Un velo di gioia
nel colore
Da "ancilla Domini" a "porta del Cielo"
viaggio tra le figure della Vergine nell'arte
Timothy Verdon
Da due millenni la cultura cristiana è innamorata di Maria, la donna che, all'angelo che la invitava a diventare madre di Dio, rispose: «Ecce ancilla Domini», «Ecco la serva del Signore». Nella poesia come nel canto e nell'arte, nel pensiero teologico come nella prassi devozionale, la Chiesa non solo ha meditato su questa giovane, specchiandosi in lei, ma ha fatto del suo esempio e delle sue parole un cammino per arrivare al Figlio. Antonello da Messina, nella sua Annunciata, mettendo la Vergine a un solo passo dallo spettatore sembra dirci chiaramente: «Ecco la serva del Signore – ecco una donna libera, capace di donarsi, colma di gioia, aperta alla vita». Il pittore siciliano la immagina con gli zigomi alti e gli occhi a mandorla delle donne del Mediterraneo meridionale,con uno sguardo pieno di consapevolezza e un sottile sorriso che le sfiora appena le labbra, dotando il volto di una luminosità che evoca una luce interiore. Quella Luce che, nel medesimo istante e proprio attraverso lei, entra nel mondo.
Vergine trepidante, madre che stringe teneramente il pargolo al seno, Maria nell'arte della Chiesa è anche la donna che insegna al Dio Bambino i gesti umani dell'amore. Come nello straordinario rilievo di Andrea Pisano per il campanile di Giotto, in cui la Madre solletica il Bambino e questi, pur resistendo, gode e si diverte.
Sta poi ai piedi della croce di Cristo e ne accoglie il cadavere, come nella Pietà dell'anziano Giovanni Bellini, intrisa di luce, dove la lirica bellezza del paesaggio fa il controcanto al dolore silenzioso della Vergine. In primo piano a sinistra, vicino alla testa di Cristo, un tronco tagliato allude alle parole attribuite da Geremia ai nemici del Messia – «Abbattiamo l'albero nel suo pieno vigore, strappiamolo dalla terra dei viventi» (11,19) –mentre i fiorellini che spuntano intorno alla Madre che sostiene suo Figlio annunciano la Pasqua.
Tutta l'arte cristiana comunica l'inscindibile legame tra Maria e Cristo e l'importanza di questa donna nella "historia salutis". Nel corso dei secoli, interpreta e illustra la sintetica formulazione di sant'Anselmo secondo cui «Dio è padre della fondazione del mondo, Maria la madre della sua riparazione, perché Dio ha generato colui per mezzo del quale tutto è stato fatto, e Maria ha partorito colui per opera del quale tutte le cose sono state salvate. Dio ha generato colui senza il quale niente assolutamente è, e Maria ha partorito colui senza il quale niente è bene» (Discorso 52).
Colei in cui la Chiesa "sponsa Christi" si è figurata, Maria, appare abbracciata dal suo Sposo nel mosaico absidale della basilica romana di Santa Maria in Trastevere, mentre tiene in mano il testo di Cantico 2,6: «La sua sinistra è sotto il mio capo e la sua destra mi abbraccia». Viene raffigurata quale immagine del tempio, come nella deliziosa Madonna in una chiesa di Jan van Eyck, dove la luce che inonda l'alta navata gotica evoca la Luce che ha colmato il grembo di lei, e il piccolo Cristo tra le sue braccia alludeai figli della Madre Chiesa, suoi fratelli.
Maria diventa a volte anche figura "istituzionale", come nello Sposalizio della Vergine di Raffaello, dove alle spalle del gruppo nuziale vediamo una bramantesca struttura a cupola che, aperta davanti e dietro, allude al ruolo di Maria come "ianua coeli", la porta del cielo attraverso cui Dio si fa carne e l'uomo di carne sale a Dio in Cristo, figlio di Maria. La struttura dipinta da Raffaello è ispirata al cosiddetto "tempietto del Bramante", a San Pietro in Montorio, allora in costruzione, una delle fonti ideali del futuro progetto dell'architetto urbinate per la nuova basilica vaticana.
All'interno della sua millenaria riflessione sulla figura della Vergine, la Chiesa ha elaborato anche un'indagine su Maria come persona, come donna. Questo secondo percorso, di tipo biografico e con particolari apocrifi, non è separabile dal primo, teologico, che incrocia in continuazione, a volte sovrapponendosi, a volte sottoponendosi. Le due vie hanno infatti lo stesso punto di partenza: il Vangelo, un testo teologico, non biografico, che presenta Gesù Cristo come Figlio di Dio morto e risorto per la salvezza dell'uomo. Mentre di lui però il Nuovo Testamento offre una costellazione biografica compiuta e omogenea, di Maria fornisce solo informazioni frammentarie, «cristalli biografici, singole icone» (Furio Jesi), che hanno lasciato agli artisti un campo più libero che non nel caso di Gesù, facendo di lei un soggetto duttile, l'icona della speranza cristiana di salire dalla terra al cielo, di essere trovati in Dio e di condividerne la vita.
Al contempo madre e figlia, vergine e sposa, Maria impersona un rapporto d'amore totale che eleva e purifica, come nel Tondo Doni di Michelangelo, dove la donna che si alza per ricevere il Bambino volge verso di Lui un volto trasfigurato.
Commissionato da Agnolo Doni e dalla moglie Maddalena Strozzi dopo l'ultimazione del David nel 1504, il Tondo Doni riassume il genio pittorico del Buonarroti negli anni che precedono gli affreschi della volta della Cappella Sistina. Spesso identificato come "Sacra Famiglia", il dipinto realmente parla soprattutto di Maria, come notò il suo primo commentatore, Giorgio Vasari, che descrive «una nostra Donna, la quale, inginocchiata con amendua le gambe, ha in sulle braccia un putto e porgelo a Giuseppo, che lo riceve». Vasari, colpito dalla figura centrale di Maria e dal complesso movimento del suo corpo, ne specifica perfino lo stato d'animo, affermando che «Michelangelo fa conoscere [...] la meravigliosa sua contentezza»: condizione interiore che Vasari legge «nello svoltare della testa della madre di Cristo e nel tenere gli occhi fissi nella somma bellezza del Figliuolo».
Lo storico dell'arte Leo Steinberg, durante una conversazione di una trentina di anni a, fornì una lettura particolare e "intrigante" sulla figura che comunemente viene identificata con Giuseppe.
Secondo Steinberg il vegliardo del Tondo Doni non rappresenterebbe il padre putativo di Gesù ma quello vero, Dio stesso, dal quale il Figlio procede ab aeterno. In base a questa interpretazione, non, come dice Vasari, «quel santissimo vecchio [.. .] piglia» il Bambino da Maria; piuttosto il Bambino "emerge" dal Padre, sta con il piede sinistro sulla coscia di lui e si regge aggrappandosi ai capelli di Maria; ha la gamba destra poggiata sul braccio della madre e sta per spingersi verso l'alto per poi scendere nel grembo della Vergine. Maria a sua volta si alza per assecondare il movimento complesso del Bambino, girandosi per vederlo. Michelangelo pertanto coglierebbe l'istante, temporale e morale, dell'Incarnazione, quando il Verbo eterno uscì volontariamente dal Padre per assumere carne umana nel corpo di una donna. La lumeggiatura argentea sulla veste di Maria infatti porta l'occhio al grembo pronto ad accogliere il Piccolo che scende, e il libro chiuso sulle sue ginocchia è un simbolo tradizionale delle Scritture antiche "adempiute" e quindi "chiuse" con l'avvento del Verbo incarnato.
Inoltre, la sua cultura neoplatonica porta Michelangelo a "elevare" il mistero oltre i particolari della generazione fisica e a concentrarsi sull'ineffabile bramosia dello sguardo che passa tra Maria e Cristo – tra una Vergine che è madre ma anche figlia del Figlio – in assoluta trascendenza delle normali leggi della natura.
Michelangelo qui dilata al massimo l'idea di "soggetto" artistico, facendo della figura centrale, Maria, un simbolo universale del desiderio umano, dell'atto di desiderare generato dallo sguardo, deldesio sperimentato dalla creatura per il suo Creatore. Il corpo di Maria, nel possente movimento a spirale verso l'alto, raccoglie in sé le energie fisiche e psichiche di tutte le altre figure del Tondo, e l'aperto desiderio di Dio scritto sul suo volto sublima i loro desideri.
Dal Rinascimento fino a tutto il Novecento non cambia radicalmente l'impostazione teologica del soggetto mariano, anche se variano gli stili. Dalla magniloquenza delle Madonne del Veronese al naturalismo di quelle del Caravaggio,all'intimità di Georges de La Tour al goticismo nostalgico dei pittori di Loreto, Maria rimane centrale e leggibile nelle categorie consacrate dalla tradizione.
Tra le rappresentazioni della Vergine nell'arte contemporanea, invece, interessante appare lo sforzo di un pittore fiorentino, Filippo Rossi, di interpretare la più "concreta" delle donne, da cui il Verbo spirituale prende carne visibile, in forme astratte. In un grande trittico del 2008, oggi nella chiesa di una comunità monastica statunitense, l'artista evoca il canto della Vergine nel Vangelo di Luca, il Magnificat. Tre grandi tavole, che compongono un'unica scena, suggeriscono il rendimento di grazie di Maria al suo Creatore, una gratitudine che l'artista interpreta in chiave musicale. Si tratta di un canto a due voci: in basso, i pensieri traboccanti di gioia della "Piena di Grazia" luccicano di vari tipi di oro e salgono verso Colui che dà loro splendore, verso il Dio "sol iustitiae" . Note armoniche che si irraggiano dai tre pentagrammi disposti su ogni tavola del trittico. Questi poi sono differenziati: nel comparto centrale il pentagramma è interrotto, mentre nei due pannelli laterali i pentagrammi uniscono la creatura al Creatore senza alcuna interruzione. Maria per un istante infatti aveva esitato e, turbata, aveva chiesto all'angelo: «Come avverrà questo, poiché non conosco uomo?» (Lc 1,34); Dio invece ama ab aeterno la creatura prescelta come scrigno del suo unico Figlio e circonda anche l'esitazione di Maria col suo amore. Le tre tavole insieme compongono una sinfonia che si espande oltre l'opera: la musica sembra uscire dal quadro e lo spettatore ne rimane completamente avvolto.
Se è vero che la preghiera è al centro della vita umana e soprattutto della vita di fede, qui l'artista va oltre, suggerendo che la preghiera è vita. Fa vedere come pura musica colei che disse «l'anima mia magnifica il Signore», una donna nel sole che canta, mentre nel suo grembo sorge la luce degli uomini, Cristo.
(Luoghi dell'infinito. Supplemento di Avvenire n. 217, maggio 2017)