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    Giovani: vocazione laici /12

    Paola Bignardi

    (NPG 2018-06-77)


    Tra le espressioni più ricordate e incisive di Papa Francesco vi sono quelle che alludono allo stile triste e rassegnato con cui i cristiani si pongono di fronte alla vita: facce da quaresima senza Pasqua; facce da funerale… Espressioni che stigmatizzano atteggiamenti incapaci di riconoscere e di godere della bellezza e della ricchezza di doni con cui Dio colma l’umanità e la vita personale.
    Una delle fonti dello scontento – non solo dei cristiani, ma anche di loro! – è “questo tempo”. Sembriamo tutti innamorati del passato, come se quella fosse l’età dell’oro che si è incomprensibilmente trasformata in una stagione avara di bene, povera di opportunità, carica di problemi. Si prenda come esempio l’educazione. Oggi si parla di “emergenza educativa” e si giudicano i giovani come indisponibili all’azione educativa; e lo si fa senza tenere minimamente conto del fatto che viviamo in un’epoca diversa dal passato, come ricorda Papa Francesco. Parlando dell’evangelizzazione, cita coloro che scusano i loro insuccessi dicendo che oggi è più difficile”, ma – aggiunge Papa Francesco – “non diciamo che oggi è più difficile; è diverso” (EG 263). Il Papa parla dell’evangelizzazione, ma il discorso è poco differente se si considera l’educazione.
    Il passato viene trasfigurato dalle nostre incapacità di entrare in relazione con un presente che ci chiede fatica, ma anche la creatività di misurarci con una situazione inedita. La nostra pigrizia ci fa preferire la ripetizione all’invenzione e all’iniziativa.
    Del presente sembra che siamo capaci di cogliere solo ciò che non va. Le cose negative, in realtà, ci colpiscono di più e ci inducono facilmente al pessimismo e alla depressione. Il nostro spazio mentale è occupato più da quello che è negativo piuttosto che dalla consapevolezza di ciò che di positivo c’è nella vita. Tutto questo dipende anche dai criteri che ci diamo per definire una cosa positiva/negativa. Dobbiamo avere la consapevolezza che, dentro di noi, portiamo sempre anche il nostro passato e portiamo il desiderio di un futuro in cui non è sempre facile credere. Torno all’esempio dell’educazione. Oggi si parla della gravità della crisi di essa, forse cercandone più o meno esplicitamente le responsabilità. E non teniamo in conto che quello che stiamo vivendo è l’esito del passaggio da un’epoca in cui si educava in un certo modo, ad un’epoca per la quale non abbiamo ancora trovato il nuovo modello per educare. Un tempo c’era un contesto sociale che nel suo insieme contribuiva ad educare, oggi non è più così; a qualcuno sembra che tutto sia compromesso senza speranza e non riesce a rendersi conto che nell’attuale situazione vi sono non pochi guadagni!.
    Voglio ricordare anche ciò che disse in modo deciso, profetico e ancora attuale, Giovanni XXIII in apertura del Concilio: “ci vengono riferite le voci di alcuni che, sebbene accesi di zelo per la religione, valutano però i fatti senza sufficiente obiettività né prudente giudizio (che vuol dire: senza sufficiente intelligenza e distacco). Nelle attuali condizioni della società umana essi non sono capaci di vedere altro che rovine e guai; vanno dicendo che i nostri tempi, se si confrontano con i secoli passati, risultano del tutto peggiori. Queste zelanti persone religiose vedono solo rovine e guai e dicono che i tempi nostri sono sempre peggiori del tempo passato” (Gaudet Mater Ecclesia).
    Giovanni XXIII sembra quasi infastidito da questi profeti di sventura che non testimoniano la speranza. Chi ha una speranza, infatti, testimonia di un bene possibile: si crede che accadrà, anche se ora non se ne vede la realizzazione. Vi sono però anche degli atteggiamenti quasi inconsapevoli che ci appartengono e di cui dobbiamo tener conto quando leggiamo la realtà: dobbiamo essere cioè consapevoli che noi tendiamo ad essere colpiti soprattutto dai fatti negativi; quelli positivi, infatti, ci sembrano ordinari, scontati, quasi ovvi.
    Senza questo sguardo fiducioso e positivo, la tentazione del vittimismo che sta sempre in agguato ci trasformerà in persone ripiegate su noi stessi, troppo infelici per testimoniare che Dio ha salvato il mondo e noi in esso.

    I segni dei tempi, segni della presenza di Dio nel tempo

    Il cristiano che vive la speranza sa cogliere nella vita e negli eventi i segni della presenza di Dio. Non è un esercizio semplice, eppure la profezia del cristiano passa attraverso la profondità del suo sguardo sulla storia. Nel Vangelo di Luca si legge: “«Quando vedete una nuvola salire da ponente, subito dite: Viene la pioggia, e così accade. E quando soffia lo scirocco, dite: Ci sarà caldo, e così accade. Ipocriti! Sapete giudicare l'aspetto della terra e del cielo, come mai questo tempo non sapete giudicarlo?” (Lc 12,54-56). Gesù rimprovera i suoi interlocutori perché sanno interpretare i segni atmosferici, che sono secondari, e non questo tempo, cioè le cose profonde e decisive della vita. Anche l’espressione “segni dei tempi” fa ricordare Giovanni XXIII, che la usò nella sua enciclica Pacem in terris. Tre erano i fenomeni che il Pontefice indicava come promessa di un mondo nuovo: l’ascesa economico-sociale delle classi lavoratrici, l’ingresso della donna nella vita pubblica, l’indipendenza dei popoli. Un esempio di come nei fili complicati della storia lo sguardo profetico sa leggere la trama che Dio va tessendo in essa.
    Ma i profeti di sventura, i brontoloni che continuano a lamentarsi della tristezza dei tempi sono dei cristiani strabici, che del mondo hanno una percezione distorta, attenti come sono solo ai segni del male, come se avesse a vincere sul dono di Dio che questo mondo lo ha creato, bello, per l’uomo al quale lo ha dato in custodia come dono prezioso. Corrotta dalla corta visuale dell’uomo, tuttavia la realtà in cui viviamo è stata rigenerata dalla Pasqua di Cristo. Il bene oggi emerge dalla lotta con il male, in noi e attorno a noi; non rendersene conto significa in qualche modo rendere vana la croce di Cristo e decretare che l’ingiustizia, la corruzione, la disuguaglianza… sono l’ultima parola. Il laico sperimenta in modo particolarmente vivace questa tensione nella sua vita quotidiana: la famiglia, il lavoro, la politica, la società… sono percorsi da essa. Vedere solo ciò che non funziona significa, oltre che compiere un ingiusto giudizio su Dio, privarsi di un punto di forza decisivo: solo il mettersi nella prospettiva di ciò che è bene può contribuire a trasformare il mondo.
    Leggere i segni dei tempi richiede un processo di conversione alla logica di Dio e la capacità di purificare il nostro sguardo, passando per la conversione del cuore. Senza questa, possiamo rischiare di leggere la realtà secondo criteri mondani: ideologici, emotivi, interessati, volti a cogliere in essa solo gli aspetti clamorosi, negando di fatto nella storia la presenza di Dio e della sua Provvidenza.

    Guardare la vita in profondità

    Il cristiano, e non solo il laico, crede alla forza del bene e ne cerca i segni nel suo tempo. Per poter fare questo, coltiva con cura alcuni atteggiamenti:
    - Si impegna a fare una lettura in chiaroscuro della realtà che è fatta del mescolarsi del grano e della zizzania, direbbe Matteo, per cogliere le sfumature, vedere i semi di bene racchiusi anche là dove sembra tutto compromesso. Leggere la realtà in chiaroscuro significa saper stare sul crinale, tra la luce e l’ombra… ho fatto allusione prima ai “guadagni” di questa fase della crisi dell’educazione. Mai come in questo tempo si sta mettendo a fuoco il senso dell’educare e il grande valore di essa. Quando tutto era pressoché scontato, il processo educativo sembrava una cosa quasi naturale e tutti si potevano quasi sentire educatori all’altezza. Oggi, invece, capiamo meglio l’impegno che comporta il processo educativo. Possiamo cogliere la grande valenza umana che esso ha. Nell’esperienza educativa non c’è solo una fatica, ma c’è anche una bellezza e una grandezza che costruiscono anche l’adulto e che lo fanno diventare più consapevole della sua stessa umanità. Educando, mettiamo in gioco tutte le nostre certezze, le nostre convinzioni, aprendoci e impegnandoci al dialogo, alla ricerca e al confronto.
    - Fa della realtà una lettura partecipe e responsabile, una lettura cioè di persone che non si chiamano mai fuori rispetto a quello che accade e, nello stesso tempo, hanno la capacità del distacco e della parzialità, del valore relativo che le cose hanno. Dobbiamo essere consapevoli che difficilmente ritroviamo i valori in cui crediamo pienamente realizzati e collocati dentro la storia: le cose definitive e assolute sono solo quelle dell’ultimo giorno. Ci incontriamo invece, più facilmente, con realizzazioni parziali dei nostri valori che non sono mai tutto il bene che desideriamo. Anche le realizzazioni piccole, incompiute, parziali, però, hanno un loro valore. Dunque l’atteggiamento sapiente mi pare sia quello del coinvolgimento ma, insieme, anche del distacco per non affezionarci troppo alle nostre idee. Saper relativizzare, consapevoli che anche le cose che sono solo degli accenni di bene hanno un loro valore. Se sapremo relativizzare le nostre opinioni senza affezionarci troppo ad esse, allora potremo ascoltare anche gli altri, metterci in ricerca e in dialogo, accogliendo la lettura dei fatti di altri in una forma di arricchimento reciproco. Non dobbiamo mai essere sicuri di possedere tutta la verità!
    - Crede che Dio nella storia è all’opera e la costruisce con la sua azione anche se non appare ai nostri occhi. È quello che Papa Francesco definisce “senso del mistero”: “abbiamo bisogno di una certezza interiore, cioè della convinzione che Dio può agire in qualsiasi circostanza, anche in mezzo ad apparenti fallimenti, perché « abbiamo questo tesoro in vasi di creta ». Questa certezza è quello che si chiama “senso del mistero”. È sapere con certezza che chi si offre e si dona a Dio per amore, sicuramente sarà fecondo. Tale fecondità molte volte è invisibile, inafferrabile, non può essere contabilizzata. Uno è ben consapevole che la sua vita darà frutto, ma senza pretendere di sapere come, né dove, né quando”. (EG 279). Ricordiamoci per esempio come la persecuzione degli apostoli, che fu un fatto oggettivamente negativo, li costrinse a fuggire da Gerusalemme, disperdendoli. Proprio da questi fatti negativi cominciò una nuova storia perché essi predicarono il vangelo annunciandolo nel mondo intero. Questo è solo uno dei tanti segni di come Dio opera nella storia traendo il Bene là dove noi riusciamo a vedere solo il male. Dio è nella nostra storia personale e sa ricavare il bene anche dal male.
    - Infine, occorre essere persone di speranza, cioè essere disposti a lasciarsi sorprendere con fiducia da una azione imprevedibile di Dio che non smette mai di generare novità e prospettive inedite, inaspettate rispetto al nostro modo di pensare, che possono anche essere la risposta all’inquietudine che ci siamo portati dentro.
    Chi si allena a vivere una vita interiore con queste caratteristiche diventa capace di fare discernimento, cioè di guardare in profondità nella trama delle cose umane per cogliere l’invisibile, i segni della presenza di Dio nella storia; suppone un vedere che sa comprendere, capace di andare al di là delle apparenze immediate e in grado di orientarsi nella complessità delle cose. L’esercizio del discernimento è confronto con il Vangelo e con i fratelli, giudizio sulla realtà, decisione, soprattutto dialogo. Chi vive con questo sguardo sa incontrare gli altri – cristiani e non – in un confronto e in un dialogo che arricchiscono la comprensione del tempo e aiuta ad essere “contemporanei” di esso. Il dialogo costituisce per la Chiesa la strada per affrontare la novità del contesto umano e sociale contemporaneo, e per costruire insieme a tutti un mondo a immagine del Risorto.
    In questo modo, i laici cristiani potranno essere contemporanei dei loro fratelli, calati nel loro tempo, solidali con esso e per questo in grado di testimoniare il Vangelo alle persone con cui vivono ogni giorno.


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