Il metodo educativo di don Bosco (libro "Scommettiamo nell'educazione)

CSPG, Scommettiamo nell'educazione, Elledici 1988

 

Il metodo educativo di don Bosco
Giovani Battista Bosco
(pp. 19-31)

«Due sono i sistemi in ogni tempo usati nella educazione della gioventù: Preventivo e Repressivo». Così don Bosco si introduce a descrivere il suo sistema educativo. «Dirò adunque, continua, in che cosa consista il Sistema Preventivo, e perché debbasi preferire: sua pratica applicazione, e suoi vantaggi».
Ma nonostante queste espressioni programmatiche, don Bosco non ha lasciato alcun trattato sul suo pensiero pedagogico. Ciò che abbiamo a disposizione sono scarne paginette, dal titolo «Il sistema preventivo», scritte nella primavera del 1877, e perlopiù come semplice «appendice» ad un discorso di inaugurazione. Del resto è l'autore stesso a dichiarare: «Più volte fui richiesto di esprimere verbalmente o per iscritto alcuni pensieri intorno al così detto sistema preventivo, che si suole usare nelle nostre case. Per mancanza di tempo non ho potuto finora appagare questo desiderio, e presentemente ne do qui un cenno, che spero sia come l'indice di quanto ho in animo di pubblicare in una operetta appositamente preparata». «Operetta» che purtroppo non sarà mai realizzata.
E tuttavia, la provvisorietà della stesura e l'imprevedibilità della esposizione (brevissimi appunti stilati per la circostanza) non consentono di ipotizzare una «improvvisazione» di don Bosco.
«La sicurezza e la lucidità del dettato, esito abituale del suo difficoltoso processo di composizione, suppongono esperienze e idee lentamente maturate e infine presentate quasi con spontanea naturalezza su un terreno già da lungo tempo coltivato in unità d'intenti e di metodi con i discepoli-collaboratori» (P. Braido).
D'altra parte la stesura è situata nel tempo (1877), e cioè verso la piena maturità della prassi educativa di don Bosco: essa è senza dubbio il frutto manifesto della sua ricca esperienza di educatore, e non codifica semplicemente passeggere intuizioni pedagogiche.

UN SISTEMA CHE È STILE EDUCATIVO

Eppure in una visione complessiva della figura di questo grande educatore si coglie con immediatezza che la sua avventura educativa va ben oltre qualsiasi discorso sul metodo.
La sua esperienza non si lascia costringere in un sistema né a un insieme di interventi senza coerenza.
Don Bosco procede sempre garantendosi libertà di movimento, anche se si riferisce costantemente ad 'un sistema che organizza in convergenza armonica molteplici istanze educative. Egli si rivela un paziente tessitore di esperienze di vita, andando sempre avanti «come il Signore lo ispirava e come le circostanze esigevano». E tuttavia realizza nella prassi una geniale sintesi organica, che chiama «Sistema preventivo». Così la sua esperienza pedagogica «costituisce globalmente uno stile, un'opera realizzata e riflessa, prolungata nel tempo e nello spazio, con precisi contenuti, una struttura, una forma, un'ispirazione unitaria, esigenze permanenti, facilmente identificabili. È un'esperienza, una espressione d'arte educativa, fusa con la persona di chi l'ha vissuta, don Bosco, e della comunità di educatori a cui egli l'ha prima vitalmente comunicata e poi riflessamente trasmessa».
È noto peraltro che il sistema di don Bosco non è nuovo in quanto sistema: né come sistema generale di idee e principi direttivi, né come sistema pratico di orientamenti e procedimenti metodologici. Esso è nuovo e originale per lo stile peculiare in cui tutto l'insieme è rivissuto e praticato da don Bosco. Del tutto «inconfondibile» è «il suo stile, che è lo stile dell'artista-educatore, il quale su canoni diffusi e comuni sa creare il capolavoro che è suo, esclusivamente» (P. Braido).
Il metodo di don Bosco è principalmente la sua persona, ed è tanto legato alla vita di chi l'ha ideato e realizzato in modo così originale, da giustificare di essere denominato «il sistema di don Bosco» (P. Ricaldone).
Ed allora «prima di essere precetto, storia, e in qualche modo sistema, la pedagogia di don Bosco è vita vissuta, proposta esemplare, trasparenza personale». Ogni esposizione organica della sua visione pedagogica acquista rilievo e significato soltanto se viene continuamente riferita a questa sorgente vivace e limpida, che è la sua vita.
Anche oggi, al di là delle esigenze celebrative di un centenario, don Bosco si impone in tutta la sua attualità attraente, e il suo sistema educativo suscita tra i più sensibili rinnovato interesse.
Umberto Eco parla ad alta voce della «grande rivoluzione» di don Bosco. «Don Bosco la inventa e poi la esporta - scrive sull'Espresso (1984) - verso - la rete delle parrocchie e l'Azione cattolica, ma il nucleo è là, quando questo
geniale riformatore intravede che la società industriale richiede nuovi modi di aggregazione... e inventa l'Oratorio salesiano: una macchina perfetta in cui ogni canale di comunicazione, dal gioco alla musica, dal teatro alla stampa e via dicendo, è gestito in proprio e riutilizzato e discusso quando la comunicazione arriva da fuori». È la genialità di un educatore che si fa proposta per tutti: prescrive ai suoi frequentatori un codice morale e religioso, ma poi accoglie anche chi non lo segue; e diviene educazione popolare.
E più in là nel tempo (1920), un noto pedagogista laico, G. Lombardo Radice, scrive: «Don Bosco! Era un grande, che dovreste cercare di conoscere. Nell'ambito della Chiesa.., seppe creare un importante movimento di educazione, ridando alla Chiesa il contatto con le masse, che essa era venuta perdendo. Per noi che siamo fuori dalla Chiesa e di ogni chiesa, egli è pure un eroe, l'eroe della educazione preventiva e della scuola-famiglia. I suoi prosecutori possono esserne orgogliosi».
Ed infine P. Duvallet, apostolo della rieducazione dei giovani (1960), rivolgendo un significativo appello ai salesiani, esclama: «Voi avete opere, collegi, oratori, e case per giovani, ma non avete che un solo tesoro: la pedagogia di don Bosco. In un mondo in cui i ragazzi sono traditi, disseccati, triturati, strumentalizzati, psicanalizzati, il Signore vi ha affidato una pedagogia in cui trionfa il rispetto del ragazzo, della sua grandezza e della sua fragilità, della sua dignità di figlio di Dio. Conservatela, rinnovatela, rinvigoritela, arricchitela di tutte le scoperte moderne, adattatela a queste creature del ventesimo secolo, ai loro drammi che don Bosco non ha potuto conoscere. Ma per carità conservatela! Cambiate tutto; perdete se è il caso le vostre case, ma conservate questo tesoro, costruendo in migliaia di cuori la maniera di amare e di salvare i ragazzi che è l'eredità di don Bosco».
Dichiarazioni di diversa provenienza, che richiamano alla duratura validità del sistema educativo di don Bosco.

LE PROPOSTE FONDAMENTALI DEL METODO EDUCATIVO

Sono noti un po' ovunque gli elementi nodali dello stile educativo di don Bosco e spesso anche la stessa terminologia.
Questi punti-chiave si polarizzano attorno ad un trinomio: ragione, religione e amorevolezza. «Questo sistema - scrive don Bosco - si appoggia tutto sopra la ragione, la religione, e sopra l'amorevolezza».
Nella sua concezione l'azione educativa si deve esplicare in stile di famiglia, che fa dell'ambiente una «casa» che accoglie e un «cortile» per incon-
trarsi da amici, e i cui rapporti sono improntati al metodo della bontà. «Gli educatori - continua - come padri amorosi parlino, servano di guida ad ogni evento, diano consigli ed amorevolmente correggano». «Non voglio - esortava don Bosco - che mi consideriate tanto come vostro superiore, quanto come vostro amico». Il clima che si respira nell'ambiente è quello della spontaneità e dell'allegria giovanili: «Si dia ampia libertà di saltare, correre, schiamazzare a piacimento. La ginnastica, la musica, la declamazione, il teatrino, le passeggiate sono mezzi efficacissimi per ottenere la disciplina, giovare alla moralità ed alla sanità».
Cionondimeno le richieste d'ambiente sono impegnative: esso è «scuola» che avvia alla vita. Lo studio e il lavoro sono visti come la concreta attuazione della propria vocazione e doveroso contributo al vivere sociale. Sollecito nei problemi del lavoro, don Bosco sigla il primo contratto a difesa dei suoi ragazzi e istituisce le scuole d'arti e mestieri per prepararli professionalmente e civilmente.
La religione in tale contesto potrebbe essere pensata un sovrappiù. Ma don Bosco la pone a fondamento del suo «edifizio educativo»: essa motiva e ispira tutta la realtà; «Senza la religione non è possibile una completa educazione». La prospettiva della salvezza religiosa è dominante nel pensiero di don Bosco.
Egli amava riassumere la sua proposta educativa in semplici formule, dense di contenuto: «allegria, studio, pietà»; «sanità, sapienza, santità», che tradotte in linguaggio odierno possono suonare «promozione integrale», «educazione liberatrice cristiana». Don Bosco traccia una sintesi spirituale semplicissima e alla portata di tutti: «Dovunque siate mostratevi sempre buoni cristiani e uomini probi».

Una memoria che impegna alla ricerca per l'oggi

Tale breve rievocazione invoca però l'impegno di ricerca per l'oggi e stimola a rinnovate prospettive.
La vita sociale odierna è radicalmente cambiata: stiamo vivendo un momento di trapasso culturale, del tutto nuova appare la condizione in cui si trova la gioventù, le scienze dell'educazione hanno aperto nuovi orizzonti... Urge che la saggezza pedagogica di autentici educatori venga riproposta come punto di riferimento carico di messaggi.
La questione educativa incalza, soprattutto se consideriamo la disattenzione generale odierna, dove vecchie tradizioni hanno fatto il loro corso e il disagio giovanile è profondo. Assistiamo, spesso impotenti, allo svilimento della funzione educativa, dove l'autoritarismo non paga, lo spontaneismo non dà garanzie, il permissivismo non assicura libertà di comportamento, e dove il pluralismo di proposte e di modelli non esenta da sottili persuasioni occulte. Soprattutto l'esigenza di recuperare da esperienze mortificanti spinge sempre più alla scelta di impegnarsi a tempo pieno per prevenire.
Il sistema di don Bosco risuona anzitutto come un forte appello al senso critico nei confronti delle mode del momento, per rifarsi alle cose che contano.
Il disagio odierno chiama in causa l'istanza di «educazione preventiva», ossia l'impegno a progettare l'avventura della vita come intreccio di vicende che hanno dignità e sanno vincere il tempo.
Essa rappresenta una reinterpretazione originale dell'azione educativa, che si fa proposta di metodo per gli educatori.

Essere educatore è una scelta di vita

In don Bosco una convinzione è incrollabile: educare è impegno di vita. «Forse mai come oggi, il mondo ha bisogno di individui, di famiglie e di comunità che facciano dell'educazione la propria ragion d'essere e ad essa si dedichino come a finalità prioritaria alla quale donano senza riserve le loro energie... Essere educatore oggi comporta una vera e propria scelta di vita» (Giovanni Paolo II).
Nella vita di don Bosco si è colpiti immediatamente dal legame vitale che la unisce ai giovani. Egli sente in modo appassionato la missione verso di loro. La gioventù è l'asse portante di tutta la sua azione. Si potrebbe dire che essa rappresenta addirittura il suo modo di esistere: senza giovani infatti non può essere immaginato don Bosco. Il suo impegno educativo coincide con la sua intera esistenza, dal sogno dei nove anni sino alla vecchiaia. «Ho promesso a Dio - ripeteva - che fin l'ultimo mio respiro sarebbe stato per i miei poveri giovani». E confessava loro in schietta semplicità: «Io per voi studio, per voi lavoro, per voi vivo, per voi sono disposto anche a dare la vita». La sua scelta è inequivocabile: educare la gioventù, scrive, formava il mio più vivo desiderio, sembrava l'unica cosa che dovevo fare sulla terra». Richiesto per altri impegni pastorali, non esita a rispondere: «La mia vita è consacrata al bene della gioventù. Non posso allontanarmi dalla via che la divina Provvidenza mi ha tracciato». Persino sul letto di morte i giovani sono l'oggetto della sua sollecitudine: «Di' ai giovani che li attendo tutti in paradiso».
Una radicata persuasione domina dunque la vita di don Bosco: spendersi per compiere una missione che gli è del tutto singolare, la salvezza della gioventù.
La politica di don Bosco sta appunto in questo: «La civile istruzione, la morale educazione della gioventù o abbandonata o pericolante, per sottrarla all'ozio, al mal fare, al disordine e forse anche alla prigione. Ecco a che mira la nostra opera; tiriamo avanti domandando solo che ci lascino fare del bene alla povera gioventù e salvare le anime. Se si vuole, è questa la nostra politica».
L'educazione non può essere ipotizzata, oggi meno che mai, senza impegno in prima persona, senza essere disposti a investire energie e potenzialità nell'azione educativa. Educare richiede piena responsabilità. Non si educa, né si può educare procedendo con la cadenza dell'impegno a intervalli o di parentesi. Ci si trova di fronte all'uomo in crescita, al suo mistero; e ciò è una continua sfida. Il crescere in dignità, il promuovere la «maestà» dell'uomo (Carlo Bo) è un compito dunque impegnativo, che richiede massima intenzionalità e chiara consapevolezza.
Ma come attuare in concreto il proprio compito educativo? Come può essere incarnato nella prassi quotidiana?

Il centro propulsore del metodo: l'amorevolezza

Don Bosco stesso rivela il «segreto» del suo metodo: «Semplicissimo: lasciare ai giovani piena libertà di fare le cose che loro maggiormente aggradano. Il punto sta di scoprire in essi i germi delle loro buone disposizioni e procurare di svilupparli. E poiché ognuno fa con piacere soltanto quello che sa di poter fare, io mi regolo con questo principio e i miei allievi lavorano tutti non solo con attività, ma con amore».
Ed è proprio così! Don Bosco non si propone di educare con metodi speciali o con sofisticate strumentazioni, anche se non li esclude. Il nucleo centrale del suo sistema consiste nell'eccezionale e umanissima capacità di intuire l'animo giovanile, e nella fiducia sincera e reale nelle molteplici risorse di cui il giovane è portatore. La sua abilità educativa non scaturisce da facile giovanilismo, non è costruita su rapporti calcolati. Essa sgorga invece da una straordinaria esplosione di valori umani e cristiani in grado di suscitare il gusto e la gioia del vivere autentico e totale.
Il centro propulsore dell'azione educativa secondo Don Bosco sta nell'amore, o come lui gradiva definirlo, «amorevolezza», che è l'anima del sistema preventivo, il principio del suo metodo. Don Bosco educa con il sistema della bontà o, per dire meglio, con la «bontà eretta a sistema». E bontà vuol dire un amore che sa farsi amare, un amore che suscita amore, un amore dimostrato che libera e salva, esso è la forma visibile e pratica dell'ideale supremo della carità, che prende il volto di bontà educativa. «Che cosa ci vuole dunque? Che i giovani non solo siano amati, ma che essi stessi conoscano di essere amati». Per don Bosco infatti: «l'educazione è cosa del cuo- re; tutto il lavoro parte di qui, e se il cuore non c'è, il lavoro è difficile e l'esito incerto» (A. Caviglia).
L'azione educativa del resto non è una semplice questione di strumenti odi tecniche. Soprattutto un mondo come il nostro, che «trasforma le virtù in prestazioni e gli ideali in servizi» (Alberoni), necessita di un «supplemento d'anima».
L'educatore può essere attrezzato dei migliori metodi e possedere una fine abilità comunicativa e conoscere a fondo le dinamiche della maturazione umana, ma se è privo di «cuore educativo», se in lui fallisce lo slancio dello spirito, vani saranno i suoi sforzi. Poiché educare in definitiva è incontrare il mistero dell'uomo.
L'anima del metodo di don Bosco è «un amore che si dona gratuitamente, attingendo alla carità di Dio» (Costituzione dei Salesiani, 20).
«La pratica del sistema preventivo - si legge nel suo trattatello - è tutta appoggiata sopra la parola di Paolo che dice “Charitas benigna est, patiens est”». Predilezione, benevolenza, amorevolezza sono espressioni che scaturiscono dalla carità. È la bontà paterna di Dio che guida don Bosco nel suo lavoro, è l'amore attento e gratuito del buon Pastore che anima la sua vita.
Eppure il suo è anche amore esigente. Non c'è amore senza sacrificio, senza impegno. Esso va nella direzione «di consacrare ogni fatica», «di adoperarsi per fare buoni cittadini». È la richiesta di disponibilità, di quella disponibilità interiore che supera ogni passione egoistica e diventa una via che conduce al cuore del giovane, favorendo un cammino di autenticità di vita.
A don Bosco interessa soprattutto giungere al cuore, «guadagnare il cuore», farsi amici i giovani, per rompere così quella «fatale barriera di diffidenza e sottentri a questa la confidenza filiale». E per arrivare al cuore tutto deve essere sopportato; ogni sforzo deve essere convogliato lì.
Don Bosco riconosce che la carità di Dio è fonte di bontà, modello nell'azione e guida nel condurre al cuore.
«Ricordatevi che l'educazione è cosa del cuore, e che solo Dio ne è il padrone, e noi non riusciremo a cosa alcuna se Dio non ce ne insegna l'arte e non ce ne dà in mano le chiavi».
Per questo l'educatore può essere sempre pieno di speranza, anche nei casi difficili: «In ogni giovane, anche il più disgraziato, havvi un punto accessibile al bene: dovere primo dell'educatore è cercare questo punto, questa corda sensibile e trarne profitto».

Comunicare per una prospettiva: la «salvezza»

Comunicare in modo educativo è essenziale nell'azione tra i giovani. Oggi si fatica a stabilire relazioni, nonostante il moltiplicarsi delle comunicazioni e informazioni. L'incomunicabilità è una delle principali patologie odierne. Eppure non basta parlare per creare rapporti educativi, ancor peggio se tutto tace attorno. Occorre stabilire relazioni che comunicano esperienze di vita.
Il sistema preventivo cerca il dialogo, che non è facilmente attuabile senza un adeguato contesto, un clima di accoglienza serena. Certo: anche senza volerlo, noi comunichiamo comunque, viviamo in un tessuto di rapporti interpersonali che plasmano la personalità. Tante convinzioni si assorbono nell'ambiente carico di messaggi. E spesso le cose più importanti si comprendono senza dirle, ma intuendole nella fiducia vicendevole.
Eppure stabilire il dialogo è fondamentale: esso avviene tra interlocutori che possiedono esperienze differenti. E la diversità crea scambio. Oggi abbiamo capito come educatori che l'eliminazione delle distanze è un falso, è solo giocare ad essere giovani. È una truffa educativa comunicare «come se», non presentando se stessi. I conflitti e le frustrazioni possono essere terreno di crescita, come le gratificazioni incoraggiano il cammino. Un vero educatore non può che presentare se stesso, il suo volto. Egli non può narrare che la propria storia, anche se sa che fare educazione non è ripetizione schematica e dottrinale, ma comunicare in modo originale, leggere la propria realtà in novità di vita.
Ma perché comunicare, dialogare, mettersi in relazione? per che cosa? La comunicazione educativa possiede intrinsecamente una finalità. Le esperienze che si fanno messaggio si traducono necessariamente in prospettive di vita.
Don Bosco si rende amico dei giovani per avvicinarli a Dio, ne guadagna il cuore per il Signore. A questo unico scopo si vota la sua instancabile operosità e inventiva. Ne dà convincente attestazione il primo successore, don Michele Rua: «Il nostro Padre non diede passo, non pronunciò parola, non mise mano ad impresa che non avesse di mira la salvezza della gioventù». Del resto don Bosco stesso giungeva a dichiarare che «nelle cose che tornano a vantaggio della pericolante gioventù (o servono a guadagnare anime a Dio), io corro avanti fino alla temerità».
La volontà di bene, di salvezza è la motivazione che lo guida: «La mia affezione è fondata sul desiderio che ho di salvare le vostre anime, che furono tutte redente dal sangue di Gesù Cristo; e voi mi amate perché cerco di condurvi per la strada della salvezza eterna. Dunque il bene delle nostre anime è il fondamento della nostra affezione». Del resto il giovane «capisce da ciò chi gli vuole veramente bene», «se si entra a parlargli dei suoi interessi eterni».
Tutta la sua azione è orientata a fare spazio al piano di Dio. «Don Bosco - ha asserito con vigore - è il più gran buonuomo che vi sia sulla terra; rovinate, rompete, fate biricchinate, saprà compatirvi; ma non state a rovinar le anime, perché allora diventa inesorabile». A tal fine egli era «sempre in mezzo ai giovani». La sua è presenza propositiva. «Aggiravasi qua e là, si accostava or all'uno, or all'altro, e, senza che se ne avvedessero, li interrogava per conoscerne l'indole ed i bisogni. Parlava con confidenza a questo e a quello; fermavasi a consolare o a far stare allegri con qualche lepidezza i malinconici». La sua è una presenza amichevole e personale, libera e coinvolgente, carica di messaggi e di( valori.
Si tratta di costruire insieme un cammino di crescita comune, da condividere. L'educatore non è la persona perfetta, colui che non sbaglia mai. Ma la testimonianza di vita rimane sempre un capitolo nevralgico. Don Bosco parlava di buon esempio, della sua forza attraente. Peraltro il fascino della testimonianza è sotto gli occhi di tutti. «L'uomo contemporaneo ascolta più volentieri i testimoni che i maestri; e se ascolta i maestri lo fa perché sono dei testimoni» (EN 41).

Il progetto di vita: onesti cittadini e buoni cristiani

Se si intende davvero educare, non si può evitare di indicare con verità la strada da percorrere. Don Bosco la esprime con una formula assai semplice; vivere da onesti cittadini e buoni cristiani.
La religione è nella prospettiva del progetto. A riguardo egli asseriva con convinzione: «Io ritengo che senza religione non si possa fare nulla di buono tra i giovani... Il giovane del resto ama più che altri non creda che si entri a parlargli dei suoi interessi eterni e capisce da ciò che gli vuol veramente bene».
Il pensiero don Bosco è inequivoco. Il suo progetto risulta senza dubbio contrassegnato da un cammino educativo orientato alla persona di Cristo, l'uomo perfetto.
E tuttavia don Bosco interpreta il progetto in modo del tutto originale. Offre una sua formulazione che rimane storica: diventare «onesto cittadino nella società civile, buon cristiano nella chiesa e un giorno fortunato abitatore del cielo».
Egli dichiara così l'interesse per la totalità della vita giovane e al contempo include il primato della salvezza religiosa, che senza dubbio è preminente.
E tuttavia don Bosco considera il giovane nella sua vocazione totale, agisce per la promozione integrale della persona, senza disgreganti riduzionismi o unilateralità deformanti.
Questo è un punto cruciale della educazione odierna. Si avverte con sempre maggiore evidenza che occorre passare da una società dell'uomo-prassi alla cultura dell'uomo totale.
Si tratta pertanto di educare ad essere di più come uomini, di considerare «il volume totale dell'uomo» (Mounier) per farlo crescere pienamente uomo, veramente uomo, nella pienezza dell'uomo nuovo. «Chi segue Cristo l'uomo perfetto, si fa lui pure più uomo» (GS).
Don Bosco è attento a tutti gli spazi di vita del giovane.
«La sua sollecitudine di evangelizzare i giovani non si riduce alla sola catechesi, o alla sola liturgia, o agli atti religiosi comunque, ma spazia in tutto il vasto settore della condizione giovanile. Essa si situa all'interno del processo di formazione umana, consapevole delle deficienze, ma anche ottimista circa la progressiva maturazione. Egli è convinto che la parola del Vangelo deve essere seminata nella realtà del vivere quotidiano per portare i giovani ad impegnarsi generosamente nella vita. Il messaggio evangelico li accompagna lungo il processo educativo e la fede diviene elemento che unifica e illumina la loro personalità» (Giovanni Paolo II). La percezione della meta ultima deve essere chiara, per non rischiare di perseguire imperativi apparenti, ma il cammino educativo si immerge nella storia con i suoi problemi e le sue speranze. La visione educativa integrale di don Bosco reclama grande attenzione all'uomo «storico», «quotidiano» (Giovanni Paolo II).
Don Bosco sa che il ragazzo è ragazzo, che la sua esperienza più viva è la gioia, la libertà, il gioco, la società dell'allegria.
Il suo metodo richiede massima attenzione alle sensibilità dei giovani e alle loro potenzialità. Aperto a tutte le loro esigenze più autentiche, don Bosco intende promuoverle per essere all'avanguardia del progresso nella edificazione di una civiltà dell'amore. Sostenuto da una fiducia inesauribile nelle possibilità dei giovani e da una fede radicale nel Dio che opera salvezza, egli educa con una speranza incrollabile in cuore, che si fa convinzione educativa: Dio è presente e opera nella vita di ogni giorno.
Don Bosco sa che la religione non può essere presentata con l'autorità dei princìpi: conosceva l'inefficacia di questo metodo. Solo l'autorevolezza della persona credibile, che ispira fiducia, che si accosta con la forza della motivazione ragionevole, conquista. Solo percorrendo le vie della persuasione paziente e del dialogo amichevole, si può far breccia nel cuore del giovane per portarlo a Dio. Naturalmente don Bosco è più che consapevole della fragilità dell'animo giovanile. E tuttavia non intraprende scorciatoie, si incammina sul sentiero paziente della ragione. «Lasciati guidare sempre dalla ragione e non dalla passione». Per tal motivo il sistema di don Bosco è scevro di complicazioni e formalismi, di enfasi pedagogiche e di esagerazioni. Esso si presenta ragionevole e accessibile a tutti: si tratta di costruirsi come onesti cittadini e buoni cristiani.

L'AMBIENTE EDUCATIVO: UNA RETE DI RAPPORTI IN STILE COLLABORATIVO E SOLIDALE

Nel suo trattatello don Bosco non parla di «famiglia», eppure il suo stile ne fa continuo riferimento, anzi rappresenta il punto d'incontro di molteplici sue istanze. Il modello «familiale» sta sullo sfondo del sistema preventivo.
Riferirsi oggi all'emblema «famiglia», fa sentire a disagio: è inevitabile avvertire che ci si muove come su sabbie mobili. Ma se da una parte si è consapevoli della mutevolezza della sua immagine (si pensi al tipo di rapporti nella famiglia patriarcale e nucleare..., o al significato sociale di essa nella estensione o restrizione dei suoi compiti nei diversi contesti socio-culturali); dall'altra si può affermare tuttavia che rimane una realtà relativamente stabile, come cellula del tessuto sociale (in essa si radica la struttura di base della personalità e si viene acculturati).
Ora il sistema preventivo presenta tratti caratteristici di tipo familiale. Scrive P. Braido: «Il metodo di don Bosco ha il suo perno nel concetto e nella realtà della famiglia, raccolta attorno al direttore, che ne è capo e padre, avvolta da un'atmosfera di serio impegno nel lavoro e nello studio, strutturata in rapporti semplici e immediati.
Questa impostazione educativa di orientamento familiale è tipica di don Bosco e delle sue istituzioni, tanto che la scuola di don Bosco è stata definita «la scuola-famiglia» (G. Lombardo-Radice).
Una cosa è assolutamente chiara in don Bosco: che l'educazione è opera efficace dell'ambiente ed essa si realizza con più naturalezza là dove sussiste un sistema relazionale familiare.
Nelle sue realizzazioni concrete e nei suoi scritti pedagogici si coglie quanto ciò gli stesse molto a cuore. Egli si preoccupa di costruire con i giovani un ambiente «accogliente e aperto»: così l'oratorio di Valdocco doveva essere una «casa», ossia una famiglia, e non un collegio. Il clima e lo stile di vita familiare sono programmatici.
Sintomatiche sono poi le prese di posizione di don Bosco: il direttore e gli educatori devono parlare con i giovanetti «come buoni padri»; l'educatore si presenti come padre e dichiaratamente come amico».
Ovviamente il concetto di «famiglia» si allarga e si specifica: per educare necessitano rapporti primari, si esige l'incontro tra persone.
Nel sistema preventivo il valore delle relazioni personali, oggi così sentito tra i giovani, è riconosciuto in pieno.
Il formalismo di certe istituzioni anomizza le persone e promuove solitudine. Un ambiente educativo realmente tale pone al centro del suo sistema di rapporti il giovane e ne valorizza le potenzialità espressive e partecipative. Senza condivisione e collaborazione non esiste possibilità autentica di educazione. Il processo di crescita infatti deve condurre all'assunzione di responsabilità autonome e alla attuazione di libere scelte di vita. La comunità per don Bosco è ambiente aperto dove si costruisce un tessuto di relazioni interpersonali riconosciuti, accolti e valorizzati.
L'ambiente educativo non è un assemblaggio di iniziative o un cumulo di attività, ma condivisione di obiettivi e di programmi. I giovani non sono dei semplici fruitori di iniziative. Il loro partecipare al processo educativo è essenziale, dà il ritmo all'ambiente, costruisce il volto dell'insieme. E infine l'ambiente per il sistema preventivo non è un coagulo di interessi, i più vari e disparati, ma aggregazione di persone che compiono un cammino comune. Il proposito di crescere insieme in maturità umana e cristiana non è secondario, anzi qualifica il cammino comune. Esso diviene anche generatore di movimento che aggrega per influire sulla comunità più ampia in cui si sente pienamente inserito e partecipe.

L'EDUCAZIONE È FONTE DI RINNOVAMENTO CULTURALE E SOCIALE

Sappiamo di vivere oggi in una situazione di perdurante crisi, drammatica e complessa. Al centro della trama di relazioni interpersonali e istituzionali che lo condizionano, vi è l'uomo, la gioventù. Si invoca spesso qualcosa che gli possa restituire tutta la sua vitalità e responsabilità. Ma che è questo qualcosa?
Educare»: risponde don Bosco. L'educazione è per lui fonte di rinnovamento sociale e culturale, una risposta ai bisogni di sempre della comunità *degli uomini.
In effetti nella sua azione sociale don Bosco compie una scelta determinante per la sua vita e intraprende una via decisiva per la rigenerazione della gioventù: l'educazione.
Le «esigenze» del momento storico avrebbero potuto condurlo su strade ben diverse, peraltro anche legittime. Ma la sua risposta ispirata dall'alto, si pone in modo originale tra quanto propende per il «politico», ossia per la partecipazione diretta alla riforma della società, e l'impegno che gravita quasi totalmente sul «catechistico», considerando il resto come attrattiva aggiunta.
Don Bosco intraprende invece la via educativa e ne comprende tutta la portata sociale e il peso culturale. Egli comprende che «l'uomo spiritualmente maturo, cioè l'uomo pienamente educato, l'uomo capace di educare se stesso e di educare gli altri» (Giovanni Paolo II) è una meritevole opera sociale e costituisce un compito culturale di fondamentale e primaria importanza.
Eppure il «mistero» don Bosco non si spiega solo così. Don Bosco ha vissuto la sua passione educativa per la felicità dei giovani, come apostolo della gioventù, in risposta ad unà missione ricevuta.
Il «segreto» esplicatore sta propriamente lì: la sua non è semplicemente sensibilità di filantropo o ricercata genialità di educatore. Don Bosco si è sentito un inviato. «La persuasione di essere stato sotto una pressione singolare del divino domina la vita di don Bosco, sta alla radice delle sue rivoluzioni più audaci... La fede di essere strumento del Signore per una missione singolarissima fu in lui profonda e salda... Ciò fondava in lui l'atteggiamento caratteristico... del profeta che non può sottrarsi ai voleri divini» (P. Stella).
Così l'educatore santo «inviato fedele», aderì al progetto di Dio su di lui: servire i giovani rendendo trasparente per loro la bontà paterna di Dio, essere «segno e portatore dell'amore di Dio» per loro (Costituzioni dei Salesiani, 2).
Tale era la sua convinzione, di compiere la cosa più santa del mondo, tanto da esortare altri a seguirlo: «Volete fare una cosa buona? Educate la gioventù. Volete fare una cosa divina? Educate la gioventù. Anzi questa, tra le cose divine, è divinissima».
Il sistema di don Bosco non si ispira a uno schema ideologico, ma si basa su una visione evangelica della vita. Uno spirito di profonda interiorità che si effonde in una sconfinata carità educativa illuminata dalla ragionevolezza, promana dalla sua pedagogia.
Così essa possiede un'ispirazione che coinvolge l'educatore in maniera da caratterizzarne tutta l'esperienza, da dar vita ad una autentica spiritualità dell'azione educativa.
La vasta simpatia suscitata da don Bosco scaturisce certamente dall'aver assunto criteri educativi largamente condivisi. Ma alla radice sta la simpatia per «un cuore educativo», per un sistema, che è la sintesi di quanto don Bosco ha voluto essere a servizio della gioventù.
Non per nulla egli è l'iniziatore di una nuova scuola di spiritualità dell'educazione, ed è giustamente definito «maestro di spiritualità giovanile».