Maria: sintesi
della spiritualità
dei poveri di YHWH
nella sua fame di Dio
e fame di pane
L. Alonso Schökel
LA BENEDIZIONE RIVOLTA AGLI ANTENATI DI MARIA
Cominciamo con un racconto. C'era una volta una signora che abitava a Betlemme e aveva due figli. Betlemme significa «Casa del pane», cioè «Casa del dio Lahamu», il dio del grano, del pane. Betlemme però negava il pane alle famiglie, perché non pioveva, c'era fame di pane.
Allora la signora con i suoi due figli andò all'estero, emigrò, per guadagnarsi la vita in una zona dove la terra fosse più materna. Attraversarono il Giordano e si diressero verso sud, cioè verso Moab; là i due figli si sposarono con due ragazze del paese.
I due figli però morirono e così rimase solo la suocera, la madre, che si chiamava Noemi, cioè «Grazia», o «Bella». Restò con le due nuore, giovani vedove senza figli; dopo la sterilità di pane di Betlemme, le toccò soffrire la sterilità di quei grembi che non diventarono materni.
A un certo punto vennero a sapere che a Betlemme aveva piovuto e che la città tornava a essere «Casa del pane» e che di nuovo sfamava i propri figli. Allora «Maria Grazia», o «La Bella», cioè Noemi, decise di tornare con le sue due nuore; si misero in viaggio, ma a metà cammino una delle due non ebbe il coraggio di continuare con la suocera e tornò a casa, mentre l'altra proseguì con lei:
«Il tuo Dio sarà il mio Dio, il tuo popolo sarà il mio popolo» (Rut 1, 16).
E così tornarono a Betlemme; ma le due donne erano povere e quindi dovevano uscire per raccogliere spighe. Allora vigeva una legislazione molto elementare per assicurare la sopravvivenza dei poveri: quando si mieteva un campo non bisognava ripulire tutto, ma le parti degli angoli e delle curve dovevano restare non mietute, perché i poveri venissero a spigolare, per poi potersi sfamare.
Così questa ragazza, questa giovane vedova – sembra che fosse attraente, bella ed educata – per aiutare un po' la suocera andava nel campo di un ricco proprietario non vecchio, ma certo su con gli anni, e lì spigolava, cioè andava dietro i mietitori e raccoglieva le spighe che restavano.
Booz la osservava, gli piaceva la ragazza: era seria, precisa, lavoratrice. Si informò e poi diede quest'ordine ai mietitori: «Quando mietete lasciate cadere delle spighe. Quando viene lei, facendo finta di nulla, lasciategliele raccogliere, senza dirle nulla».
E così questo Booz, il «datore», il «donatore», comincia con una generosità che concede un po' di più della legislazione sociale per venire incontro alla fame di pane di questa ragazza, di questa graziosa giovane vedova. Quella giovane gli interessava...
C'è un capitolo, la scena sull'aia, in cui ella va a visitare Booz e quella notte, quando già stava spuntando l'alba, al momento di commiatarsi, egli le dice: «Apri il mantello che hai addosso e tienilo con le,due mani» e le riempie il manto d'orzo che poi in casa potrà tostare e mangiare. Ovvero, questo manto che copre la ragazza – ormai non è più vergine, è una vedova –, si riempie di orzo che le permetterà di mangiare per alcuni giorni. Inoltre Booz la avvolge nel proprio manto maschile, segno di accettazione coniugale.
Si presenta però un problema legale che alla fine viene risolto, e così i due si sposano, pur avendo lui un bel po' più di anni rispetto a lei. Dal figlio che nascerà dai due, per un crescere e moltiplicarsi di generazioni, nascerà Davide e da Davide nascerà il Messia.
Questa è la storia, il racconto: C'era una volta una donna di Betlemme, c'era una volta una donna, Rut: nonna, bisnonna, ava di... Gesù.
LA BENEDIZIONE RIVOLTA A MARIA
Ho iniziato con questo racconto, usato dai nostri autori classici nelle rappresentazioni sacre, che spesso ricorrono alla figura di Rut come suggestivo simbolo di Maria, perché anche Maria, povera e semplice, si guadagnò da vivere; non sappiamo esattamente come, non abbiamo particolari sulla sua famiglia; di sicuro appartenne a una classe sociale modesta, sebbene discendesse dalla tribù e dalla famiglia di Davide, e quindi dalla regione di Betlemme.
Questa donna però non ha offerto la sterilità del suo ventre, perché non è sterile, ma l'integrità; si è offerta a Dio rinunciando alla maternità.
Un giorno, non il manto su di lei ma la nube dello Spirito, l'ombra di Dio la copre. E in questo ventre disponibile interamente, maternamente per Dio – perché non aperto da uomo –, questa ombra, questo manto dello Spirito fa germogliare un seme, un pane nuovo; fa sì che cresca e si moltiplichi e abbia un figlio maschio: il Messia, il Salvatore. Questa è la figura di Maria, madre di Gesù-pane; e in quanto pane, colui che viene a saziare tutte le nostre fami.
Questo ci serve come introduzione suggestiva, perché quando commento la Bibbia mi interessa molto conservare questa materialità, questo realismo del racconto biblico; non spiritualizzarlo falsamente. Qui c'è un ventre materno, un seno cheattende, c'è un coprire, un seme: questo è il linguaggio biblico, non fatto di astrazioni spiritualizzanti, puritane. Altrimenti non comprendiamo l'Ave Maria e il Magnificat.
Maria, una volta coperta dalla nube, dall'ombra dello Spirito, quando il suo ventre ha iniziato a gonfiarsi, comincia a manifestare la gloria e il peso della maternità, va a visitare la cugina Elisabetta, nella zona montagnosa, a Ain Karim.
Elisabetta si rende conto – i segni sono evidenti – che questa donna è incinta; la cugina la saluta, le fa i complimenti. Da un altro segno però scopre, e questo fisicamente con gli occhi non lo può scoprire se non per ispirazione dello Spirito, che il figlio che porta nel suo grembo, è il Messia. Perciò saluta la cugina con il saluto (Luca 1, 42):
Benedetta tu fra le donne.
Per comprendere questo saluto dobbiamo spiegare che cosa è la benedizione nella Bibbia. La benedizione non consiste nel dare cose fatte, ma nel dare la capacità di fare delle cose. Colui che dà, dà un dono che finisce. Booz regala un manto pieno di spighe d'orzo, che una volta mangiate sono terminate; a quel ventre però dà anche la fecondità, che non termina. La capacità di produrre, di fare, di crescere, di moltiplicare: questa è la benedizione divina. Dio non crea miliardi di uomini, crea una coppia con la forza di procreare. Se Dio è creatore, l'uomo è procreatore.
Benedire è dare fecondità, capacità procreativa. Tante donne nel mondo, madri, sono testimoni della benedizione divina. Ogni ventre che fa bella mostra di sé nelle nostre case è una presenza della benedizione di Dio: la fecondità.
E come può dire Elisabetta che Maria è benedetta più di tutte, se non ha avuto che un figlio solo, mentre altre ne avranno avuti dieci, o quindici o venti? Ma colui che avrà Maria vale per tutti; per questo è la più benedetta, la più feconda tra tutte le donne della storia, perché Dio ha seminato in lei questo seme che è il Messia, il Salvatore.
Ecco perché Elisabetta la saluta dicendole: «Benedetta tu fra le donne».
RISPOSTA DI MARIA: IL MAGNIFICAT
1. I complimenti indirizzati a Maria per la sua maternità
Allora lei, riconoscendo la benedizione, non la nega, bensì prorompe in un inno, cioè Luca compone un inno, in cui loda il Signore:
Beh, io che ho fatto? Ho offerto totalmente, ho riservato questo ventre, questo sangue e questa umanità in cui si incontrano tanti popoli e tante razze, l'ho riservato tutto per Dio, e Dio me lo ha riempito del suo Figlio. Che ho fatto, io? Niente, ha fatto tutto Lui, io ho lasciato fare: «Avvenga di me quello che hai detto», fallo tu, io non mi oppongo, ho lasciato fare. La meraviglia non è quello che io sono, quello che io ho fatto, cara cugina; la meraviglia è quello che ha fatto Dio; perché Dio fa meraviglie, è Santo.
E comincia a recitare il Magnificat, si mette a cantare le meraviglie di Dio. Nel Magnificat una cosa ci sorprende: non accenna minimamente alla propria fecondità, alla propria maternità.
Il suo interesse è tutto concentrato sulle meraviglie che Dio compie, cambiando, capovolgendo la situazione. E ci indica due casi (1, 52-53) in cui Dio interviene con il suo braccio forte e potente: ciò che sta sopra lo mette sotto e ciò che sta sotto lo mette sopra; non in senso fisico, ma in senso etico e umano perché si parla dell'arroganza e dell'umiltà. E così ci dice:
52 Ha spiegato la potenza del suo braccio
ha disperso i superbi nei pensieri del loro cuore;
53 ha rovesciato i potenti dai troni,
ha innalzato gli umili;
ha ricolmato di beni gli affamati,
ha rimandato i ricchi a mani vuote.
Abbiamo due casi opposti: potenti-umili; affamati-sazi, poveri-ricchi; due casi e in entrambi un cambio di situazione, un capovolgimento per opera di Dio. Vediamo quindi due degli antecedenti veterotestamentari.
a) 1 Samuele 1, 1 - 2, 10
Elkana ha due mogli: Anna e Peninna. Egli prediligeva Anna, che però era sterile, mentre Penínna era la madre dei suoi figli. Anna, disperata, va allora a pregare nel tempio; alla fine Dio esaudisce le sue suppliche e così Anna può dare alla luce un figlio, che la porta a glorificare il Signore con queste parole:
2, 1 Il mio cuore esulta nel Signore,
la mia fronte s'innalza grazie al mio Dio.
Si apre la mia bocca contro i miei nemici,
perché io godo del beneficio che mi hai concesso.
A noi interessano i versetti seguenti:
2, 4 L'arco dei forti s'è spezzato,
ma i deboli sono rivestiti di vigore
valorosi-vigliacchi: ambito militare, bellico.
2, 5 I sazi sono andati a giornata per un pane, mentre gli affamati han cessato di faticare
sazi, ricchi-affamati, poveri: ambito economico.
2, 5 La sterile ha partorito sette volte,
e la ricca di figli è sfiorita
sterile ormai feconda: ambito familiare, coniugale.
b) Salmo 113
Mentre in 1 Samuele 2, 1-10 abbiamo qui tre gruppi di opposti e il rovesciamento di situazione, nel Salmo 113 troviamo una coppia, ossia solo due casi e senza il capovolgimento di situazione.
Ecco la conclusione del salmo:
7 Solleva l'indigente dalla polvere, dall'immondizia rialza il povero,
8 per farlo sedere tra i principi, tra i principi del suo popolo
ambito politico: colui che non conta comincia a sedersi nel consiglio, con le autorità.
9 Fa abitare la sterile nella sua casa quale madre gioiosa di figli
ambito domestico: la sterile riacquista la fecondità e la maternità, e con ciò considerazione e stima.
Il Magnificat si ispira a questi testi. Ma perché nell'inno di Maria si ritrova l'ambito politico e quello economico, con le opposizioni potenti-umili, ricchi-poveri? Eppure dovrebbe parlare della maternità... Chiaro: la maternità per una donna è grande come la ricchezza, come le vittorie. Per lei la grande ricchezza non è avere molte cose, ma dare la vita a un nuovo essere. E Maria, quando può dare il sangue dell'umanità al Figlio di Dio, è più grande di quanto lo sarebbe se avesse molte cose. Questa maternità di Maria è azione del braccio potente di Dio; perciò colei che aveva consacrato, che aveva sacrificato la propria maternità, ora sarà la più benedetta, la più feconda tra tutte le donne. Maria è come una diga in cui le acque di tante razze, di tanti popoli confluiscono e si raccolgono: ella apre le cateratte, perché il Messia entri nella comunità: ella offre a nome di tutta l'umanità il sangue umano, perché il Figlio di Dio sia uomo.
2. I complimenti indirizzati a Maria da parte di tutte le generazioni (Luca 1, 48)
D'ora in poi tutte le generazioni mi chiameranno beata, perché grandi cose ha fatto in me l'Onnipotente.
«Tutte le generazioni mi chiameranno beata», o «Tutte le generazioni si complimenteranno con me»: questa affermazione è molto audace. Mettiamoci però nella situazione di una madre senza figli, che finalmente ne partorisce uno. Che succede? Tutte le vicine, le amiche vengono a farle i complimenti. Maria però non dice «tu mi farai i complimenti», ma osa affermare «tutte le generazioni si complimenteranno con me». Si tratta di una frase ispirata da orgogliosa vanità quella di Maria? Oppure bisogna intenderla diversamente? Per capirla bisogna fare un passo indietro, verso l'Antico Testamento. Bisognerebbe imparare a scrutare il fondo umano, a sentire l'odore di terra bagnata che emana dall'Antico Testamento, per radicare il Nuovo Testamento nella vita dell'umanità, non sulle nuvole.
Nell'Antico Testamento mi imbatto con la storia di due sorelle, sposate con lo stesso uomo, cugino di entrambe (Giacobbe): una si chiama Lia e l'altra Rachele. Quest'ultima fu il colpo di fulmine, si innamorò al primo incontro e si sposò; ma anche Lia, la maggiore, si sposò con lo stesso uomo. Risulta che la prediletta, Rachele, è sterile, mentre l'altra genera molti figli. Così che tra le due sorelle spose scoppia una forte gelosia reciproca, anzi una vera e propria competizione, per vedere chi delle due partorisce più figli. A un certo punto nasce un figlio di una delle concubine di Giacobbe. Legalmente questo è figlio di Lia, la quale, con un gioco di parole con il nome ebraico 'ds'ér, esclama:
«Che felicità! Le donne mi diranno felice». E lo chiamò Aser (Felice) (Genesi 30, 13).
Cito questo testo perché mi sembra un antecedente del Magnificat. Una donna ha avuto un figlio e le altre le fanno i complimenti.
Ora, perché «tutte le generazioni» dovrebbero fare i complimenti a Maria, chiamarla beata? Anzitutto per la sua maternità; per aver messo il suo grembo, il suo sangue a totale disposizione di Dio a nome dell'umanità, e perché è la madre del Messia. Questo è il complimento che le rivolgiamo. Ma la nostra riflessione ora deve estendersi a tutto il vangelo di Luca, per contestualizzare in questo vangelo la frase di Maria.
3. La beatitudine nel vangelo di Luca
Uno fa i complimenti a un altro, lo dichiara beato, perché condivide gli stessi valori. Non posso fare i complimenti per una cosa che ai miei occhi non ha valore. In quelle società, in cui uno dei massimi valori è l'avere un figlio, quando la donna resta incinta, le si dirà forse: «Poveretta! Che sfortuna!»? Evidentemente no.
Ora, chiediamoci: per Luca e per il Messia, figlio di Maria, quali sono i valori? Nel vangelo di Luca trovo espressamente un piccolo catalogo di complimenti, ovvero il testo comunemente definito «le beatitudini»:
6, 20 Beati (o felici) voi poveri,
perché avete Dio come re.
21 Beati voi che ora avete fame,
perché sarete saziati.
Beati voi che ora piangete,
perché riderete.
22 Beati voi quando gli uomini vi odieranno,
e quando vi metteranno al bando e v'insulteranno e respingeranno il vostro nome come scellerato a causa di questo uomo (il Messia).
Questo è secondo Luca, secondo il Figlio di Maria, il sistema di valori. Questi sono i valori del Messia; questi sono i valori di Maria: semplice, umile, senza pretese, senza ricchezze, senza concorsi di bellezza, contenta, aperta a Dio. Questi sono i valori di Gesù e di Maria.
Ora, se per me il valore umano è trionfare e possedere e accaparrare, accumulare e impormi, allora io recitando il Magnificat insulto Maria. Può recitare il Magnificat in tutta sincerità chi davvero condivide i valori di Maria, del Messia.
Certo, si tratta di valori paradossali che vengono a capovolgere il sistema valoriale degli uomini, di ciò che Giovanni chiama il «mondo». Non il mondo della natura creata da Dio che è nobile; ma tutta questa struttura che canonizza, che fa l'apoteosi, che inaugura altari al denaro, alla ricchezza, al potere, al dominio, alla forza, alla violenza. Quanti altari ci sono nel mondo, sui quali non sempre si sparge incenso! Questo mondo è fatto di valori che sono gli antivalori, è Satana, il contrario, il rivale, colui che presenta un altro progetto: «Fa' miracoli. Buttati dal pinnacolo del tempio e tutti resteranno a bocca aperta. Inginocchiati davanti a me, ti do tutto il mondo; se vuoi trionfare nel mondo, inginocchiati davanti a me (cioè davanti al mio sistema di valori). Se vuoi trionfare accetta il mondo, perché io so come vanno le cose» (cfr. Marco 1, 12-13; Matteo 4, 1-11; Luca 4, 1-13). Questo dice l'antiprogetto, Satana, cioè «il rivale».
E Gesù gli intima: «Vattene». Egli ha un altro progetto, quello del Padre: instaurare nella storia concreta dell'umanità un nuovo sistema di valori, non un catalogo di proibizioni, non un catalogo di comandamenti, ma un sistema di valori. Per questo nella nostra catechesi è così importante trasmettere valori. Ogni volta che recitiamo il Magnificat facciamo una professione di fede, di adesione – questa è la fede – al Messia e al suo messaggio.
Amare Maria, venerarla non si esaurisce nel dedicarle un bel manto, prodotto delle ricchezze; farle i complimenti, dichiararla beata significa condividere il sistema di valori suo e del Messia. Dovremmo spaventarci, e chiedere allo Spirito la grazia di poter recitare il Magnificat. Talvolta ci vergogniamo di proclamare Maria beata, perché non ci identifichiamo a sufficienza con ciò che per lei e per suo Figlio è il valore autentico.
4. Maria simbolo di Gerusalemme, della Sposa, della Chiesa
Nell'Antico Testamento si ha l'equazione Gerusalemme-popolo eletto. Gerusalemme personifica il popolo eletto ed è sposa di Dio. Questa idea coniugale (Dio sposo-Gerusalemme sposa) è molto amata dai profeti dell'Antico Testamento, da Osea a Baruc.
Questa immagine dall'Antico passa al Nuovo Testamento. La riprendono gli evangelisti, la riprende Paolo, pur cambiando i personaggi: ciò che nell'Antico Testamento era detto di Dio, ora viene attribuito al Messia, e quanto si diceva del popolo eletto ora lo si dice della Chiesa: Messia sposo-Chiesa sposa.
Ma prima c'è un ponte, un anello della catena: ci sono singoli personaggi che possono rappresentare il popolo in un momento storico. Questi li trovo nei racconti romanzati, per esempio Giuditta. Giuditta rappresenta il meglio del popolo giudaico: bello, valoroso e fedele al Signore. Susanna, che significa giglio, rappresenta il meglio del popolo giudaico nella diaspora: fedele al marito, fedele al Signore.
Ora nel Magnificat trovo un'altra equazione: Maria si definisce schiava, serva del Signore e alla fine dice «ha soccorso Israele suo servo»: io serva-Israele servo. C'è un'identificazione, una corrispondenza, perché in questo momento storico Maria rappresenta il meglio del popolo di Dio.
Maria offre la fecondità di questo popolo e la fedeltà a Dio ma nella semplicità, nell'umiltà di un popolo oppresso, che ormai non conta nulla. Maria è presentata come esempio, modello, sintesi di ciò che deve essere il popolo di Dio, la Chiesa, la sposa del Figlio suo. Perché la Chiesa sia sposa fedele deve essere come Maria, fedele al Signore, deve cioè optare per questi valori di semplicità, di umiltà, di servizio, di abbandono, non di potere, di conquista, di imposizione, di ricchezza. Solo in questo modo Maria sarà modello della Chiesa.
(, Piemme 1996, pp. 296-306)