Giovanni Battista Bosco
(NPG 1994-03-78)
La contesa appare aspra: tv sì, tv no! Pro o contro! Senza dubbio la questione rimane seria, e non può essere posta in termini manichei. La tv non è un soprammobile nelle nostre case; risulta essere più una regina corteggiata, se è vero che, come riferiscono indagini attendibili, viene ammirata per ore e ore, specie dai bambini, lungo ogni giornata.
Il Papa avvia la disputa con un messaggio articolato e pensoso. Viene letto come una contestazione della «bambinaia elettronica». Esperti e uomini di cultura stanno alla discussione: avvertono la serietà del problema e dicono la loro. Si denuncia la violenza programmata a tutte le ore della tv (Popper). Ma la questione sta nel difendere il principio della realtà contro la confusione intercambiabile della finzione e della verità (Adornato). In una società di spettatori, così come sembra essere la nostra, la cultura iconico-orale ci sta trasformando in un ludico «essere allo spettacolo» senza criteri di giudizio e scelte di valori (Prini). A queste posizioni qualcuno reagisce. Non ha senso essere contro la «Torre di Babele»: si deve solo lasciare agli adulti la libertà di trovarsi le merci comunicative che vogliono (Straniero). In fondo la tv viene impegnata in prima istanza come un metodo di gradevole lavaggio del cervello: serve all'igiene individuale, è una forma di psicoterapia diffusa (Enzensberger).
La realtà è che ci sono rischi e potenzialità enormi con la tv: ci vuole una mediazione, ci vogliono regole (Celentano). Ma certo non si può pensare a un «video pedagogico» (Magrassi): saremmo giunti alla società del «grande fratello». Ed allora: che fare?! – è la domanda spontanea.
Tento di fare chiarezza a me stesso, offrendo un contributo nella prospettiva pedagogica, tra le tante possibili.
In campo educativo, nessuno si illude di poter costruire personalità in aree protette. Anche la prevenzione non è pensata in termini di «riserva asettica». La realtà è pluriforme nelle sue espressioni e molteplice nei suoi volti: e la vita è un «campo di grano» in cui cresce anche la gramigna. È la legge dell'esistenza che ci fa vivere in una determinata società con tutti i propri risvolti di bene e di male. Estraniarsi significa essere condannati alla deprivazione e al fallimento.
Anche la tv non può sottrarsi a tali dinamiche: ha un suo contesto, fatto dicomplessità e pluralismo, di ambiguità e ambivalenza, di proposte e prevaricazioni. Sono i lineamenti della società moderna. Per il video valgono tutti i principi del vivere: del piacere e della realtà, della virtualità e della responsabilità, della fantasia e della razionalità, del diversivo e della riflessione. Se si contesta la tv, non si può evitare di progettare una rivoluzione più vasta, quella della cultura in cui si vive.
L'educazione si schiera dalla parte della realtà con tutta la sua ambiguità e ambivalenza, come suo contesto imprescindibile. Essa è radicata nella trama del vissuto come sua piattaforma progettuale: nulla di umano e culturale deve essere escluso.
E tuttavia asserire che tale è il suo contesto, non significa sottrarsi a valutare il testo, ossia il video, per un qualsivoglia pregiudizio o pretesto.
La tv non è un idolo intoccabile o un tabù incensurabile, cui consacrare ogni valore e ideale. Non appartiene alla serie degli strumenti neutri o asettici, che basta utilizzare ai fini di bene. Il regno dell'indipendenza e autosufficienza non compete neppure ad essa, come agli altri oggetti dell'uomo.
Come strumento di comunicazione il video possiede le sue leggi, che devono essere rispettate nella loro autonomia: si tratta della trasparenza nell'uso del mezzo comunicativo. La tv non può essere trasformata in una agenzia scolastica o formativa, come neppure in una azienda per il profitto ad ogni costo.
Del restò una tv pedagogica sarebbe un disastro politico, perché ci si chiederebbe subito chi mai gestirebbe simile pedagogia e in funzione di chi. E un'azienda senza volto umano, non sarebbe che strumentalizzazione dell'uomo al solo fine di lucro anomico.
Cionondimeno credo che una carta dei diritti dell'utente, specie se bambino, non possa essere evitato. Un codice viene richiesto perché la tv non travalichi nella prepotenza che si chiama persuasione occulta, debolezza critica, uso selvaggio del mezzo. Senza peraltro sopravvalutarne l'efficacia, dal momento che non tutto le è possibile. Nonostante il video, i ragazzi sanno ancora sognare oggi: mamma e papà battono sempre i personaggi famosi della tv, fate e cavalieri sconfiggono Batman, il nonno viene sognato più di un grande cambione di calcio. Lasciarsi rubare i sogni, non sembra essere un pericolo che corrono i nostri ragazzi (Barbiellini Amidei). Non siamo una generazione inebetita.
Comunque serve di certo una eco-comunicazione televisiva che non inquini il vissuto, altrimenti ci potremmo pentire in seguito, come sta avvenendo ora riguardo all'ambiente. È una sorta di intervento preventivo che intende più rafforzare che mortificare, più sviluppare che determinare.
Ma tutto questo non è affidato allo strumento, bensì al codice etico delle diverse professionalità che concorrono a gestire la tv. In definitiva è la persona che deve agire con responsabilità e professionalità, ossia secondo un codice deontologico. Ne sono conferma le teorie formulate fino ad ora attorno al video. La manipolazione per il dominio ideologico, la tesi dell'imitazione in senso moralistico, la simulazione animata da un sospetto di tipo gnoseologico, il rimbecillimento percettivo e psichico provocato dalla tv, l'interpretazione della sua funzione catartica mostrano la corda. Un loro comune elemento sta nel presupporre che l'emittente sia in ogni modo un falsificatore matricolato e il fruitore appare per principio come una vittima inerme. Ma questa non è la realtà dei fatti: lo spettatore è consapevole di non avere a che fare solo con un mezzo di comunicazione, ma anche con un mezzo per la negazione della comunicazione; e colui che trasmette sa che gli sta davanti qualcuno che seleziona e a lungo andare valuta e può condannare, perché non rispetta la complessità del reale o seleziona aprioristicamente.
E appunto su questo gioca la questione educativa: su una libertà che non sia liberticida e su una responsabilità che è espressione di qualità di vita e di dignità umana.
Non è evidentemente un appello vago riferirsi all'educazione. Si tratta al contrario di giocare la carta vincente oggi, impegnandosi a formare personalità che sappiano decidersi e scegliere.
Decidersi nei confronti di uno strumento che può servire alla crescita personale: sviluppare la propria cultura, esercitare il senso critico, soddisfare il sano desiderio di svago e festa...
Scegliere tra i programmi, negandosi di fronte alla manipolazione, all'identificazione, alla simulazione, all'intorpidimento: è lasciarsi guidare da criteri di giudizio e scelte di valore.
In una parola è assumersi in toto la capacità di protagonismo educativo nei confronti della tv. Ciò dice di essere utenti attivi che reagiscono di fronte alle sequenze, che sanno dissentire usando il pulsante, che operano politicamente perché sia rispettato il diritto di fruitori. Dice inoltre capacità di essere critici sui programmi, di verificare nel confronto i messaggi, di valutare quanto viene comunicato secondo un sistema di valori. E infine dice responsabilità nell'assumersi il proprio compito educativo in famiglia o nella comunità: è un compito che non si può e non si deve delegare a nessuno. Ogni educatore è tale perché si mette in relazione proponendo valori e ideali, senza di cui non vi è crescita in qualità di vita e in dignità umana.
L'intenzionalità educativa della propria azione, anche davanti alla tv, guida i passi verso la costruzione di una personalità che, nella ricerca della verità e della felicità, della reciprocità e della gratificazione, riesca ad esprimere la sua piena responsabilità (V. Frankl).
Non occorre dunque spegnere la tv per legge, come qualcuno propone; basta saperla usare anche solo con buon senso, che è sapienza di vita a cui ci si forma continuamente.