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    L’adolescenza come ricerca di senso


    Adolescenti oggi /1

    Antonella Arioli

    (NPG 2015-05-73)


    “Mi piace immaginare che il mondo sia un unico grande meccanismo. Sai, le macchine non hanno pezzi in più. Hanno esattamente il numero e il tipo di pezzi che servono. Così io penso che se il mondo è una grande macchina, io non posso essere in più, devo essere qui per qualche motivo (…) Se perdi il tuo scopo è come se fossi rotto” [1]

    Moltissimo è stato detto e scritto sull’età adolescenziale, spesso tratteggiata con i contorni del disagio, dell’incomunicabilità e della chiusura narcisistica: tutti aspetti certamente presenti e da non sottovalutare, che rischiano però di oscurarne le potenzialità in ordine alla significatività dell’esistenza. A questo proposito, la prospettiva fenomenologico-esistenziale può contribuire a mettere in luce un «profilo nascosto» di questo fenomeno: l’esperienza soggettiva legata all’esigenza di senso. [2] Non tutti i fenomeni sono uguali: le differenze che diversi tipi di oggetti hanno “di darsi a conoscere sono anche differenze essenziali di quelle cose, differenze nel loro modo d’essere” [3]. Non c’è nulla nel bicchiere, ad esempio, che «ci chieda» di approfondire la sua conoscenza, al di là dell’uso che possiamo farne. Il libro, invece, «ci chiede» di essere letto. Esige non di essere semplicemente esposto, ma di essere sfogliato, andando oltre l’apparenza sensibile della sua copertina. E l’adolescenza rientra tra quegli oggetti che «ci chiedono» di essere conosciuti oltre ciò che appare (al di là dei comportamenti manifesti, dei bisogni esplicitati e delle fragilità espresse). Essa suggerisce di essere vista come modo di essere-nel-mondo connotato dal desiderio di trovare un senso nella vita: da quella che V. E. Frankl chiama “volontà di significato” [4] e che ne costituisce addirittura l’essenza. In questo quadro, se l’adolescenza come età della vita passa (e deve passare, in riferimento ai tratti bio-psico-relazionali che ne connotano i comportamenti e le apparenze), l’adolescenza come anelito alla ricerca di senso non passa (e non può passare) poichè riguarda un bisogno imprescindibile – quello di trovare un senso nella vita – profondamente radicato nella persona e che non si esaurisce del tutto mai. Proprio per questo l’adolescenza – almeno nella sua valenza esistenziale – non può essere ricondotta a un segmento temporale della vita, quanto a una modalità dell’Esserci [5] che non si esaurisce mai del tutto e che, se coltivata dall’educazione, può permeare in modo costruttivo la vita.

    Oltre i vincoli temporali, al di là del disagio

    Un eminente studioso come Eugenio Borgna asserisce che “non è possibile cogliere fino in fondo il fenomeno dell’adolescenza come esperienza umana se non servendosi di categorie conoscitive (ermeneutiche) fenomenologiche” [6]. Una di queste categorie risponde al principio di «lasciar essere» il fenomeno che, nel nostro caso, significa permettere che l’adolescenza ci si manifesti per quello che è, resistendo alla tentazione di incasellarla in categorie predefinite. Ciò permette, innanzitutto, di sganciare l’adolescenza da un periodo temporale più o meno definito, che la vincola a una determinata fase della vita: quella che va dalla pubertà all’adultità.
    Sembra, inoltre, possibile sdoganare l’adolescenza da una connotazione perlopiù negativa, che la riduce a un periodo segnato da sofferenza e disagio. Infatti, pur essendo un periodo della vita segnato da criticità, non è solo questo. Si tratta di “un momento bellissimo del nostro essere uomini; appartiene a ognuno di noi, in differenti fasi temporali” [7]. Un’esperienza senz’altro cruciale per l’essere umano (tant’è vero che ciascun adulto rimane legato, nel bene o nel male, alla propria adolescenza), che chiama in causa un «saper vedere» capace di svelare i sogni, i desideri, le aspirazioni di chi è alla ricerca di qualcosa di significativo per la propria esistenza. Quei vissuti adolescenziali, dunque, che non sono unicamente costituiti dalla nostalgia per il passato, bensì dalle speranze nel futuro. Ma com’è possibile lasciar affiorare la dimensione del senso in adolescenza? In che modo essa «si dà» a vedere? Ci viene in aiuto un importante strumento fenomenologico: l’epoché, che consente una «messa tra parentesi», seppur momentanea, delle cornici teoriche che ci guidano nella lettura selettiva e filtrata della realtà.
    “Lei spera di diventare medico un giorno?”
    “Non sarò mai medico…”
    “Perché no? (…) Lei è molto portata”
    “Posso farle una domanda? Crede che ci sia qualche possibilità che io possa diventare una psichiatra?”
    “Io so che può farlo” [8]
    Da questo dialogo tra il dott. Carl Gustav Jung e la sua paziente emerge la fiducia nel poter-essere di qualcun altro: la sospensione dei pregiudizi legati alla malattia psichica e la disposizione ad andare oltre l’ovvio e lo scontato. Fare epoché significa “escludere, ove è possibile, tutto ciò che si ascolta, si legge o che si è costruito da soli, avvicinarsi a esse con uno sguardo privo di pregiudizi” [9]. Si tratta di sospendere - che non vuol dire, naturalmente, cancellare - il già noto rispetto all’adolescenza: i caratteri di disagio, crisi e sofferenza spesso evidenziati e il suo essere circoscritta a un arco temporale non proprio preciso, ma comunque definito da un inizio (la pubertà) e da una fine (l’adultità). Continuare a ricondurre l’adolescenza a un tempo della vita significa, da un lato, pensare che sia qualcosa che passa e va; dall’altro liquidarla come periodo dell’incertezza e dell’indefinitezza. Caratteri, questi, che a ben vedere riguardano ciascuna persona, a prescindere dall’età anagrafica o dalla stagione nella quale la si intenda convenzionalmente inserita. E tale considerazione risulta particolarmente appropriata nel contesto attuale – della cosiddetta società “liquida” [10] – dove quegli aspetti di incertezza e indefinitezza non vanno demonizzati quanto, semmai, risignificati. Allo stesso modo dell’adolescenza.

    La dimensione esistenziale del fenomeno

    Dalla «messa in parentesi» emerge la dimensione esistenziale dell’adolescenza: sede della tensione inquieta verso la scoperta di uno scopo per cui vivere, di un significato per l’esistenza. Dire questo corrisponde a sottrarre dall’insignificanza e dall’apparente incomprensibilità l’esperienza vissuta di tante persone – giovani e meno giovani – troppo spesso superficialmente tacciate come immature o eternamente insoddisfatte, proprio perché ancora alla ricerca di qualcosa che dia senso alla loro vita. Così, “porre fuori valore («inibire», «porre fuori gioco») ogni presa di posizione” [11] sull’adolescenza può servire per intercettare i vissuti, le sensazioni, le attribuzioni di significato che il soggetto intuisce circa la propria situazione. Può costituire, il metodo fenomenologico dell’epoché, una via privilegiata per l’emergere dei caratteri che accompagnano il sentire adolescenziale (quali la contraddittorietà, l’instabilità, l’incertezza, la complessità, l’indecifrabilità, ma anche lo stupore, la carica entusiastica, l’entusiasmo, la frenesia) legati alle domande di senso.
    Come accade, infatti, nell’incontro tra persone, l’autenticità della conoscenza è sospesa sia all’impegno di accantonare i pregiudizi e le precomprensioni - per “riscoprire la «meraviglia» davanti a ciò che appare” [12] - sia allo sforzo di lasciarsi stupire, per disvelare “la novità di ognuno” [13]. E questo affidandosi a una conoscenza pre-riflessiva. Ovvero, legittimando quella conoscenza pre-categoriale, ante-predicativa e intuitiva così ben delineata da M. Merleau Ponty quando afferma: “ritornare alle cose stesse significa ritornare a questo mondo anteriore alla conoscenza di cui la conoscenza parla sempre, e nei confronti del quale ogni determinazione scientifica è astratta, segnitiva e dipendente, come la geografia nei confronti del paesaggio in cui originariamente abbiamo imparato che cos’è una foresta, un prato o un fiume” [14]. Contare sulla conoscenza pre-categoriale vuol dire, pertanto, affidarsi al «sapere del sentire»: al mondo variegato di tonalità emotive e sentimenti che costituisce il primo tramite per incontrare se stessi, gli altri e il mondo. Al centro dell’indagine fenomenologico-esistenziale sull’adolescenza, dunque, viene posto il sentire soggettivo: il vissuto di chi, in «prima persona», sta inseguendo qualcosa di cruciale per la propria esistenza. Una rivalutazione della soggettività [15], dunque, per far emergere il volto lasciato spesso in ombra dell’adolescenza: quel turbinìo di vissuti emotivi, quella ricchezza interiore non riconducibile solamente al disordine, al disagio e al disimpegno quanto, anche, all’inquietudine creativa e alla crescita esistenziale. Per comprendere, allora, l’adolescenza dal punto di vista esistenziale ci interroghiamo sul modo in cui le persone – al di là dell’età anagrafica - «stanno dentro» le condizioni (di tipo psichico, biologico e/o sociale) nelle quali si trovano heideggerianamente «gettate», nella convinzione che i vissuti soggettivi chiamino in causa la dimensione del senso: la percezione o meno di avere un significato a cui tendere. Le esperienze vissute (Erlebnisse) costituiscono pertanto una via conoscitiva fondamentale per comprendere (Verstehen) il fenomeno dell’adolescenza: per entrare «nel vivo dell’esperienza» e trarne, così, quella sapienza esistenziale che una lettura enciclopedica e astratta non può raggiungere.

    Ri-significare l’adolescenza

    Lo sguardo fenomenologico-esistenziale mette in luce che l’adolescenza, più che corrispondere a un determinato stadio evolutivo, rappresenta un diffuso stato esistenziale: l’insieme dei processi di ricerca di senso messi in atto dal soggetto nell’approcciarsi alla realtà, che configurano il suo modo di essere-nel-mondo. Parliamo di processi che, una volta emersi, di fatto accompagnano nell’intero arco della vita. E se è vero che la giovinezza è qualificata da fenomeni caratteristici (sul piano biologico, cognitivo, relazionale, emotivo) che ne fanno un terreno particolarmente fertile all’affiorare di interrogativi di natura esistenziale [16], è altrettanto vero che tale dinamismo della ricerca di senso costituisce un elemento di continuità nella discontinuità dell’esistenza. Infatti, gli aspetti considerati dalla letteratura e dal senso comune come tipicamente adolescenziali – quali la noia, l’inquietudine, la paura per il futuro (ai quali occorre aggiungere l’entusiasmo, la speranza e il desiderio di credere in qualcosa) – non si esauriscono in un tempo definito della vita, ma continuano a sussistere nell’interiorità della persona (anche se non sempre in modi consapevoli e, dunque, anche se non sempre impiegati costruttivamente per la formazione di sé). Sulla scia di queste considerazioni, occorre superare l’idea che lo sviluppo proceda in modo lineare: che quanto accaduto cronologicamente prima sia preparatorio e incompleto rispetto a ciò che avverrà successivamente. Tale ottica evolutiva veicola una concezione secondo la quale gli aspetti del pensare e sentire ‘immaturi’ (come, per l’appunto, la noia, l’agitazione, l’insoddisfazione) sarebbero successivamente – e definitivamente – sostituiti da acquisizioni finalmente mature, caratterizzanti la fase dell’adultità. In tale quadro l’adolescenza, lungi dall’essere considerata per i processi qualitativi che la connotano, viene ridotta a una mera fase di transizione, da sorpassare. Nella prospettiva dell’adolescenza come ricerca di senso, invece, “non ci sono fasi da superare, ma elementi interni che maturano in sequenza e sono tuttavia in permanenza presenti, in continua interazione tra loro” [17]. Alla luce di ciò, essere-adolescente (e non ‘fare l’adolescente’) esprime la compresenza di più piani e aspetti, dove “nessun modo di fare esperienza viene perso nel corso del tempo, neppure le sensibilità più primitive e frammentarie” [18], che rimangono così attive nell’adulto (secondo le modalità che gli sono più proprie). Questo significa che l’adolescenza (e i processi della ricerca di senso) in realtà permangono e influiscono sull’intera avventura esistenziale, venendo anzi a costituire la condizione di possibilità per intuire rinnovati significati e rispondere creativamente alle esigenze della vita.
    Risulta allora opportuno ri-significare l’adolescenza, a partire dalla convinzione che l’esperienza di senso adolescenziale costituisca un elemento cruciale per la configurazione della personalità. Il soggetto adolescente, infatti, può essere definito tale non perché si trova in una certa fascia d’età, quanto perché è permeato dal desiderio di essere egli stesso il regista del proprio modo di essere-nel-mondo e, nel contempo, dall’esigenza di trascendersi, non trovando in sé il fondamento del proprio esistere. Egli realizza la possibilità di avere uno sguardo diverso sulla realtà: di cogliere elementi del tutto inconsueti o, anche, di accogliere gli stessi elementi del reale con occhi diversi, non velati dal pregiudizio del senso comune. E comprende che tale possibilità è sospesa alla sua capacità di oltrepassare la sua condizione di «gettatezza». Appare ragionevole, allora, vedere l’adolescenza come postura esistenziale caratterizzata dallo sperimentare consapevolmente una trasformazione nel rapporto con il reale. Una rilettura dell’adolescenza, questa, alla luce della quale vanno riviste, come sostiene D. Bruzzone, “le consuete (e in ultima analisi stereotipate) interpretazioni di certi comportamenti adolescenziali, non come sintomi che manifestano un disagio, bensì (fenomenologicamente) come simboli che rivelano un significato” [19]. Così, l’esigenza di ricercare un senso costituisce una via per accostarsi al significato dei comportamenti, ad esempio, di solitudine e chiusura, di noia e paura per il futuro, i quali hanno a che fare non solo con i meccanismi bio-psichici della persona, quanto con le esigenze e i processi della sua dimensione esistenziale e, dunque, con la parte più profonda e autentica della sua personalità. Proprio per questo, essi non possono riguardare una specifica età della vita, essendo la manifestazione dell’a-specifica e trasversale tensione umana alla ricerca di senso. Ben vengano, allora, tali tratti anche negli adulti e negli anziani poiché, lungi dall’essere segnali di giovanilismo o immaturità da demonizzare, possono testimoniare quella volontà di rinnovamento esistenziale che, invece, va saldamente promossa e coltivata.


    NOTE

    [1] Dal film Hugo Cabret, di M.Scorzese, USA, 2011.
    [2] L’anelito dell’essere umano al senso attraversa la riflessione fenomenologico-esistenziale e, in modo particolare, l’Analisi Esistenziale di V. E. Frankl (cfr. V.E. Frankl, Logoterapia e analisi esistenziale, Morcelliana, Brescia, 2005 ), che mette fortemente in luce come l’uomo non possa fare a meno di desiderare che la sua vita abbia un senso (ovvero, un compito, uno scopo). Si tratta di una motivazione sui generis, che non può essere ridotta ad altri bisogni di tipo biologico e/o psichico.
    [3] R. De Monticelli, La conoscenza personale. Introduzione alla fenomenologia, Guerini, Milano, 1998, p. 56.
    [4] Cfr. V.E. Frankl, Logoterapia e analisi esistenziale, cit.
    [5] L. Binswanger, “Grundformen und Erkenntnis menschlichen Daseins”, Niehans, Zürich (1942), in D. Cargnello, Alterità e alienità: introduzione alla fenomenologia antropoanalitica, Feltrinelli, Milano, 1966.
    [6] E. Borgna, Le figure dell’ansia, Feltrinelli, Milano, 2007, p. 149.
    [7] A. Avanzini, Adolescenza, cit., p. 11.
    [8] Tratto dal film A dangeorus method, di D. Crinenberg, Gran Bretagna, Germani, Canada, 2011.
    [9] E. Stein, La struttura della persona umana, Città Nuova, Roma, 2000, p. 66.
    [10] Cfr. Z. Bauman, Vita liquida, Laterza, Roma-Bari, 2006.
    [11] E. Husserl, Meditazioni cartesiane, Bompiani, Milano, 1970, pp. 63-66
    [12] V. Iori, Essere per l’educazione, Fondamenti di un’epistemologia pedagogica, La Nuova Italia, Firenze, 1988, p. 1.
    [13] Cfr. R. De Monticelli, La novità di ognuno. Persona e libertà, Garzanti, Milano, 2009.
    [14] M. Merleau-Ponty, Fenomenologia della percezione, Bompiani, Milano, 2003, p. 17
    [15] Come puntualizzano S. Gallagher e D. Zahavi, “la fenomenologia […] cerca di lasciarsi guidare da ciò che è effettivamente esperito, piuttosto da quel che ci aspettiamo di trovare, dati i nostri impegni teorici” (S. Gallagher, D. Zahavi, La mente fenomenologica. Filosofia della mente e scienze cognitive, Cortina, Milano, 2009, p. 17).
    [16] Cfr. P. Del Core, “Adolescenza: tempo cruciale per la ricerca di un significato della vita”, in E. Fizzotti (a cura di), “Chi ha un perché nella vita…”. Teoria e pratica della logoterapia, LAS, Roma, 1993, pp. 159-166.
    [17] A. Fabbrini, A. Melucci, L’età dell’oro. Adolescenti tra sogno ed esperienza, Feltrinelli, Milano, 1992, p. 25.
    [18] Ibid., p. 24.
    [19] D. Bruzzone, Viktor Frankl. Fondamenti psicopedagogici dell’analisi esistenziale, Carocci, Roma, 2012, p. 19.


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