Giuseppe Morante
(NPG 2011-09-64)
Premessa
L’autore dell’articolo a cui questa scheda operativa si riferisce – e a cui «liberamente» ci ispiriamo per queste indicazioni di lavoro – conclude che «senza la consapevolezza dell’intimo convenire di proibizioni inviolabili e vigore della libertà, la coscienza e il volere umano non possono raggiungere la verità della propria finitudine e riconoscere nella formazione al rispetto la via della propria maturità morale».
Le parole che bisogna mediare, per prendere un’adeguata coscienza dei messaggi veicolati, sono quelle evidenziate in corsivo. Parole che presentano oggi un difficile problema educativo. Infatti, per un processo di interiorizzazione della legge morale (i comandamenti) e per la formazione di una retta coscienza, il cammino per i ragazzi (ma anche per gli adulti) è difficile e lungo, in questo clima sociale di radicale socializzazione libertaria. Richiede da parte degli educatori l’acquisizione di principi certi e la perseveranza costante nell’orientare ai veri valori della vita, nel cui esercizio risiede la libertà. E purtroppo non sempre se ne è capaci!
Gli educatori cristiani però sanno che il processo della formazione della coscienza morale incomincia dalla nascita e si conferma nelle scelte della vita in relazione alla propria vocazione umana, nel susseguirsi delle varie tappe della crescita. Ma qui richiederebbe troppo spazio una trattazione dettagliata sulle cose da far fare e sulle cose da «proibire» di fare. Per cui offriamo alcuni spunti di psicopedagogia dell’età evolutiva, relativi cioè alle diverse età della crescita, con specifiche indicazioni per gli educatori (genitori, insegnanti, animatori, catechisti).
GLI EFFETTI DEL «PROIBIRE» NEL PROCESSO DI MATURAZIONE VERSO LA CONQUISTA DELLA LIBERTÀ
La parola proibire, generalmente, nella cultura odierna appare ai più un atteggiamento orribile. Non si dimentichi che ci muoviamo in una cultura segnata da un permissivismo esasperato. Eppure, fin dalla nascita, la persona ha bisogno di paletti da rispettare, perché la libertà assoluta non esiste (siamo esseri limitati e nella coscienza del limite non ci possiamo permettere di fare ciò che ci piacerebbe) e tutti fin dall’infanzia lo devono imparare. E a livello educativo questo traguardo si raggiunge non tanto ricevendo certi ordini ma riflettendo su certi atteggiamenti degli adulti.
Perciò dal punto di vista pedagogico, la proibizione di un comportamento non deve apparire come una forma di inibizione, di ostacolo alla crescita o di coercizione della libertà. Piacevole o no che sia la cosa in se stessa, è certo che la volontà umana, per sua natura, a nulla reagisce con ostinazione come alle maniere forti e, in genere, a tutto ciò che lasci supporre, negli altri, la presunzione di voler esercitare un puro e semplice dominio. Fino al punto che anche le proposte che più piacciono, se vengono comandate e, peggio, comandate duramente, divengono tediose. Viceversa, non c’è azione difficile, disgustosa, ardua che non possa apparire bella e desiderabile se si è convinti di volerla liberamente, avendone in pieno il merito e l’iniziativa.
L’educatore che proibisce tout court, lungi dal raggiungere il suo scopo, se ne allontana: i comandi, gli urli, le grida, le punizioni, raggiungono lo scopo di non far eseguire quell’atto, di non far rispettare quel regolamento, di non far imparare subito quella lezione.
Gli esempi sono tanti e sotto gli occhi di tutti:
– lo scolaro che ha ricevuto una bella lavata di capo, o che si sente minacciare a ogni pie’ sospinto la bocciatura… s’indispettisce e non esegue;
– l’operaio, l’impiegato, l’apprendista che vengono trattati dai rispettivi capi, padroni, maestri con maniere sgarbate… conservano rancore e se pur fanno ciò che viene chiesto, lo fanno a malavoglia;
– il figlio o la figlia, cui i genitori parlano soltanto per sgridare o brontolare, rimangono imbronciati, sospettosi e spesso inadempienti.
A partire da questo contesto socioculturale e con la volontà di capire i processi psicologici che aiutano a capire i processi della conquista della propria autonomia nelle scelte importanti della vita, riflettiamo su alcuni passaggi.
I «NO» CHE AIUTANO A CRESCERE
Le indicazioni pedagogiche e pastorali
A livello educativo-pastorale, in una comunità parrocchiale ed oratoriana non si può ignorare il problema dell’attuale emergenza educativa. Ci stimolano, come educatori e pastori, certe espressioni che ci sentiamo ripetere da genitori ed educatori vari: «Che cosa si deve fare? Lasciare liberi o dire di no? Ogni volta che dico di no, piange, fa capricci, si arrabbia oppure se è grandicello dice che non ho fiducia in lui. Non si sa come comportarsi: se si danno regole si sbaglia, se si lascia fare si rischia».
Questi sono interrogativi comuni a tanti genitori ed educatori, che mettono in primo piano le difficoltà che essi incontrano nella gestione dell’autorità.[8]
Il concetto di «regole da rispettare» chiama in causa termini (e significati) quali autorità, autorevolezza, autoritarismo, coerenza, responsabilità, valori, norme, libertà, limite umano, contenimento, sicurezza, fiducia. Riporta quindi al ruolo dei genitori e degli altri educatori che appare oggi uno dei compiti più difficili, che più li preoccupa e che spesso li mette in crisi: saper dire di «no». Al momento giusto e nel modo giusto.
Il problema relativo all’esercizio dell’autorità è molto ampio e complesso, implica dare dei limiti ma rispettandone la libertà di azione. L’autorità è qualcosa di complicato: quando ce n’è troppa, il sottomesso non la sopporta. Quando non ce n’è abbastanza, si sente abbandonato.
Un principio da cui partire: chi vuol ottenere da un minore una determinata azione, se adopera il comando puro e semplice, si metterà in una condizione molto difficile. E peggio se adopererà le minacce o le cattive maniere. In tal caso, l’amor proprio offeso reagirà potentemente in senso contrario.
Ma allora genitori in famiglia e maestri di scuola e catechisti educatori in parrocchia dovranno soddisfare tutti i capricci di bambini, fanciulli, ragazzi e giovani?
No, ma chi vuol andare contro le tendenze forti della natura umana ignora che veleggiare contro vento si può, ma bisogna bordeggiare, cioè sapersi servire dello stesso vento contrario procedendo non in linea retta, ma in linea spezzata. Perciò D. Bosco, considerando il realismo della rivelazione, insegna che se si tiene conto della natura sensitiva e intellettiva dell’uomo, con il no autoritario si minaccia alle persone la pena del senso oltre a quella del danno. Ma se si insegna ad avere un giusto timore che nasce da un dispiacere di una persona amata può far superare la reazione negativa col motivo dell’amore, che è assai più conforme alla dignità e alla libertà umana. «Bisogna incoraggiarli a far bene, anche con piccoli premi e dimostrando di avere grande fiducia in loro» (D. Bosco).
A seconda dell’età e capacità critica si può avviare la riflessione attraverso questi due esercizi:
* Analisi delle parole sopra riportate, lette da un vocabolario di lingua italiana, e messe in sequenza. A lato di ognuna riportare la spiegazione del significato: autorità, autorevolezza, autoritarismo, coerenza, responsabilità, valori, norme, libertà, limiti, contenimento, sicurezza, fiducia.
La scoperta del significato delle parole applicate alla vita quotidiana può aiutare a capire e soprattutto interiorizzare il senso delle cose da non fare (che sono cioè proibite), perché portano un dispiacere alla persona cui si vuole bene.
* Su un testo di scuola guida (reperibile anche su internet) trovare i seguenti segnali stradali:
– segnali stradali di indicazione: indicano la direzione di marcia. Anche la vita segue la sua direzione di marcia…, a seconda di dove si vuole arrivare. Per questa ragione ci si può trovare davanti ai sì e i no che bisogna rispettare se si vuole arrivare alla meta;
– segnali stradali di pericolo: tante persone, soprattutto giovani, oggi si espongono rischiosamente ai pericoli della trasgressione (droga, alcool…)! Il risultato: pagare amaramente per non aver accettato i no;
– segnali stradali di divieto: il divieto è un ordine da rispettare per il bene di tutti. Chi non lo rispetta paga! La libertà personale finisce dove incomincia quella degli altri;
– segnali stradali di obbligo: ognuno è obbligato a rispettare certe indicazioni, per non mettere se stessi e gli altri al rischio di perdere la vita.
Genitori di figli che vivono l’infanzia o la fanciullezza
La parrocchia oggi ha urgente bisogno di organizzare una scuola per genitori, almeno per quei ragazzi che vengono affidate alle cure catechistiche per prepararsi ai sacramenti. I genitori oggi - come educatori di figli - non sanno come comportarsi; per il semplice motivo che «genitori non si nasce ma si diventa». Essi perciò vanno aiutati ad interpretarne i bisogni, a superare la difficoltà del dire di no; devono imparare a vivere una relazione giusta che permetta la crescita senza deformazioni.
Se si clicca su un motore di ricerca «scuola dei genitori» si possono leggere tante esperienze esemplificative, tentate e ritentate ed alcune anche molto ben riuscite. Se un adulto che si pone il problema di come educare i figli e non trova l’istituzione che gli dia una mano, assumerà atteggiamenti sbagliati, con le conseguenze negative che ne seguiranno.
Imparare a dire di no, nelle sue varie situazione della crescita, significa stabilire una distanza fra un desiderio e la sua soddisfazione. Certi aspetti dell’educazione dei bambini, come per esempio la separazione, lo svezzamento, il problema di come affrontare il pianto, portano in primo piano la questione dei limiti, di cui bisogna rendersi conto in ogni età della vita.
Molti adulti non trovano facile dire o sentirsi dire no. Son condizionati da molti fattori, che possono essere in relazione con la propria storia, con la situazione attuale e con l’immagine che si ha di se stessi. La riluttanza a definire i limiti umani può ostacolare lo sviluppo delle capacità delle persone fin dall’infanzia. Ma a volte dire no è utile, in quanto apre un intervallo, uno spazio in cui possono verificarsi altri eventi. Da questo punto di vista non è tanto una restrizione, quanto un’occasione per il dispiegarsi della creatività.
Come esercizi in queste situazioni si possono inventari dei giochi educativi. Suggeriamo di realizzare con creatività e a seconda dell’età dei fanciulli «il gioco del dire sì e del dire no» ed una «caccia al tesoro di ricerca scritta», con piste di ricerca di situazione umane di persone relative ai sì e ai no ricevuti.
* Il gioco del dire sì e del dire no. Il gioco fatto in gruppo, da ideare con creatività e da adattare con concretezza, consisterà nel far prevedere le conseguenze di dire sì o no in alcuni circostanze concrete della vita. Deve risultare evidente che il no fissa dei limiti, che fornisce un modello che aiuterà la persona a cavarsela quando si sente sopraffatto; sarà sicuro del suo posto in ogni ambiente e comincerà a sviluppare le proprie risorse.
Si concluderà che questo sviluppo può comportare dei momenti dolorosi sia per l’educatore che per il ragazzo, che però verranno abbondantemente ricompensati. Negli anni successivi il ragazzo continuerà a progredire, spesso per conto proprio.
* Una caccia al tesoro speciale.
Questo esercizio (che può essere fatto anche senza muoversi da una stanza) dovrà evidenziare che ci sono regole da rispettare in ogni ambiente di vita. Si tratta di elencarle in sequenza su un foglio da consegnare ai singoli e far fare una riflessione scritta che preveda delle conseguenze diverse a seconda che si scelga di farle (soddisfacendo capirci e voglie) o non farle (rispettando la maturazione critica e la relazione affettiva). Regole che aiutano a prendere le distanze dai propri sentimenti (egoistici) più infantili, che devono essere tenuti a freno perché possano contenuti e da cui imparare.
L’utilità di questo esercizio nasce dal fatto che nella fanciullezza i ragazzi provano piacere a usare e a esplorare il linguaggio, la ragione e le abilità intellettuali; imparano a maneggiare oggetti, fare le cose con destrezza, a padroneggiare la lingua e la comunicazione. Con ciò imparano a farsi degli amici, risolvere conflitti, trovare un proprio posto nel gruppo sociale. Perché possano far questo e si aprano a nuovi rapporti, nuovi pensieri, nuove capacità, nuove cose da imparare, devono partire da una base sicura. Si devono sentire individui distinti dagli altri (compresi genitori ed educatori), devono credere in se stessi ed essere convinti che il mondo abbia molto da offrire. Dicendo no, nell’accezione ampia e simbolica del concetto, saranno aiutati a capire chi realmente sono e chi sono gli altri, e ad acquisire capacità di decisione su come rapportarsi al mondo.
FAVORIRE L’AUTONOMIA DELLE SCELTE ADOLESCENZIALI, CON RESPONSABILITÀ PER LE CONSEGUENZE
L’adolescenza è un’epoca di grandi trasformazioni. Anche i genitori devono cambiare. Essi hanno bisogno di sentirsi sicuri a casa, di avere una base da cui partire per esplorare il mondo. Nel momento in cui si avventurano alla ricerca di una nuova identità, hanno bisogno di sapere che i genitori li amano e hanno fiducia in loro. La loro ribellione e il loro atteggiamento di sfida sono un tentativo di separarsi da loro, una ricerca del proprio modo di essere. Ne conseguono conflitti e sofferenza, perché genitori e figli spesso si sentono incompresi e non amati. I figli che crescono provocano a volte nei genitori un terribile senso di perdita: perdita del ruolo, dell’identità, oltre che del loro bambino.
La distanza che li separa dai figli può sembrare un immenso abisso. Ma è proprio questo sforzo di essere diverso, distinto dal genitore, che darà poi all’adolescente la fiducia e l’autostima necessarie per diventare persona forte e creativa e per stabilire rapporti positivi con gli altri. Incoraggiando la sua libertà di crescere fa loro scoprire i loro genitori più vicini.
La conoscenza intellettiva della verità non è sufficiente a promuoverne l’attuazione. In altre parole occorre collegare i fili del «valore» alle caratteristiche personali creando così le condizioni di un comportamento adeguato. L’esercizio della «fermezza educativa» comporta, per il genitore, l’esperienza di una certa difficoltà, poiché deve superare il suo naturale desiderio di «vedere il figlio contento» e accettare che questi, per crescere bene, debba necessariamente passare attraverso l’esperienza della rinuncia, dell’impegno, del sacrificio, dell’accettazione del limite all’appagamento dei suoi desideri. Chiedere ai figli comportamenti impegnativi o imporre delle rinunce è inevitabile nell’esperienza di ogni educatore.
La fortezza consiste nel saper resistere alle difficoltà richieste dalla necessità di agire per il bene del figlio. Nel linguaggio quotidiano si può tradurre l’essenza della fermezza educativa definendola come la capacità di imporsi quando è necessario, opponendo i necessari divieti che sono pericolosi per la vera crescita umana.
Offriamo due esercizi di riflessione a partire da alcune fonti. Perciò prima di arrivare al «divieto morale» come trasgressione dei valori della legge divina, si faccia riflettere attraverso questi esercizi.
* Scoprire tutti i segnali di divieto che si trovano nell’ordinario ambiente sociale di vita dei ragazzi e che a volte leggono su cartelli ben messi in evidenza ma a cui non prestano attenzione! Si renda subito conto di un fatto: un divieto esposto ha sempre della ragioni da difendere. Perché non ci si rende conto di ciò che sia il divieto, perché sia vietato e che cosa comporta il non tenerne conto?
Su un cartellone si riportano i divieti individuati dagli stessi ragazzi:
– è severamente vietato di toccare i fili
– è proibito fumare, senza incappare nelle trame della legge
– è proibito attraversare i binari
– ecc…
La riflessione fatta in gruppo evidenzierà ciò che hanno espresso i ragazzi a titolo personale nel confronto sociale di chi ha voluto salvaguardare un diritto di libertà generale. La conclusione evidenzia che la virtù della fortezza dipende in qualche modo dalla giustizia. Desiderare di essere forti (trasgredire) senza essere giusti (verso gli altri) è un’illusione, poiché la virtù della fortezza può esistere solo quando si vuole la giustizia. La vera fortezza dunque, è per sua natura legata alla volontà di essere giusti. La certezza interiore di avere agito per amore della giustizia e della verità basta a se stessa e libera dalla necessità di riscuotere l’approvazione degli altri.
* Far riflettere in gruppo su questa poesia di Pablo Neruda: «È proibito». Dopo averla fatta declamare, chiedere le impressioni personali, domandarsi qual è l’intenzione del poeta e perché ha scritto questa poesia? Quale credito gli si può dare in nome della cultura e dell’arte?
È proibito piangere senza imparare, svegliarti la mattina senza sapere che fare, avere paura dei tuoi ricordi.
È proibito non sorridere ai problemi, ... non lottare per quello in cui credi e desistere, per paura.
Non cercare di trasformare i tuoi sogni in realtà.
È proibito non dimostrare il tuo amore, fare pagare agli altri i tuoi malumori.
È proibito abbandonare i tuoi amici, non cercare di comprendere coloro che ti stanno accanto e chiamarli solo quando ne hai bisogno.
È proibito non essere te stesso davanti alla gente, fingere davanti alle persone che non ti interessano, essere gentile solo con chi si ricorda di te, dimenticare tutti coloro che ti amano.
È proibito non fare le cose per te stesso, avere paura della vita e dei suoi compromessi, non vivere ogni giorno come se fosse il tuo ultimo respiro.
È proibito sentire la mancanza di qualcuno senza gioire, dimenticare i suoi occhi e le sue risate solo perché le vostre strade hanno smesso di abbracciarsi, dimenticare il passato e farlo scontare al presente.
È proibito non cercare di comprendere le persone, pensare che le loro vite valgono meno della tua, non credere che ciascuno tiene il proprio cammino nelle proprie mani.
È proibito non creare la tua storia, non avere neanche un momento per la gente che ha bisogno di te, non comprendere che ciò’ che la vita ti dona, allo stesso modo te lo può togliere.
È proibito non cercare la tua felicità, non vivere la tua vita pensando positivo, non pensare che possiamo solo migliorare, non sentire che, senza di te, questo mondo non sarebbe lo stesso.