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    Salvatore Ricci

    (NPG 2013-04-02)


    «Mentre usciva per mettersi in viaggio, un tale gli corse incontro e, gettandosi in ginocchio davanti a lui, gli domandò: «Maestro buono, che cosa devo fare per avere la vita eterna?». Gesù gli disse: «Perché mi chiami buono? Nessuno è buono, se non Dio solo. Tu conosci i comandamenti: Non uccidere, non commettere adulterio, non rubare, non dire falsa testimonianza, non frodare, onora il padre e la madre». Egli allora gli disse: «Maestro, tutte queste cose le ho osservate fin dalla mia giovinezza». Allora Gesù, fissò lo sguardo su di lui, lo amò e gli disse: «Una cosa sola ti manca: va’, vendi quello che hai e dallo ai poveri e avrai un tesoro in cielo; e vieni e seguimi». Ma a queste parole egli si fece scuro in volto e se ne andò rattristato; possedeva infatti molti beni». (Mc 10,17-22)
    Si può essere tristi perché si ha tanto? Oggi ha senso affermare questo? Specie in un tempo in cui sembra che il segreto della felicità sia nel «non farsi mancare nulla»?
    Certo! È una verità che forse qualche volta anche noi, nel nostro piccolo, abbiamo sperimentato. Basti pensare a tutte le volte che ci prepariamo per affrontare un lungo viaggio, magari in treno. Ci ritroviamo a riempire le nostre valige, non solo di tantissimo entusiasmo, ma anche di tante cose inutili che, pensiamo, potrebbero tornarci comode. E così ci carichiamo di bagagli pesanti, ingombranti che non ci permettono di gustare il senso del viaggio, perché troppo attenti a non smarrire nessun bagaglio tra una stazione e l’altra, tra una coincidenza e l’altra. La fatica del trasporto, l’affanno e la preoccupazione per le nostre valigie, i nostri «beni», in fondo segnano il nostro viaggio, soffocando a volte lo stupore e la possibilità di entusiasmarci per le persone che incrociamo, per i panorami che si succedono, per il nuovo che incontriamo. E così anche i nostri volti «diventano scuri e tristi».
    Spesso mi chiedo cosa ne è stato di «quel tale». Con quelle valigie pesanti, quelle ricchezze apparentemente utili, quanta strada avrà potuto fare? Quante volte si farà fermato perché affaticato? Quei beni custoditi nel suo cuore avranno colmato quell’anelito di andare oltre, di dare un senso vero al suo peregrinare? Possibile che quello sguardo lo abbia lasciato indifferente? Che gli occhi amorevoli del Maestro non abbiano risvegliato in lui il desiderio di iniziare un nuovo viaggio, senza troppi vincoli, affanni e ansie, verso nuovi orizzonti capaci di riempire quel vuoto dell’animo? Ma lui ha fatto la sua scelta, una scelta che mi piace credere non definitiva.
    In «quel tale», con cui viene indicato quell’uomo che resta anonimo, possiamo vedere anche la nostra storia e chiamarlo con il nostro stesso nome, ogni volta che preferiamo optare per il nostro viaggio programmato anziché affidarci alla proposta di un cammino essenziale ma ricco, imprevedibile ma certo, nuovo ma vero.
    Il nostro «sì» alle cose determina il nostro cammino, non tanto perché ci affascina più del «sì» a Colui che ci chiama, ma perché timorosi di perdere i nostri beni, le nostre sicurezze. Non siamo disposti a «guadagnare» «perdendo», privandoci così della possibilità di intraprendere nuovi viaggi, di esplorare nuovi sentieri dietro a Gesù che ci invita a seguirlo lungo la strada che Lui solo conosce e che con la sua presenza può colmare quella sete di infinito che ci appartiene.
    Una vita sarà pienamente vissuta solo quando avremo la forza di chiedere al Signore di aiutarci ad uscire dalla nostra cecità che ci impedisce di aprire gli occhi su nuovi mete, di saper vedere al di là dei nostri orizzonti programmati.
    Avere in fondo il coraggio di Bartimèo, così come ci racconta l’evangelista Marco.
    ... il figlio di Timèo, Bartimèo, che era cieco, sedeva lungo la strada a mendicare. Costui, al sentire che c’era Gesù Nazareno, cominciò a gridare e a dire: «Figlio di Davide, Gesù, abbi pietà di me!»... Allora Gesù si fermò e disse: «Chiamatelo!». E chiamarono il cieco dicendogli: «Coraggio! Alzati, ti chiama!». Egli, gettato via il suo mantello, balzò in piedi e venne da Gesù… E Gesù gli disse: «Va’, la tua fede ti ha salvato». E subito vide di nuovo e lo seguiva lungo la strada (cf Mc 10,46-52).
    È un uomo che in modo deciso accetta la proposta di seguire «il Figlio di Davide» senza porre delle condizioni, ma soprattutto senza preoccuparsi del suo mantello, delle false ricchezze, di riempire la sua bisaccia di fronzoli e cose inutili, ma coltivando semplicemente il desiderio di intraprendere un vero viaggio. Un invito che non ha lasciato cadere nel nulla, ma che con gioia ha accolto senza «forse», senza «ma»… infatti gettato via il suo mantello, balzò in piedi e venne da Gesù!
    Il Signore continuamente ci invita a seguirlo, ci propone «viaggi inimmaginabili»… sta a noi scegliere se dire «sì» portando con noi nel cuore la tristezza del ricco o la gioia del cieco…


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