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    Pg e Arte / Storia “artistica” della salvezza

    Maria Rattà

     

    Il legame tra mondo terreno e celeste che emerge fin dalle prime pagine della Genesi, in cui Dio si coinvolge nelle vicende umane, ha esercitato un grande fascino sugli artisti che hanno affrontato il tema nei modi più svariati e nelle epoche più diverse, passando da immagini pensate letteralmente quali parte di una Bibbia dei poveri a quelle in cui l’estro e il personale cammino spirituale di pittori e scultori ha inciso fortemente sulla scelta e la modalità di trasposizione artistica di questo argomento.
    Il racconto della creazione è stato così reso visibile attraverso immagini ora quasi fiabesche e fantastiche – come nella tela di Brueghel il Giovane, che fa apparire assieme il sole e la luna, e presenta il Dio creatore in volo sulla terra, circondato da volti rosei e paffuti di angioletti – ora più simboliche ed evocative – come nelle opere di Ivan Aivazovsky, che spesso torna a concentrarsi sullo spirito divino che aleggia sulle acque, esprimendo la presenza dell’Onnipotente attraverso sapienti contrasti di luce e ombra, in cui Dio squarcia il buio fatto di dense nuvole nere e riporta la calme sulle acque agitate –. Ma la tematica della creazione è stata pittoricamente celebrata anche dai grandi nomi dell’arte italiana, pur se non sempre con risultati universalmente osannati. È il caso di Tintoretto, che realizza, nel 1550 c., un ciclo di cinque tele dedicate alle storie della Genesi per la Suola della Trinità, poi demolita per costruire la Chiesa della Salute. La sua Creazione degli animali ha un vago sapore michelangiolesco nella posa del Dio creatore, che rimanda a quello stesso Dio che, nell’affresco della Cappella Sistina, crea Adamo. Ma mentre il Creatore di Michelangelo è, pur se possente, anche leggiadro, elegante e dinamico, quello di Tintoretto appare più statico e impacciato. Tuttavia è attraverso la posa di Dio che l’artista veneto cerca di imprimere il segno della vita che prende corpo nella creazione, e dà direzione a tutta la sua tela, con l’impressione che uccelli e pesci si muovano velocemente nell’aria e nell’acqua, come fuoriusciti e spinti nel mondo dal dito divino. Celebrata per lungo tempo, quest’opera è stata più di recente valutata da alcuni critici come opera di qualità non eccelsa, anzi, addirittura mediocre .
    Diverso è il caso della tela di Giovanni di Paolo, che, nella sua Creazione del mondo ed espulsione dal Paradiso del 1445, realizza un vero e proprio capolavoro, influenzato dalla Divina Commedia nella rappresentazione dell’Eden. Dio sembra scendere sul Paradiso, mentre è circondato da una luce calda e soffusa e attorniato da schiere di angeli, le cui ali ci indicano il rapido balenare del Creatore, il cui dito si posa, in atto creativo, sul mondo. Quest’ultimo è qui un globo, con la terra al centro, visualizzata come se guardassimo attraverso un cannocchiale, circondata da una serie di cerchi concentrici a rappresentare i quattro elementi, i pianeti (incluso il sole, che a quel tempo si riteneva tale fosse, e che ruotasse attorno alla Terra) e le costellazioni della zodiaco.
    La dinamicità si fa ancora più presente in opere più vicine a livello cronologico, come nel ciclo di Frederick Hart (vissuto nel secolo scorso), realizzato per la cattedrale di San Pietro e San Paolo di Washington. Hart si era convertito al cattolicesimo proprio varcando la soglia di questa cattedrale, intendendo usare il proprio talento, da quel momento in poi, come un carisma ricevuto in dono da Dio. Riallacciandosi a grandi artisti come Michelangelo e Rodin, l’artista americano fonde nella sua opera monumentalità e bellezza, ma imprime anche profonda spiritualità e una concezione quasi filosofica dell’esistenza. Adamo ed Eva lottano e si contorcono nel magma della creazione, da cui sembrano fuoriuscire, in attesa di essere totalmente integri, pronti per varcare definitivamente la soglia del mondo. La tensione della creazione si fa qui palpabile, materica nei corpi che si divincolano e nei volti dalle fronti corrugate, dagli occhi impauriti, dai capelli scompigliati dal vento. Entrano in gioco le forze della natura e quelle soprannaturali. Ci sono una drammaticità e un pathos ancora più intensi rispetto a quello che Rodin aveva tratteggiato presentando Adamo ed Eva come creature in posizione fetale, racchiuse e cullate nella mano di Dio, pronte a uscire da un cumulo di marmo informe. E se in Rodin la creazione esprime fortemente l’idea biblica di essere svezzati come bimbi fra le braccia della madre (cfr. Sal 131,2), rimandando comunque anche alla dolore insito in ogni travaglio, è invece totalmente pacata e rassicurante la rappresentazione trecentesca di Andrea Pisano, ideata per il campanile del Duomo di Firenze. Un Dio che nelle fattezze rimanda a Gesù – Nuovo Adamo – si china sulla creatura, con il dito rivolto verso il primo uomo, quasi come a volerlo risvegliare dal suo sonno primordiale, chiamandolo alla vita. E Adamo, nell’atto di sollevarsi da terra, con il braccio destro sembra essere pronto ad afferrare la mano del suo Creatore.
    Le mani Dio tornano, infine, anche nel momento in cui viene celebrato l’amore tra uomo e donna: Adamo ed Eva sono raffigurati assieme, letteralmente uniti tra le mani divine, tanto in opere del periodo gotico (come nella cattedrale di York) quanto in tempi più recenti, come nelle raffigurazione di Blake, in cui Dio è presentato quasi come sacerdote che congiunge l’uomo e la donna. Una sorta di anticipazione artistica di quell’unione di cui dirà più tardi Gesù nel Nuovo Testamento, sentenziando: «l'uomo non divida quello che Dio ha congiunto» (Mt 19,6).


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