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    Verso una spiritualità

    radicata in Gesù

    José A. Pagola

    Indico brevemente alcuni tratti della spiritualità di Gesù che ci aiutino a discernere l'itinerario spirituale che possiamo seguire oggi noi suoi discepoli.

    L'esperienza di un Dio Padre.
    I racconti evangelici ci hanno trasmesso il ricordo dell'esperienza interiore che segna per sempre l'esistenza di Gesù. Com'è naturale, i racconti non possono descrivere ciò che Gesù ha vissuto nel fondo del suo essere, però sono stati capaci di ricreare una scena commovente per evocarla. Luca ci dice che tutto avviene «mentre sta pregando». In un determinato momento, «i cieli si squarciano», cioè non ci sono più distanze; il mistero nascosto di Dio si comunica a Gesù. «Lo Spirito Santo discende su di lui», cioè il soffio di Dio, che crea e dà vita ad ogni essere vivente, inonda e riempie tutto il suo essere. Questo è ciò che Gesù ascolta nel suo silenzio interiore: «Tu sei mio Figlio amato. Il tuo essere sta nascendo da me. Io sono tuo Padre. Ti amo visceralmente. Mi riempie di gioia che tu sia mio Figlio. Mi compiaccio di te». [20] Nell'esperienza di Gesù non c'è vuoto, ma pienezza. Non c'è fusione con il mistero, ma accoglienza gioiosa dell'amore insondabile del Padre. In futuro, Gesù lo invocherà con questo nome Abba, Padre.

    Da questa esperienza sgorgano in Gesù due comportamenti che vive e cerca di comunicare ai suoi discepoli: fiducia assoluta in Dio e docilità incondizionata al Padre. Gesù confida in Dio dal fondo del suo essere. Si abbandona a lui senza diffidenza né calcoli. Non vive niente in maniera forzata né artificiale. Niente è posticcio in lui. Confida e si conferma in Dio, suo Padre. Esiste spinto dal suo amore. Nello stesso tempo, Gesù vive in atteggiamento di docilità totale al Padre. Niente e nessuno lo distoglierà da questo cammino. Come figlio buono sarà sempre la gioia di suo Padre. Come figlio fedele vivrà identificato con lui. Amerà tutti «fino all'estremo». Gesù vive da un silenzio interiore nel quale ascolta il mistero di Dio come la buona notizia di un Padre.

    Spiritualità incentrata sul progetto del regno di Dio.
    Dopo l'esperienza vissuta nel Giordano, il racconto di Marco riassume tutta l'attività profetica di Gesù dicendo che «proclamava la buona notizia di Dio» e diceva che «Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino; convertitevi e credete nel Vangelo». [21] Quello che Gesù insegna non è propriamente una «dottrina religiosa», ma un «avvenimento», qualcosa che sta avvenendo ed è necessario accogliere, perché può cambiario tutto. Egli lo sta già sperimentando e vuole che tutti condividano la sua esperienza.

    «Il regno di Dio è vicino». Gesù ha sperimentato al Giordano la sua vicinanza. Dio non vuole lasciarci soli davanti ai nostri problemi, conflitti e sofferenze. Dio è un Padre che cerca di aprirsi un cammino in noi e tra noi per fare più umana la vita dei suoi figli. È possibile un mondo differente, più giusto, più degno, più sano e felice per tutti appunto perché Dio lo vuole così.
    «Convertitevi». Cambiate maniera di pensare e di comportarvi. Dio non può cambiare il mondo senza che noi cambiamo. La sua volontà di rendere umana la vita si fa realtà nella nostra risposta al suo progetto del regno di Dio. È possibile dare una nuova direzione alla storia umana, perché Dio ci attira tutti dal più profondo del nostro essere fino a un mondo più umano. Tutti possiamo condividere la stessa esperienza di Gesù: tutti siamo figli di un Dio Padre; tutti possiamo vivere confidando in lui; tutti possiamo essere docili al suo progetto del regno di Dio: tutti possiamo collaborare in un mondo più fraterno.
    «Credete in questa buona notizia». Dobbiamo confidare nell'esperienza vissuta da Gesù, credere nella buona notizia di Dio e credere nel potere di trasformazione dell'essere umano, attratto dal Padre a costruire un mondo più giusto e fraterno. Ciò di cui abbiamo bisogno è di collaboratori al progetto di umanizzazione del Padre, profeti del regno di Dio, seguaci fedeli di Gesù.
    Questo progetto del regno di Dio non è una religione. È molto di più. Va più in là delle credenze, precetti e riti di qualsiasi religione. È una nuova spiritualità. Un modo nuovo di accogliere e vivere il mistero di Dio che porta a collocarlo tutto dentro al suo grande progetto di rendere umano il mondo. Questa spiritualità di Gesù è il criterio per verificare l'identità dei cristiani, la verità dei suoi seguaci, l'autenticità di ciò che fa la Chiesa.

    Spiritualità al servizio di una vita più umana.
    Così poi, il centro dell'esperienza interiore di Gesù non lo occupa propriamente Dio, ma il «regno di Dio», perché Gesù non separa mai Dio dal suo progetto di rendere umana la vita e trasformare il mondo. Nel suo silenzio interiore, Gesù non percepisce mai Dio chiuso nel suo mistero insondabile, isolato dalla sofferenza umana e indifferente alla storia dei suoi figli. Lo sperimenta come una presenza buona e amichevole che ci attrae tutti come figli suoi verso un mondo più giusto e fraterno. Per questo Gesù non invita i suoi seguaci a cercare Dio per cammini di perfezione interiore, ma a «cercare il regno di Dio e la sua giustizia». [22] Non li chiama neppure alla conversione a Dio tornando all'osservanza della Legge, ma li invita a «entrare» nella dinamica del regno di Dio.

    Per capire bene questa spiritualità di Gesù dobbiamo cogliere che ciò che egli chiama «regno di Dio» non è che la vita tale quale la vuole costruire il Padre: dove «regna» Dio regna la giustizia, l'amore fraterno, la solidarietà, la misericordia. Alcuni anni fa, il teologo francese C. Duquoc osservava che Gesù non discute mai su Dio con nessun gruppo di giudei: tutti riconoscono lo stesso Dio, il Creatore dei cieli e la terra, il liberatore del suo popolo amato dalla schiavitù di Egitto. Da dove vengono il conflitto e gli scontri? La contrapposizione è che, mentre i maestri della Legge e i dirigenti religiosi del tempio associano Dio alla religione, Gesù lo vincola a una vita più degna e sana per i suoi figli. [23] Per questo i settori più osservanti e religiosi si sentono chiamati da Dio a garantire l'osservanza della Legge, il compimento del sabato, i sacrifici rituali... Gesù, al contrario, si sente spinto dalla sua esperienza interiore a promuovere la vita. Così riassume il Vangelo di Giovanni il suo intento: «Sono venuto perché abbiano la vita e l'abbiano in abbondanza». [24] I racconti evangelici presentano Gesù preoccupato della vita delle persone, non del culto; occupato a curare gli infermi, non del compimento del sabato; promuovendo una società riconciliata, non la presentazione delle offerte nel tempio; offrendo ai peccatori il perdono gratuito di Dio, non insistendo sui riti di espiazione.

    Spiritualità stimolata dalla compassione.
    La spiritualità di tutti 
    i gruppi e settori religiosi di Israele ai tempi di Gesù si ispirava a un principio: «Siate santi, perché io, il Signore, vostro Dio, sono santo». [25] Questa spiritualità propria della religione dei giudei non risponde all'esperienza spirituale di Gesù, che ha origine da un Dio Padre che cerca di stimolare tra i suoi figli il suo progetto di umanizzare il regno di Dio. Per questo Gesù, con un'audacia e lucidità sorprendenti, introduce un nuovo principio. È la misericordia e non la santità religiosa il principio che deve dare impulso alla spiritualità e alla condotta dei suoi seguaci: «Siate misericordiosi come il Padre vostro è misericordioso». [26] Questa misericordia attiva di Dio, che cerca una vita più degna e più giusta per tutti, non è una virtù, neppure un precetto. E la grande eredità di Gesù all'umanità. Per Gesù, incarnare la misericordia di Dio nella storia umana è la via per costruire un mondo più giusto e fraterno. [27]
    Il racconto evangelico di Luca ha descritto graficamente questa «spiritualità della compassione attiva» di Gesù in una scena nella quale Gesù applica a se stesso alcune parole di Is 62,1-2: «Lo Spirito del Signore è sopra di me; per questo mi ha consacrato con l'unzione e mi ha mandato a portare ai poveri il lieto annuncio, a proclamare ai prigionieri la liberazione e ai ciechi la vista; a rimettere in libertà gli oppressi, a proclamare l'anno di grazia del Signore». [28] Gesù accoglie nella sua esperienza interiore il mistero di un Padre che lo riempie del suo Spirito per orientare la sua vita intera in direzione dei poveri. Nel testo si parla di quattro gruppi di persone: i «poveri», i «prigionieri», i «ciechi» e gli «oppressi». Essi rappresentano e riassumono la prima preoccupazione spirituale di Gesù. Nel testo si parla anche di Gesù che, inviato dallo Spirito di Dio, comunica la «buona notizia» ai poveri, la «liberazione» di coloro che vivono prigionieri nelle tenebre, la «libertà» agli oppressi.
    Là dove si coltiva una spiritualità segnata dallo Spirito di Gesù si riconosceranno i suoi discepoli dalla loro vicinanza ai poveri, la difesa degli ultimi e la pratica liberatrice da ogni forma di schiavitù e oppressione.

    Importanza dello sguardo a coloro che soffrono.
    L'esperienza di Dio come mistero insondabile di un Padre che è amore misericordioso verso i suoi figli risveglia in Gesù la sua capacità di guardare a coloro che soffrono con amore compassionevole. Così reagisce Gesù incontrandosi con il corteo di una sepoltura nella quale una vedova porta a seppellire il suo unico figlio: «Vedendola, il Signore fu preso da grande compassione e le disse: "Non piangere"». [29] Ciò che sorprende è che Gesù sa guardare e commuoversi non solo davanti alla sofferenza delle persone: «Sceso dalla barca, egli vide una grande folla, sentì compassione per loro e guarì i loro malati». [30] «Egli vide una grande folla, ebbe compassione di loro, perché erano come pecore che non hanno pastore, e si mise ad insegnare loro molte cose»: [31] la dinamica della reazione di Gesù è sempre la stessa. Guarda chi soffre, si risveglia in lui la compassione e interviene.

    In quasi tutti i cammini di spiritualità, si sottolinea oggi l'importanza del silenzio interiore, l'attenzione al «qui e adesso», «l'esperienza di unità», «la coscienza»... e a ragione. [32] Questi cammini possono fare molto bene a tutti. Tuttavia, oserei dire che il cammino più efficace per essere in sintonia con la spiritualità di Gesù è imparare a guardare in maniera attenta e responsabile il volto di coloro che soffrono. Questo sguardo ci strappa dall'indifferenza che blocca la nostra compassione o dagli schemi religiosi o spirituali che ci permettono di vivere con la coscienza tranquilla senza mettere in atto in noi la solidarietà fraterna. Gesù ha spiegato in maniera chiara qual è la dinamica di una spiritualità scossa dalla compassione. Secondo la parabola del buon samaritano, [33] un uomo assalito giace ferito gravemente, abbandonato nella cunetta di una strada. Per fortuna passano per la strada due pellegrini: prima un sacerdote, poi un levita. Sono rappresentanti del Dio santo del tempio. I due reagiscono allo stesso modo: vedono il ferito, «lo scansano» e passano oltre. Com'è possibile che non si commuovano davanti al ferito della strada? La parabola non lo spiega. Coloro che ascoltano sanno che coloro che sono a servizio del tempio sono retti da un principio: «Siate santi perché io, il Signore, vostro Dio, sono santo».
    Appare all'orizzonte un terzo pellegrino. Non è sacerdote né levita. Neppure appartiene al popolo eletto. E un samaritano buono, che sa vivere secondo il principio proclamato da Gesù: «Siate compassionevoli come il Padre vostro è compassionevole». Luca descrive con ogni dettaglio quello che fa. Giunto sul posto, «vede il ferito», «si commuove» e «si avvicina». Questa è la reazione di chi vive animato dalla spiritualità della compassione: guardare chi soffre in maniera attenta e responsabile; risvegliare in noi la compassione per fare nostra la sua sofferenza; accostarci a chi soffre per farci suo prossimo. A partire da questa prima reazione, il samaritano fa per quel ferito tutto quello che può: cura le sue ferite, le benda, lo fa salire sulla sua cavalcatura, lo porta a un albergo, si fa carico personalmente di lui e paga tutto ciò di cui abbia bisogno. Gesù conclude il racconto con queste parole dirette al maestro della Legge che lo ha interpellato: «Va' e anche tu fa' lo stesso». A questo deve sentirsi chiamato chi vive della sua spiritualità. La compassione non deve ridursi a un sentimento del cuore. Per evitare malintesi e falsi riduzionismi la dobbiamo capire come un principio che è all'origine di tutto il nostro modo di fare, che imprime una direzione a tutta la nostra vita e configura i nostri impegni concreti al servizio di coloro che soffrono.


    NOTE

    20. Mc 1,9-11; Mt 3,16-17; Lc 3,21-22.
    21. Mc 1,15.
    22. Mt 6,33.
    23. C. DUQUOC, Dios es diferente, Sígueme, Salamanca 1978, 39-55.
    24. Gv 10,10.
    25. Lv 19,2.
    26. Lc 6,36.
    27. La versione parallela di Lc 6,36, in Mc 5,48, si è tradotta tradizionalmente così: «Siate perfetti (teleioi) come il Padre vostro del cielo è perfetto». Per questo, nella storia della spiritualità cristiana si è spesso dimenticato il principio della misericordia per giustificare e promuovere un perfezionamento progressivo in santità, molto lontano dal pensiero di Gesù. Attualmente, gli esegeti tendono a tradurre così: «Siate buoni del tutto (teleioi) come è buono del tutto il Padre vostro del cielo». David Flusser traduce in questo modo: «Non mettete limiti alla vostra bontà come neppure pone limiti alla sua bontà il Padre vostro del cielo».
    28. Lc 4,18-19. La scena è probabilmente una composizione dell'evangelista, però raccoglie l'esperienza reale di Gesù.
    29. Lc 7,13.
    30. Mt 14,14.
    31. Mc 6,34.
    32. Si veda la bella sintesi di W. JAGER, Sabiduría eterna. EI misterio que se esconde detrás de todos los caminos espirituales, Verbo Divino, Estella 2010.
    33. Lc 10,30-36.

     

    (FONTE: Questo è un paragrafo dell'ultimo capitolo "Recuperare la spiritualità di Gesù" del libro ANNUNCIARE DIO COME BUONA NOTIZIA - EDB 2017, pp. 147-152)


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