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    L'esperienza di chi ha provato



    (NPG 1971-06/07-81)

    Un quartiere dell'estrema periferia di Torino. Caseggiati enormi, tutti eguali: disegnati per inscatolare famiglie di operai che dal Sud vengono a Torino, nel miraggio del lavoro e di una facile ricchezza. 15.000 persone, in un raggio ristrettissimo.
    Al centro, soffocata dalle case incombenti, la chiesa «che si costruisce a poco a poco con i soldi e la collaborazione degli abitanti del quartiere» (come avverte un grosso cartello, sulla strada).
    Il parroco è un sacerdote che a Torino molti conoscono, perché da anni promuove un tipo di pastorale dei preadolescenti assai interessante. Don Paolo Gariglio divide il piccolo appartamento, l'entusiasmo e i progetti con il suo «vice», don Gianni Sacchetti.
    Siamo andati a trovarli.
    Ci interessava confrontare le proposte di questa monografia con chi ha provato. L'intervista riporta l'esperienza di don Paolo: 15 anni di pastorale dei preadolescenti, secondo una «certa» direzione.
    La linea e le scelte ci sembrano un interessante punto di appoggio.

    L'ESPERIENZA

    D. La stampa ha già parlato dell'esperienza che da anni lei conduce: è comparso anche un suo servizio su Note di Pastorale Giovanile (1967 /4).
    Però, forse, è opportuno richiamare le scelte più caratteristiche. Ci aiuta ad entrare nel vivo del discorso che in questo momento ci sta maggiormente a cuore.
    Ci vuole riassumere le tappe più significative della sua «pastorale dei preadolescenti»?

    R. È presto detto. Nella pastorale dei preadolescenti, l'interesse della nostra comunità parrocchiale è centrato soprattutto (direi quasi unicamente) sui ragazzi di terza media. Ci è parsa l'età chiave: prima sono troppo piccoli (e i sacerdoti disponibili troppo pochi: bisogna scegliere); dopo... è troppo tardi!
    Per realizzare questa pastorale, il contatto con i ragazzi è affidato ad un gruppo di giovani (giovanotti e signorine) dai 16 ai 18 anni. Essi, con il sacerdote alle spalle, praticamente conducono avanti tutto. Queste sono le due scelte più qualificanti.
    All'interno di esse, tutto l'iter degli interventi pastorali.

    Il campo in montagna

    Dopo un certo avvicinamento preparatorio (inviti a gare sportive, films, ecc...) ed una accurata azione psicologica presso le famglie, i ragazzi vengono invitati a trascorrere 10-15 giorni presso la Casa Alpina, presentando loro l'iniziativa per quella che è, senza cioè mimetizzarne l'intendimento schiettamente formativo. In genere l'invito è bene accolto, tanto che alla fine si pone sempre il problema di non accettare più nessuno. I ragazzi partono con quei giovani educatori e con il sacerdote. Quest'ultimo, dopo aver debitamente presentato i componenti dell'équipe che ha preparato, lascia loro praticamente la direzione completa del campo.
    Le attività formative si concentrano su conferenze e conversazioni tenute dagli stessi giovani sulla tematica religioso-morale fondamentale, seguite da periodi di riflessione individuale o a gruppi, da meditazione personale guidata sul filo dei sei questionari vertenti sui punti chiave degli argomenti trattati nelle conferenze, e inoltre da incontri a tu per tu dei ragazzi con le loro guide, o col Sacerdote. Il tutto viene svolto all'aperto, e in tono amichevole, perché le belle cose che diciamo loro vengano accolte e passino nella loro memoria come un bel ricordo.
    A tre giorni dalla fine prospettiamo un questionario così concepito: «C'è qui qualcuno che ti ispira particolare fiducia e che desidereresti per amico? Avresti desiderio di porgli qualche domanda?». Questionario molto importante dal punto di vista della psicologia religiosa: si nota infatti sempre una spontanea eccezionale tendenza nei ragazzi a voler parlare, chi con questo, chi con quel ragazzo guida.
    È appunto su questi colloqui, su questi incontri che i dirigenti, particolarmente preparati a questo compito, elargiscono ai ragazzi la sintesi delle loro convinzioni alla luce della loro personale esperienza di giovani, e pongono fortemente l'accento sull'esigenza di aprirsi al Sacerdote, anzi, di intavolare con lui un colloquio abituale (direzione spirituale), che solo li salverà dalla difficile situazione.
    Le parole schiette, semplici, amichevoli, dette da uno che ha pressappoco la stessa età, fanno sull'animo suggestionabile ed emotivo del ragazzo più effetto di quanto non farebbero quelle di un consumato educatore, soprattutto perché il ragazzo si aspetta di sentir dire qualunque cosa da un coetaneo, tranne che un invito a vivere bene, ad amare il Signore, a confidarsi al Sacerdote.

    L'attività in Parrocchia

    Rientrati in Parrocchia, inizia la seconda fase: i cenacoli settimanali, tipo di incontri in cui ciascuno dei giovani guida del campo riflette, discute, lavora con quel particolare gruppo di ragazzi che al campeggio si era rivolto a lui. Segue una lunga visita in Chiesa in cui tutti hanno la possibilità di accostarsi al Sacerdote con cui sono in stretto legame di direzione spirituale. Di settimana in settimana si svolge così un'azione poderosa, forte, profonda perché personale. Il Sacerdote avrà cura nel corso di questo lungo iter formativo di non puntare solamente sul fatto, del resto essenziale, che il ragazzo viva bene, ma cercherà di inculcargli una larga messe di idee, di convinzioni oggettive che sappiano, scomparso lui, renderlo ancora capace di essere un bravo cristiano.

    Gli esercizi spirituali

    Nelle vacanze di Natale questi nostri preadolescenti sono efficacemente invitati agli esercizi spirituali. Tre giorni in contatto con Dio, in uno dei tanti luoghi reperibili nella nostra Diocesi. Quivi si potrà usare la formula degli incontri estivi, facendo cioè svolgere alcune conferenze sui novissimi dagli stessi giovani del campeggio. Questi tra l'altro avranno l'opportunità di ridimensionarsi alquanto allo sguardo dei ragazzi, per evitare il pericolo che questi ultimi, certo sopravalutandoli, li pongano troppo in alto e non sappiano poi comprendere e scusare certe loro naturali debolezze...

    LA SCELTA DEI «GIOVANI» COME ANIMATORI

    D. Certamente lei non ha scelto di mettere a contatto dei ragazzi della sua Parrocchia un gruppo di giovani di poco più anziani, solo per motivi pratici... È stata una scelta motivata e precisa.
    Quali elementi hanno pesato nel fare questa opzione?

    R. Il ragazzo, a differenza del giovane, sente fortemente il desiderio che qualcuno lo aiuti, ma tuttavia per parecchi motivi, di introversione, di rispetto umano e persino di timore, non osa aprirsi e soffre doppiamente. Dovrebbero capire questo stato d'animo i genitori, ma questi per lo più si rivelano incapaci; potrebbe fare il sacerdote, ma per tutta una Parrocchia dovrebbe avere cento occhi per guardare, cento mani per benedire e assolvere... e forse non basterebbero.
    Vista questa difficoltà di trovare una persona adatta fra quante sono naturalmente delegate a questo compito, non potrebbe essere la cosa migliore che questa opera fosse svolta proprio da un giovane?
    Immaginiamo un giovane di 16-17 anni, quindi ancora quasi loro coetaneo, che dia un sicuro affidamento, abbia quindi doti morali, religiose, intellettuali, umane. Immaginiamo poi che questo giovane, dietro la guida e il consiglio del Sacerdote, abbia la possibilità di vivere gomito a gomito, per un certo periodo e in un ambiente favorevole, con uno di questi adolescenti in piena crisi. Ci sono mille motivi per credere, e l'esperienza ce lo conferma, che, se i due si affiateranno, da quella amicizia non potrà che scaturire un gran bene. Il preadolescente vedrà in quel giovane uno che pur avendo tutte le sue stesse difficoltà, le sta superando brillantemente: comincerà a nascere in lui il desiderio di sapere, di conoscere come ha fatto per diventare così, e se anche egli può fare lo stesso. Basta che fra i due nasca un po' di confidenza, e queste ed altre domande vengono fatalmente, e portano sempre con sé tanto bene.
    Noi giochiamo molto sulla confidenza: è uno dei punti chiave.

    D. Lei ha una notevole esperienza, ormai: sono 15 anni che porta avanti questa impostazione pastorale.
    Ha toccato con mano particolari vantaggi nella maturazione umana e cristiana dei giovani responsabili dei preadolescenti?

    R. Se ho trovato motivi di maturazione per questi giovani?
    Moltissimi!
    Ne potrei fare un lungo elenco. E sono tutti dati concreti, di esperienze vissute.
    Accenno soltanto a qualcuno.
    Ogni anno, dal gruppo dei giovani responsabili, esce almeno una vocazione sacerdotale o religiosa. Anche quest'anno.
    Il mio «vice» è uno di questi ragazzi.
    Mi pare che queste vocazioni nascano per il fatto che i giovani hanno lavorato, hanno preso il gusto dell'apostolato. Ce n'è tanto bisogno, oggi. Si dicono tante cose sul prete. Il giovane è disamorato: non vede più nel sacerdote l'ideale per cui impegnare la vita. Lavorando per gli altri, per i ragazzi, egli ritrova invece il contatto con la verità e il significato della sua missione.
    In genere poi, il contatto con i ragazzi obbliga ad un impegno di formazione continua. Il giovane, ai ragazzi, racconta la sua storia: non può inventare. La sua storia deve essere quella «vera», quella che vive. Se deve essere una storia «bella», bisogna impegnarsi per viverla così... Se ci sono dei difetti, se la storia che racconta non è ancora perfetta: bisogna migliorarla.
    Tutto questo pone, nel progetto di vita di questo giovane che sta mutando, un ideale preciso e concreto. Nella sua vita si fa una svolta.

    D. Le pare che si tratti di un fuoco di paglia... o è qualcosa che dura?
    L'impegno di maturazione così acceso nel periodo del «servizio attivo», rimane anche successivamente, dopo la vita militare, nel fidanzamento e nel matrimonio?...

    R. Posso dire decisamente di sì. Questi giovani sono ancora in collegamento, tra di loro e con me. Passo il sabato pomeriggio... ad incontrarli. Hanno voluto fondare un giornale che li tenga informati reciprocamente. E molti di essi, i «primi», hanno già 25, 30 anni, quindi sono nel pieno della loro vita.

    LINEE PER LA FORMAZIONE

    D. In base a quali criteri sceglie questi giovani cui affiderà la pastorale dei preadolescenti? Secondo quali linee cura la loro formazione?

    R. E chiaro che non tutti i giovani sono adatti e capaci di questo impegno. Una volta scelti, individuati, c'è ancora tutto da fare: vanno trasformati, resi «pronti» alla loro missione. L'impegno e la responsabilità è grande. Presento la nostra esperienza.
    Io cerco di individuare, tra i ragazzi più grandi del campo, tra quelli più impegnati dell'oratorio, coloro che mi sembrano più adatti. E faccio loro l'invito.
    Generalmente una équipe è formata da alcuni «veterani» e alcuni «nuovi»: per il necessario ricambio e per la continuità. Soprattutto perché i nuovi abbiano davanti agli occhi un esempio concreto e riuscito. A questo punto, scatta il processo di formazione. Un vero «noviziato», che dura due anni.
    Il primo obiettivo che si cerca di raggiungere è quello dell'abituale stato di Grazia, e quindi si batte con vigore sulla necessità di una vita sacramentale intensissima, di comunione anche quotidiana. A questo punto fondamentale fanno da necessario contorno gli incontri settimanali o plurisettimanali, fatti tutti insieme, in cui si prega, ci si conosce sempre meglio, ci si istruisce. Questi giovani infatti, che dovranno essere degli educatori, debbono conoscere con precisione i loro compiti, la psicologia del preadolescente, le difficoltà che li attendono; i dubbi di varia natura che saranno chiamati a sciogliere, e così via...
    necessario soprattutto che siano messi al corrente con la dovuta delicatezza ma anche con realismo, della situazione in cui versa la stragrande maggioranza dei preadolescenti e dei loro coetanei, onde non abbiano poi a subire, impreparati, la durezza della realtà.
    Importanza ancora maggiore hanno gli incontri personali, di direzione spirituale con il sacerdote, incontri che servono a puntualizzare passo a passo il lavoro compiuto, che servono di incoraggiamento – e di questo c'è sempre tanto bisogno –, che si prestano infine a formulare degli impegni precisi.
    Inevitabilmente, è naturale, il gruppo di partenza si assottiglia, ma su quelli che riescono a trovare la forza necessaria, il sacerdote potrà contare.

    D. Ha accennato ad una preparazione dottrinale, tecnica quasi. Vuole indicarci secondo quali linee la imposta?

    R. Sono soprattutto due i momenti di questa necessaria preparazione dottrinale: una scuola di apologetica, vera e propria, ed una serie di conferenze specializzate.
    Ho scelto l'apologetica, perché mi pare che il giovane chiamato ad essere «guida» degli altri debba fondare con sicurezza la sua fede. La fede è un dono. Ma va ancorata su basi ben sicure. Da lì, da una parte la capacità di rispondere alle varie interrogazioni che i ragazzi gli faranno, perché egli possiede un bagaglio di cognizioni sufficienti. E dall'altra, una sua risposta personale, attraverso una vita cristiana.
    Le conferenze specializzate hanno il compito di fornire al giovane una competenza educativa proporzionata alla sua missione. Le facciamo nell'ambito della parrocchia, per comodità, ma attraverso la collaborazione di esperti, invitati da fuori.
    Si parla di psicologia, di metodologia e soprattutto di Cristo: essi devono, prima di tutto, innamorarsi di lui.

    D. Le pare importante che i giovani dell'équipe si sentano «gruppo» tra di loro? 

    R. Sì, ma fino ad un certo punto. Mi spiego.
    Hanno bisogno di essere gruppo per sostenersi a vicenda; e di presentarsi come gruppo anche ai preadolescenti. Ne ho avvertito l'urgenza soprattutto un anno in cui la mancanza di formazione in un giovane ha portato al fallimento, alla perdita di tutti i ragazzi a lui affidati. Non si può impostare il rapporto con i ragazzi in un «a tu per tu»: deve essere tutto il gruppo dei giovani che «ha a cuore» il gruppo dei ragazzi: anche se l'incontro avviene solo con uno.
    Per questo, nel periodo della formazione, si cura molto il loro affiatamento, la loro coesione.
    Ma nello stesso tempo, non possono chiudersi. Sono un gruppo «per gli altri»!
    Mi preoccupo molto che non diventino una chiesuola... un piccolo ghetto di bravi ragazzi...

    RAPPORTO CON GLI ADULTI

    D. Molte volte ha accennato ad un legame esistente tra la comunità parrocchiale ed il gruppo dei giovani responsabili dei preadolescenti.
    Può precisare meglio di che rapporto si tratta?

    R. Questi giovani sono totalmente inseriti nel consiglio pastorale della comunità parrocchiale. Anzi, sono da esso considerati in «stato di missione». Sono un po' in prima linea rispetto agli altri. Non solo il consiglio conosce a fondo l'impegno e i piani di lavoro dell'équipe, ma appoggia con consigli, suggerimenti. Dà prestigio, in tutto l'ambito della Parrocchia. Nello sviluppo della missione è poi frequentissimo il rapporto con i genitori dei ragazzi. Si tende a studiare con loro le linee di azione: ad interessarli, a coinvolgerli. Non è sempre facile, però!
    I sacerdoti della parrocchia sono poi a contatto continuo, diretto, con questi giovani: siamo un tutt'uno. Stiamo tutti lavorando. Tutti, assieme, alla ricerca delle strade migliori per amare il Cristo e farlo «scoprire» ed amare anche ai preadolescenti e a tutti. 


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