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    Preadolescenza

    Mario Delpiano

    preadolescenza


    La preadolescenza, come tappa evolutiva dell’individuo, è balzata all’attenzione sociale e si è venuta caratterizzando solo nell’ultima parte del secolo XX, così come il secolo XVIII registra il sorgere dell’idea sociale di adolescenza come età della vita distinta dall’infanzia, nella quale veniva in precedenza inglobata (Aries 1989).
    Parlare di preadolescenza e assumerla come voce di un Dizionario di Pastorale Giovanile significa riconoscere l’importanza di una riflessione sviluppatasi intorno ad essa e accogliere quella specificità che finora le è stata negata. Tale scelta recepisce anzitutto il fenomeno di una crescente attenzione sociale, ecclesiale in particolar modo, verso i soggetti preadolescenti, insieme all’interesse per un approccio multidisciplinare ad essa, e per una diffusa intenzionalità progettuale educativa e pastorale.
    Con il termine « preadolescenza » si intende racchiudere quell’arco evolutivo dell’individuo che si distende tra il tempo della fanciullezza (delimitata in campo psicologico dall’uscita dal periodo di latenza) e l’adolescenza in senso proprio. Un breve ma intenso periodo di sviluppo che va, indicativamente, dagli undici ai quattordici anni d’età.
    In passato soprattutto, in alcuni casi ancora oggi, coloro che si interessavano dell’età evolutiva, gli educatori in particolare, tendevano a considerare la preadolescenza nient’altro che una propaggine del periodo della fanciullezza, quasi un suo protrarsi inerziale, oppure, più facilmente, come l’ingresso tout court nell’adolescenza, costituendosi come sua prima fase.


    1. LA PREADOLESCENZA NELLA RICERCA PSICOLOGICA

    Quasi tutti coloro che si interessano di preadolescenti in ambito educativo appaiono oggi unanimi nel riconoscere come, a fronte di un vasto impegno educativo e pastorale, questa fase evolutiva è stata davvero per troppo tempo dimenticata e raramente fatta oggetto di ricerca dalle scienze umane; tuttavia su di essa ha cominciato già da alcuni decenni a rivolgere l’attenzione, abbastanza sporadica per la verità, la ricerca scientifica in campo psicologico.
    La preadolescenza fu tematizzata in maniera del tutto particolare da Anna Freud (1949) e da H. Deutsch (1944), sulla scia dell’approccio psicanalitico. E proprio dall’ambito di indagine psicanalitica (Congresso dell’Associazione psicanalitica americana, 1964) proviene il richiamo intorno alla grande utilità di studiare specificamente la preadolescenza.

    1.1. Il dibattito interno

    Gli approcci successivi tentano di svincolare l’identificazione delle caratteristiche preadolescenziali dalle determinazioni esclusivamente cronologiche (un’età della vita delimitata solo cronologicamente) o da quelle biologico-maturative (delimitata esclusivamente dalle modificazioni fisico-corporee che introducono alla pubertà), per giungere ad affermarne la piena autonomia sul piano psicologico (P. Blos 1962, 1979). In tal senso Blos afferma che la prepubertà giunge fino alla comparsa delle caratteristiche sessuali secondarie, mentre la preadolescenza è una risposta adattiva ai cambiamenti prepuberali e quindi può estendersi indefinitamente oltre.
    In questo senso l’età cronologica e le vicende della maturazione biologica giocano come « fattori » che risultano determinanti soprattutto per il modo con cui vengono vissuti ed entrano a costruire la storia del soggetto preadolescente (A. Condini, C. Sartor 1986). Blos rimane comunque l’autore che, nella prospettiva psicanalitica, si è occupato più a fondo dello studio della preadolescenza; il suo contributo rimane basilare per una definizione specifica di questa fase.
    In concomitanza con gli approcci psicanalitici e anche successivamente ad essi, cresce l’attenzione della ricerca scientifica attorno alla preadolescenza studiata prima sul versante della ricerca psico-attitudinale e cognitiva (per esempio G. Petter e A. Quadrio nel contesto italiano) e poi sul versante psicosociale (soprattutto a cavallo tra gli anni 1960 e 1970). E proprio nella prospettiva della ricerca psicosociale che l’universo dei preadolescenti viene per la prima volta esplorato in maniera estensiva, anche se il più delle volte assorbito in quello degli adolescenti e dei giovani, situato però sempre all’interno della cultura europea occidentale e delle sue profonde trasformazioni culturali. Risalgono a questo periodo anche le ricerche transnazionali sui modelli e sui valori (G. Lutte, A. Ronco 1969) e quelle sul rapporto con l’autorità, sulla qualità delle relazioni interpersonali e sulla socializzazione dei preadolescenti (M. Cesa -Bianchi e altri 1973, 1974).
    Pochi comunque rimangono gli autori interessati ad approfondire la preadolescenza come fase specifica; le stesse, numericamente scarse, ricerche estensive sono spesso intercalate da periodi di vuoti e silenzi, così come di ampie lacune è segnata la letteratura psicologica intorno a questa età.
    Tutto ciò sta a testimoniare le difficoltà teoriche relative a una definizione psicoevolutiva di preadolescenza e a ritagliarne lo specifico.

    1.2. La preadolescenza: età della vita

    Oggi, mentre è maturata una sensibilità nuova verso questa età della vita, sono più numerosi i tentativi di abbordarla con una strumentazione di categorie interpretative capace di riconoscere e rispettare la peculiarità di quei processi che la caratterizzano in senso specifico e originale.
    Dopo un notevole interesse per la preadolescenza all’inizio degli anni ’70, affievolitosi lungo il decennio, è proprio dagli anni ’80 che l’attenzione in Italia intorno alla preadolescenza registra un nuovo crescendo, anche per il richiamo di un’indagine nazionale che ne ha scandagliato l’universo dei soggetti e ha tentato di definirne globalmente lo specifico con una sensibilità sistemica: si tratta della ricerca psicosociale condotta dal Cospes e pubblicata in un primo rapporto dal titolo significativo: L’età negata (a cura di S. De Pieri, G. Tonolo, M. Delpiano, 1986).
    Essa ha avuto il merito di rilanciare un dibattito quasi sopito intorno a questa fase evolutiva, ed estenderlo anche agli operatori educativi e pastorali, per rispondere al contempo a una loro profonda e diffusa domanda di conoscenza.

    1.3. La preadolescenza oggi

    Prima di presentare le caratteristiche della preadolescenza attuale, secondo quanto ci ha fornito questa ricerca, che rimane un punto obbligato di confronto per ulteriori sviluppi, è indispensabile un richiamo a quelle mutate condizioni socioculturali che segnano e condizionano oggi l’evoluzione dell’individuo e la sua crescita nella società complessa.
    Questi i fenomeni socioculturali che vanno tenuti in considerazione per cogliere i cambiamenti di contesto:
    - anzitutto il cambiamento in atto delle agenzie educative (la crisi di quelle tradizionali e l’affiorare di nuove) e la loro diversificata e spesso concorrenziale incidenza formativa;
    - la crisi dei processi di socializzazione e di inculturazione, accompagnata però anche dal miglioramento del tenore di vita generale e dalla trasformazione anche qualitativa dei metodi, delle tecniche, e dei modelli non solo di « allevamento » ma anche di educazione;
    - il fenomeno della dilatazione dell’adolescenza, non solo verso l’alto ma anche verso il basso, con la progressiva anticipazione del fenomeno pubertario e il riversarsi di modelli adolescenziali sull’età che la precede;
    - la scolarizzazione secondaria inferiore, la cosiddetta Scuola Media dell’obbligo, almeno per quanto riguarda il contesto italiano, ma anche la pressione del mercato del consumo culturale; - l’emergere della cultura informatica tra le giovanissime generazioni e la sovraesposizione dei preadolescenti al video, sia esso massmediologico o interattivo.
    I preadolescenti, inoltre, sono diventati una fascia di destinatari privilegiati delle proposte educativo-pastorali da parte delle comunità ecclesiali, perché questa età è di fatto, oggi, il periodo evolutivo caricato del compito dell’iniziazione al sacramento della Confermazione.
    Tutti questi elementi sembrerebbero rivelare un tentativo della società complessa (in particolare delle istituzioni/individui che di volta in volta hanno a che fare con i preadolescenti) di delimitazione e di costruzione di una immagine sociale di preadolescenza, attraverso la predisposizione, quasi in sordina, di alcuni « riti di passaggio », di « prove da superare », che precedono, accompagnano o sanciscono alcuni « percorsi di iniziazione sociale».
    Tali potrebbero essere interpretati, per esempio, l’imparare a guidare il motorino, l’uso di un linguaggio trasgressivo, l’uscita in gruppo, la riorganizzazione del tempo non colonizzato, il cadere del divieto d’ingresso in alcuni luoghi sociali quali le sale da gioco, lo stadio e la discoteca, l’accesso ad alcune attività libere un tempo controllate rigidamente dagli adulti... Per terminare poi con i riti di uscita/ingresso che accompagnano il passaggio alla scuola secondaria superiore o al postcresima. Tutti questi dispositivi culturali sembrano in qualche modo scandire e rendere socialmente visibile il fenomeno della transizione preadolescenziale; in tal modo contribuiscono alla interiorizzazione di questo passaggio da parte dei soggetti-preadolescenti e all’elaborazione dell’interrogativo sull’identità, sempre ritornante in ogni periodo di rapido cambiamento nelle età della vita: « Chi sono io? Chi non sono più e chi sto diventando davanti agli altri e dinanzi a me stesso? Chi mi do il permesso di essere?».


    2. LA PREADOLESCENZA COME SPECIFICA FASE EVOLUTIVA

    La riflessione sviluppatasi in Italia, anche in riferimento alla ricerca nazionale Cospes (S. De Pieri - G. Tonolo 1986, 1990), ha favorito e in parte avviato la realizzazione del compito di delineare i tratti caratterizzanti la preadolescenza come fase evolutiva specifica nell’attuale contesto socioculturale. Quello che al presente rammarica, è che dagli anni 1990 non si disponga più di ricerche di livello nazionale su questa fascia d’età.
    Al fine di una definizione specifica di preadolescenza in campo psicologico alcune teorie si sono rivelate quanto mai produttive; anzitutto il riferimento alla concezione di J. C. Coleman (1983), da lui applicata alla natura dell’adolescenza: una teoria focale dell’età evolutiva. In tal modo tutta una serie di « fenomeni focali » dal punto di vista del divenire della persona (caratterizzati da una intensificazione sequenziale o anche concomitante e poi da una attenuazione o stabilizzazione progressiva) possono essere assunti come indicatori di sviluppo di una data fase. Così è stata osservata e descritta la preadolescenza dall’indagine Cospes.

    2.1. II «cambio» nella preadolescenza

    Una tra le categorie descrittivo-interpretative più globali è quella del « cambio ». La preadolescenza è da vedersi come un’età segnata da un profondo e rapido cambiamento: inatteso, subito, più che pilotato, con stupore e disagio.
    La preadolescenza costituisce un momento evolutivo con trasformazioni e novità che toccano profondamente il soggetto in crescita. Il cambio riguarda anzitutto il proprio corpo, segnato dall’accrescimento e dallo sviluppo (la pubertà in particolare), e perciò dall’attivazione di nuove funzioni, dalla liberazione di nuove spinte vitali. Insieme al corpo muta profondamente il vissuto intorno al proprio corpo in relazione nello spazio con gli altri corpi: cambia dunque l’equilibrio e l’organizzazione del sistema di personalità del preadolescente.
    La ricerca Cospes ha messo inoltre in evidenza, secondo la teoria focale suaccennata, il cambio degli interessi e delle attività, la trasformazione dei vissuti intorno a se stessi, il rimescolamento dei bisogni e del livello di consapevolezza, la qualità della loro definizione e gestione; al contempo tale ricerca ha segnalato anche il cambio nella riorganizzazione della rete di riferimenti spazio-territoriali e relazionali. Di conseguenza il cambio investe anche i processi identificativi, i contesti vitali di appartenenza, insieme ai modelli comportamentali e comunicativi, i sistemi simbolici e valoriali, religiosità compresa.
    Anche se spesso le riflessioni teoriche hanno voluto porre al centro, come elemento determinante e scatenante, il cambio corporeo e primariamente il fenomeno puberale, sembra importante assumere questi elementi come fattori concorrenti più che determinanti, di quello che è e rimane essenzialmente anzitutto un fatto psicologico. Al cuore di questo cambiamento comunque si colloca certamente il corpo, con la pulsionalità e i bisogni vitali emergenti, vero e proprio tema generatore della preadolescenza.

    2.2. Nuove canalizzazioni della pulsionalità vitale

    La pulsionalità vitale, che sembra esplodere nel corso della preadolescenza, pare orientarsi in due direzioni privilegiate, che non si possono interpretare soltanto come fenomeni di tipo regressivo e difensivo (in questo caso rivelatori di una inadeguatezza del sistema -preadolescente ad autoregolarsi, cf G. Abignente - A. Dinacci 1990), bensì anche come fenomeni di tipo proattivo e creativo: una auto-organizzazione del sistema di personalità in relazione con il sistema ambiente per far fronte a spinte, compiti e sfide del tutto nuovi.
    La prima di queste direzioni indicate dalla ricerca Cospes è quella che si esprime attraverso «il corpo agito » nello spazio fisico, cioè l’attività spazio-motoria, che trova oggi espressione negli interessi verso le attività di movimento e di gestione attiva e intenzionale del corpo, come il gioco, la pratica sportiva, l’uscita di casa, l’attività manipolativa ed esplorativa sull’ambiente inteso anzitutto come spazio fisico, territorio. L’oggetto simbolico per eccellenza di tutto questo è diventato, soprattutto per i maschi, il motorino.
    Questa prima esperienza generatrice costituisce un vero e proprio tentativo di vivere il proprio corpo in azione, misurarlo, verificarne possibilità e limiti, resistenza, abilità e gratificazione; in un certo senso "ridefinirne i confini".
    La seconda direzione verso cui la pulsionalità viene canalizzata è quella di un’intensa ricerca di attività e comunicazione affettivo-relazionale con gli « altri da sé ». Il corpo che cambia e che è vissuto come diverso, viene sperimentato all’interno di uno spazio che non è più solo fisico, ma socio-relazionale e carico di risonanze emotivo-affettive.
    Questo spazio sociale nella preadolescenza viene popolato da nuovi « oggetti di amore » e si offre come potenziale contesto di relazioni « diverso » dal passato infantile. Esso costituisce un « nuovo grembo vitale »: luogo caldo di rifugio, di identificazione e di fusione, di rispecchiamento di sé e di confronto con gli altri; luogo ideale per la gestazione dell’identità personale.
    Su questa traiettoria si raccolgono tutta una serie di indicatori, evidenziati nelle ricerche, che sono veri e propri fenomeni focali di tipo socio-relazionale: tra essi si segnala lo sbocciare della relazione con l’amico e/o l’amica del cuore, i legami intensi e carichi d’intimità con alcuni coetanei, il gruppo dei pari. Questo rappresenta lo spazio simbolico privilegiato per la sperimentazione dei codici affettivi.

    2.3. L’età di una nuova scoperta del mondo

    Il cambio di interessi e di bisogni, di attività e di modelli comportamentali, dentro uno spazio fisico e sociale nuovo, può essere descritto da una seconda categoria interpretativa della preadolescenza: la scoperta, l’esplorazione del mondo.
    La preadolescenza appare anche come una stagione della vita in cui i soggetti in crescita vivono quasi completamente estroflessi sul mondo, quasi si accingano ad attivare una conquista nuova di esso, questa volta in prima persona. Il mondo nella sua territorialità e fisicità, nella sua spazialità e materialità, ma anche nella sua dimensione sociale e relazionale, segnata dai corpi e dagli affetti da incontrare, e da rappresentare in una nuova forma linguistica (segnica e simbolica), è il vasto grande campo dell’avventura e della sperimentazione di sé.
    E se il compito dell’adolescenza, l’elaborazione dell’identità personale, è già anticipato nella preadolescenza, esso lo è nella misura in cui proprio l’identità nella sua dimensione spaziale (io-corpo in relazione con gli altri-corpi nello spazio fisico e simbolico) viene ricercata, affermata, sperimentata.

    2.4. Il pendolarismo tra mondi e figure diversi

    Ogni cambiamento è sempre al contempo, soprattutto per la preadolescenza, l’abbandono altalenante di un mondo, magari con nostalgia, e l’ingresso incerto in un altro; l’esodo da una terra, magari un tempo felice, e l’ingresso in un’altra carica di promesse e di paure.
    La preadolescenza è dunque anche una età « in transizione ».
    Vivere da preadolescenti vuol dire vivere un doppio movimento, non solo spaziale, anche se esso si configura spazialmente, materialmente anzitutto, che è essenzialmente una presa di distanza psicologica, un disinvestimento affettivo, nei confronti di alcune figure (alcuni « altri importanti ») e un avvicinamento, col suo corrispondente reinvestimento affettivo, verso altre figure (i « nuovi altri »), che acquistano sempre più importanza nell’orizzonte di vita. Si è da tempo parlato di desatellizzazione e risatellizzazione.
    Sulla scia tracciata dalle ricerche degli anni 1970 riguardanti la socializzazione e la risposta ai sistemi di acquiescenza, e anche sulla linea delle letture in profondità condotte in prospettiva psicanalitica, la ricerca Cospes riafferma con forza il processo di «controdipendenza » da parte dei preadolescenti verso le figure degli adulti in autorità, anzitutto di quelle genitoriali.
    Molteplici dati rivelano come « già » il preadolescente operi un più o meno manifesto tentativo di presa di distanza, anzitutto e primariamente affettiva, dal mondo e dalle figure autorevoli cui era legato nella fanciullezza. Questa presa di distanza è però indiretta, molto implicita, più spesso anche negata a livello consapevole, e gestita non in termini di conflittualità, né vistosamente o clamorosamente agita come ribellione o rifiuto dallo stato di dipendenza dagli adulti. Essa viene invece agita proprio attraverso quelle due modalità, sopra indicate, illustrative del cambio: essa è controdipendenza spazio-motoria e affettivo-relazionale. Ciò significa che l’allontanamento spaziale realizzato attraverso la conquista di territori e luoghi sottratti all’ombrello protettivo dell’adulto, e al contempo l’inserirsi attivamente in nuovi contesti relazionali entro i quali liberare la pulsionalità carica di valenze erotiche manifeste, sono le due modalità attraverso cui prende forma la controdipendenza nell’età della preadolescenza. Esse segnano dunque l’avvio di un processo emancipatorio di autoliberazione tutto da gestire e dagli esiti sempre incerti.

    2.5. Tra controdipendenza e dipendenze antiche e nuove

    Il processo di controdipendenza è parimenti accompagnato da un ritorno a nuove forme di dipendenza, questa volta però all’interno di contesti identificativi e sociali diversi: siano essi il gruppo o la banda, la dìade amicale, la cultura di massa o l’emergere di nuovi e più affascinanti « padri e maestri », come gli eroi e gli idoli della cultura adolescenziale, quando non lo "schermo" del videogiochi o della playstation. Sembra potersi registrare un reale cambio di modalità di socializzazione nella preadolescenza attuale: il gruppo e le relazioni con i pari, caricati di valenze affettive, identificatorie e narcisistiche, segnalerebbero il prevalere della socializzazione secondaria su quella primaria, e l’attivazione latente della frattura psicologica del preadolescente col suo gruppo primario: il contesto familiare.
    La preadolescenza è così il tempo dell’inclusione in nuovi mondi vitali, abbordati però ancora in maniera pendolare insieme a quelli della fanciullezza, con i tentativi ricorrenti, favoriti spesso dalla possessività o dalla iperprotezione degli adulti, di ritornare ai luoghi e ai sentieri rassicuranti del passato infantile.
    Questo pendolarismo porta con sé anche una situazione estrema di incertezza nell’uso dei modelli comunicativi: in un alternarsi di richieste/rifiuti di una trasmissione verticale o di una orizzontale, di dipendenza acquiescente o di autonomia, di asimmetria o di simmetria (oppositiva e competitiva, conflittuale o no) nella comunicazione.
    La transizione costituisce però anche la disaffezione e l’abbandono silenzioso di una rappresentazione linguistica del mondo della vita, un congedo da codici, da linguaggi, da modelli comportamentali e valoriali di un certo segno (compresi quelli religiosi) scarsamente interiorizzati, e la ricerca faticosa e l’approdo verso altri codici, stili, modelli, segnati dalla «diversità» rispetto a quelli divenuti familiari.
    La presenza nel tempo della preadolescenza di questi doppi codici (questo altalenare tra codici familiari e codici nuovi, tra modelli regressivi e modelli simbolico-emancipatori) accompagna il senso di insicurezza, di disorientamento, di debolezza soprattutto di fronte al mondo adulto.

    2.6. Dalle nuove identificazioni verso l’auto-identificazione

    Il transito, per quanto progressivo e impercettibile, da un mondo vitale all’altro, il passaggio dalle antiche alle nuove dipendenze, anche se solo temporanee, permette di caratterizzare ulteriormente la preadolescenza attuale come transito dalle identificazioni all’identità personale attraverso un processo di auto-identificazione.
    Il preadolescente soffre il logoramento improduttivo del gioco delle identificazioni infantili (cf voce: Identità) e perciò avvia la ricerca dell’identificazione di sé attraverso l’attivazione di un processo, il più possibile contrattato e governato da regole paritarie, di identificazione con i coetanei, l’amico/amica del cuore, con il contesto stesso del gruppo, soprattutto al livello informale.
    Questo processo di identificazione acquista una connotazione nuova, tipica della preadolescenza; il sistema di relazioni resta centrato sull’io del preadolescente e viene gestite fondamentalmente in funzione propriocentrica: per essere rispecchiato, per verificarsi, per sperimentare il nuovo della propria immagine, nucleo della identità personale. La preadolescenza segna dunque già l’avvio di quel lungo percorso di definizione dell’identità personale, anche attraverso l’integrazione delle diverse identità sociali, che sarà uno dei principali compiti evolutivi dell’adolescenza.
    Di fronte alla domanda: « Chi sono io davanti agli altri e a me stesso? » il preadolescente va ancora alla ricerca di una risposta « al di fuori di se stesso »: il processo di autodefinizione si appoggia tutto ancora sulla eterodefinizione. Il preadolescente ha soprattutto bisogno di rispecchiamenti e di conferme della propria validità, consistenza, capacità. Ricerca ad ogni costo una valorizzazione positiva che solo intravede e sente in profondità di doversi accreditare, ma che deve affondare le radici nella valorizzazione e valutazione positiva degli altri: dei pari e delle nuove figure, anche adulte, che riescono a riconquistarsi la fiducia di figure importanti ai suoi occhi.

    2.7. Transizione verso modelli e valori simbolici, spinte alla progettualità

    I nuovi contesti identificativi entro i quali si sperimenta il nuovo - la gestione creativa dei bisogni, la cura degli interessi, i nuovi valori-simbolo quali la cura e l’espressione del corpo, la sessualità come veicolo dell’affettività, la comunicazione vitale, l’affermazione di sé in quanto realtà positiva, il rapporto diverso con la natura e le cose... - favoriscono l’avvio di un nucleo minimo di io ideale, di nuova progettualità, di apertura timida, in prevalenza immaginaria, verso il futuro fin dalla preadolescenza. Ciò caratterizza quella che può essere definita la «modalità esplorativa e autoesplorativa» dell’orientamento vitale del preadolescente. E questo anche se i preadolescenti oggi si rivelano profondamente smarriti e schiacciati sul presente, vissuto come la loro quasi esclusiva esperienza del tempo, proprio perché il presente sembra capace di saturare ancora in gran parte il loro desiderio di vita.
    Questa sopravvalutazione del tempo presente collima con una scarsa percezione della dimensione temporale della propria identità, sia nella direzione del passato che in quella di futuro. Per quanto riguarda il passato: la difficoltà del ricupero e della valorizzazione della storia personale e in ogni caso il difficile radicamento nella memoria culturale; per quanto riguarda l’apertura al tempo futuro: la scarsa disponibilità a orientarsi in un futuro reale che non sia ridotto soltanto a fuga nell’immaginario o a mera riproposizione del presente. Tutto ciò vale in maniera del tutto particolare per la religiosità dei preadolescenti.
    In questo senso la preadolescenza si differenzia dal tempo dell’adolescenza proprio per la non avviata elaborazione della temporalità, in quanto elemento centrale imprescindibile, insieme alla spazialità invece già in via di elaborazione, dell’identità personale.


    3. PREADOLESCENZA E COMPITI DI SVILUPPO

    Al di là delle categorie descrittivo-interpretative della preadolescenza, è utile, soprattutto ai fini pastorali, richiamare i « compiti di sviluppo» propri di questa fase evolutiva.
    I compiti di sviluppo possono essere formulati come problemi evolutivi da affrontare e risolvere attraverso una ristrutturazione della personalità, in quanto sistema che, mentre sviluppa la sua rete relazionale con l’esterno, gradatamente si differenzia al suo interno e si organizza attorno a un «centro » che è il nucleo dell’identità personale.
    Se l’identità personale è l’esito faticoso di una conquista culminante con l’uscita dall’adolescenza, essa è avviata solo se viene trovata una soluzione a determinati compiti di sviluppo, alcuni dei quali si pongono con urgenza proprio nella preadolescenza.
    Qui indichiamo quelli che sembrano oggi i più evidenti, raccogliendoli attorno ad alcune esperienze centrali.

    3.1. Divenire soggetti del proprio cambiamento

    Una prima serie di compiti di sviluppo si raggruppa attorno alla iniziale elaborazione della «soggettività » preadolescenziale, in quanto soggettività corporea.
    La preadolescenza in questo senso segna il risveglio e l’avvio di una rielaborazione della soggettività consapevole di se stessa, attraverso un processo di presa di coscienza di sé che è condizione di ogni ulteriore differenziazione. In questo senso costituisce una tappa del processo di individuazione.
    Essa si esprime e prende forma attorno ad alcune esperienze particolari.
    - Anzitutto l’esperienza del proprio corpo, in particolare del corpo che cambia, con la conseguente esigenza di conoscerlo, accettarlo, valorizzarlo, controllarlo e prendersene cura, fino a identificarlo come « il confine » entro cui si esprime la soggettività in tutta la sua ricchezza e ambiguità.
    Il preadolescente deve ancora superarne la visione di « oggetto estraneo a sé », con la tendenza a trattarlo come tale, per imparare a sentirsi a proprio agio nel corpo « che egli è ». Egli supera così il senso di inadeguatezza e di paura che il corpo gli procura, e giunge ad elaborare una « immagine unificata » di esso, senza espungerne alcune parti e sopravvalutarne altre, ma assumendolo realisticamente e positivamente, pur con il senso del limite che indelebilmente lo accompagna.
    - Un’altra esperienza da elaborare è quella della scoperta, integrazione ed elaborazione dei vissuti emotivi e affettivi che nascono nella relazione con se stesso, con gli altri e con le cose, in modo che essi vengano riconosciuti come « vissuto soggettivo personale », superando quella frattura tra mondo emotivo-affettivo e mondo razionale e cosciente che spesso caratterizza il comportamento preadolescenziale.
    - A ciò si connette una ulteriore esperienza: la presa di coscienza e la presa in carico, senza cedere a deleghe all’adulto, della elaborazione dei propri bisogni all’interno di un minimo di progettualità disegnata dal linguaggio (chiamare le cose per nome). La soggettività preadolescenziale deve poter affermarsi come soggettività dei bisogni personali, soprattutto quelli segnati fortemente dalla corporeità e dalla relazionalità affettiva.
    In questo senso ne sono una modalità tipica di espressione gli interessi nuovi di tipo esplorativo ed espressivo sia di tipo spazio-territoriale che socio-relazionale.

    3.2. Vivere la solidarietà e la differenza con l’altro

    Una seconda serie di compiti di sviluppo si raccorda con l’esperienza allargata di intersoggettività, cioè di nuova qualità della vita sociale, di nuova appartenenza e identificazione, di apertura e scambio con l’altro uguale e diverso da sé.
    - Un primo ventaglio di sfide da elaborare e di compiti da realizzare è connesso all’esperienza di rottura dei legami affettivi e delle dipendenze con le figure genitoriali e con gli adulti in genere, attraverso l’attivazione di un processo di separazione, di differenziazione, che può essere vissuto dal punto di vista educativo come una grande esperienza di liberazione personale. Tutto ciò comporta la consapevolezza della necessità di una «presa di distanza » dal mondo degli adulti significativi, e l’acquisizione della capacità di instaurare con essi una comunicazione segnata dal riconoscimento reciproco e dall’affermazione della soggettività personale.
    Questo viene perciò ad essere il « primo percorso di elaborazione della differenza » con l’altro nel corso della preadolescenza: l’accettazione della differenza generazionale. Quegli « altri differenti », che sono gli adulti, con cui interagire, potranno essere incontrati all’interno di una relazione paritetica, trovando convergenze, alleanze nuove e debite distanze; ma sarà anche fondamentale per il preadolescente aprirsi verso di loro con un movimento che non sia solo di uscita per tornare a sé, ma anche di « esodo fiducioso verso l’altro ».
    - Un’ulteriore serie di esperienze riguarda invece « gli altri alla pari », coi quali il preadolescente deve saper entrare in relazione di confronto, scambio, accettazione, reciprocità, collaborazione su basi nuove. Questi altri potranno essere all’inizio « gli-altri-per-me», coloro che lo confermano, gli offrono rispecchiamento e che lui stesso sceglie come nuovi oggetti d’amore: gli altri in funzione propriocentrica.
    Si tratta della scoperta del profondo legame intersoggettivo che è condizione irrinunciabile anche per l’affermazione della soggettività personale. Questa esperienza deve tuttavia potersi accompagnare, per non allontanare il soggetto dalla realtà, alla presa di coscienza dell’irriducibilità dell’altro a sé, e di sé agli altri; può divenire il percorso germinale dell’educazione alla differenza, vissuta come riconoscimento, accettazione e rapporto con 1’alterità. In questa direzione si staglia il percorso privilegiato nella preadolescenza: la scoperta della differenza di genere e l’elaborazione della propria differenza sessuale.

    3.3. L’elaborazione simbolica dell’esperienza

    Una terza area di compiti evolutivi si pone in relazione con l’elaborazione culturale, cioè l’apertura al simbolico e la sua produzione. La soggettività del preadolescente è anche ingresso in « un mondo linguistico diverso »; essa richiede un riordino della esperienza della realtà perché da caos sia ritessuta in cosmo: più in particolare, una riscrittura del mondo attraverso un linguaggio che non sia soltanto più la ripetizione di parole e gesti meccanicamente appresi, ma la sperimentazione di un proprio mondo linguistico in cui emerge con più nitidezza la distinzione tra realtà e fantasia.
    La parola che crea « il mondo dal proprio punto di vista », che lo racconta e lo riesprime a partire da come il soggetto lo vive, lo immagina e lo sperimenta, nel tempo della preadolescenza va riconquistata e liberata. Allo svaporamento semantico delle parole prive di esperienza diretta del mondo, allo svuotamento dei simboli che non rinviano ad alcunché d’altro, può farsi spazio un movimento di riappropriazione della parola che diventa capace di contenere la traccia delle cose, di racchiudere la densità e lo spessore di realtà, le impronte dell’esperienza personale di vita regalata dall’incontro con il mondo.


    4. SFIDE ALLA PASTORALE

    Ai fini di una prassi pastorale può rivelarsi opportuno il richiamo a quelle che oggi appaiono le sfide che ogni intervento educativo deve poter cogliere ed elaborare in un progetto.

    4.1. La sfida della domanda reale di vita

    Essere preadolescenti vuol dire cominciare a vivere consapevolmente l’amore alla vita e apprendere a chiamarla per nome nelle sue figure storiche, identificandola con i bisogni, gli interessi, le esperienze da vivere nella relazione con gli altri e con il mondo delle cose. In questo cammino i preadolescenti possono adagiarsi e smarrirsi, senza più percepire l’esigenza di dilatare e scavare in profondità l’esperienza di ciò che è la vita, fino a coglierne la sua valenza di mistero. L’incontro con le cose, con gli altri e con il mondo può catturare momentaneamente tutto il loro desiderio, senza che l’esperienza del mondo sia elaborata nella sua verità e senza accedere al « senso grande e misterioso » che la vita racchiude.
    La sfida all’educazione e all’evangelizzazione diviene quella di assumere sul serio la domanda di vita, spesso quasi reificata e materializzata in piccole cose e frammenti di esperienza, senza sminuire l’intenzionalità grande che si porta dentro. Le cose spesso diventano simboli e come tali sono vissuti.
    Essa richiede agli educatori la capacità di farla crescere, di aprirla sempre al di là della elaborazione momentanea e assicurarle profondità; di conservarla aperta verso l’ulteriore, rappresentato dal « dopo e dall’altrove », ma soprattutto dal1’alterità, dal mistero.

    4.2. La sfida della decodifica

    Il preadolescente vive smarrito e disorganizzato, non solo dal punto di vista delle pulsioni e dell’esperienza, ma primariamente in quanto sistema in cambiamento. Ciò si rivela manifestamente nel preadolescente soprattutto nella inadeguatezza della rappresentazione di sé e del cambio, nella insicurezza di una autodefinizione e nella fatica a identificare bisogni e compiti di sviluppo.
    Il preadolescente sfida la progettualità educativo-pastorale sul terreno del sostegno e del rinforzo al processo di decodifica dei messaggi che anzitutto provengono dal cambio e dal suo mondo interiore. E come la richiesta di un « supplemento di coscienza e di interpretazione » al processo di autodefinizione e di autoidentificazione. Questa domanda di decodifica consegnata al di fuori sembra ritrovare il suo luogo ideale di accoglienza nel mondo disponibile, ma educativamente sprovveduto, dei coetanei, cui più spesso è consegnata, mentre necessita invece di un’offerta mirata dalle molteplici agenzie educative, non sempre preparate ad offrire percorsi vitali di elaborazione.
    Si tratta di una richiesta, perlopiù implicita, non di sostituirsi al preadolescente, bensì di sostegno e aiuto nella presa di coscienza e nella presa in carico del mondo nuovo che egli apprende ad abitare.

    4.3. La sfida della comunicazione

    Il cambio affettivo-relazionale verso le « antiche figure » con le quali da fanciullo si identificava, insieme alla disaffezione e alla sempre più debole identificazione con i luoghi istituzionali dell’educazione, da quelle stesse figure gestiti (famiglia, scuola, chiesa...), richiede manifestamente ad ogni comunità educativa una profonda rivisitazione al suo interno di progetti, di contesti e di modelli comunicativi.
    I processi formativi verso i preadolescenti non possono essere gestiti senza una soluzione di continuità con quelli infantili e della fanciullezza.
    Nuovi luoghi vitali di comunicazione devono poter fiorire all’interno delle stesse istituzioni educative, tali che assumano sul serio la sfida della socializzazione secondaria.
    I modelli comunicativi vanno ripensati in modo che risultino più capaci di riconoscere la soggettività e favorire i processi di autonomizzazione dei soggetti, rifuggendo dalla riproposizione di modelli di relazione asimmetrica unidirezionale dominata dall’adulto. Vanno inventati contesti esperienziali capaci di far incontrare il preadolescente con la realtà nel suo spessore e nella sua problematicità, in un tempo in cui il fare esperienza è sempre più relegato a componente formativa secondaria.
    All’interno di questi contesti di comunicazione vitale potranno allora sbocciare « parole nuove »: quelle che veramente fanno trasparire lo sforzo dei preadolescenti nel riappropriarsi della vita con le forme di simboli, riti e narrazioni capaci di dire tutta la novità del loro mondo. Ma dovranno anche poter sbocciare « parole altre », capaci di ospitare frammenti di memoria culturale, che rinviino alla storia passata dell’uomo, alla testimonianza autorevole di quegli altri, gli adulti, accettati come compagni di viaggio e presenze sempre un po’ inquietanti che aprono all’«oltre». 

    (Istituto di Teologia pastorale UPS, Dizionario di PG. Supplemento, Elledici 1992)


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