QUESTIONE XII: 

L'IRA

Tommaso d'Acquino

 

ARTICOLO I

Se ogni ira sia cattiva oppure se qualche ira sia buona

1. Sembra che ogni ira sia cattiva. Infatti, Gerolamo, commentando quel passo di Matteo (V, 22): «Chi si adira contro il proprio fratello...», dice così: «In certi manoscritti si aggiunge: "senza motivo"; al contrario nei manoscritti autentici l'affermazione è categorica e l'ira è completamente proibita: se ci è comandato, infatti, di pregare per i nostri persecutori, ogni occasione di ira è esclusa. Bisogna, dunque, cancellare "senza motivo", perché l'ira dell'uomo non pratica la giustizia di Dio». Dunque ogni ira è cattiva e proibita.
2. Inoltre, come dice Dionigi ne I nomi divini (IV, 25), l'ira è naturale per il cane, ma innaturale per l'uomo. Ma ciò che è contro la natura dell'uomo è male e peccato, come emerge dal Damasceno ne La fede ortodossa (II, 30). Dunque ogni collera è peccato.
3. Inoltre, il male dell'anima umana consiste nel prescindere dalla ragione, come nello stesso luogo (I nomi divini, IV, 32) afferma Dionigi. Ma l'ira prescinde sempre dalla ragione; dice, infatti, il Filosofo nel VII libro dell'Etica nicomachea: «l'ira sembra dare ascolto alla ragione, in certo qual modo, ma ascoltarla di traverso» (1149 a 25-26), ciò vuol dire non ascoltare perfettamente la ragione, come spiega dopo. Perciò l'ira è sempre cattiva.
4. Inoltre, il Signore, in Matteo (VII, 3-4), biasima colui che ha una trave nel suo occhio e vuole togliere la pagliuzza dall'occhio del suo fratello. Molto più, dunque, è da biasimare colui che mette una trave nel suo occhio per togliere la pagliuzza dall'occhio altrui. Ma tale è chiunque si adira per correggere l'altro: dice infatti Cassiano nelle Istituzioni cenobitiche (VIII, 6), che «il moto dell'ira, che ribolle per qualsiasi causa, acceca l'occhio del cuore». Dunque è da biasimare chiunque si adira per correggere il suo fratello, e molto più (è da biasimare) per qualsiasi altra causa uno si adira.
5. Inoltre, la perfezione dell'uomo consiste nell'imitare Dio, onde si dice in Matteo (V, 48): «Siate perfetti come è perfetto il Padre vostro». Ma, come dice la Sapienza (XII, 18): «Dio giudica con calma serenità». «L'ira, invece, porta via alla mente la serenità», come dice Gregorio nel Commento morale a Giobbe (V, 45). Dunque ogni (tipo di) ira sminuisce la perfezione umana poiché ci allontana dalla somiglianza con Dio.
6. Inoltre, tutto ciò che è buono o indifferente è utile all'atto virtuoso, perché l'uso delle cose buone è un atto di virtù, come dice Agostino ne Il libero arbitrio (II, 19). Ma nessuna ira è utile alla virtù; dice, infatti, Cassiano nel libro citato (VIII, 5): «Quando l'Apostolo afferma "ogni ira sia eliminata da voi" (Ef., IV, 31), egli non ne eccettua assolutamente alcuna che sia necessaria e utile per noi». Anche Tullio Cicerone dice nelle Tusculane (IV, 23): «La fortezza non ha bisogno di chiamare in aiuto l'ira; sufficientemente dotata delle sue armi, è perfetta». Dunque nessuna ira è buona.
7. Inoltre, Gregorio dice nel Commento morale a Giobbe (V, 45): «Quando l'ira colpisce violentemente la tranquillità dell'anima, la turba una volta dilaniata e spezzata, così che non concorda con se stessa e perde il vigore della sua somiglianza interiore con Dio»; e così è evidente che l'ira nuoce massimamente all'anima. Ma il male si chiama così perché nuoce, come dice Agostino nel Manuale (c. 12). Dunque ogni ira è cattiva.
8. Inoltre, su quel versetto del Levitico (XIX, 17): «Non coverai nel tuo cuore odio contro il tuo fratello», la Glossa dice che l'ira è brama di vendetta. Ma cercare la vendetta è contro la legge divina; infatti si aggiunge nello stesso luogo: «Non cercare la vendetta» (XIX, 18). Dunque l'ira è sempre un peccato.
9. Inoltre, su cose simili il giudizio è lo stesso, dunque anche su cose denominate similmente si deve giudicare in modo simile. Ma l'ira è citata tra gli altri vizi capitali; ora ciascuno degli altri che si indicano come vizi capitali, è sempre un male e mai un bene, come è evidente per chi li esamina uno a uno. Dunque l'ira è sempre cattiva e mai buona.
10. Inoltre, i princìpi, benché siano piccolissimi quantitativamente, tuttavia sono caratterizzati da una grandissima potenza, come dice il Filosofo (Il cielo, I, 271 b 12). Ma i vizi capitali sono come i princìpi dei peccati, dunque sono i più grandi nel male; pertanto non hanno nessuna mescolanza con il bene. E così nessuna ira è buona.
11. Inoltre, ciò che impedisce il migliore atto dell'uomo è un male. Ma l'ira, anche quella che proviene dallo zelo per la rettitudine, impedisce il migliore atto dell'uomo, cioè la contemplazione; dice infatti Gregorio nel Commento morale a Giobbe (V, 45): «In qualche modo agitata, almeno dallo zelo per la rettitudine, è dissipata quella contemplazione che non può essere goduta se non da un cuore tranquillo». Dunque ogni ira è cattiva.
12. Inoltre, come Tullio Cicerone dice nelle Tusculane (III, 10), le passioni sono, per così dire, delle malattie dell'anima, ma ogni malattia corporale è un male del corpo, dunque ogni passione dell'anima è un suo male. Ma l'ira è una certa passione dell'anima. Dunque ogni ira è cattiva.
13. Inoltre, il Filosofo dice nel IV libro dei Topici (125 b 2227) che paziente e moderato è colui che soffre e non è abbattuto, mentre mite e misurato è colui che non patisce; e da ciò si ha che essere virtuoso consiste nel non patire niente, e in tal modo ogni passione si oppone alla virtù. Ma tutto ciò che è tale è un male. Dunque ogni ira, essendo una passione, è un male.
14. Inoltre, chiunque usurpa per sé ciò che appartiene a Dio pecca. Ma chiunque si adira usurpa per sé la vendetta che compete solo a Dio, secondo quel versetto del Deuteronomio (XXXII, 35): «A me la vendetta e io retribuirò»; l'ira, infatti, è desiderio di vendetta, come dice il Filosofo (Retorica, II, 1378 b 1-2). Dunque chiunque si adira pecca.
15. Inoltre, Valerio Massimo narra di Archita di Taranto che, essendo stato offeso dal suo servo, disse: «Ti punirei gravemente se non fossi adirato con te». Dunque sembra che la collera impedisca la punizione giusta.
16. Inoltre, nel caso che qualche ira fosse buona, non potrebbe essere se non quella che insorge contro il peccato. Ma nessuna ira è tale, poiché, essendo l'ira una passione dell'appetito sensibile, non insorge se non contro un male sensibile. Dunque nessuna ira è buona.

Ma in contrario
A. Il Crisostomo scrive nel Commento su Matteo: «Chi si adira senza motivo sarà colpevole; chi, invece, con un motivo non sarà colpevole: se l'ira, infatti, non ci fosse, né l'insegnamento gioverebbe, né i giudizi starebbero saldi, né i crimini sarebbero repressi» (hom. 11). Dunque qualche ira è buona e necessaria.
B. Inoltre, i precetti divini a nient'altro conducono che al bene. Ma un precetto divino ci induce ad adirarci, secondo quel passo della lettera agli Efesini (IV, 26): «Adiratevi, ma non peccate» e la Glossa spiega: «Adiratevi contro coloro che peccano, cosa che è un moto naturale dell'anima, che suole riferirsi al successo di coloro che peccano. Perciò dice che bisogna adirarsi, mostrando che questa ira è buona». Dunque non ogni ira è cattiva.
C. Inoltre Gregorio dice nel Commento morale a Giobbe (V, 45): «Non comprendono rettamente coloro che vogliono che noi ci adiriamo solo contro noi stessi e non anche contro i prossimi, quando peccano. Se, infatti, abbiamo il comandamento di amare il prossimo così come noi stessi, consegue che ci adiriamo per i loro errori così come per i nostri vizi».
D. Inoltre, il Damasceno dice ne La fede ortodossa (B1, 20) che l'ira c'è stata in Cristo; in cui, tuttavia, non ci fu nessun peccato, come si dice nella prima di S. Pietro (II, 22). Dunque non ogni ira è peccato.
E. Inoltre, ogni peccato è biasimevole. Ma non è biasimato ogni uomo che si adira, come dice il Filosofo nel II libro dell'Etica nicomachea (1105 b 33-1106 a 1). Dunque non ogni ira è peccato.

Risposta
Intorno a questo problema ci fu una volta una controversia tra i filosofi: infatti gli Stoici sostennero che ogni ira fosse viziosa, i Peripatetici, invece, asserivano che qualche ira fosse buona.
Dunque, affinché intorno a tale questione appaia quale convinzione sia più vera, bisogna riflettere sul fatto che nell'ira, come in qualsiasi altra passione, si possono considerare due aspetti: l'uno che è come formale, l'altro che è come materiale. L'aspetto formale nell'ira è ciò che proviene dall'anima appetitiva, vale a dire l'ira come desiderio di vendetta, l'aspetto materiale, invece, è ciò che appartiene all'alterazione fisiologica, vale a dire l'ira come un ribollire del sangue intorno al cuore. Dunque, nel caso che l'ira sia considerata secondo ciò che è formale in essa, può essere sia nell'appetito sensitivo, sia nell'appetito intellettivo che è la volontà, secondo la quale uno può volere vendicarsi; e secondo questo aspetto è evidente che l'ira può essere buona o cattiva.
Infatti è chiaro che, quando uno cerca la vendetta secondo l'ordine richiesto dalla giustizia, questo è un atto virtuoso, per esempio quando cerca la vendetta per correggere il peccato,' rispettando l'ordine giuridico: e questo è adirarsi contro il peccato.
Quando, invece, uno tende disordinatamente alla vendetta, questo è peccato, o perché cerca la vendetta contro l'ordine del diritto, o perché cerca la vendetta piuttosto mirando all'annientamento di chi pecca, che all'abolizione del peccato: e questo è adirarsi contro il proprio fratello. E su questo punto non ci sarebbe stata discordia tra gli Stoici e i Peripatetici, infatti anche gli Stoici avrebbero concesso che talvolta la volontà di vendetta è virtuosa.
Ma tutta quanta la controversia verteva sul secondo aspetto, che è quello materiale nell'ira, cioè l'eccitamento del cuore; poiché tale eccitazione impedisce il giudizio della ragione, nel quale consiste principalmente il bene della virtù; perciò, per qualunque motivo uno si adiri, sembra che ciò sia a danno della virtù, e pertanto sembra che ogni ira sia viziosa.
Ma, se uno esamina bene la questione, troverà che gli Stoici hanno mancato nella loro riflessione in tre aspetti: e precisamente per il primo riguardo al fatto che non distinguevano tra ciò che è il meglio assolutamente e ciò che è la cosa migliore per una persona determinata. Capita, infatti, che qualche cosa è la migliore in senso assoluto e non è la migliore per questa persona, come filosofare è meglio in senso assoluto che diventar ricco, ma per colui che manca del necessario è meglio arricchirsi, come si dice nel III libro dei Topici (118 a 10-11); ed 'è bene per il cane essere furioso, secondo la condizione della sua natura, cosa che, tuttavia, non è un bene per l'uomo. Così, dunque, poiché la natura dell'uomo è composta di anima e di corpo, e di una natura intellettiva e sensitiva, appartiene al bene dell'uomo di sottomettere alla virtù tutto intero se stesso, vale a dire sia nella sua parte intellettiva, sia nella sua parte sensitiva, sia nel suo corpo. E perciò per la virtù dell'uomo si richiede che la tensione alla giusta vendetta sia non solo nella parte razionale dell'anima, ma anche nella parte sensitiva e nello stesso corpo e che lo stesso corpo si muova per servire la virtù.
In secondo luogo non hanno tenuto presente che l'ira e altre passioni simili possono essere in rapporto in due modi con il giudizio della ragione: in un modo come antecedenti, e così è inevitabile che l'ira – e ogni passione simile – impedisca sempre il giudizio della ragione, poiché l'anima può valutare la verità soprattutto in una certa tranquillità dello spirito; onde il Filosofo dice anche che rimanendo in pace l'anima diviene ricca di conoscenze e prudente (Fisica, VII, 247 b 23-24).
In un altro modo l'ira può avere rapporto con il giudizio della ragione, come conseguente, perché, appunto, dopo che la ragione ha giudicato e ha ordinato il modo della vendetta, allora la passione insorge per eseguire.
In questo caso l'ira e altre passioni simili non impediscono il giudizio della ragione che è stato senz'altro precedente, ma piuttosto danno un aiuto per eseguire più prontamente e in ciò sono utili per la virtù. Onde Gregorio dice nel Commento morale a Giobbe (V, 45): «Bisogna avere la massima cura affinché l'ira, che viene presa come strumento della virtù, non prevalga sulla mente, né domini come signora, ma affinché, come serva, pronta a obbedire, in nessun modo receda dal seguire la ragione; allora infatti più fermamente si erge contro i vizi quando, sottomessa, si mette a servizio della ragione».
In terzo luogo gli Stoici mancarono nel fatto che non intendevano bene l'ira e le altre passioni. Infatti, poiché non tutti i moti appetitivi sono passioni, essi non distinguevano le passioni dagli altri moti appetitivi per il fatto che gli altri moti appetitivi sono nella volontà, mentre le passioni sono nell'appetito sensitivo, perché non distinguevano tra l'uno e l'altro appetito; ma le distinguevano perché definivano le passioni come moti appetitivi che trasgrediscono il giusto equilibrio dell'ordinata ragione: onde dicevano che esse sono vere e proprie malattie dell'anima, come le malattie del corpo trasgrediscono l'equilibrio della salute; e sulla base di questi presupposti era inevitabile che ogni ira (e ogni passione) fosse cattiva.
Ma, poiché, secondo verità, l'ira è considerata come un qualunque moto dell'appetito sensitivo, e un tale moto può essere regolato dalla ragione e, in quanto segue il giudizio della ragione, si mette a servizio della stessa per una pronta esecuzione, e poiché la condizione della natura umana esige che l'appetito sensitivo sia mosso dalla ragione, da ciò consegue che bisogna dire, in conformità con i Peripatetici, che qualche ira è buona e virtuosa.

Risposte alle obiezioni
1. Alla prima: Gemiamo parla dell'ira con la quale uno si scaglia contro un fratello, come emerge dalle parole del Signore che egli commenta; ora, ogni ira siffatta è cattiva, ma l'ira che è contro il peccato è buona, come è stato detto.
2. Alla seconda: l'ira che predomina sulla ragione non è naturale per l'uomo, ma è per lui naturale che l'ira sia a servizio della ragione.
3. Alla terza: il Filosofo ivi parla dell'ira dell'incontinente, che non si sottomette alla ragione.
4. Alla quarta: l'ira, quando segue il giudizio della ragione, turba, certo, in qualche modo la ragione, ma giova alla prontezza dell'esecuzione, onde non elimina l'ordine della ragione che è,stato già fissato dal precedente giudizio della ragione; per cui anche Gregorio dice nel Commento morale a Giobbe (V, 45) che l'ira causata dal vizio acceca l'occhio della mente, ma l'ira causata dallo zelo non acceca, ma solo turba.
5. Alla quinta: Dio è incorporeo, onde, come opera senza membra corporee, così lo fa senza appetito sensitivo; e tuttavia appartiene alla virtù dell'uomo che si serva del moto dell'appetito sensitivo, come anche che si serva degli strumenti del corpo.
6. Alla sesta: l'ira che previene il giudizio della ragione non è utile alla virtù, ma nociva, invece quella che lo segue è utile per eseguire, come è stato detto.
7. Alla settima: quelle parole di Gregorio sono da intendere come riguardanti l'ira che viene dal vizio; onde lo stesso, nelle parole che seguono, mostra anche che c'è un'altra ira lodevole e virtuosa.
8. All'ottava: dalla legge è proibita la vendetta che risulta dal solo livore della vendetta, ma non quella che scaturisce dallo zelo per la giustizia.
9. Alla nona: non si deve ricavare il giudizio dai nomi, ma dalla natura delle cose; onde non è necessario che tutte le cose che sono denominate in maniera simile ricevano un giudizio identico, altrimenti si genererebbe la fallacia dell'equivocazione. Dunque bisogna sapere che, come dice il Filosofo nel IV libro dell'Etica nicomachea (1125 b 26-27), i vizi opposti alla mansuetudine sono senza un nome e perciò ci serviamo del nome della passione per designare il vizio capitale; e poiché la passione può essere buona e può essere cattiva, perciò l'ira può essere buona o cattiva. Invece gli altri vizi capitali sono designati con dei nomi propri dei vizi, e perciò sono sempre cattivi.
10. Alla decima: come dice Dionigi ne I nomi divini (IV, 32) il male non agisce che in virtù del bene. Perciò i vizi capitali non hanno di che essere princìpi in base all'aspetto di male, ma piuttosto per l'aspetto di bene, secondo il quale i loro fini sono desiderabili e muovono ad alcuni atti; onde non è necessario che i vizi capitali siano in sommo grado ed esclusivamente malvagi e tuttavia si può dire che l'ira, in quanto è un vizio capitale, non è mai buona.
11. All'undicesima: non tutto ciò che impedisce il meglio è un male, altrimenti il matrimonio sarebbe un male perché impedisce la verginità; ma, di più, ciò che impedisce qualche bene in un momento determinato può anche essere, per quel tempo, migliore. Onde, benché la contemplazione sia in senso assoluto la migliore tra le umane operazioni, tuttavia in qualche caso può essere migliore qualche azione alla quale l'ira porta il suo aiuto.
12. Alla dodicesima: quell'argomentazione scaturisce dall'ira in quanto implica un moto disordinato, come la intendevano gli Stoici.
13. Alla tredicesima: il Filosofo nel IV libro dei Topici (125 b 22-27) adduce come esempi alcune tesi che non sono vere secondo la propria opinione, ma le presenta come plausibili secondo le opinioni degli altri; e tale è il caso di ciò che dice, cioè, che la virtù consiste nel non sentire niente: questo, infatti, era accettabile secondo l'opinione degli Stoici; invece nel II libro dell'Etica nicomachea (1104 b 24-25) egli disapprova le opinioni di coloro che dicevano che le virtù sono degli stati di impassibilità. Tuttavia si può affermare che la virtù consiste nel non patire niente disordinatamente.
14. Alla quattordicesima: quello che si adira per il peccato del suo fratello non cerca la propria vendetta, ma la vendetta di Dio; il peccato, infatti, non è niente altro che offesa a Dio, e perciò colui che sì adira giustamente non usurpa per sé ciò che appartiene a Dio.
15. Alla quindicesima: Archita non aveva determinato il modo della vendetta, e perciò, essendo adirato, non voleva determinarlo, per non eccedere.
16. Alla sedicesima: nell'ira si possono considerare due aspetti: cioè la causa dell'ira, che la ragione fa conoscere, e ciò può essere un peccato; e, d'altra parte, un danno contro il quale tende l'appetito sensitivo, e questo è sempre qualcosa di sensibile.

ARTICOLO 2

Se l'ira possa essere peccato oppure no

1. Sembra di no. L'ira, infatti, è una certa passione. Ma per le passioni non meritiamo, né demeritiamo, e neanche siamo lodati o biasimati, come emerge da ciò che dice il Filosofo nel II libro dell'Etica nicomachea (1105 b 31-32). Dunque l'ira non è peccato.
2. Inoltre, come un uomo zoppo è un uomo, così una natura decaduta è una natura. Ma adirarsi è proprio della natura decaduta; dunque adirarsi è qualcosa che si addice alla natura. Ma nulla di tal genere è peccato. Dunque l'ira non è peccato.
3. Inoltre, quello che di per sé può essere ordinato al bene o al male non si deve ritenere che sia peccato. Ma l'ira si può determinare sia al bene che al male. Dunque l'ira non è, di per sé, un peccato.
4. Inoltre, gli atti propri delle potenze naturali dell'anima non sono peccati, perché il peccato è contro la natura, come dice il Damasceno ne La fede ortodossa (II, 30). Ora, l'ira è un atto della potenza irascibile, che è una determinata potenza naturale dell'anima. Dunque l'ira non è peccato.
5. Inoltre, ogni peccato è volontario, come dice Agostino (La vera religione, c. 14). Ma l'ira non è volontaria, perché, come dice il Filosofo nel VII libro dell'Etica nicomachea (1149 b 2021), l'irato agisce con tristezza, ma la tristezza è di quelle cose che ci accadono contro la nostra volontà, come dice Agostino ne La città di Dio (XIV, 6). Dunque l'ira non è un peccato.
6. Inoltre, quello che non è in nostro potere non è peccato: nessuno, infatti, pecca in ciò che non può evitare, come dice Agostino (Il libero arbitrio, III, 18). Ma l'ira non è in nostro potere, poiché su quel versetto del Salmo (IV, 5): «Adiratevi e non peccate», la Glossa dice che il moto dell'ira non è in nostro potere. Perciò l'ira non è un peccato.
7. Inoltre, il Filosofo dice che l'ira è il ribollire del sangue intorno al cuore (L'anima, I, 403 a 31). Ma ciò non comporta alcun peccato. Dunque l'ira non è un peccato.
8. Inoltre, Gerolamo dice, nella sua lettera al monaco Antonio (ep. 12), che adirarsi è dell'uomo, ma non commettere ingiustizia è del cristiano. Ma ciò che è dell'uomo, in quanto uomo, non è peccato. Quindi l'ira non è peccato.
9. Inoltre, in ogni peccato c'è il rivolgersi verso un bene mutevole. Ma l'ira non è un dirigersi verso un bene mutevole, ma piuttosto verso un male, cioè verso un danno da infliggere al prossimo. Dunque l'ira non è peccato.
Ma in contrario c'è quanto l'Apostolo dice nella lettera agli Efesini (IV, 31): «Ogni indignazione e ira siano bandite da voi», cosa che non direbbe se l'ira non fosse un peccato. Dunque l'ira è un peccato.

Risposta
L'ira comporta un certo moto dell'appetito, ma non comporta la fuga, bensì la ricerca per conseguire: è, infatti, il desiderio di qualche cosa da ottenere; e poiché l'oggetto che si addice alla ricerca per ottenere è il bene e non il male, perciò sopra si è detto che tutti i moti appetitivi il cui oggetto è un male, se mirano al conseguimento sono cattivi, come amare o desiderare il male e godere del male.
Ora l'ira comporta, invero, il desiderio di un qualche male, cioè del danno che cerca di infliggere al prossimo, tuttavia non lo desidera sotto l'aspetto di male, ma per l'aspetto di bene che è la giustizia punitiva: infatti per questo l'irato cerca di nuocere a un altro, per vendicare l'ingiustizia che gli è stata fatta.
Ora i moti dell'appetito si giudicano piuttosto in base a ciò che è formale nell'oggetto, che in base a ciò che è materiale nello stesso. Onde si deve dire che l'ira è il perseguire un bene più che il perseguire un male, perché ciò che cerca è materialmente un male, ma formalmente un bene.
Benché, però, ogni perseguimento del male sia cattivo, tuttavia non ogni perseguimento di un bene è buono, ma bisogna considerare se quel bene sia un bene vero e sotto tutti gli aspetti, o se sia un bene apparente e sotto un certo aspetto: infatti il perseguire ciò che è veramente e sotto ogni aspetto buono è buono, come l'amore e il desiderio della sapienza e il godere della stessa, ma il perseguire ciò che è un bene apparente e in certo qual modo, ed è invece male in senso assoluto e secondo la verità della cosa, è cattivo, come è evidente nella gola e nella lussuria, nelle quali è biasimata la brama di un bene apparente e non di un vero bene.
Così, dunque, sul nostro tema bisogna dire che, se l'ira è desiderio di vendetta in quanto è veramente giusta, allora l'ira sarà buona e virtuosa e si chiama ira per zelo; invece se è desiderio di vendetta, la quale è giusta in apparenza e non veramente giusta, allora l'ira è un peccato; e Gregorio la chiama ira per vizio nel Commento morale a Giobbe (V, 45).
Ora, la vendetta così desiderata appare giusta a causa della precedente ingiustizia che la ragione prescrive che sia vendicata; tuttavia non è giusta veramente e in senso assoluto, per il fatto che non è rispettato l'ordine richiesto dalla giustizia: per esempio perché qualcuno cerca una vendetta maggiore di quella dovuta, o perché cerca di vendicarsi di sua autorità, sebbene ciò non gli sia permesso, oppure perché cerca la vendetta per un fine non retto.
E perciò il Filosofo dice nel VII libro dell'Etica nicomachea che l'adirato comincia, invero, con l'ascoltare la ragione, in quanto, cioè, giudica che l'ingiustizia debba essere vendicata, tuttavia l'ascolta non completamente, poiché non fa attenzione a seguire il retto ordine della vendetta che la ragione prescrive; onde Aristotele paragona l'ira a dei servi che si affrettano a eseguire un ordine prima di ascoltarlo per intero, e che, a causa di ciò, sbagliano (1149 a 25-28).

Risposte alle obiezioni
1. Alla prima: le passioni non si definiscono né lodevoli, né biasimevoli, perché di per sé non comportano qualcosa di concorde con la ragione o di contrario alla ragione; tuttavia, nel caso in cui alla passione si aggiunga qualcosa per cui sia in armonia con la ragione, la passione sarà lodevole; nel caso, invece, che si aggiunga a essa qualcosa per cui sia in contrasto con la ragione, la passione sarà biasimevole: e pertanto l'ira è reputata un peccato in quanto non dà ascolto perfettamente alla ragione, come è stato detto. E tuttavia, si dice che l'ira è un peccato non solo in quanto è una passione, cioè un moto dell'appetito sensitivo, ma in quanto denota anche un atto dell'appetito intellettivo, che è la volontà, come è stato detto.
2. Alla seconda: a un uomo zoppo può appartenere qualcosa in quanto è un uomo, e ciò si addice per sé all'uomo, ma accidentalmente allo zoppo; può anche appartenergli qualcosa in quanto è zoppo, cosa che accidentalmente si trova nell'uomo; e similmente alla natura decaduta l'ira si addice in quanto la natura è decaduta: da ciò, infatti, deriva che il moto dell'ira si allontana dall'ordine della ragione.
3. Alla terza: come è stato detto sopra, poiché il vizio opposto alla mansuetudine non ha un nome, perciò il nome della passione, che di per sé è indifferente, viene usato come nome del vizio, e in questo modo diciamo che l'ira è un peccato; ma così non si dirige se non al male.
4. Alla quarta: la risposta è necessariamente simile, poiché in questo senso l'ira denomina un atto di una potenza naturale, secondo cui è una passione che si rapporta indifferentemente al bene e al male.
5. Alla quinta: l'adirato agisce con tristezza, che deriva da un'ingiustizia che gli è stata arrecata; onde da ciò non si può ritenere che l'ira sia involontaria, ma che qualcosa di involontario sia causa dell'ira: infatti uno non si adirerebbe mai se non gli fosse fatta qualche cosa contro la sua volontà.
6. Alla sesta: quella Glossa parla dell'ira disordinata, in quanto è nella sensibilità, precedendo la piena deliberazione dalla ragione. Ora tali moti della sensibilità sono, invero, in nostro potere presi singolarmente, perché possiamo distogliere un moto impegnando il pensiero verso altri oggetti, tuttavia non possiamo impedire che nasca qualche moto disordinato.
7. Alla settima: quella definizione dell'ira è data secondo ciò che è materiale in essa, infatti appartiene all'alterazione fisiologica il ribollire del sangue intorno al cuore; ma tale alterazione fisiologica segue il moto del desiderio, che è nell'ira la dimensione formale, in cui consiste la caratteristica costitutiva di un peccato.
8. All'ottava: talvolta il termine uomo viene inteso come debolezza umana, come nella prima lettera ai Corinzi (III, 3): «Dal momento che c'è ancora tra voi gelosia e contesa, non siete voi, forse, carnali e non vi comportate secondo l'uomo?»; e in questo modo adirarsi disordinatamente si dice che sia dell'uomo, perché appartiene alla debolezza umana.
9. Alla nona: oggetto dell'ira è un male considerato sotto l'aspetto di un qualche bene, e così comporta il rivolgersi a un qualche bene.

ARTICOLO 3

Se l'ira sia un peccato mortale

1. Sembra di sì. Perché su quel passo della lettera agli Efesini (W, 26): «Il sole non tramonti sulla vostra ira» la Glossa dice che Cristo non abita mai nell'anima insieme con l'ira. Ma il solo peccato mortale è quello che Cristo non tollera nell'anima. Dunque l'ira è un peccato mortale.
2. Inoltre, il Signore dice in Matte() (V, 21): «Voi avete udito che fu detto agli antichi: "Non uccidere; chi ucciderà sarà imputato in giudizio". Ma io vi dico: chiunque si adira con il proprio fratello sarà imputato in giudizio». Da ciò emerge che all'ira nella nuova legge è assegnata la stessa pena che era destinata all'omicidio nella antica legge. Ma l'omicidio nell'antica legge era sempre un peccato mortale. Dunque l'ira nella nuova legge è un peccato mortale.
3. Inoltre, tutto quello che merita la dannazione eterna è peccato mortale. Ma l'ira merita la dannazione eterna: infatti la Glossa dice nello stesso luogo che con questi tre, cioè con il giudizio, il sinedrio e la geenna sono designate una a una le diverse dimore nella dannazione eterna secondo la misura del peccato. Dunque l'ira è un peccato mortale.
4. Inoltre, Gregorio dice nel Commento morale a Giobbe (V, 45): «A causa dell'ira la giustizia è abbandonata, la concordia è rotta, lo splendore dello Spirito Santo è allontanato». Ma queste conseguenze non si producono se non per il peccato mortale. Dunque l'ira è un peccato mortale.
5. Inoltre, ogni arbitrario desiderio di ciò che Cristo riservò a sé è peccato mortale. Ma, come dice Agostino ne La città di Dio (XIV, 15): «L'ira è brama disordinata di vendicarsi»; ora, Cristo, riservò a sé la vendetta, secondo quel passo del Deuteronomio (XXXII, 35): «A me spetta dare la punizione e io darò a ciascuno ciò che gli spetta», e secondo un altro testo dove noi abbiamo: «Mio è il castigo». Dunque l'ira è un peccato mortale.
6. Inoltre, ciò che provoca l'aumento dei delitti sembra essere un delitto, cioè un peccato mortale. Ma l'ira provoca l'aumento dei delitti, come dice la Glossa su quel versetto dei Proverbi (XXIX, 22): «L'uomo iracondo provoca le risse». Dunque l'ira è peccato mortale.
7. Inoltre, niente corrompe l'intelletto se non un peccato superiore, poiché anche le più elevate delle cose sensibili corrompono il senso. Ma l'ira corrompe l'intelletto: infatti, dice Gregorio nel Commento morale a Giobbe (V, 45) che l'ira acceca l'occhio della ragione. Dunque l'ira è un peccato superiore, di tipo tale che è un peccato mortale.
8. Inoltre, quello che è contro la ragione sembra essere un peccato mortale. Ma l'ira disordinata è contro il giudizio della ragione, come emerge dalle cose dette sopra. Dunque l'ira è un peccato mortale.
9. Inoltre, ciò che è contro la natura dell'uomo è un peccato mortale. Ma l'ira è tale: l'uomo, infatti, è un animale mansueto per natura, la collera, invece, si oppone alla mansuetudine. Dunque l'ira è un peccato mortale.
10. Inoltre, qualsiasi cosa che è contraria a un atto di carità è peccato mortale. Ma l'ira si oppone all'atto di carità che vuole il bene per il prossimo; l'ira, al contrario, vuole un danno per il prossimo. Dunque l'ira è peccato mortale.
11. Inoltre, un peccato si dice mortale dal fatto che uccide spiritualmente. Ebbene in Giobbe (V, 2) si dice: «L'ira uccide l'uomo stolto». Dunque l'ira è un peccato mortale.

Ma in contrario
A. Su quel versetto del Salmo (IV, S): «Adiratevi e non peccate» la Glossa dice: «È veniale l'ira che non è condotta fino alla sua realizzazione». Ma gli atti che sono per il loro genere peccati mortali, anche prima che siano condotti a realizzazione, non sono mai peccati veniali in base al solo consenso. Dunque l'ira per sua natura non è un peccato mortale.
B. Inoltre, il peccato dell'azione non è minore del peccato del cuore. Ora l'azione dell'ira non sempre è peccato mortale: come quando qualcuno arreca al prossimo per l'ira alcuni danni leggeri, o spingendolo leggermente, o rimproverandolo, o facendo qualcosa di simile. Dunque neanche l'ira, per il suo genere, è un peccato mortale.
C. Inoltre, Agostino dice ne La città di Dio (IX, 5) che nella morale cristiana non si considera se uno si adira, ma piuttosto, perché un animo pio si adira. Ma nessun peccato mortale può essere insieme con la pietà. Dunque l'ira non è un peccato mortale.
D. Inoltre, c'è una certa ira che è virtuosa, come sopra si è giudicato, e una certa ira che è peccato mortale, dunque c'è anche una certa ira intermedia che è un peccato veniale.
E. Inoltre, nessun peccato mortale può essere con lo Spirito Santo. Ora l'ira può essere con lo Spirito Santo: si le:4:e, infatti, nel libro dei Re (II, 2,15) che lo spirito di Elia si posò su Eliseo, e tuttavia questi subito dopo maledisse dei ragazzi e «usciti due orsi dal bosco sbranarono di essi quarantadue ragazzi»; cosa che sembra appartenere massimamente all'ira. Dunque l'ira non è un peccato mortale.
F. Inoltre, nella nuova legge non è permesso nessun peccato mortale. Ma l'ira è permessa, come emerge dalla Glossa su quel passo della lettera agli Efesini (IV, 26): «Adiratevi e non peccate». Dunque l'ira non è un peccato mortale.
G. Inoltre, secondo il Filosofo nel VII libro dell'Etica nicomachea la concupiscenza è più turpe dell'ira (1149 b 23-25). Ma la concupiscenza non sempre è un peccato mortale. Dunque neanche l'ira lo è.
H. Inoltre, il peccato mortale non è un qualche moto dell'appetito che precede la completa deliberazione della ragione. Ora l'ira precede sempre la completa deliberazione della ragione, perché, come si dice nel VII libro dell'Etica nicomachea, non ascolta mai perfettamente la ragione (1149 a 25-26). Dunque l'ira non è un peccato mortale.

Risposta
Poiché gli atti morali acquisiscono la loro specie dai loro oggetti, devono essere valutati secondo i loro oggetti, se per il loro genere siano buoni o cattivi; e se cattivi, se siano peccati mortali o veniali.
Ora, si è detto che l'oggetto dell'ira, in quanto è un peccato, è una vendetta ingiusta, che non è niente altro che un danno inferto al prossimo contro ciò che gli è dovuto per giustizia; ma ciò per sua natura comporta un peccato mortale. Poiché, infatti, ciò che è dovuto per giustizia rientra nel precetto, qualsiasi cosa che è contro ciò che è richiesto dalla giustizia si Appone al precetto, per cui è peccato mortale. Onde l'ira originata dal vizio per sua natura è un peccato mortale, poiché non è niente altro che la volontà di nuocere al prossimo ingiustamente per qualche offesa precedente.
Ma, come si è detto a proposito di altri peccati, capita che un peccato è mortale per il suo genere e che tuttavia è veniale per l'imperfezione dell'atto.
Si è detto sopra che l'atto dell'uomo può essere imperfetto in due modi: in un modo dal lato dell'agente, e così l'atto imperfetto dell'uomo è quello che appartiene alla sola sensibilità precedendo il giudizio della ragione, la quale è il principio peculiare dell'agire nell'uomo. E, in base a questa imperfezione, il mo- to della sensibilità verso qualunque peccato mortale, anche verso un adulterio o verso un omicidio da commettere, è un peccato veniale.
In un altro modo l'atto si dice imperfetto dal lato dell'oggetto che per la sua piccolezza è stimato come nulla: infatti la ragione intende ciò che è da poco come un nulla, come dice il Filosofo nel II libro della Retorica (1378 b 12-13). E, in base a questo criterio, benché prendere una cosa altrui sia peccato mortale per il suo genere, tuttavia prendere qualcosa da poco, che è quasi di nessun valore o importanza, non è peccato mor- tale: per esempio se uno prendesse un solo piccolo grappolo dalla vigna di qualcuno.
Ora nell'uno e nell'altro modo accade che, nel genere del. peccato dell'ira, si trovi qualche peccato veniale: in un modo, ad esempio, un improvviso moto di ira, a cui la ragione non acconsente, è peccato veniale; nell'altro modo a causa della piccolezza del danno, per esempio se qualcuno si adira con qualche fanciullo volendo tirargli leggermente i capelli o l'orecchio, oppure fare qualcos'altro di lieve nella propria vendetta.
Ma quando uno cerca di vendicarsi senza rispettare la giustizia, infliggendo un grave nocumento con il consenso della ragione che ha deliberato, tale ira è sempre un peccato mortale.
E poiché una certa ira è peccato mortale e una certa ira è peccato veniale, bisogna rispondere alle une e alle altre obiezioni.

Risposte alle obiezioni
1. Alla prima: quella Glossa parla dell'ira che viene dal vizio, quando il moto della collera è perfetto sia dalla parte di chi agisce sia dalla parte dell'oggetto: in tal modo, infatti, è sempre peccato mortale, come è stato detto.
2-4. Alla seconda, alla terza e alla quarta si deve rispondere in modo simile.
5. Alla quinta: riguardo alla vendetta Dio si è riservato qualcosa a sé solo. Infatti egli ha affidato ad altri, che sono costituiti nell'ordine di qualche autorità, il compito di infliggere la vendetta contro delitti manifesti; perché dell'uomo che ha un potere si dice nella lettera ai Romani (XIII, 4) che è «il vendicatore di Dio per la collera contro colui che agisce male». Invece riguardo alle colpe nascoste Dio ha riservato a sé solo il giudizio e la punizione, secondo quel versetto della prima lettera ai Corinzi (IV, 5): «Non giudicate prima del tempo». Dio riservò a sé solo di fare giustizia a causa dell'offesa compiuta contro di sé: infatti l'uomo non deve fare giustizia per l'offesa compiuta contro se stesso, ma a causa della colpa commessa contro se stesso, che è offesa a Dio. Quando, dunque, uno cerca la vendetta a causa di se stesso o al di fuori dell'ordine del potere giudiziario, usurpa per sé ciò che è di Dio, e perciò pecca mortalmente, tranne che non sia un atto imperfetto, come è stato detto.
6. Alla sesta: l'incremento dei delitti può verificarsi non solo per l'aggiungersi di delitto a delitto, ma anche per un'occasione, e in questo modo l'ira che è peccato veniale può produrre l'incremento dei delitti.
7. Alla settima: qualcosa può corrompere l'intelligenza o la ragione in due modi: in un modo per sé e direttamente per una certa opposizione, e così solo il peccato mortale corrompe il giudizio della ragione; in un altro modo indirettamente e accidentalmente, in quanto l'uso della ragione è impedito per una certa alterazione fisiologica, e in questo modo anche l'ira che è un peccato veniale può impedire l'uso della ragione, tuttavia non si dice propriamente che acceca se non quando conduce la ragione a consentire al peccato.
8. All'ottava: la ragione dirige tutto in base al fine. Perciò quello che esclude il debito fine si oppone direttamente alla ragione, cosa che non avviene se non per il peccato mortale; se, invece, c'è un disordine riguardo ai mezzi, senza che sia rifiutato il fine, l'atto non è propriamente contro la ragione, ma al di fuori di essa, ed è un peccato veniale.
9. Alla nona: l'ira è contro la natura dell'uomo (che è un animale razionale), in quanto si oppone alla ragione, e ciò riguarda solo l'ira che è peccato mortale.
10. Alla decima: la carità vuole il bene per il prossimo sotto l'aspetto di bene, e perciò propriamente l'odio si oppone alla carità. L'ira, invece, tende al male del prossimo non in quanto male, ma sotto l'aspetto di una giusta punizione, come è stato detto; e perciò dalla parte del suo oggetto, se non è veramente giusto, ma apparentemente, l'ira si oppone alla giustizia; dal la- to della passione, invece, si oppone alla mansuetudine che mantiene il giusto mezzo nella collera.
11. All'undicesima: quell'autorevole citazione è da intendere come riguardante il moto perfetto dell'ira causata dal vizio.

Risposte alle obiezioni in contrario
A. Alla prima: quella Glossa parla dell'ira che è nella sola sensibilità, di cui si dice che è condotta alla sua realizzazione non solo nell'azione esteriore, ma anche per un consenso interiore, il quale davanti a Dio è considerato come un'azione.
B. Alla seconda: quel ragionamento parte dall'ira che è un atto imperfetto dal lato dell'oggetto.
C. Alla terza: l'animo pio si sdegna con un'ira per zelo che è virtuosa, come si è detto sopra.
D. Alla quarta: tra una vendetta giusta e una ingiusta non c'è niente come via di mezzo e perciò neanche tra l'ira virtuosa e l'ira che è un peccato mortale, se non forse l'ira imperfetta che è veniale.
E. Alla quinta: Eliseo non maledisse i ragazzi per un'ira viziosa, quasi per il livore della vendetta, ma per lo zelo della divina giustizia.
F. Alla sesta: l'Apostolo permette un moto di ira imperfetta che risiede nella sola sensibilità.
G. Alla settima: nel caso che ci sia un desiderio perfetto di ciò che, per il suo genere, è un peccato mortale, anche esso è un peccato mortale; tuttavia, nel caso che esso sia imperfetto, è un peccato veniale, come si è detto anche dell'ira.
H. All'ottava: l'ira non ascolta perfettamente la ragione che la dissuade; tuttavia ascolta talvolta perfettamente la ragione che consente con lei.

ARTICOLO 4

Se l'ira sia un peccato più leggero dell'odio e dell'invidia e di altri peccati di tal genere

1. Sembra di no. Giacché, come dice Agostino nel Manuale (c. 12) il male si chiama così perché nuoce; dunque, quanto maggiore danno provoca un qualche peccato, tanto più è grave. Ma l'ira arreca all'uomo un danno maggiore dell'invidia: dice infatti Ugo di San Vittore nel libro Cinque settenarii (c. 2) che «la superbia toglie all'uomo Dio, l'invidia gli toglie il prossimo, l'ira gli toglie se stesso». Dunque l'invidia non è un peccato più grave dell'ira.
2. Inoltre, l'effetto è assimilato alla sua causa. Ora l'ira è effetto dell'invidia, come dice Ugo nello stesso libro. Dunque l'ira non è un peccato meno grave dell'invidia.
3. Di nuovo, sembra che l'ira non sia un peccato meno grave dell'odio, poiché la gravità dei peccati si considera secondo gli effetti. Ora l'effetto dell'odio e dell'ira è il medesimo, cioè infliggere un danno al prossimo, dunque l'odio non è un peccato più grave dell'ira.
4. Sembra anche che l'ira sia un peccato più grave della concupiscenza della carne, perché secondo il Filosofo nel III libro dei Topici (117 b 33-39), se il massimo di questo è superiore al massimo di quello, questo è superiore a quello. Ora il massimo peccato nel genere dell'ira, cioè l'omicidio, supera in gravità qualunque peccato nel genere della concupiscenza della carne. Dunque l'ira è, in senso assoluto, un peccato più grave della concupiscenza della carne.
S. Inoltre, quanto più un qualche peccato è grave, tanto più grande pentimento provoca. Ora il pentimento accompagna più l'ira che la concupiscenza della carne, poiché, come dice il Filosofo nel VII libro dell'Etica nicomachea, colui che si adira pecca con tristezza, mentre colui che cede alla concupiscenza lo fa senza tristezza:Dunque l'ira è un peccato più grave della concupiscenza.
6. Inoltre, in Ezechiele (XVI, 44) si dice: «Come è la madre così anche le figlie». Ora la bestemmia, che è figlia dell'ira secondo Gregorio, è un peccato gravissimo. Dunque l'ira è un peccato più grave di tutti i predetti vizi.
Ma in contrario, Agostino nella Regola (III, 37) paragona l'ira alla pagliuzza, l'odio, invece, alla trave.

Risposta
Bisogna cercare la differenza là dove si trova qualche affinità. Il peccato dell'ira è affine a tre peccati riguardo all'oggetto: infatti l'oggetto dell'ira è, come è stato detto, un qualche male da infliggere sotto l'aspetto di un certo bene.
Dunque, riguardo al male è affine all'odio che cerca il male di qualcuno, e all'invidia che si duole del bene altrui; invece ri- guardo al bene desiderato è affine alla concupiscenza, la quale pure è un tendere disordinato a un bene.
Ma, assolutamente parlando, l'ira è meno grave dei tre predetti vizi.
Infatti l'odio cerca il male del prossimo, inteso e voluto come male e l'invidia si oppone al bene del prossimo, inteso come bene, invece l'ira non cerca il male del prossimo, né impedisce il suo bene se non in quanto intende ciò come un bene, cioè la giusta punizione; e così ciò che fa l'odio e che fa l'invidia, mirando per sé al male o all'impedimento del bene, l'ira lo fa mirando per sé al bene e, invece, accidentalmente al male.
Ora ciò che è per sé è sempre superiore a ciò che è accidentalmente; e perciò l'invidia e l'odio superano in malizia il peccato dell'ira. Similmente, ancora, il peccato di concupiscenza viene dal fatto che mira a un bene che è piacevole secondo il senso, l'ira, invece, tende disordinatamente verso un bene che appare giusto, cioè secondo la ragione; e perciò, essendo il bene della ragione migliore del bene del senso, il moto dell'ira si avvicina alla virtù più del moto della concupiscenza, e per questo motivo, assolutamente parlando, è un peccato meno grave. Onde il Filosofo dice, nel VII libro dell'Etica nicomachea, che l'incontinente nella concupiscenza è più turpe dell'incontinente nell'ira (1149 b 23-25). Ma questo paragone è considerato in base ai generi stessi dei peccati: niente, infatti, impedisce che l'ira sia più grave degli altri peccati, in base ad alcune circostanze che sopraggiungono.

Risposte alle obiezioni
1. Alla prima: l'invidia toglie all'uomo il prossimo per una certa opposizione contro lo stesso; invece l'ira non toglie all'uomo se stesso in questo modo, ma indirettamente, in quanto, a causa dell'alterazione fisiologica dell'ira, è impedito l'uso della ragione, in virtù del quale l'uomo è padrone di se stesso.
2. Alla seconda: l'ira, secondo il Filosofo (Etica nicomachea, VII, 1149 b 20-21), è causata dalla tristezza, e così, essendo l'invidia una certa tristezza, capita che l'ira sia causata dall'invidia; tuttavia non è necessario che l'ira sia uguale all'invidia, poiché non sempre l'effetto uguaglia la sua causa, benché abbia qualche somiglianza con essa.
3. Alla terza: l'ira e l'odio procedono in modi diversi per infliggere un danno al prossimo. E precisamente questa diversità si può considerare secondo parecchi aspetti, come dice il Filosofo nel II libro della Retorica (1381 b 37 ss.).
In primo luogo perché l'ira non mira al danno se non sotto l'aspetto di una giusta punizione, non cerca di nuocere se non a quelli che danneggiarono noi o alcuni che ci interessano, in modo che si verifichi un certo contraccambio; al contrario l'odio può essere contro qualunque estraneo che non, ci fece mai nessun torto, per il fatto che la sua condotta si oppone al nostro sentimento.
In secondo luogo perché l'ira è sempre contro alcune singole persone, giacché è causata da una serie di atti ingiusti, ma gli atti sono dei singoli; l'odio, invece, può essere contro un qualcosa di generale, così come un uomo ha in odio tutto il genere dei briganti.
In terzo luogo perché l'adirato non cerca il danno del prossimo se non fino a quella misura che, secondo ciò che gli sembra, la giustizia punitiva richiede, e, una volta conseguito questo fine, l'ira si placa; al contrario, l'odio non è appagato da qualunque male, perché cerca il male del prossimo in sé.
In quarto luogo perché l'adirato desidera che quello a cui infligge il danno intenda che questo male gli capita a causa dell'ingiustizia commessa; colui che odia, invece, non si prende cura di come, per quanto ingiustamente, il male avvenga. Da questi aspetti è evidente anche che l'odio è un peccato più grave dell'ira.
4. Alla quarta: quel ragionamento si sviluppa come se l'omicidio fosse una specie di ira, mentre non è una specie di questa, ma un effetto. Ora capita che a volte da un male minore consegua un male maggiore.
5. Alla quinta: la concupiscenza richiede più pentimento dell'ira, per il fatto che l'ira ha più una dimensione razionale; mentre la tristezza che si unisce all'ira non riguarda il pentimento, poiché non proviene dall'atto dell'ira, ma dalla causa che provoca l'ira, cioè dall'ingiustizia subita.
6. Alla sesta: poiché il male non causa nulla se non in virtù del bene, nella successione dei peccati si inizia da quello che ha più l'aspetto di bene, e perciò, per lo più, dai peccati minori l'uomo è condotto verso i maggiori; onde non è necessario che l'ira sia di una gravità così grande come la bestemmia.

ARTICOLO 5

Se l'ira sia un vizio capitale

1. Sembra di no. Ciò che ha un capo, infatti, non è capo. Ora l'ira ha un altro capo: è causata, infatti dalla tristezza, come dice anche il Filosofo (Etica, VII, 1149 b 2021). Dunque l'ira non è un vizio capitale.
2. Inoltre, ogni vizio capitale è un peccato specifico. Ma l'ira sembra essere un peccato generale, poiché non si oppone a una sola, ma a più virtù: infatti si oppone sia alla carità, sia alla giustizia, sia alla mansuetudine. Dunque l'ira non è un vizio capitale.
3. Inoltre, agli altri vizi capitali si oppongono alcuni altri vizi, come alla superbia la pusillanimità, all'accidia la vana gioia. Ma all'ira non si oppone un altro vizio. Dunque l'ira non è un vizio capitale.
Ma in contrario, sul passo dei Proverbi (XXIX, 22): «L'uomo iracondo provoca le risse», la Glossa dice: «L'iracondia è la porta di tutti i vizi, chiusa la quale si darà pace interiormente alle virtù; aperta, l'animo sarà armato per ogni misfatto».

Risposta
Come si è detto sopra, vizio capitale è quello da cui gli altri vizi scaturiscono, in quanto esso è causa finale. Ora capita che, per lo più, per il fine dell'ira, cioè per la vendetta da prendersi, si commettono molte azioni fuori dell'ordine etico; precisamente queste azioni fatte disordinatamente sono dei peccati, e perciò l'ira è un vizio capitale.
E Gregorio nel Commento morale a Giobbe (XXXI, 45) fissa le sue sei figlie che sono: le risse, la tracotanza, gli insulti, il clamore, l'indignazione, le bestemmie.
E la ragione di ciò è che l'ira si può considerare in tre modi: in un modo in quanto essa è nel cuore, in un altro modo in quanto è nella bocca, in un terzo modo in quanto essa va avanti fino a un'azione.
Ora, in quanto essa è nel cuore, un solo vizio, precisamente, scaturisce da essa dal lato della sua causa, che è l'ingiustizia subita: infatti il danno subìto non provoca all'ira se non in quanto è considerato sotto l'aspetto di qualcosa di ingiusto, in tal modo, infatti, gli è dovuta la vendetta; ora quanto più una persona è di bassa condizione e sottomessa a un'altra, tanto più è ingiusto che le arrechi un danno, e perciò l'irato, considerando il danno arrecatogli, ingrandisce nel suo animo l'ingiustizia e da ciò procede a vendicarsi della indegnità della persona responsabile di quel danno; e questo è propriamente l'indignazione.
Un altro vizio è causato dall'ira che è nel cuore dal lato di ciò che l'adirato ricerca: infatti questi escogita diverse vie e modi per i quali si possa vendicare, e con tali pensieri il suo animo in qualche modo si gonfia, secondo quel versetto di Giobbe (XV, 2): «Forse che il saggio riempirà il suo ventre di vento infuocato?»; e in tal modo dall'ira nasce la tracotanza.
L'ira prorompe anche nel parlare: sia contro Dio, che permette che l'ingiusta offesa sia arrecata, e così dall'ira è causata la bestemmia; sia contro il prossimo che l'arreca, e così ci sono due gradi di ira, che sono toccati in Matteo (V, 22). Uno si verifica quando qualcuno prorompe in parole disordinate e senza esprimere una specifica ingiuria, come colui che dice al suo fratello «omiciattolo», che è un modo di dire dell'adirato; e così scaturisce il clamore, cioè una disordinata e confusa espressione verbale che indica il moto dell'ira.
L'altro grado dell'ira si verifica quando qualcuno prorompe fino a delle parole ingiuriose, come quando uno dice al suo fratello «stupido», grado a cui appartengono gli insulti.
In quanto, invece, l'ira procede fino all'azione, in tal modo si causano le risse, nelle quali è incluso tutto ciò che ne consegue, come lesioni, omicidi e cose di tal genere.

Risposte alle obiezioni
1. Alla prima: la tristezza da cui nasce l'ira non è solo quella tristezza che è un vizio capitale; onde l'ira non è compresa sotto un qualche vizio capitale.
2. Alla seconda: l'ira è un vizio specifico, tuttavia si oppone a diverse virtù secondo diversi aspetti. Infatti, per quanto riguarda lo stesso disordine morale della passione, si oppone alla mansuetudine; invece, quanto al danno che tende a infliggere, si oppone alla carità; quanto, inoltre, all'aspetto di giusto apparente che considera, si oppone alla vera giustizia; tuttavia si oppone maggiormente alla mansuetudine, la cui peculiarità è di moderare l'ira.
3. Alla terza: anche all'ira si oppone qualche vizio che è un disordinato acquietare l'ira; di ciò il Crisostomo dice, commentando quel versetto di Matteo (V, 22): «Colui che si adira contro il suo fratello», «la sopportazione irrazionale semina i vizi, nutre la negligenza e invita al male non solo i malvagi, ma anche i buoni». Poiché, tuttavia, quel vizio non ha un nome, all'ira non sembra che si opponga un altro vizio.

(I sette peccati capitali, BUR 2009, pp. 57-84)