiscono una perdita di solo 83 unità. Se però si fa riferimento al 2010-11, la situazione diviene veramente preoccupante perché la riduzione si colloca intorno alle 1.500 scuole. Meglio fanno le scuole cattoliche che nel biennio in considerazione aumentano di 22 unità, ma il miglioramento va attribuito all’inclusione per la prima volta dei dati della Provincia di Trento e alla crescita delle scuole dell’infanzia tra le quali rientrano 115 scuole, che però non hanno offerto alcuna informazione per la rilevazione ministeriale, e senza queste ultime la diminuzione sarebbe di 93, nonostante l’aggiunta del Trentino: di conseguenza, l’aumento è più apparente che reale. Sul lungo periodo ricompaiono andamenti molto negativi con una diminuzione di 1.416 unità a partire dal 2010-11.
Nel complesso le scuole cattoliche rappresentano i due terzi circa (63,4%) delle paritarie e la loro ripartizione per ordine e grado risultata piuttosto differenziata. Se sono la maggior parte tra le scuole dell’infanzia (65%), tra le primarie (73,7%) e soprattutto fra le secondarie di 1° grado (84.6%), esse diventano una minoranza (37,1%) tra le secondarie di 2° grado dove la grande maggioranza non sono le scuole non cattoliche, anche per effetto della presenza numerosa degli istituti per il recupero degli anni scolastici.
Passando ad esaminare le scuole cattoliche sulla base dei principali parametri che le caratterizzano, un primo andamento riguarda il numero e da questo punto di vista sono le scuole dell’infanzia ad occupare il primo posto con il 73,2% del totale, mentre gli altri ordini e gradi si collocano a notevole distanza (le primarie con il 12,8%, le secondarie di 2° grado con il 7,4% e le secondarie di 1° grado con il 6,5%, una percentuale che fa pensare a una loro condizione quasi residuale). La classifica cambia nel caso delle classi/sezioni e degli allievi: nel primo, le scuole dell’infanzia mantengono il primato, ma la percentuale si abbassa (58%), mentre guadagna soprattutto la primaria, che sale al 24,1% e un poco anche la secondaria di 2° grado (10,5%) e quella di 1° (9,6%); l’andamento è simile anche nel secondo caso dove l’infanzia si situa al 58%, la primaria al 23,5%, la secondaria di 1° grado al 10,3% e quella di 2° all’8,2%, ma il dato più negativo per gli studenti è la diminuzione che il totale subisce del 2,2% nel biennio considerato, nonostante l’aggiunta del Trentino.
Riguardo alle dimensioni, il trend che ne evidenzia la caratteristica di essere piccole, trova un’ulteriore conferma quest’anno: le primarie presentano una media di 131,1 alunni per scuola, le secondarie di 1° grado 110,3, quelle di 2° 79,3 e le l’infanzia 57,9. Preoccupa il 2° grado in cui il dato di 79,3 si traduce in classi di 16,2 studenti mentre gli alti ordini e gradi si collocano al di sopra di 20. Se, poi, si fa riferimento al numero delle classi per scuola, emergono questi andamenti: nel caso dell’infanzia si riscontra una media inferiore a tre sezioni (2,7), ma tale livello include spesso una sezione eterogenea, che è formata da alunni di varie età; nelle secondarie di 2° grado la media è di 4,9 classi per scuola, un dato che fa emergere una tendenza preoccupante, e cioè che non tutte le scuole dispongono del numero normale di classi e soprattutto che vengono a mancare le prime con il conseguente pericolo di non raggiungere il numero di cinque, un andamento che costituisce l’anticamera della chiusura delle relative scuole; più positivi sono i dati delle primarie con 6,5 classi per scuola e delle secondarie di 1° grado con 5,2.
Passando ad alcune categorie significative di alunni, il numero dei disabili aumenta in paragone con l’anno passato sia in valori assoluti (+657) che in percentuali (+0,2%). La tendenza alla crescita è riconoscibile nelle scuole dell’infanzia, nelle primarie e nelle secondarie di 1° grado, mentre in quelle di 2° grado si registra una diminuzione di -97. Inoltre, aumenta di 940 unità il numero degli alunni con cittadinanza non italiana che crescono dello 0,2%. Tale andamento è riscontrabile in varia misura in tutti gli ordini e gradi.
Quanto gli insegnanti, non disponiamo di un numero preciso perché parecchie scuole (soprattutto dell’infanzia) non hanno indicato la cifra; tuttavia, il dato di 55.000 viene considerato molto vicino alla situazione attuale. Rispetto al 2017-18 si riscontra una riduzione di 320; inoltre, sempre in negativo va segnalato che una quota consistente è impiegata a tempo parziale.
Del personale non docente bisogna precisare subito, come negli altri anni, che essi vengono conteggiati per funzione per cui non mancano casi in cui ne esercitano più di una. La quota più numerosa è costituita dal personale di vigilanza e di pulizia che registra nel biennio una diminuzione di 368. Al secondo posto si colloca il personale di segreteria che si caratterizza per una perdita di soli 43 nel biennio. Da ultimo, il personale di cucina registra una diminuzione di soli 45, allineandosi a quello segreteria.
Quanto al sottosistema dell’Istruzione e Formazione Professionale (IeFP), che costituisce una parte integrante del sistema di scuola cattolica, non è possibile presentare i dati dell’anno perché mancano, per cui ci si limiterà a indicare le dinamiche principali in atto. Esse possono essere identificate nelle seguenti: l’attuazione della revisione dei percorsi dell’Istruzione Professionale (IP), introdotta con il Decreto Legislativo n. 61/2017, in raccordo con quelli dell’IeFP per renderla più professionale, specialistica e attenta agli sbocchi lavorativi; la regolazione dei passaggi tra l’IP e la IeFP, realizzata con un accordo in sede di Conferenza Permanente Stato-Regioni; la diminuzione degli allievi del triennio della IeFP e la crescita degli iscritti al quarto anno di diploma, sempre della IeFP; l’avvio della sperimentazione del duale; l’aggiornamento dell’impianto metodologico dei contenuti dell’offerta dell’IeFP.
Nel complesso si può dire che il sistema di scuola cattolica e il sottosistema dell’IeFP di ispirazione cristiana evidenziano importanti dinamiche positive. La personalizzazione testimonia la qualità di ambedue i settori. Sul piano quantitativo, la IeFP risulta in crescita, nonostante una parità con l’IP che è sempre parziale, mentre la scuola cattolica registra una riduzione che va attribuita al mancato riconoscimento di una effettiva libertà di educazione nel nostro Paese. Pertanto, nei due settori le dinamiche dal basso sono senz’altro valide ed efficaci, ma la mancanza di un sostegno pieno dall’alto e dal centro non consente ad entrambi di esplicare tutte le potenzialità di cui dispongono.


NOTE

[1] Professore Emerito di Sociologia dell’Educazione dell’Università Pontificia Salesiana.
[2] Cfr. Toso M., Cattolici e politica in un tempo di cambiamento epocale. Prefazione di Stefano Zamagni e Postfazione di Vittorio Possenti, Roma, Società Cooperativa Sociale Frate Jacopa, 3° edizione, 2019, pp. 200.
[3] Toso M, o.c., pp. 42-43.
[4] Toso M., o.c., p. 76.
[5] Toso M., o.c., pp. 80-81.
[6] Toso M., o.c., p. 83.
[7] Toso M., o.c., p. 123.
[8] Toso M., o.c., p. 139.
[9] Cfr. Cssc-Centro Studi per la Scuola Cattolica, Personalizzazione e Curricolo. Scuola Cattolica in Italia. Ventunesimo Rapporto, 2019, Brescia, Scholé/Editrice Morcelliana, 2018, pp. 282.
[10] Pellerey M., Le competenze quale strumento didattico nella prospettiva della personalizzazione, Cssc-Centro Studi per la Scuola Cattolica, o. c., pp. 48-49.