Il «Magnificat»

e Lutero

Giancarlo Pani

In una recente biografia su Lutero, lo storico Heinz Schilling ha ricordato la devozione del Riformatore verso Maria, Madre di Gesù, e la sensibilità teologica per il tema mariologico, dimenticato in seguito dai suoi seguaci. Schilling descrive, tra i lavori compiuti da Lutero nel 1521, il commento al cantico della Vergine: egli «terminò l’interpretazione del Magnificat tratto da Luca 1,46-55, il canto di lode della Madre di Gesù, che gli stava molto a cuore.
Contrariamente alle successive svalutazioni di Maria da parte degli epigoni, il Riformatore stesso vedeva in lei la quintessenza dell’essere umano eletto per libera grazia di Dio, scelta non per i propri meriti, ma come “semplice serva”. Maria era per lui, in certo qual modo, l’archetipo biblico dell’elezione per grazia» [1].
È noto che i protestanti non pregano e non venerano la Madre di Dio, eppure Lutero ha scritto un commento al Magnificat che è uno dei suoi capolavori: lo traduce in tedesco e lo illustra proprio nel 1520, anno cruciale della sua vita, perché è il periodo dell’elaborazione dei testi programmatici della Riforma [2]. Sempre nel drammatico anno 1520, papa Leone X, comminandogli la scomunica con la bolla Exsurge Domine, gli impone di ritrattare dai suoi scritti, entro 60 giorni, una serie di proposizioni; in caso contrario, il monaco dovrà essere condotto a Roma per il giudizio. Allo scadere dei giorni della notifica, il 10 dicembre 1520, Lutero brucia i libri di diritto canonico, e insieme una copia della bolla papale, nell’immondezzaio della città.
Purtroppo le vicende collegate alla minaccia di scomunica impediscono al Riformatore di portare a termine il commento: la dedica risale al 10 marzo 1521; qualche giorno dopo sarebbe iniziato il viaggio per comparire davanti all’imperatore nella Dieta di Worms.
Dopo la conclusione dell’interrogatorio davanti a Carlo V, in cui si rifiuta di ritrattare quanto ha scritto nei suoi libri, Lutero ottiene il salvacondotto per tornare a Wittenberg, ma durante il viaggio viene rapito e scompare nel nulla. In realtà, si tratta di un rapimento simulato su ordine del principe elettore Federico il Saggio, il quale vuole proteggere il monaco, docente della sua Università. Lutero è segregato nel castello della Wartburg, una fortezza inaccessibile della Selva Turingia, dove non può comunicare con nessuno. Egli ha così tutto il tempo per riprendere a scrivere: conclude l’esegesi del salmo del Buon Pastore, termina il commento al Magnificat e invia il manoscritto a Spalatino perché lo dia alle stampe [3]. L’interesse per la Parola di Dio si fa più pressante, a tal punto che egli, nel dicembre del 1521, incomincia la versione del Nuovo Testamento in tedesco.
Il Magnificat non è l’unico scritto in cui Lutero tratta esplicitamente di Maria. Ne parla diverse volte nelle prediche (circa un’ottantina), nelle lettere e nei discorsi conviviali; c’è pure un commento all’Ave Maria, che egli compone nel 1522 e che inserisce nel Libretto di preghiere (Bettbüchlein) [4].

La dedica del «Magnificat»

Il Magnificat è dedicato al duca Giovanni Federico di Sassonia, nipote di Federico il Saggio, in segno di gratitudine per il suo intervento presso lo zio per far trattare la causa di Lutero in Germania e non a Roma. Il giovane ha inviato un biglietto a Lutero, in cui comunica che il suo operato è andato a buon fine.
La ragione della dedica è chiara: dalla persona del principe dipendono il bene e la salvezza di molte persone, ma anche – se governa male e senza misericordia – la rovina di molti. Il potere manifesta la natura dell’uomo, poiché il cuore umano, che è per natura carne e sangue, si fa spregiudicato e dimentica Dio, non rispetta i sudditi, inseguendo ciò che brama, fino a diventare un mostro.
Perciò Lutero ricorda le parole dell’apostolo: «Chi presiede, lo faccia con premura» (Rm 12,8).
Ora, nella Scrittura, per quanti vogliono governare bene ed essere davvero prìncipi per la salvezza del popolo, nulla è più utile della meditazione del Magnificat. Maria vi canta nel modo più dolce il timore di Dio e le caratteristiche del Signore, ma prima ancora descrive le opere di Dio nelle persone di ogni condizione sociale.
La dedica termina con una preghiera: «La dolce Madre di Dio mi procuri lo Spirito, affinché io possa spiegare con giovamento e bene questo suo canto, in modo che Vostra Grazia e noi tutti ne possiamo trarre un’intelligenza che ci guidi alla salvezza e ad una vita degna di lode, sì che poi nella vita eterna possiamo celebrare e cantare questo eterno Magnificat. Lo voglia Iddio, Amen» [5].
Per Lutero, l’inno dovrebbe essere imparato da tutti a memoria, ed è lodevole che la Chiesa lo canti solennemente ogni giorno al Vespro, che chiude la giornata. Infine, egli nota anche la bellezza della melodia che accompagna il Magnificat [6].

La dolce Madre di Dio

I titoli «benedetta Madre di Dio», «amabile» o «dolce Madre di Cristo» ricorrono più volte nel commento e indicano un modo affettuoso, proprio della coscienza cristiana, di sottolineare la maternità divina di Maria. Acquisiti lungo i secoli e ben presenti alla fine del Medioevo, essi rivelano anche i segni della devozione di Lutero negli anni giovanili, che rimangono ancora vivi nella sua opera di Riformatore.
La qualifica «Madre di Dio» intende proclamare il prodigio che Dio ha compiuto in lei: Maria «è stata creata dal nulla come tutte le creature» [7]. Il Magnificat proclama: «L’Onnipotente ha fatto in me grandi cose» (Lc 1,49). E Lutero commenta: «Le “grandi cose” non sono altro che questo, che Maria è divenuta Madre di Dio; in tale opera le sono stati concessi tanti e sì grandi beni, che nessuno li può comprendere. Infatti di qui le viene ogni onore e ogni beatitudine, e a ciò è dovuta la sua singolare posizione sopra tutti in tutto il genere umano. Nessuno le è simile, poiché essa ha avuto dal Padre celeste un figlio e un simile figlio. Ed essa stessa non gli può dare un nome, per l’immensa grandezza, e deve limitarsi a traboccare d’amore, essendo cose grandi che non si possono esprimere a parole, né misurare. Perciò si è incluso tutto il suo onore in una parola, chiamandola cioè “Madre di Dio”; nessuno può di lei o a lei dire cosa più grande, anche se avesse tutte le lingue quante sono le foglie o l’erba, le stelle in cielo e la rena del mare. Anche il cuore deve considerare che cosa significhi essere Madre di Dio» [8].
Per Lutero, la maternità divina rivela anche l’iniziativa di Dio per la nostra salvezza. Dio fa il primo passo verso di noi, ci chiama, ci sostiene e ci salva in maniera gratuita e libera. La grazia richiede solo la nostra accoglienza nella fede, e non presuppone alcun merito o alcuna qualità, né alcuna pretesa da parte nostra. Maria è il segno più grande dell’iniziativa meravigliosa di Dio nella storia umana, dove Egli rivela la grazia e la misericordia proprio nella piccolezza, nella povertà, nella indegnità della fanciulla di Nazaret. E Maria nella fede lo riconosce suo Signore e Salvatore, da cui ha ricevuto ogni dono.

La struttura del «Magnificat» e l’interpretazione

Per comprendere la struttura del cantico occorre rilevare che la Vergine Maria parla della sua esperienza dello Spirito di Dio [9]. La luce dello Spirito Santo le insegna a comprendere ciò che di grande la Parola di Dio ha operato nella sua vita: il Signore eleva ciò che è basso, abbassa ciò che è alto, spezza ciò che è intatto, ripara ciò che è spezzato. «Tutte le sue opere fino alla fine del mondo sono tali che ciò che è nulla, piccolo, disprezzato, misero, morto, egli lo rende prezioso, onorabile, benedetto e vivo; d’altra parte, tutto ciò che è qualcosa, onorabile, prezioso, beato e vivo, egli lo riduce a niente, a qualcosa di meschino, disprezzabile, misero e morto» [10]. Per Lutero, la caratteristica divina è il guardare in basso, all’indigenza e alla miseria [11]. Qui emerge la theologia crucis: il punto centrale dell’interpretazione dialettica del Magnificat è la croce di Cristo, il cuore del messaggio evangelico. Nella realtà di totale spoliazione, d’insipienza, d’impotenza si svelano paradossalmente la ricchezza, la sapienza e l’onnipotenza di Dio.
«Dio ci ha destinati anche alla morte e ha donato ai suoi diletti figli e cristiani la Croce di Cristo» [12], la quale diviene così il segno di chi ama, di chi si fa uomo per servirci, di chi si fa prossimo, fino a dare la vita per salvarci. Pertanto Dio rivela la sua santità e la sua potenza nella debolezza del Figlio, nella sofferenza, nella persecuzione ingiusta, nella condanna e nella morte. Appunto il mistero di una croce che rivela tuttavia un orizzonte di luce e di speranza.
Lutero si allontana dal modo tradizionale di rappresentare la Madonna, per orientarsi su un piano storico ed esistenziale, e nello stesso tempo ideale: egli non si chiede chi è Maria, ma come vive Maria. In tal modo la vita della Madre di Dio costituisce per il cristiano un modello a cui guardare e ispirarsi. E poiché la caratteristica di Maria è l’accettazione del mistero di Dio e della sua volontà, essa rappresenta per noi un archetipo spirituale di santità [13].
La grandezza di Maria è tutta nel fiat che pronuncia nella fede, cioè nella sua disponibilità a compiere il volere di Dio, anzi nell’offrire il proprio nulla perché la grazia divina lo ricolmi.

«L’anima mia magnifica il Signore» (Lc 1,46)

Lutero commenta il cantico dividendolo in due parti: la prima concerne i doni che Maria ha ricevuto da Dio; la seconda riguarda l’opera che Dio ha realizzato nella storia. Il metodo che Lutero usa è quello di commentare il testo parola per parola, in modo da far emergere il valore e la dignità della Madre di Dio e, insieme, il suo nulla e la sua fede.
Il cantico «scaturisce da una passione e da una gioia sconfinata, e in esso l’anima e la vita di Maria si elevano spiritualmente dal più intimo.
Per questo lei non dice: “Io magnifico il Signore”, ma “l’anima mia”» [14]. Nel greco «l’anima» è la vita, e quindi tutta la vita di Maria si libra nell’amore, nella lode di Dio e nella gioia che è in Lui. Maria è inondata dallo Spirito, e la gioia che prova è segno di un’opera che è soltanto divina.
Sul verbo magnificat Lutero si sofferma a lungo. Anzitutto osserva che è il titolo del cantico, come l’intestazione di un libro; poi ne spiega il significato e ne annuncia il contenuto. «Magnificare» significa «fare grande», «esaltare», «tenere uno in gran conto», cioè «lodare le grandi opere di Dio per rafforzare la nostra fede, consolare gli umili e incutere timore a tutti i potenti della terra. Questa triplice finalità dobbiamo scorgere nell’inno e riconoscere che Maria non ha cantato per sé sola, ma per tutti noi, affinché imitassimo il suo canto» [15].

«E il mio spirito gioisce in Dio, mio Salvatore» (Lc 1,47)

La Madre di Dio, «trovandosi ricolmata di beni immensi, non si aggrappa però ad essi, non vi cerca il proprio tornaconto, ma conserva il suo spirito puro nell’amore e nella lode della semplice bontà divina. In tal modo è pronta e disposta ad acconsentire, se Dio la volesse derubare dei beni elargitile e le lasciasse uno spirito povero, nudo e bisognoso» [16]. Maria si trova ricolma di onori, ma non si inorgoglisce. Si affida con gioia alla bontà divina nella fede; e non si rallegra dei beni ricevuti da Dio, ma gioisce solo di Dio, il suo Salvatore. Per noi invece le ricchezze, gli onori, il potere sono, il più delle volte, un’occasione per fare il male, perché li riteniamo un possesso di cui usufruire a piacimento. Allora il nostro salvatore non è più Dio, ma sono i beni da lui donati, e pare quasi che Egli debba essere a nostra disposizione come un servo [17].

«Poiché ha guardato la nullità della sua serva» (Lc 1,48)

Alcuni – dice Lutero – traducono «l’umiltà della sua serva», «quasi che la Vergine Maria avesse fatto presente la sua umiltà e se ne fosse gloriata» [18]. Del resto, chi si gloria della propria umiltà non dimostra certo di essere una persona umile, perché «dinanzi a Dio nessuno può gloriarsi di qualcosa di buono senza peccato e perdizione» [19]. Il termine «umiltà» non è una buona traduzione del greco tapeinosis, che significa piuttosto «ridotto a nulla», «abbassato », «umiliato» [20]. Perciò indica la coscienza della propria miseria e di una condizione spregevole.
Qui l’interpretazione si allontana da quella consueta nell’ambiente ascetico e monastico, per orientarsi sulla Parola di Dio. Paolo, nelle Lettere, usa il termine tapeinophrosynē (Fil 2,3) nel senso di cose tenute in poco conto, misere, disprezzate [21]. Nella Bibbia il termine è riferito talora ai cristiani, chiamati pauperes, afflicti, humiliati [22].
E Lutero traduce in tedesco Nichtigkeit, cioè «nullità», «mancanza di valore». La versione acquista «un rilievo singolare e diventa sintomatica di un’impressionante novità» [23]. Lutero spiega il «nulla» di Maria con la fede nel Signore che si china sulla povertà umana.
Perciò Maria, nella sua nullità, non si aspetta l’onore dell’annunciazione, e le sembra inverosimile il saluto dell’angelo, tanto da rimanere turbata dalle sue parole (Lc 1,29) [24]. Le opere anche misteriose che Dio compie in noi sono l’occasione per lodare la sua bontà che governa la nostra vita. Quindi occorre prestare attenzione a ciò che Dio realizza in noi, per poi lodare Dio anche nelle opere che ha compiuto in altri [25].

«Tutte le generazioni mi chiameranno beata» (Lc 1,48)

La versione va precisata: non tanto «mi chiameranno beata», ma «mi beatificheranno», oppure «mi renderanno beata» [26]. Non si tratta di forme esteriori di ossequio «con discorsi o parole, o con genuflessioni, inchini, riverenze, con dipingere immagini, costruire chiese» [27], ma dell’efficacia della Parola di Dio che crea e rinnova [28].
In altre parole, Maria afferma che «la prima opera di Dio in lei è lo sguardo divino che si è posato su di lei. Questa è anche l’opera maggiore, dalla quale tutte le altre dipendono. […] Infatti, quando avviene che Dio rivolge il suo volto a guardare qualcheduno, questi sperimenta pura grazia e beatitudine, e tutti i doni e tutte le opere devono far seguito» [29].
Il grande evento della storia è proprio lo sguardo di Dio su Maria, da cui è nato Gesù, il Salvatore. Per Lutero, Maria non afferma la sua dignità, e nemmeno la sua nullità, ma solo la considerazione che Dio ha avuto nei suoi confronti. Dio avrebbe potuto scegliere la figlia di Anna o di Caifa, che allora erano certamente più famose.
Eppure l’attenzione dall’alto si è rivolta proprio a Maria, perché in lei vi sono solo la grazia e la bontà divina, senza alcun suo merito o virtù. Un esempio illustra quanto detto: «Quando un principe porge la mano a un povero mendicante, non è da lodarsi la nullità del mendicante, ma la grazia e la bontà del principe» [30].

«La sua misericordia perdura verso quelli che lo temono» (Lc 1,50)

Dopo aver esaltato i beni ricevuti da Dio, nella seconda parte del cantico Maria proclama le opere di Dio nella storia degli uomini.
È lei che ci insegna a riconoscere i doni gratuiti e a magnificare il Signore. Molti uomini intelligenti, e perfino dei filosofi, hanno cercato di penetrare i segni di Dio e di riconoscerli, ma ne sono rimasti accecati e non gli hanno reso grazie: «La cosa più grande in cielo e in terra è – se può essere concessa ad alcuno – di avere una retta conoscenza di Dio» [31].
La prima opera di Dio in noi è la sua misericordia, che è pure «l’opera più nobile». Egli è misericordioso «verso tutti quelli che volentieri rinunciano alla loro idea, al loro diritto, alla loro sapienza e a tutti i beni spirituali per rimanere di propria volontà poveri in spirito» [32]. È un atto di abnegazione rarissimo: i beni spirituali costituiscono un impedimento molto più radicale dei beni temporali per ottenere la misericordia divina.
La seconda opera è quella che umilia i superbi nei pensieri del loro cuore. Questi sono come i giudei del tempo di Gesù: «Questi dotti e santi non sono affatto superbi nelle loro vesti o nei loro atteggiamenti, pregano molto, fanno molti digiuni, predicano e studiano molto, celebrano pure la messa, tengono il capo in atteggiamento umile e non portano vesti preziose. […] Costoro sono gli uomini più velenosi e nocivi della terra; la superbia del loro cuore è abissale, diabolica e chiusa ad ogni consiglio. […] Giovanni li chiama razza di vipere (Lc 3,7), e Cristo pure (Mt 23,33)» [33]. Lutero li confronta con i ricchi e i potenti: «I ricchi distruggono la verità in se stessi, i potenti la allontanano dagli altri, ma i dotti la estinguono totalmente in se stessa e la sostituiscono con l’opinione del loro cuore, cosicché la verità non può più risorgere» [34].
La terza opera è giudicare i potenti: «Finché esiste il mondo, è necessario che vi siano autorità, governo, potere e troni. Ma Dio non tollera a lungo che [i potenti] se ne servano in modo malvagio e offensivo per Lui, col fine di fare torto e violenza ai giusti, che se ne compiacciano e se ne vantino, anziché farne uso con timor di Dio a sua lode» [35]. I superbi, i ricchi, i potenti e quanti resistono al Signore sono paragonati da Lutero al «branco di bestie» (i behemoth) del Libro di Giobbe (40,15-41,26) [36]: essi rappresentano l’orgoglio e l’arroganza di chi fa a meno di Dio.
La quarta opera è innalzare gli umili, coloro cioè che nel mondo non contano e sono assolutamente nulla.
La quinta e la sesta opera riguardano la sorte dei poveri e dei ricchi: il Signore ricolma di beni gli affamati e priva i ricchi di ogni cosa.

L’opera più grande

Dopo aver cantato le opere di Dio in lei e in tutti gli uomini, Maria conclude il Magnificat con «l’opera più grande di tutte le opere divine, cioè l’incarnazione del Figlio di Dio» [37]. Ciò che è avvenuto in lei è per tutto il mondo, in particolare per Israele, il popolo eletto. Qui si vede il fondamento del Vangelo, per cui ogni insegnamento conduce alla fede in Cristo e al seno di Abramo [38].
Per quanto la grande massa dei giudei si sia indurita, tuttavia tra loro ci sono sempre alcuni che credono in Cristo. Perciò – ammonisce Lutero – dovremmo essere più attenti nei confronti degli ebrei.

L’intercessione di Maria

Nonostante le polemiche sorte in seguito nel luteranesimo, per cui Cristo è l’unico mediatore, il commento al Magnificat inizia e si conclude con un chiaro riferimento all’intercessione di Maria. Lo si è veduto nella preghiera iniziale, in cui Lutero prega Maria perché gli «conceda lo spirito necessario a commentare questo suo canto nel modo più utile e profondo» [39]. E poi alla fine, nella preghiera conclusiva per una giusta comprensione del cantico: «Cristo ce la conceda per l’intercessione e la volontà della sua diletta Madre Maria. Amen» [40].
Di fronte a tali asserzioni, che possono sembrare contraddittorie rispetto ad altre dello stesso Lutero, si può anche rimanere perplessi.
Ma esse sono appunto i documenti di una testimonianza che ci interroga e che oggi può facilitare il dialogo ecumenico.

L’«Ave Maria»

L’anno seguente, Lutero viene scomunicato da Roma e messo al bando dall’Impero. Ma a Wittenberg la sua opera continua, ed egli nel 1522 pubblica un libretto di preghiere in cui si trova anche un breve scritto, di sole tre pagine, su come pregare l’Ave Maria [41].
Innanzitutto egli consiglia di iniziare la preghiera con una benedizione: «O Dio, che hai creato una umanità così nobile, sii benedetto in Maria» [42]. Poi fa riferimento subito al Magnificat, come se nell’esegesi del cantico avesse raggiunto l’espressione più alta della propria devozione mariana [43]. Infine esorta a rivolgere il proprio cuore e la propria devozione a Cristo e a Dio, che sono gli artefici di tanta grazia.
L’Ave Maria è quindi una preghiera di lode a Dio, nostro Padre, perché Maria è «piena di grazia», ricolma di ogni benedizione e priva di ogni macchia di peccato [44]. L’essere Madre di Dio era stato definito da Lutero la prima e la più grande di tutte le opere create [45].
La maternità, che è la vocazione di ogni donna, in Maria è solo dono e grazia: non dice ciò che lei è stata capace di fare, ma ciò che lo Spirito ha creato in lei.
Quindi il centro della preghiera non è affatto Maria. Se talora, nella pietà popolare, la Madonna è ritenuta una mediatrice di grazie, quasi onnipotente, per Lutero l’Ave Maria è una preghiera evangelica, conforme alla Parola di Dio. La grazia e la benedizione divina risplendono nella povertà di una fanciulla di Nazaret: «Non a Maria si rivolge chi prega, non cerca in lei un rifugio, e tantomeno è lei che gli si propone davanti come tale, ma in Dio solo e nella sua grazia riposa ogni cristiana certezza e speranza» [46].
Il modo di pregare l’Ave Maria deve essere «spirituale», e si contrappone a quello di recitare distrattamente e meccanicamente, cioè al modo «corporale» [47]. Il primo rende un vero onore a Maria, mentre l’altro offende non solo la Madre di Dio, ma anche Gesù, il frutto benedetto del suo grembo; in questo caso sarebbe meglio non pregare affatto [48]. Ma oggi chi offende Maria? Coloro che «non hanno rispetto» delle sue parole nel Vangelo e mancano di fede.
Lutero allude qui sia ai giudei sia ai «papisti»: i primi disprezzano la Madre di Gesù per la sua verginità; gli altri, cioè il Papa e i suoi seguaci, la disprezzano perché hanno messo da parte l’annuncio evangelico su Maria [49].
Le ultime parole mettono in risalto i tratti polemici del Riformatore e sono un chiaro indizio del processo interiore che sta maturando in lui e che presenta una progressione dal commento al Magnificat al modo di pregare l’Ave Maria, fino alla traduzione del Vangelo di Luca che Lutero sta ultimando [50]. Così può anche meravigliare la continua insistenza sulla «nullità» di Maria, che sembra voler distruggere in lei ogni minimo pregio e valore, fino quasi a ridurla a un «vuoto d’umanità» [51]. Da una parte, Lutero condanna ogni pretesa umana di salvarsi con le proprie forze e con il proprio impegno spirituale: nel commento al Magnificat la Madre di Dio viene esaltata appunto come «l’archetipo biblico dell’elezione per grazia» [52]. Dall’altra, la centralità e la logica del «solo Cristo» sembrano voler allontanare Maria dalla preghiera e dalla pietà popolare [53].
Che è quanto Lutero non ha fatto, pur ridimensionando la figura della Madre di Dio, allora forse troppo esaltata. Ciò tuttavia spiega il passo successivo, poi compiuto dal luteranesimo superando il limite che il Riformatore aveva rispettato.


NOTE

1. H. Schilling, Martin Lutero. Ribelle in un’epoca di cambiamenti radicali, Torino, Claudiana, 2016, 219.
2. Si tratta di una trilogia: Alla nobiltà cristiana della nazione germanica, in tedesco, dove Lutero esorta i prìncipi a farsi carico della riforma della Chiesa, dato che il clero, a cui spetterebbe tale compito, la trascura; La cattività babilonese della Chiesa, in latino, con la nuova dottrina sui sacramenti e il rifiuto della transustanziazione nell’Eucaristia e della Messa come sacrificio; La libertà del cristiano, in latino e tedesco, con una lettera dedicatoria a Leone X. In essa Lutero spiega che il cristiano vive una condizione paradossale, in quanto è interiormente libero e, nello stesso tempo, si pone come servitore di tutti in ogni cosa.
3. Cfr M. Luther, Weimarer Ausgabe [= WA], H. Böhlau, 1883-1929, Briefe 2, 354.
4. Cfr Id., Das Ave Maria, in WA 10/II 407-409. Lutero non è l’unico che in quegli anni si dedica al commento del Magnificat; anche Ecolampadio, il riformatore di Basilea, pubblica nel 1521 ad Augusta, con l’editore A. Cratander, un commento al cantico, intitolato De laudando in Maria Deo.
5. Il testo del Magnificat si trova nell’edizione critica della WA 7, 544-604. Esistono diverse versioni italiane: «Il “Magnificat” tradotto in tedesco e commentato», a cura di V. Vinay, in Scritti religiosi, Torino, Utet, 1967, 431-512; M. Luther, Commento al Magnificat, a cura di R. M. Bruno, Sotto il Monte (Bg), Centro di Studi Ecumenici Giovanni XXIII, 1967 (da cui sono tratte le citazioni del presente articolo).
6. Cfr M. Luther, Commento al Magnificat, cit., 13.
7. Ivi, 57.
8. Ivi, 56 s.
9. Cfr ivi, 17.
10. Ivi.
11. Cfr ivi, 19. Il testo è rafforzato da una citazione della Prima lettera di Pietro: «Dio resiste ai superbi, ma dà grazia agli umili» (1 Pt 5,5).
12. Ivi.
13. Cfr D. M. Manzelli, «Prefazione», in M. Luther, Commento al Magnificat, cit., 8 s.
14. Ivi, 25.
15. Ivi, 29.
16. Ivi, 36 s.
17. Cfr ivi, 38.
18. Ivi, 39.
19. Ivi.
20. Ivi.
21. Cfr ivi, 41. Nel commento alla Lettera ai Romani 12,16, Lutero aveva accennato alla differenza tra humilis e tapeinosis: «In greco una cosa è tapinosis […] “ignobile”, “di bassa condizione” (che è propriamente il significato latino, per cui “umile” è il contrario di “ciò che sta in alto” ed è “nobile”); invece altra cosa è tapinophrosynē, da “tapinos” e “phronin” [= phronein], che significa “avere pensieri umili”; e questa è l’umiltà, la capacità di adattarsi a quanto sta più in basso, senza disprezzarlo perché conta meno» (M. Lutero, Lezioni sulla Lettera ai Romani [1515- 1516], II, a cura di G. Pani, Genova, Marietti, 1992, 226).
22. Lutero cita il Sal 116,10 («Io soffro ben molto») e 1 Cor 1,27 («Dio ha scelto le cose stolte del mondo per confondere i sapienti»).
23. B. Gherardini, Lutero-Maria. Pro o contro?, Pisa, Giardini, 1985, 51.
24. Cfr M. Luther, Commento al Magnificat, cit., 42.
25. Cfr ivi, 47.
26. Ivi, 52.
27. Ivi.
28. Qui Lutero ha interpretato la frase considerando come soggetto Dio, mentre il soggetto grammaticale di «chiameranno beata» sono «tutte le generazioni» (cfr B. Gherardini, Lutero-Maria. Pro o contro?, cit., 52).
29. M. Luther, Commento al Magnificat, cit., 49.
30. Ivi, 41.
31. Ivi, 62 s.
32. Ivi, 72.
Per 33. Ivi, 78.
34. Ivi, 78 s.
35. Ivi, 81.
36. Cfr ivi, 65 s.
37. Ivi, 90.
38. Cfr ivi, 96.
39. Ivi, 13.
40. Ivi, 98.
41. Cfr M. Luther, Das Ave Maria, WA 10/2, 407-409. Vi si riporta anche l’Ave Maria, come allora si pregava, e cioè solo con la prima parte, quella biblica, senza la seconda, quella deprecatoria («Prega per noi, peccatori…»), che non era ancora entrata nell’uso in Germania.
42. Ivi, 407, 17-20.
43. Cfr B. Gherardini, Lutero-Maria. Pro o contro?, cit., 122.
44. Qui Lutero rende il latino gratia plena con Sie ist voller Gnade, mentre nella versione del Nuovo Testamento, compiuta qualche mese dopo, tradurrà oldselige, «che sei graziosa», riprendendolo dal Nuovo Testamento di Erasmo. La Vetus latina aveva tradotto gratificata, che è molto più preciso sia della traduzione di Lutero sia di quella di Erasmo.
45. Cfr M. Luther, Das Ave Maria, cit., 408, 24-409, 3.
46. Ivi, 407, 20-23.
47. Lutero definisce i due modi geistlich e leiblich (ivi, 409, 13-16).
48. Ivi, 409, 20-23: «E allora lasci da parte l’ Ave Maria e tutte le altre preghiere.
Perché di lui sta scritto: “La sua preghiera diventerebbe peccato” (Salmo 108)» (cfr Sal 109,7).
49. Qui Lutero usa il verbo vermaledeinen, «maledire, oltraggiare»: ivi, 409, 7 s.
50. Cfr la nota 44.
51. B. Gherardini, Lutero-Maria. Pro o contro?, cit., 299.
52. H. Schilling, Martin Lutero…, cit., 219.
53. Una volta stabilito il principio del Solus Christus, Lutero ne trae le conseguenze ultime circa la Regalità di Maria, l’Assunzione e l’Immacolata Concezione, di cui già allora si parlava. Per lui è determinante il silenzio della Scrittura su questi argomenti (cfr B. Gherardini, Lutero-Maria. Pro o contro?, cit., 271-313; M. Brecht, Martin Luther. I. Sein Weg zur Reformation, 1483-1521, Stuttgart, Calwer Verlag, 152 s).


(La Civiltà Cattolica 2017 II 236-248 | 4005 - 6/20 maggio 2017)