Marco Pappalardo
(NPG 2014-06-76)
Un canto salesiano di ormai vent'anni fa cominciava così: "Ogni storia nasce sempre in modo molto semplice da una mano tesa a chi più di me soffrì...". Era il 1995, il primo anno di università, ad agosto il mio primo viaggio nei luoghi di Don Bosco per il Confronto Italiano del Movimento Giovanile Salesiano, e il verso suddetto l'incipit dell'inno di quella grande esperienza vissuta con centinaia di giovani da tutta l'Italia. In quei giorni e posti è stato come rivedere in un attimo e con una luce nuova il mio primo ingresso in oratorio diversi anni prima, il cammino nel gruppo formativo, l'animazione dei più piccoli, i campi per animatori, i convegni regionali del MGS, i pomeriggi interi nel cortile, le domeniche alla messa delle 10; quella luce era Don Bosco e credo di poter dire dopo tanti anni che è ancora lui! Mentre scrivo, infatti, mi trovo con i miei 38 anni ad animare il Campus Maturandi, un'attività quasi unica nel panorama scolastico e non solo salesiano, cioè tre giorni con gli studenti di maturità vissuti ai piedi dell'Etna tra studio intenso e fraternità. Mi commuove guardare ancora una volta indietro, pensare a quanto sono stato voluto bene da Dio, non certo per merito mio, e a quale tesoro mi viene affidato ogni giorno attraverso l'educazione che ho sposato come missione e via per la santità anche attraverso la professione di insegnante.
Ma Don Bosco mi ha preso il cuore nel tempo anche sotto altri aspetti, come quando, pochi anni dopo a Torino, ebbi il tempo di vedere dal vivo i libri che aveva scritto. Ricordo bene che un'altra luce si accese in me, che non avrei mai saputo fare il saltimbanco come lui, ma avrei potuto tentare di scrivere ispirandomi alla sua produzione. Così prende vita un altro aspetto del mio essere salesiano, l'operatore della buona stampa non tralasciando nessun mass media, un produttore di buone notizie tra tv, radio, web, carta stampata, libri per bambini, ragazzi, giovani, adulti. La vera essenza salesiana in me, il cuore e il motore che rinnova la mia chiamata laicale a seguire Gesù secondo il carisma salesiano va oltre me, i miei sogni, i progetti, travalica le realizzazioni e le produzioni giornalistiche o letterarie, supera le competenze didattiche; essa è nei giovani e nella chiara consapevole ispirazione che in essi "c'è del buono ed è giusto combattere per questo".
Io ci credo e per questo cerco di affrontare tutti i giorni “la buona battaglia”! Io ci credo e ve lo racconto attraverso alcune pennellate di vita: giovani che mi hanno aiutato a crescere (e mi aiutano ancora) come uomo e Salesiano Cooperatore, giovani per i quali vale la pena scommettere tutta la vita. Se la spiritualità è un modo di vivere il Vangelo e il Vangelo è la buona notizia dell’incontro con Gesù, per me il suo volto è nel volto di tanti ragazzi che, per dirla con “Il piccolo principe”, mi hanno “addomesticato”. Penso a Stefania che a 20 anni è morta di leucemia, ma qualche giorno prima ha voluto salutare tutte le persone che le erano state vicine. Sul letto della sua stanza, consumata dalla malattia nel fisico, non ha mai smesso di sorridere, mi ha raccomandato di non essere severo con i miei alunni, mi ha fatto la domanda più difficile che abbia mai ricevuto: «Prof, ma in Paradiso soffrirò ancora?». Penso a Peppe che, facendo con me una sera – come ogni lunedì – volontariato con gli immigrati e i senza dimora, riceve 5 euro da un povero anziano contento a cui aveva dato un po’ di sollievo, quasi fosse suo nipote. Da allora quella banconota gli ricorda ciò per cui è importante vivere. Penso a Milena che, dopo una giornata difficile a scuola con una classe, mi raggiunge in corridoio, mi dà una pacca sulla spalla e mi dice con un gran sorriso: «Stia sereno, prof!». Penso a Gianni che, una mattina al campo estivo dell’oratorio, vedendomi preoccupato poiché la giornata era piovosa, mi dice: «Marco, di che ti preoccupi? L’importante è che il sole ce l’abbiamo dentro». Penso a Mohamed, conosciuto una sera sotto un portico, giunto da poco dopo uno sbarco: vistolo in cattive condizioni gli offriamo più di un pasto caldo ma, preso il primo, non accetta il secondo dicendoci: «No, grazie, perché Dio c’è anche domani!». Penso a Rosario, detto Saro, che tutti gli animatori rimproveravano all’oratorio, ma nessuno per mesi e mesi gli aveva mai chiesto come si chiamasse. Penso alle ore notturne passate in chat e sui social per parlare con Chiara che non si sente voluta bene da nessuno e vomita ciò che mangia. Penso a Giuseppe, un giovane ex-allievo, orfano di padre, che oggi è laureato e ha pubblicato una raccolta di poesia realizzando un suo piccolo sogno.
Allora ogni vita è una storia grande, di quelle che contano davvero e per poter vivere è necessario essere aggrappati a qualcosa, a Qualcuno. In questo mondo, nonostante tutto, c’è qualcosa di buono per cui vale la pena impegnarsi! Don Bosco scelse di puntare sul buono che c’era nei ragazzi, partendo proprio dagli ultimi e incontrandoli con il volto Risorto, che è un volto che manifesta bontà e gioia.
In ognuna delle “Terre dell’Educazione” sono chiamato a stare con uno sguardo da “risorto", con la gioia di chi ha incontrato Gesù Cristo. In virtù della spiritualità salesiana sono certo che il bene è più contagioso del male; credo che una foresta intera che cresce possa fare più rumore di un albero che cade; sogno che chi nasce tondo possa morire quadrato al di là di tutte le leggi della geometria; m’impegno affinché da ogni sogno possa nascere un progetto di vita.
Mi permetto, infine, di parlare del Paradiso perché la nostra vera missione è il cielo a partire da questa terra! Non andrò in Paradiso perché papa Francesco testimonia e vive la povertà e l’attenzione agli ultimi, non mi basterà dire a San Pietro "ma quanto è bravo!". Funzionerà forse un po’ come in certe discoteche o locali dove si entra se accompagnati e in questo caso entrerò in Paradiso solo se sarò accompagnato dai giovani a cui avrò voluto bene e che avrò "salvato", saranno loro il mio pass.
Il canto citato all'inizio aveva e ha un titolo che è tutto un programma: "Continua con te". Allora devo continuare a camminare con i piedi per terra, lo sguardo in cielo, le maniche sbracciate per il lavoro; la missione è di essere felice, ma di non esserlo da solo!