Il pellegrinaggio e i giovani: sette ingredienti per cambiare

Inserito in NPG annata 2017.

I CAMMINI
Una proposta-esperienza per giovani "in via"


Paolo Giulietti


(NPG 2017-02-56)

Un fenomeno in crescita

Le persone che ogni anno si recano a piedi a Santiago de Compostela sono in costante crescita: nel 2016 hanno sfiorato le 300.000 unità, secondo la locale Oficina de peregrinación. I giovani sotto i 30 anni rappresentano circa il 30% del totale. Cifre imponenti, che si ripetono – in scala minore - su una vasta serie di percorsi che negli ultimi vent’anni sono stati riscoperti (o creati) in tutti i paesi d’Europa, Italia in testa. Il fenomeno è di quelli che chiedono prima di tutto di venire compresi, per poter essere valorizzati pastoralmente. C’è infatti il rischio di non coglierne le dinamiche principali e quindi di sprecare delle preziose opportunità, tanto più che si moltiplicano a livello mediatico letture “laiche” o - peggio - esoteriche.
Una parte rilevante dei giovani pellegrini viaggia in gruppo (associazioni, scolaresche, clan scout, oratori…) e percorre tratti di media o ridotta lunghezza, spesso con la guida di figure educative adulte. Per loro è pensata la rubrica cui con questo numero si dà inizio: obiettivo è quello di favorire negli educatori un approccio pastorale maggiormente consapevole, sia in linea generale che in riferimento ai cammini potenzialmente più fecondi dal punto di vista dell’educazione alla fede. Questo primo articolo intende porre alcune coordinate di fondo, mentre quelli successivi offriranno, relativamente alle diverse vie di pellegrinaggio, alcune conoscenze di base e – soprattutto – alcune chiavi di lettura pastorale, anche sulla scorta di esperienze già attuate. Senza pretese di esaustività, l’intero percorso può essere utile a chi decida di scommettere sul pellegrinaggio come opportunità pastorale per adolescenti e giovani.

Un viaggio che si fa per cambiare

Cos’è che distingue il pellegrinaggio da altre modalità di viaggiare? Non il mezzo di locomozione: a piedi vanno anche i trekkers; non l’interesse per la natura o per l’arte, che riguarda molte forme di turismo; non la ricerca del silenzio e della solitudine, praticabile in qualsiasi monastero; non l’essenzialità o l’economicità, caratteristici anche del routard… Probabilmente è l’esistenza di una aspettativa circa l’esito dell’esperienza, che implica sempre la prospettiva di un cambiamento. Ci si fa pellegrini – a partire da qualsiasi genere di motivazione – perché si desidera cambiare.
Il film “In cammino per Santiago”, coglie bene questa dinamica: tutti i protagonisti – ciascuno con le sue motivazioni e convinzioni - sono mossi in fin dei conti da un’aspettativa di cambiamento, e alla fine ciascuno si troverà diverso, anche se magari non come si aspettava. Il desiderio profondo di vivere un’esperienza trasformante (quasi di conversione, “meta-noia”) - costituisce la ragion d’essere del pellegrinaggio.
D’altra parte il santuario, che è la meta del cammino, è un luogo che possiede, in virtù di una qualche manifestazione del divino, qualità e proprietà particolari in ordine a qualche aspetto della vita che si desidera cambiare: una malattia da guarire, un peccato da espiare, una relazione da ricostruire, una circostanza da superare, un voto da sciogliere... Non è detto che accada proprio ciò che uno desidera, ma qualcosa deve e può succedere!

Le dinamiche del cambiamento: sette “ingredienti” irrinunciabili

Come avviene che nel pellegrinaggio si cambi? Quali sono le dinamiche attraverso le quali il desiderio di trasformazione trova la sua realizzazione? Come testimoniano i diari di pellegrinaggio di ieri e di oggi, si tratta di processi che coinvolgono tutte le dimensioni della persona: il corpo, lo spirito e l’anima. In tali dinamiche agisce certamente la grazia, per produrre i frutti spirituali della conversione, ma si tratta di fenomeni squisitamente antropologici, non limitati al pellegrinaggio cristiano.

La prima dinamica è il distacco
Iniziando un cammino si esce dal quotidiano, per entrare in un nuovo rapporto con lo spazio e con il tempo; si assume anche un’identità diversa, quella di pellegrino. Esistono - ieri e oggi - numerosi “riti” che marcano tale passaggio: scrivere il testamento, indossare vesti e oggetti simbolici, accomiatarsi da ciò che è caro. In virtù di questa presa di distanza dal quotidiano, tutta la vita si orienta in modo diverso, tesa al raggiungimento di una meta. Essa non si limita a costituire il punto di arrivo, ma diventa criterio per ogni scelta e per l’organizzazione della giornata.
Ancora oggi mettersi in cammino significa vivere il distacco dalle cose di ogni giorno, rinunciare a oggetti e abitudini ritenuti indispensabili. Si usano indumenti speciali, si indossa lo zaino e si impugna magari un moderno “bordone”; ci si riveste con i simboli del cammino: una conchiglia, una maglietta, una croce, una spilla…
È un processo da ritualizzare con sapienza, magari sottolineandolo con alcune proposte provocatorie – “lasciamo a casa lo smartphone!” - o con la riproposizione di qualche antica forma di investitura.

La seconda dinamica è la fatica
Il disagio, la fatica, l’incertezza… sono componenti strutturali, del pellegrinaggio. Una volta si chiamavano “penitenza”; la sofferenza e l’umiliazione erano accolte come vie di purificazione, di allontanamento delle inclinazioni e delle azioni malvagie, per un autentico rinnovamento interiore. Nel caso dei pellegrinaggi giudiziali (comminati dal giudice) o penitenziali (imposti dal confessore), tale dimensione espiatoria acquisiva valore assolutamente primario.
Anche oggi la fatica del camminare e del vivere scomodamente fa parte del cammino. Il pellegrino sperimenta la propria inadeguatezza e le proprie possibilità; la scoperta sorprendente di potercela fare oppure l’amara consapevolezza del limite sono entrambi importanti fattori di verità: cadono, una dopo l’altra, le maschere. Quasi sempre il raggiungimento della meta viene vissuto come catarsi (il pianto, gli abbracci, la confessione…) proprio perché corona e celebra quello che la fatica ha fatto accadere nel cammino.
Da educatori, bisogna vincere la tentazione di eliminare o attenuare fatica e disagi (senza però rendere il pellegrinaggio un calvario), mentre è importante condividerne la sorprendente risonanza interiore.

La terza dinamica è la solitudine
È forse la componente più moderna del pellegrinaggio; in antico raramente si partiva da soli, poiché la compagnia era un indispensabile aiuto o un’opportuna cornice: alcuni pellegrinaggi fraternali del ‘600 erano addirittura realizzati come solenni processioni, con tanto di banda e stendardi!
La possibilità di godere di spazi solitari e di lunghe pause di silenzio appare oggi come una componente essenziale del cammino. Proprio perché calma e silenzio sono merci rare nella vita frenetica di ogni giorno, vengono particolarmente cercati e apprezzati, come opportunità di “ritorno in se stessi” e laboratorio del percorso spirituale. Chiaramente, tanto più lungo e solitario è il cammino, tante più occasioni si offrono all’interiorità di ciascuno. Nel silenzio si fa spazio anche la meta, il suo potere motivante, il suo carico di desideri, immagini, aspettative…
Quasi sempre i pellegrinaggi dei giovani sono fatti in gruppo e durano pochi giorni. Proprio per questo, il tempo del silenzio e della solitudine va programmato e proposto con attenzione e con la debita gradualità. Perché non dedicarvi ogni giorno la prima ora di cammino?

La quarta dinamica è la compagnia
Si camminava quasi sempre insieme a qualcuno. Il popolo pellegrini viveva di incontri, di conoscenze, di sostegno reciproco. Per questo lungo le vie di pellegrinaggio è potuta maturare un’identità comune: “L’Europa è nata pellegrinando e il suo linguaggio è il cristianesimo” (Goethe).
Ancora oggi il pellegrinaggio regala l’esperienza di una compagnia inedita, unita dal condividere momenti di cammino o di sosta. È un’esperienza singolare di umanità (e di cattolicità), alla quale contribuiscono i non-pellegrini che lungo la strada pongono gesti sorprendenti o supportano il cammino con il loro servizio. Emerge così il costitutivo bisogno dell’altro e cade la falsa idea di autosufficienza: gli altri ci sono necessari, come noi agli altri. Ne nasce spesso una nuova fiducia nell’uomo, insieme al il desiderio di vivere in modo diverso le proprie relazioni (solidarietà, intergenerazionalità…). Nell’affollamento e nella solenne ritualità della meta si rende visibile il popolo del cammino, che celebra la propria comunione.
C’è poi una compagnia invisibile che caratterizza il cammino: le persone care - vive e defunte - che ciascuno porta nel cuore, la cui presenza emerge con sorprendente forza nell’interiorità o anche nelle conversazioni: la “comunione dei santi” - diremmo noi - sul cammino, è una realtà.
È importante non accontentarsi di una compagnia “chiusa”: anche quando si vive l’esperienza in gruppo, la più ampia relazionalità che può nascere costituisce una risorsa educativa importante.

La quinta dinamica è la meraviglia
Per molti, il pellegrinaggio era il viaggio della vita: un’opportunità per conoscere nuovi luoghi e culture, per ammirare paesaggi, città e grandi cattedrali. Le narrazioni di viaggio sottolineano il piacere della scoperta (anche gastronomica!) e la meraviglia dinanzi ai capolavori dell’architettura e dell’arte presenti nei santuari.
Ancora oggi nel cammino si rimane colpiti da molte cose: la rinnovata esperienza del creato; la più intensa percezione del territorio che nasce dall’attraversarlo a piedi; la possibilità di godere dell’arte e delle vestigia del passato disseminate lungo la strada. Si ha il tempo di “guardare” il mondo, non solo di vederlo scorrere da un finestrino. Il pellegrino impara a fermarsi; non è un più “consumatore”, ma un contemplativo. Riconosce e apprezza piccole grandi cose: il fatto che ci siano non è scontato, ma riempie di gratitudine e di meraviglia.
Una guida sapiente non mancherà di sottolineare, lungo il cammino, ciò per cui vale la pena fermarsi, suscitando consapevolezza, apprezzamento e riflessione.

La sesta dinamica è la tradizione
Il pellegrino vive nel solco di una tradizione che può essere corta (l’amico che si racconta su facebook e mi invoglia) o lunghissima (la pellegrina Egeria che mi trasmette il fascino della Terra Santa col suo diario vecchio di sedici secoli). Una “vera” via di pellegrinaggio porta a ricalcare i passi di chi già percorso lo stesso cammino, le cui le tracce sono appaiono non solo nei diari, ma nell’assetto del territorio, nelle manifestazioni dell’arte, nella diffusione dei simboli …
Non si tratta di fare dell’archeologia, ma di lasciarsi in tutti i sensi “guidare”: il percorso, ma anche i suoi significati e le sue suggestioni, non ce lo diamo da soli, ma lo riceviamo da altri. Ben lo sapevano i pellegrini medievali, che non potevano disporre di mappe e segnaletica, ma avevano bisogno di rifarsi continuamente agli scritti di qualche predecessore o alle indicazioni degli abitanti del luogo.
Di questa dinamica molti pellegrini diventano protagonisti, nel momento in cui, compiuto il cammino, se ne fanno narratori, quasi a cercare nello scrivere il compimento dell’esperienza: per essere pienamente accolta necessita di verbalizzazione e comunicazione. Carta e penna non perdono il loro fascino, anche se tanti ormai fissano le giornate trascorse sul tablet o direttamente in rete, con tanto di foto del percorso. Il cammino, così, viene narrato e tramandato, perché, mentre ci si racconta, si diventa promotori e guide dell’esperienza.
Nonostante la stanchezza, la sera – o il viaggio di ritorno – è un momento prezioso per una narrazione, personale o collettiva, che permetta non solo di fissare la memoria, ma di cogliere il senso del vissuto. Magari per comunicarlo, nell’immediatezza dei social o una volta tornati, ai genitori o agli amici che sono rimasti a casa.

La settima dinamica è la preghiera
Dai “Cantici delle ascensioni” del salterio alle pratiche esicastiche del pellegrino russo, la preghiera appartiene strutturalmente al cammino e trova il suo vertice nei riti che vengono celebrati nei luoghi santi, specialmente alla partenza e all’arrivo.
Oggi la cosa non è più così scontata, soprattutto per i tanti che dichiarano di accostarsi all’esperienza per curiosità, per seguire una moda o per la voglia di una vacanza low cost. Nel pellegrinaggio, però, la trascendenza si infila quasi senza che uno se ne accorga. Il fin dei conti, quando si abbandona la quotidianità per dirigersi con fatica verso una meta, si adotta una logica di trascendenza. Lungo la strada, poi, si incontrano persone e occasioni che hanno il sapore del divino e toccano il cuore. Non sempre ciò sfocia nella preghiera esplicita: a volte si tratta più di un confuso anelito verso il Mistero, che necessita di essere decifrato e orientato.
Nel pellegrinaggio non mancano opportunità per proporre momenti di preghiera, che quasi sempre trovano una inaspettata rispondenza interiore. La bellezza del creato e dell’arte, certamente, sono di aiuto; ciò che più conta è però l’emergere di sentimenti e percezioni divenute inconsuete, che dispongono alla relazione con un Mistero divenuto vicino. Il cambiamento confusamente cercato può finalmente essere accolto come dono di Colui che fa nuove tutte le cose.

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La Confraternita di San Jacopo di Compostella in Perugia

È stata fondata a Perugia nel 1981 da un gruppo di pellegrini che intendevano mantenere il ricordo del loro pellegrinaggio a Santiago e recuperare la tradizione di una precedente confraternita compostellana presente in città fin dal Trecento. Nel 1989 è stata eretta canonicamente.
Ha sede a Perugia, con articolazioni su tutto il territorio nazionale; è presente con proprie strutture di accoglienza sul Cammino di Santiago, sulla Francigena, sulla Via di Francesco e a Gerusalemme. Tra le sue finalità la promozione della pratica del pellegrinaggio e l'assistenza ai pellegrini. Può essere contattata per avere informazioni sui diversi cammini e anche per ottenere la credenziale del pellegrino.
Confraternita di San Jacopo di Compostella
Via Ritorta, 22 - 06123 Perugia PG (lavorativi 9-13)
075 5736381 Fax 075 5854607
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www.confraternitadisanjacopo.it

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La rubrica

NPG 1 - Il pellegrinaggio e i giovani: sette ingredienti per cambiare
NPG 2 - Il Cammino di Santiago. Ai confini della terra per trovare se stessi
NPG 3 - La Via Francigena. Riscoprire la fede della Chiesa nell’Italia dei santi
NPG 4 - La Via di Francesco. Sulle orme del Poverello in semplicità e armonia
NPG 5 - La Via Lauretana. Alla “Casa del sì” per accogliere la chiamata di Dio
NPG 6 - A piedi in Terra Santa. Salire a Gerusalemme per toccare le radici
NPG 7 - Il Cammino di San Benedetto. Una scuola itinerante di vita cristiana
NPG 8 - La Via Amerina. Da “Messer lo Papa” per il cammino più antico
NPG 9 - Il Cammino della misericordia. Scorgere la provvidenza tra le ferite della storia