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    Perché senza Dio è smarrito il segreto del vero, del buono e del giusto?


     

    a cura dell’Ufficio PG-ILE – Giancarlo De Nicolò – Cristiana Freni

    (NPG 2010-08-22)

    Il percorso

    Sempre più dentro le ragioni che motivano l’approccio a Dio, e il senso di quella radicale attrazione che si traduce non solo nel desiderio del cuore («Ci hai fatti per te», S.Agostino) ma anche in ogni forma di religiosità personale e delle stesse religioni istituzionali. In Dio sta il segreto non solo della nostra più piena e consapevole identità di persone ma anche il senso più vivo e radicale dell’essere, nelle varie forme in cui esso si esprime: il giusto, il vero, il buono, il bello. Concetti che esprimono il «valore», i «valori» su cui è fondata un’esistenza, che dunque dicono la ricchezza (oggettiva) e la desiderabilità (soggettiva) dell’essere, o meglio dell’Essere che è Dio. Come dire, senza il riferimento a Dio, radice e ragione del valore dell’esistenza, la nostra stessa esistenza (il nostro essere) è come senza radice, senza senso, anzi «scompare», si nullifica. Circa il valore nella forma del «buono» e del «giusto», possiamo rimandare il lettore alla rubrica «Le virtù» (anche se questa rubrica esprime una riflessione morale più che metafisica); e per quanto riguarda il valore nella forma del «bello», rimandiamo all’altra rubrica «Discepoli della Bellezza», dove è fondamentale il costante riferimento alla Bellezza che è Dio e il suo riflesso nelle cose, nell’arte e nelle varie forme di essa. Il materiale che segue apre il discorso sul bisogno dell’uomo di trovare esperienze e ragioni della sua ricerca del senso e dei valori. Solo il nome di Dio racchiude il segreto di essi.

    ELOGIO DELL’INTANGIBILE

    «Lo spirito si mostra così povero, che sembra impetrare, per un po’ di ristoro, il magro sentimento del divino, simile al viandante che nel deserto brama una sola goccia d’acqua». La sequenza di canzoni, brani di letteratura e poesia qui riportati offrono uno spunto per approfondire il ragionamento suscitato dall’affermazione citata. É possibile condurre una riflessione a partire dalla seguente traccia:

    1. Next Brad

    Gordon spense la tv e strillò: «Avanti. È aperto». Era mezzogiorno. Si stava rilassando nel suo appartamento al terzo piano a Sherman Oaks. Stava guardando una partita di football, in attesa del ragazzo che consegnava le pizze. Ma con sua grande sorpresa, la porta si aprì ed entrò la donna più bella che avesse mai visto in tutta la sua vita. Era la quintessenza dell’eleganza: trent’anni, alta, snella, vestita con abiti di stilisti europei, tacchi di media altezza. Sexy, ma non eccessiva. Brad si spostò sul bordo della chaise-longue e si sfregò il mento con una mano, accarezzandosi un inizio di barba. «Scusi», esordì lui. «Non aspettavo visite». «Mi manda suo zio, il signor Watson», disse la donna, avanzando verso di lui. Lui si affrettò ad alzarsi. «Mi chiamo Maria Gonzales». Aveva un leggero accento, ma non sembrava spagnolo. Piuttosto tedesco. «Lavoro per la società che si occupa degli investimenti di suo zio», spiegò lei, stringendogli la mano. Brad annuì, inspirando il suo profumo leggero. Non era sorpreso di sapere che lavorava per lo zio Jack: il vecchio si circondava di donne d’affari molto attraenti e altrettanto competenti. «Che cosa posso fare per lei, signora Gonzales?» «Per me niente», rispose lei, guardandosi intorno in cerca di un posto su cui sedersi. Decise di rimanere in piedi. «Ma può fare qualcosa per suo zio». «Be’, certo. Qualunque cosa». «Non serve che le ricordi che suo zio le ha pagato la cauzione, e si accollerà il costo della sua difesa. Siccome l’accusa è di abuso di minore, la difesa sarà difficile». «Ma mi hanno incastrato..». Lei alzò una mano. «Non sono affari miei. Il fatto è questo: suo zio l’ha aiutata diverse volte nel corso degli anni. Ora ha bisogno del suo aiuto. E della sua discrezione». «Lo zio Jack ha bisogno del mio aiuto?» «Sì». «Okay. Certo». «È strettamente confidenziale». «Giusto. Sì». «Non parlerà di questo con nessuno. Mai». «Bene. Ho capito». «Se si lascerà sfuggire qualcosa, suo zio non si occuperà più della sua difesa. Passerà vent’anni dietro le sbarre come molestatore di bambini. Sa cosa vuoi dire». «Sì». Si asciugò le mani sui pantaloni. «Capisco». «Questa volta niente cazzate, Brad». «Okay, okay. Mi dica solo che cosa vuole che faccia». «La sua azienda preferita, la BioGen, sta per annunciare un’importante scoperta: un gene che cura la tossicodipendenza. È il primo passo verso un prodotto commerciale dalle enormi potenzialità, che attirerà molti finanziamenti. Attualmente suo zio occupa una posizione di primo piano nella società, e non vuole che altri investitori gli rubino la scena. Vuole spaventarli». «Sì..». «Diffondendo brutte notizie sulla BioGen». «Che genere di brutte notizie?» «Al momento», precisò Maria Gonzales, «il più importante prodotto commerciale della BioGen consiste in una linea cellulare, la linea di Burnet, che la compagnia ha acquistato dall’UCLA. La linea cellulare produce citochine, una sostanza in grado di combattere il cancro». «Sì..». «Se quella linea cellulare venisse contaminata sarebbe un disastro». Rovistò nella borsetta e tirò fuori una boccetta di plastica di una nota marca di collirio. La boccetta conteneva un liquido chiaro. Svitò il tappo e versò una sola goccia di liquido sulla punta delle dita dell’altra mano. «Capito?» «Sì», rispose lui. «Una goccia sulla punta delle dita. Poi le fa asciugare». «Okay». «Deve andare alla BioGen. Le sue tessere magnetiche funzionano ancora. Controlli sul database la localizzazione dei frigoriferi contenenti la linea di Burnet. Il numero di immagazzinamento è scritto su questa scheda». Gli consegnò un cartoncino con il codice BGOX6178990QD. «Ci sono campioni congelati e altri vivi in incubatrici in vitro. Deve semplicemente andare lì e toccarli... uno per uno». «Devo solo toccarli?» Brad guardò la boccetta. «Cos’è questa roba?» «Niente che le possa far male. Ma alle cellule non piacerà». «Le telecamere di sorveglianza mi filmeranno. Ogni passata di carta magnetica viene registrata. Sapranno chi è stato». «Non se ci va tra l’una e le due del mattino. I sistemi sono disinseriti per il back-up». «No, non è così». «Sì, invece. Solo per questa settimana». Brad prese la boccetta e la osservò con attenzione. «Ma lo sa», chiese, «che hanno anche magazzini fuori sede per quel tipo di cellule?» «Si limiti a fare quello che le chiede suo zio», rispose lei. «E lasci che al resto pensi lui». Chiuse la borsetta. «E un’ultima cosa. Non chiami o contatti suo zio per nessun motivo. Vuole evitare ci sia anche la minima traccia di un qualche contatto tra di voi. Chiaro?» «Chiaro». «Buona fortuna. E da parte di suo zio, grazie». Gli strinse la mano e se ne andò. (M. Crichton, Next, Garzanti 2008.)

    • «La società contemporanea si interroga su quali siano i limiti legittimi dell’esercizio della libertà individuale e collettiva». Il brano di Crichton sembra confermare in pieno questa affermazione: tu che ne pensi?
    • È possibile, secondo te, che l’uomo si senta «libero» e «padrone» su tutto e tutti, senza avere nessun tipo di limite? Perché?

    2. Le dieci regole del buon formichiere

    1. Non dire mai bugie, a meno che non sia strettamente necessario.
    2. Non svegliarti troppo tardi la mattina.
    3. Non mangiare altri animali.
    4. Leggi tanti libri.
    5. Guarda meno la tv.
    6. Non inquinare.

    7. Fai ciò che senti di fare, e non ciò che gli altri pensano dovresti fare.
    8. Agisci in modo da poter desiderare di vivere di nuovo.
    9. Non avere paura del futuro, dipende da te come sarà.
    10. Non rassegnarti. (G. Culicchia, A spasso con Anselm, Garzanti 2001)

    2. Liberi tutti, quasi

    TELEFONATA NUMERO UNO, ALL’ORFANOTROFIO DEI FIGLI DEI CADUTI DELLA GUERRA IN CECENIA «Pronto, sì, buona sera». Pausa. «Telefono da parte del giovin scrittore Culicchia e del dottor Anselm». Pausa. «L’anno scorso questi miei amici hanno adottato a distanza due bambini di nome Natasha e Aliosha, e vorrebbero sapere se sono lì da voi». Pausa. «Sì, Natasha e Aliosha». Pausa. «Non avete mai avuto in orfanotrofio due bambini di nome Natasha e Aliosha?» Pausa. «Va be’, grazie comunque».

    TELEFONATA NUMERO DUE, ALL’ORFANOTROFIO DEI FIGLI DI CHISSÀ CHI «Pronto, sì, buona sera». Pausa. «Telefono da parte del giovin scrittore Culicchia e del dottor Anselm». Pausa. «Sono due miei amici». Pausa. «Io? Tristano». Pausa. «Ecco, le spiego. I miei amici l’anno scorso hanno adottato a distanza due bambini di nome Natasha e Aliosha, e vorrebbero sapere se sono lì da voi». Pausa. «Sì, Natasha e Aliosha». Pausa. «Sono scappati tre mesi fa?» Pausa. «Come sarebbe a dire sono scappati tre mesi fa? Avranno al massimo due anni. Qui da voi a due anni sono già in grado di scappare?» Pausa. «Ah. Deve essersi trattato di un qui pro quo al momento dell’adozione». Pausa. «Ah. Lei ha undici anni e lui ne ha dieci». Pausa. «Ah. Non avete idea di dove possano essere andati». Pausa. «Va be’, grazie lo stesso».

    (G. Culicchia, Liberi tutti, quasi, Garzanti 2002)

    • «Nella convivenza attuale l’evocazione dei limiti della libertà però produce sovente più conflitti di quanti non ne risolva; questo mostra come l’uomo sia tentato di ridurre il mondo alle proprie dimensioni e le relazioni alla misura del proprio arbitrio»: cosa si intende per «libero arbitrio»?
    • Abbiamo, in quanto esseri intelligenti e pensanti, una coscienza a cui dover «rendere conto»?

    3. Voglia di libertà

    Sento parlare le mie
    labbra
    e come sempre vorrei
    star zitto
    in questa casa di
    proprietà mi sento
    sempre in affitto
    ci sono cose che dovrei
    fare
    e dalle quali gli sto alla
    larga
    passano spesso molte
    occasioni
    mi limito a leggerne la
    targa

    C’è qualcosa che non va
    in questo cuore
    in questo cuore qua
    qualcosa che non va
    forse sarà l’età
    o forse sarà
    la voglia di libertà
    la voglia di libertà

    Mi sono preso un giubotto nuovo
    per l’inverno che sta per iniziare
    e devo andare dall’ottico
    a ritirare le foto del mare
    tra un giorno è mezzo è il mio compleanno
    centosettesimo da quando sono nato
    ed è costume che il compleanno
    venga festeggiato

    C’è qualcosa che non va
    in questo cuore
    in questo cuore qua
    qualcosa che non va
    oh oh forse sarà l’età
    o forse sarà
    la voglia di libertà
    la voglia di libertà
    la voglia di libertà
    la voglia di libertà
    la voglia di libertà
    la voglia di libertà

    C’è qualcosa che non va
    in questo cuore
    in questo cuore qua
    qualcosa che non va
    oh oh forse sarà l’età
    o forse sarà
    la voglia di libertà
    la voglia di libertàla voglia di libertà

    (Jovanotti, da Buon Sangue – Lorenzo 2005, Universal, 2005)

    • «La religione subisce questa tentazione della libertà umana di essere padrona di se stessa e di ogni sua esperienza, ma di questa tentazione è anche l’unico autentico rimedio». Quanto c’entra Dio con la nostra libertà?

    È dunque tuttora valida l’idea di sant’Agostino, che spiegava come Dio abbia preferito rendere l’uomo capace di bene, a costo di poter fare anche il male, piuttosto che imporgli l’incapacità di fare il male, ma anche il bene? Se Dio avesse creato l’uomo incapace di fare il male, ma per ciò stesso incapace di fare liberamente il bene, non l’avrebbe fatto a propria immagine: poiché Dio è la libertà dell’amore. Gli ha donato invece la capacità di scegliere fra il bene e il male affinché egli, con l’aiuto della sua grazia, e cioè in unione con lui, possa diventare in certo modo creatore di se stesso, rispondendo liberamente all’atto di infinito amore di Dio nei suoi confronti. È ciò che sperimentiamo nel rapporto con il prossimo: che amore sarebbe il nostro se volessimo imporre agli altri di risponderci con altrettanto amore? Non sarebbe vero amore, avrebbe in sé qualcosa di terribilmente egoistico; né sarebbe vero amore quello degli altri, appunto perché frutto di costrizione. Siamo invece certi che l’amore che viviamo nei confronti dell’altro è vero quando non ci aspettiamo un ritorno. E proprio questo fatto non di rado suscita, come un miracolo, la risposta d’amore dell’altro: poiché il nostro amore si offre gratuitamente in modo disarmato all’altrui libertà. Quindi, alla fin fine, la parola-chiave che determina la responsabilità dell’uomo è il suo essere l’unico vivente dotato di consapevolezza riguardo alla moralità del proprio agire? L’uomo è responsabile di sé, della propria realizzazione e dello sviluppo del mondo nel quale vive, in quanto è creato «a immagine e somiglianza» di Dio. Dio è principio di vita, è libertà dell’amore, è promozione dell’altro. Così l’uomo, a immagine di Dio. Per questo la persona umana è consapevole di sé e capace di autodeterminazione. Ma non in modo avulso dal resto della creazione. L’uomo è infatti responsabile per sé e per gli altri, per la comunità e per il mondo che lo circonda. La libertà dell’uomo che si decide all’amore è il vertice dello sviluppo cosmico. Verso di esso tendono tutti gli essere creati. E tanto è decisivo – per l’uomo e per l’universo in cui egli vive – l’esercizio di tale libertà nel mondo, che esso decide non soltanto del suo destino terreno, ma anche del suo destino definitivo! (P. Coda – S. Gaeta, Dio crede in te. Perché vale la pena di prenderlo sul serio, Rizzoli 2009)

    • «La relazione con Dio è infatti relazione che annoda la libertà alla sua origine, ma, riferendola al proprio principio, insieme la limita e le assegna possibilità d’essere»: fino a che punto il fatto «credere in Dio» ci può chiedere di rinunciare a qualcosa che sentiamo espressione della nostra libertà?

    1.Un approccio dall’arte

    Previati

    Maternità, Gaetano Previati (1852 – 1920), cm. 177x411,50, Novara, Banca Popolare, olio su tela, 1890-1891.

    «Previati è il solo grande artista italiano, di questi tempi, che abbia concepita l’arte come una rappresentazione in cui la realtà visiva serve soltanto come punto di partenza». Così scrive Boccioni del contemporaneo Gaetano Previati il 26 marzo 1916, e questa tela è sicuramente prova della fondatezza dell’analisi e degli apprezzamenti sopracitati. Previati affronta durante la propria carriera artistica, in modo originale e anticonvenzionale, i soggetti già consacrati dalla tradizione classica e romantica di carattere storico, letterario, religioso ed esotico, inoltre si interessa, con un numero ridotto di opere, anche al paesaggio, alla natura morta e ai ritratti, ma soprattutto sviluppa temi nuovi di natura mistico-simbolica inserendosi nel filone del Simbolismo europeo. Il soggetto della maternità in particolare appartiene a quest’ultimo gruppo. Si tratta di un tema astratto, ma facilmente rappresentabile grazie alla tradizione iconografica che è ricca di natività e maternità della Vergine. Appare evidente che proprio da queste Previati abbia tratto ispirazione rielaborando però con abbondante originalità la scena. Innanzitutto i colori non sono quelli di una notte natalizia, ma piuttosto di un nuovo giorno che sorge, richiamo al messaggio di rinnovamento che la maternità porta con sé. Le figure della madre e del figlio sono avvolte dallo stesso scialle chiaro e non sembrano ancora scissi nella carne, ancora non c’è una vera distinzione tra la pelle della madre e quella della creatura, né la madre sembra intenzionata a far sì che questa separazione avvenga tanto presto. I due esistono esclusivamente l’uno per l’altro. Tanto da non accorgersi del loro entourage angelico che sembra godere della stessa tenerezza che intercorre tra madre e figlio, ovvero dell’essenza stessa della maternità secondo Previati. Questo dipinto di non convenzionale valore, esemplifica perfettamente il legame ideale tra l’uomo e Dio. Un semplice uomo, consapevole della propria origine divina e del proprio legame di figliolanza con Dio Creatore (resi evidenti nella tela tramite l’albero con radici dietro alla madre e rami che si perdono nel cielo) è abilitato a condurre una vita realmente umana (infatti madre e figlio non guardano al cielo, ma si curano si donano tenerezza vicendevolmente) svolgendo con pienezza il proprio compito di testimonianza al mondo (testimonianza resa attraverso la nascita di un bambino, che è speranza nel futuro e nella specie umana) e anelando alla salvezza ultima (sull’albero compare il frutto del peccato originale), senza per questo dover rinunciare a tenere i piedi saldi a terra (la scena è assolutamente ‘terrestre’ e non celeste, in quanto la linea dell’orizzonte è più alta della mezzeria della tela, si trova infatti a due terzi verso l’alto, il cielo svolge qui la sola funzione di sfondo simbolico). Senza contare che la pennellata di Previati è composta essa stessa da colore filamentoso che pare essere fatto di luce, può cioè suggerire che l’uomo e il creato stesso siano intimamente tessuti di materia divina, contengano Dio.

    • Sono consapevole del filo di luce che lega la mia esistenza terrena alla Verità celeste?
    • So valorizzare quel filo di luce e mostrarlo come materia di cui sono intimamente composto? Come?
    • Vivo la mia religiosità con i piedi per terra, fiducia nell’umano e radici nel divino? Se no, perché?

    segantini

    Il castigo delle lussuriose, Giovanni Segantini (1858 – 1899), cm. 97,50x171, Liverpool, Walters Art Gallery, olio su tela, 1896-1897.

    «Io non so cosa sia avvenuto prima della mia nascita. So che ebbi un padre e una madre e che a loro piacque farsi un nido ad Arco nel Trentino sulla riva destra della Sarca». Giovanni Segantini, divisionista italiano ma apolide, nacque tra i monti, visse in Lombardia, ma trovò la sua dimensione e il suo personale stile divisionista soltanto in una cittadina montana popolata da quattro famiglie. Tornano, nei suoi quadri, il lavoro nei campi, il pascolo, la tosatura e la filatura e una religiosità discreta, serenamente tradizionale. Proprio la ricerca di questi ambienti agresti, splendenti di luce e di aria, lo portò a trasferirsi a Savognino, a 1200 metri d’altitudine. Quivi, Segantini ebbe modo di leggere «Nirvana», un poema di Luigi Illica. Gioconda LeykaufSegantini, sua nipote, racconta così: « Il nonno fu profondamente colpito dalla lettura del poema Nirvana di Luigi Illica. Lì si parla della maternità rifiutata, del castigo di queste cattive madri che devono sopportare lunghe sofferenze per ottenere la redenzione. Da lì gli vennero lo spunto e l’ispirazione per le prime opere simboliste. Condannò sempre le donne che vogliono godere solo del piacere, e nel Castigo delle lussuriose, del 1891, espresse questa condanna: due donne attorcigliate, sospese a mezz’aria, vagano in una sterile landa desolata. Tre anni dopo, nelle Cattive madri, rappresentò l’intero poema di Illica, dalla punizione al riscatto: gli alberi sembrano rifiorire della vita che nasce con la maternità e la madre ottiene il perdono del figlio. ». Segantini, isolato nell’ambiente montano, attorniato dalla pura neve e dal religioso silenzio che probabilmente curavano le sue ferite d’infanzia infelice, rimane talmente abbagliato dalla luce locale, che persino in un dipinto così crudo e duro, deve far tremolare il bagliore chiaro e splendente degli elementi naturali a lui così cari. La luce per Segantini è un’essenza mistica che rende possibile l’armonia respirabile nelle «componenti» dei suoi quadri; la luce è la relazione, è il filo invisibile che collega Dio alle sue creature, è la manifestazione del divino nel creato. L’artista, pur inserendo le lussuriose nel lucente creato che esse hanno, col loro atteggiamento, rifiutato, le esclude dall’abbraccio del manto nevoso. Inoltre, per contrappasso, le immerge in una luce gelida che di caliente lussuria non ha nulla, ne trasfigura i rossi capelli rami secchi bruniti, nega loro il pudore, scoprendone il seno e le relega, simbolicamente, in un nonluogo, sospeso ed escluso dal terrestre e dal celeste. La quiete e la bellezza del paesaggio non vengono in nessun modo corrotte dalle immagini delle peccatrici ed esse, ad occhi chiusi, non paiono coscienti della propria collocazione. Il limbo in cui il «pittore della montagna» posiziona le lussuriose ha qualcosa da dire tutt’oggi: siamo sicuri che chi è più attaccato ai beni del mondo finisce col goderne a pieno e col guadagnarsi la miglior vita possibile nella dimensione terrena? Facilmente non guadagnerà quella celeste, ma possiederà abbastanza autoconsapevolezza per non mettere a rischio proprio quella vita terrena per la quale nutre tanta passione?

    • Come vivo la mia umana dimensione terrena? Ne sono eccessivamente attaccato o distaccato?
    • Considero le mie origini divine importanti per la mia esistenza? Il filo di luce come mi influenza?
    • Il legame con Dio, il mio filo di luce, mi è di ostacolo nella relazione con chi mi sta attorno? Perché?

    Per continuare (o materiali da sfruttare)…

    Film (schede film scaricabili da www.acec.it)

    * CONGO, di Frank Marshall, USA, Paramount Picture, 1995.
    * SFERA, di Barry Levinson, USA, Warner Bros., 1998.
    * AL DI LÀ DELLA VITA, di Martin Scorsese, USA; Buena Vista International, 2000.
    * CENTOCHIODI, di Ermanno Olmi, Italia, Mikado Film, 2007.
    * GIOVANNA D’ARCO, di Luc Besson, Francia, Columbia Tristar Films, 2000.
    * IL GIORNO, LA NOTTE E POI L’ALBA, di Paolo Bianchini, Italia, Indipendenti, 2008.

    Libri

    * L. Enger, La pace come un fiume, Fazi 2009.
    * AA. VV., A proposito di libertà, Editrice San Raffaele 2009.
    * N. Bobbio, Eguaglianza e libertà, Einaudi 2009.
    * C. Nunn, Il fantasma dell’uomo macchina. Siamo davvero liberi di scegliere?, Apogeo 2006.
    * R. Guardini, La coscienza, il bene, il raccoglimento, Morcelliana 2009.

    Musica

    * V. Rossi, LIBERI LIBERI, EMI, 1989.
    * P. Bertoli, EPPURE SOFFIA, CGD, 1976.
    * Subsonica, MICROCHIP EMOZIONALE, Mescal, 1999.


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