Il Magnificat,
forse il poema più bello
José Tolentino Mendonça
Ci sono due scrittori cristiani che commentano in modo originale il Magnificat. Vorrei cominciare da qui. Prima, Claudel. Claudel perse la fede durante la sua gioventù. Era, possiamo dire, una fede ereditata, sociologica... La sua scoperta di Dio, la conversione che lo trasformerà completamente, avvengono più tardi, in un giorno in cui entra, quasi per caso, nella cattedrale di Notre-Dame di Parigi, e sente cantare il Magnificat. Claudel racconta ciò che sentì: «In un solo momento, tutto il mio cuore si commosse come mai prima; io credetti dentro di me e con tutte le forze; tutto il mio essere era come rapito verso l'Alto. Ed esisteva in me una convinzione talmente forte, una sicurezza talmente indescrivibile, che fece scomparire tutto quello che restava dei dubbi precedenti».
Presento ora il commento che, quasi en passant, una delle più importanti poetesse di lingua portoghese fa. In un'intervista a un giornale culturale, dichiarò ciò che segue: «Penso, molte volte, che il Magnificat è forse il più bel poema che esiste. È un poema che "annuncia", e non canta soltanto la terra come fa Omero. Fra due mondi, nel crocevia della storia, una donna si alza e pronuncia il poema della salvezza» (Sophia de Mello Breyner Andresen, in Jornal de Letras, 16 febbraio 1982).
Dobbiamo guardare con occhi nuovi questo testo che, molte volte, la routine imprigiona, ma che è, in se stesso, una fonte inesauribile di gioiosa vita spirituale.
Quando accettò il messaggio dell'angelo, Maria tradusse il suo consenso in una formula di eccezionale brevità (non cadde nella nostra tentazione di fare discorsi a proposito di tutto). Disse soltanto: «Ecco la serva del Signore: avvenga per me secondo la tua parola» (Lc 1,38). Attraverso il Magnificat Maria avrà l'opportunità di prolungare il suo sì, dimostrando che conosce bene le sue implicazioni profonde. Nel Magnificat Maria irrompe dal suo silenzio e spiega cosa significa il suo consenso. E lo fa in modo semplice e autentico, prima interpretando la sua stessa esperienza di fede, poi ancorandosi a ciò che la storia della salvezza le insegna circa Dio e circa la missione del popolo di Dio nel mondo.
Sul Magnificat possiamo dire queste due cose. Si tratta della grande sintesi dell'esperienza di Maria. Il Magnificat non è una parentesi: presuppone tutto, ma proprio tutto ciò che Maria ha vissuto. È impossibile conoscerla senza prendere in considerazione con molta calma queste parole, che sono la traduzione dei suoi sentimenti intimi di fronte al suo destino. Se ella adesso canta «Dio, mio salvatore, ha guardato l'umiltà della sua serva. D'ora in poi tutte le generazioni mi chiameranno beata» (vv. 47-48), è perché con coraggio si era già dichiarata «la serva» e «la schiava» del Signore nell'ora dell'Annunciazione (v. 38) ed Elisabetta già l'aveva salutata come «benedetta fra le donne» (v. 42). Il riconoscimento, da parte di Maria, che «grandi cose ha fatto per me l'Onnipotente» (v. 49) avviene in concomitanza con l'affermazione dell'angelo che «nulla è impossibile a Dio» (v. 37). E se è vero che il motivo che suscita il canto è un fatto personale concreto, presto questo si trasforma in un inno di lode all'azione di Dio, che fu ed è in tutte le circostanze della vita di Maria – e della nostra vita – «il Salvatore», «il Santo», «l'Onnipotente», «colui che opera meraviglie», «il Misericordioso». Nel Magnificat Maria canta la sua stessa storia. Ed è per noi una sfida a fare lo stesso. Nessuno vive una vita spirituale feconda finché non è capace di assumere ciò che è nella sua originalità, se non è capace di costruire la relazione con Dio come un dialogo vivo fra un «io» e un «tu». La preghiera di Maria non è fatta di formule. Ella espone la sua vita in ciò che dice.
D'altro canto, nell'articolazione fortissima che il Magnificat istituisce con la tradizione biblica che lo precede, possiamo capire come Maria cerca alimento e luce nella parola di Dio. La sua esperienza di fede non la lancia verso un circuito chiuso e solitario, ma la colloca in un'apertura fra ciò che sta prima e ciò che verrà dopo: ella cerca conferma nel percorso di fede della comunità del popolo di Dio e si sostiene ai grandi modelli dei credenti. Sia l'architettura globale del Magnificat sia le idee che vi sono espresse, e anche le frasi e le parole utilizzate, riflettono passi già detti, già sperimentati nell'Antico Testamento. L'intero Magnificat è un autentico mosaico di espressioni bibliche precedenti. E non si tratta di un plagio, ma è sentire che la nostra storia di fede si alimenta e continua altre storie.
Perciò, quel che più conta non è determinare l'episodio o il passo concreto dell'Antico Testamento che possono essere stati ispirazione del Magnificat, visto che è difficile non trovare, per ogni frase del Magnificat, una corrispondenza. Ciò che spiritualmente è fecondo è avere coscienza del modo in cui Maria, in questo suo cantico, emerge come perfetta rappresentante del popolo credente. Ella testimonia che l'amore di Dio per gli uomini è davvero autentico, che Dio è davvero fedele alla vita degli uomini, che le sue promesse si realizzano. In questo senso, colei che proclama il Magnificat è la vera icona del popolo di Dio in cammino.
La preghiera è assolutamente sua, perché espone fatti concreti della sua storia, ma questa singolarità si inscrive in un'estensione comunitaria. È questo, in verità, che ci si aspetta da ogni preghiera: la capacità, da un lato, di essere formulata, come il Magnificat, alla prima persona del singolare, e, dall'altro, la capacità di unire tale storia concreta all'orizzonte più vasto dei piani di Dio e della missione della comunità dei credenti.
Il cantico del Magnificat ci è trasmesso unicamente dal Vangelo di Luca. Nella prima parte del Vangelo, chiamata «Vangelo dell'infanzia», esistono vari canti: il canto di Zaccaria, padre di Giovanni Battista; il canto di Elisabetta quando accoglie Maria; il canto degli angeli che annunciano la nascita di Gesù; il cantico del vecchio Simeone... Tutti dimostrano che il grande tema del Vangelo di Luca è la salvezza e che l'esperienza della salvezza ci colloca in piedi, ci colma di un entusiasmo irreprimibile e ci fa cantare.
Ebbene, il primo riferimento esplicito alla salvezza, che si incontra nel Vangelo, lo troviamo precisamente nel Magnificat, nella descrizione che Maria fa di Dio come suo salvatore (1,47). E, poiché il Magnificat sorge nel primo capitolo del Vangelo di Luca, si coglie il desiderio evidente di unire l'inizio del Vangelo con l'ultima frase del libro degli Atti (come sappiamo, anche questo scritto da Luca), dove si dice che anche ai pagani è stata annunciata la salvezza di Dio (At 28,23-28). Vogliamo dire che ogni parte del Vangelo, e l'opera globale nel suoinsieme, non faranno altro che mostrare che la salvezza si dilata, si amplia e si diffonde ovunque. Il Magnificat ha in questo senso una funzione programmatica vera e propria. Non è, insomma, soltanto un passo o un frammento del Vangelo di Luca: esso ci permette realmente di ricostruire e toccare il senso della totalità.
Il Magnificat può essere organizzato in tre parti, come un poema che parla non solo di un avvenimento isolato della vita di Maria, ma come uno specchio della sua intera esistenza.
1. Maria canta la sua vocazione personale (Lc 1,46-49)
«L'anima mia magnifica il Signore (v. 46) e il mio spirito esulta in Dio, mio salvatore (v. 47). Perché ha guardato l'umiltà della sua serva. D'ora in poi tutte le generazioni mi chiameranno beata (v. 48). Grandi cose ha fatto per me l'Onnipotente e Santo è il suo nome (v. 49)».
Il Magnificat è un cantico di lode. «Cantate al Signore un canto nuovo» (Sal 96,1), sfida il salmista. Nel libro di Giobbe, si dice che Dio creatore vuole essere celebrato con le «acclamazioni delle stelle del mattino e il plauso di tutti i figli di Dio» (Gb 38,7). Nella prima alleanza con Mosè, questi e i figli d'Israele cantarono al Signore, dopo aver passato il mar Rosso. E Miriam, sorella di Mosè, prese l'iniziativa, e altre donne successivamente uscirono cantando: «Cantate al Signore, perché ha mirabilmente trionfato: cavallo e cavaliere ha gettato nel mare!» (Es 15,21). Il popolo di Dio si scopriva così amato e salvato da Dio e non poteva fare altro che cantare! Davide, il re secondo il cuore di Dio, dice il testo biblico, «danzò con tutte le sue forze» di fronte all'arca del Signore, in un corteo festivo in cui non mancavano le arpe, i liuti, i tamburelli e i cembali. Raccontano gli Atti degli Apostoli che anche Paolo e Sila, sentendo che Dio li libera dalla prigionia, perché possiede per loro un piano di salvezza, intonano inni. E nel libro dell'Apocalisse, in una meditazione sulla vocazione e la missione della Chiesa, i cristiani camminano «su un mare di cristallo», e cantano: «Grandi e mirabili sono le tue opere, Signore Dio onnipotente; giuste e vere le tue vie, Re delle genti!» (Ap 15,2-3).
Perché canta Maria? La risposta più bella e più ovvia si trova, forse, in un verso di san Giovanni della Croce: «Tutti gli innamorati cantano!». Maria canta perché è innamorata. È molto importante notare che la preghiera mariana per eccellenza non mette in scena idee, ma fatti. La preghiera di Maria non è impersonale o astratta. Essa sboccia dal nucleo più intenso, impetuoso e impegnato del suo essere. La silenziosa e obbediente «schiava del Signore» irrompe in grida di giubilo. Non lodando se stessa, ma Dio salvatore. Un celebre discorso di un indio del continente americano, nel denunciare l'avidità del possesso e l'egoismo degli «uomini bianchi», afferma che «l'uomo bianco rende Dio più povero». Il cantico e l'atteggiamento di Maria sono esattamente il contrario. Ella magnifica, cioè rende Dio grande, con tutte le energie che trova in se stessa e a partire da se stessa.
Maria riconosce la sua piccolezza di fronte alla grandezza di Dio, e poiché la riconosce può anche rallegrarsi. Collocare la nostra vita nuda, la nostra vita intera e minuta nelle mani di Dio, non ci sminuisce affatto. San Paolo scriverà, in linea con il Magnificat, «infatti quando sono debole, è allora che sono forte» perché la grazia di Dio ci è sufficiente (2Cor 12). A volte ci domandiamo cosa ci manca. Cosa ci manca per sentirci felici? Cosa ci manca perché gli altri ci considerino fortunati? E spesso viviamo in questa inquietudine insaziabile. La Signora del Magnificat ci insegna che non ci manca niente, a nessuno di noi manca niente per lasciarsi incendiare e trasformare dalla grazia di Dio. Dio ci ama senza perché, ci ama perché ci ama. La debolezza che abbiamo in noi non è un ostacolo al suo amore, al contrario di quel che pensiamo. Lasciamo che Dio ami la nostra piccolezza, insignificanza, scarsezza, il nostro niente. Perché solo così ci sarà permesso di aprire realmente le porte del nostro cuore a Dio ed egli potrà dire che la nostra vocazione, qualunque essa sia, è l'Amore.
2. La vocazione all'Amore, di Maria, è confermata dall'agire amoroso di Dio nella storia (Lc 1,50-53)
«Di generazione in generazione la sua misericordia (si estende) per quelli che lo temono (v. 50). Ha spiegato la potenza del suo braccio, ha disperso i superbi nei pensieri del loro cuore (v. 51); ha rovesciato i potenti dai troni, ha innalzato gli umili (v. 52); ha ricolmato di beni gli affamati, ha rimandato i ricchi a mani vuote (v. 53)».
Nella prima parte, Maria ha raccontato che Dio realizza in lei una nuova creazione, partendo dal suo niente. La seconda parte del Magnificat (vv. 50-53) è la prova che questo fatto avviene, quando si medita circa il modo in cui Dio agisce nella storia della salvezza. Dio ha agito così in Maria perché è così che egli agisce sempre. Il Dio creatore, il Signore onnipotente rivela, in tutti i tempi e in modo pieno in Gesù, che il suo potere è amore e misericordia. Maria, figlia del popolo dell'Alleanza, mostra questa caratteristica di Dio sia nella storia concreta d'Israele, sia nella storia della sua vocazione. Così come è successo con lei, Dio ha agito amorosamente anche in favore dei poveri, dei piccoli, degli ultimi, attraverso le generazioni. Gesù stesso lo celebrerà, in forma di cantico: «Ti rendo lode, Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e ai dotti e le hai rivelate ai piccoli» (Mt 11,25). È così in tutti i tempi. Siamo, perciò, chiamati a confidare soprattutto nella bontà della misericordia di Dio. Come diceva il teologo Dietrich Bonhoeffer: «Dio non realizza tutti i nostri desideri, ma è fedele e compie tutte le sue promesse». Maria è modello perché ha creduto, con una fede indistruttibile, nel potere e nell'attualità della misericordia di Dio.
Siamo così arrivati ai versetti 51-53. Maria, concretizzando l'azione della misericordia di Dio, dice: «Ha spiegato la potenza del suo braccio, ha disperso i superbi nei pensieri del loro cuore; ha rovesciato i potenti dai troni, ha innalzato gli umili; ha ricolmato di beni gli affamati, ha rimandato i ricchi a mani vuote». La salvezza che Dio viene ad assicurare a tutti gli uomini non si astrae dalle situazioni concrete dell'esistenza: poiché esistono un peccato individuale e un peccato sociale (che ha a che vedere con le strutture sociali di peccato), anche la conversione è individuale e, allo stesso tempo, comporta implicazioni e responsabilità per la trasformazione del mondo, secondo la Giustizia e l'Amore. Come in seguito dirà la Prima lettera di san Giovanni: «Se uno dice: "Io amo Dio" e odia suo fratello, è un bugiardo. Chi infatti non ama il proprio fratello che vede, non può amare Dio che non vede» (1Gv 4,20). Il cristianesimo introduce nella storia una tensione d'amore, di giustizia e di verità. Tutti sono collocati di fronte al potere di Dio, Egli è il Signore.
Tutti dipendono da lui. E se il Magnificat canta la trasformazione che Dio può operare lo fa per affermare che tutti siamo nelle sue mani. Nella Lettera sul nuovo millennio, Giovanni Paolo II sfidava la Chiesa del nostro tempo, la Chiesa che noi siamo, a riscoprire «la fantasia della carità». Ciò vuol dire: predisporre energie, creatività, sapienza, entusiasmo nella ricerca di soluzioni che esprimano l'alternativa d'amore che il Magnificat profeticamente indica.
3. Maria inserisce la vocazione ricevuta nella missione del popolo di Dio (Lc 54-55)
«Ha soccorso Israele, suo servo, ricordandosi della sua misericordia (v. 54), come aveva detto ai nostri padri, per Abramo e la sua discendenza, per sempre (v. 55)».
In questi due versetti conclusivi del Magnificat, Maria contempla la storia del popolo di Dio che è cominciata con la vocazione di Abramo, a cui Dio aveva promesso: «Farò di te una grande nazione e ti benedirò, renderò grande il tuo nome e possa tu essere una benedizione. In te si diranno benedette tutte le famiglie della terra» (Gen 12,2-3). Nessun uomo è un'isola, ci dice il Magnificat. La vocazione di ogni donna e di ogni uomo si legano alla memoria e all'attualità della missione del popolo di Dio. Tutti noi ereditiamo e trasmettiamo vita. Maria ci aiuta a vedere come in ognuno confluiscono tutte le promesse di Dio, tutti i sogni, tutte le misericordie. Dio ha creato l'essere umano per poter creare te. Dio ha benedetto l'intera creazione affinché tu, a ogni alba e a ogni tramonto, ti sentissi benedetto. Dio ha ascoltato i lamenti e le lacrime del suo popolo in Egitto, per poter ascoltare oggi la tua afflizione e il tuo grido. Dio ha ispirato i profeti affinché oggi non ti manchino le parole di consolazione e di speranza di cui hai bisogno. Dio ha fatto nascere uomo suo Figlio, affinché tu oggi potessi nascere più vicino a Dio.
E, allo stesso tempo, Maria si colloca sulla soglia del tempo nuovo, come aurora di un'inedita e vastissima speranza che ella trasmette. È l'icona della Chiesa in cammino, che protegge e intercede a favore della Chiesa. Anche da qui sboccia una sfida fondamentale per noi. Quella di vivere dando la vita. Quella di sconfiggere l'individualismo culturalmente dominante, concependo la nostra vita come servizio e dedizione ai fratelli. Noi perdiamo soltanto ciò che non diamo.
(Fonte: Il tesoro nascosto. Per un'arte della ricerca interiore, Paoline 2011, pp.118-129)