I giovani nella Bibbia
Raffaele Mantegazza
Il giusto è sicuro come un giovane leone
Prov. 28,1
La gioventù del leone: è questa la metafora che il libro dei Proverbi sceglie per indicare l’atteggiamento del giusto (tzaddik) che va per il mondo non certo con l’arroganza tronfia di chi sa di avere ragione ma con la fiducia nell’energia che la sua gioventù gli regala. A partire da questa idea altamente positiva di gioventù inauguriamo questa rubrica. Il popolo ebraico del resto non poteva non associare valori positivi a questa età della vita: amante della vita e delle sue manifestazioni, del corpo e di tutte le gioie che questo può fornire, l’ebreo non può certo non vedere come proprio nella gioventù tutto ciò è espresso con la massima forza. Ma proprio per questo motivo è anche soggetto al massimo pericolo: la forza del giovane può essere pervertita, la sua esuberanza può farlo cadere, l’energia giovanile è uno dei punti di aggancio per gli assalti di ha-satan, l’eterno avversario. Per questo motivo la Bibbia vede nel giovane un soggetto da educare, e propone costantemente un rapporto tra le figure giovanili e le figure adulte. Straordinaria lezione per noi oggi, dal momento che sembra che proprio la forza di questa relazione sia in qualche modo sottovalutata: e invece proprio la Bibbia ci ricorda che non esiste un giovane che non sia e non sia stato visto, amato, odiato, detto, scritto, in una parola: educato da figure adulte.
Affronteremo dunque alcune figure giovanili nella Bibbia, senza che il termine “giovane” sia preso alla lettera nel senso strettamente anagrafico (cosa peraltro impossibile: un giovane calciatore che debutta in serie A ha 15 anni; un giovane docente universitario ne ha 40; un giovane premio Nobel ne può avere 60. Che senso ha utilizzare la stessa parola “giovane”, per definire persone che occupano tratti del percorso vitale così distanti tra loro? Che significato può avere una parola così fluida da essere quasi priva di referente reale?). Per noi “giovane” significa “soggetto ancora in formazione in relazione con una o più figure adulte”. I protagonisti delle nostre ricerche dunque potranno essere definiti “giovani” dal testo biblico (vale per Geremia: Risposi: “Ahimé, Signore Dio, ecco io non so parlare, perché sono giovane”, Ger 1,6; come per Daniele: “Il re disse ad Aspenaz, capo dei suoi eunuchi, di condurgli dei figli d'Israele, di stirpe reale o di famiglie nobili. Dovevano essere ragazzi senza difetti fisici, di bell'aspetto, dotati di ogni saggezza, istruiti e intelligenti, capaci di stare nel palazzo reale per apprendere la scrittura e la lingua dei Caldei”: Dan 1,3-4) ma potranno essere intesi come giovani nel senso più ampio, come nel caso di Esau e Giacobbe, che sono giovani finché sono sottomessi (anche giuridicamente) all’autorità di Isacco.
Così proprio la storia di Giacobbe ed Esau ci permetterà di trattare la questione del conflitto tra giovani (non solo tra fratelli): quelli che caratterizzano i due figli di Isacco sono sostanzialmente problemi da ragazzi, dalla cui soluzione però dipende il futuro del popolo di Dio, e il ruolo dei genitori nella loro problematica e per certi versi sconcertante gestione dei conflitti potrà esserci utile per riflettere sul rapporto tra giovani e adulti. Il popolo ebraico ha fatto un programma pedagogico delle parole “e lo ripeterai ai tuoi figli” che costituiscono il nucleo dello Shemà; non è un caso che ciò che occorre ripetere è una storia di liberazione: riflettere sul rapporto tra esodo, gioventù e liberazione ci condurrà a tematizzare il desiderio di libertà dei nostri giovani e le possibili risposte adulte.
“Sono solo un ragazzo” risponde Geremia alla chiamata divina: eppure sembra che proprio il suo essere “solo” un ragazzo costituisca il motivo della scelta di YHWH. La profezia è strettamente legata alla gioventù, e potremo dunque chiederci quali profezie e quali squarci di futuro ci offrano oggi i nostri giovani, che spesso appunto consideriamo “solo ragazzi” condividendo l’errore del profeta gerosolimitano. Anche Davide è “solo” un ragazzo all’inizio della sua folgorante carriera: un ragazzo conteso tra un senso straziante dell’amicizia (che ci ha regalato uno dei più intensi lamenti funebri dell’antichità, quello su Gionata) e un precoce desiderio di potere che lo condurrà a tragici errori (e nel confronto pedagogico con Natan non è possibile non vedere una relazione educativa tra uno scriteriato giovane e un adulto saggio, nonostante le relative età taciute dal testo biblico)
I Proverbi, esempio classico di un manuale pedagogico tipico dei testi sapienziali, ci offrono uno sguardo sulla risposta che il popolo ebraico dava alla domanda: “come istruire un ragazzo?”. Al di là della stucchevole polemica sulle punizioni corporali (è del tutto ovvio che occorre leggere i testi biblici relazionandoli al contesto storico-sociale nel quale sono stati scritti e non come manuali di immediata applicazione: questo è lo sconcertante errore di ogni lettura letteralista del testo, non per nulla spesso base di pericolosi integralismi e fondamentalismi). Se i Proverbi ci parlano della gioventù da educare, il Cantico dei cantici ci fa entrare in quella straordinaria terra da mezzo nella quale l’amore adolescente sta trasformandosi nell’amore adulto: i due giovani che si amano in questo straordinario libro possono essere letti allegoricamente (il rapporto tra YHWH e Israele, il rapporto tra Dio e la Chiesa) ma non perdono mai la loro straordinaria forza umana e antropologica (e ne è testimonianza la storia problematica del libro e del suo difficile ingresso nel canone del TaNaK, la Bibbia ebraica)
Daniele è il giovane bello e saggio, prescelto dalla corte babilonese per fare compagnia ai potenti Potrebbe accoccolarsi in grembo al potere, invece sceglie l’opposto: la sua è una storia paradigmatica del rapporto tra gioventù e resistenza, che si ripete in ogni angolo del mondo, quando un ragazzo o una ragazza decidono di non starci, di non cedere, che siano Sophie Scholl della Rosa Bianca o un ragazzino di Piazza Tien An Men: la gioventù è resistente perché crede nel mondo adulto e nelle sue promesse e grida di dolore e di indignazione quando queste vengono tradite.
“Lasciate che i bambini vengano a me”: nel totale ribaltamento al quale l’ebreo Gesù sottopone tutte le categorie del suo tempo (molto più quelle politiche e sociali che quelle religiose) proprio i piccoli, i fanciulli sono al centro della sua attenzione. Quale fu il rapporto tra i fanciulli e il Maestro? Al di là della metafora sembra che Gesù amasse davvero i ragazzi e i bambini; ma è la stessa categoria di “piccolo” ad uscire scossa dalla predicazione del rabbi di Galilea: il bambino che viene sempre utilizzato come metafora di debolezza, per Gesù è il destinatario principale del Regno. E l’amore di Gesù per i bambini consiste ovviamente nel fare loro del bene. L’espressione “Talità kum”, una tra le pochissime mantenute nell’originale aramaico, richiama un miracolo a favore di una ragazzina ma ci mostra anche il miracolo della gioventù, che è il miracolo della vita che continua a rinnovarsi.
E anche Gesù è stato ragazzo, un giovane che cresceva in sapienza, età e grazia. Gli anni taciuti del Messia a Nazareth sono stati narrati dalla tradizione apocrifa che ci mette sulla pista di un Gesù un po’ più umano nella sua straordinarietà e che può proporci ulteriori riflessioni sulla gioventù e sul suo rapporto con la società adulta, perché proprio gli Apocrifi non ci parlano tanto della infanzia e gioventù di Gesù quanto delle idee di gioventù e di infanzia tipiche dell’epoca e del contesto culturale nel quale essi sono stati redatti. Infine non potremo scordare “il discepolo che egli amava”. L’obiezione secondo la quale non si dice mai che egli era un giovane è sconfitta dal passo di Gv 19, 26-27 nel quale questo discepolo viene affidato a Maria in quello che all’epoca era un vero e proprio contratto di adozione e che non sarebbe stato possibile se il ragazzo avesse avuto la maggiore età. Proprio in questo farsi carico della gioventù dell’altro da parte di Gesù morente leggeremo l’ultimo tratto della nostra indagine sulla gioventù biblica intendendola come compito e come promessa, come richiamo all’adulto per un comportamento che sia sempre coscientemente educativo.
Così la Bibbia ci apparirà come libro giovane, libro che parla di giovani e soprattutto libro che parla ai giovani: un libro che mantiene giovane l’umanità e che forse proprio per questo, ancora oggi, è il libro più venduto al mondo ma, temiamo, forse anche il meno letto.
I giovani nella Bibbia
Raffaele Mantegazza
Introduzione
1. Giacobbe ed Esau: problemi da ragazzi?
2. Sono solo un ragazzo. Profezia e gioventù
3. I Proverbi. Come istruire un ragazzo
4. Davide: un ragazzo tra amicizia e potere
5. “E lo ripeterai ai tuoi figli”- I quattro figli e la memoria della liberazione
6. Il Cantico dei cantici: l’amore adolescente
7. Lasciate che i fanciulli vengano a me. I bambini e il Maestro
8. Gesù a Nazaret. Gli anni taciuti del Messia
9. Daniele: gioventù e resistenza
10. Il discepolo che egli amava: la gioventù come compito e come promessa