Dove va la scuola italiana?


Il parere dei giovani

(NPG 1973-06/07-32)

Non ci pare possibile parlare della scuola senza consultare coloro che ne sono i diretti protagonisti: i giovani.
Abbiamo incontrato gli alunni delle classi terminali di 6 grossi pensionati, cercando una campionatura, anche se informale, capace di dare una panoramica abbastanza ampia delle situazioni: Cuneo, Bolzano, Sondrio, Ferrara, Firenze, Livorno.
Abbiamo scelto il «pensionato «per due motivi:
• si tratta di ambiente che permette di spaziare, con un solo colpo, sulla situazione scolastica di un'intera città: i ragazzi contattati frequentano quasi tutte le scuole dell'arco educativo italiano;
• essendo gestiti da una congregazione religiosa abbiamo potuto toccare il polso di una faccia giovanile «vicina» alle nostre preoccupazioni pastorali.
A questi giovani, attraverso intervista diretta su un questionario precedentemente inviato e utilizzato con una certa uniformità in ogni ambiente, abbiamo posto la domanda cruciale: come va la scuola italiana?
Trascriviamo le risposte dal magnetofono.
Abbiamo preferito una riproduzione anche informale e disarticolata, per rispettare in pieno la vivezza con cui le risposte sono state offerte. E assente ogni tentativo di interpretazione e soprattutto di valutazione da parte nostra: ci pare importante cogliere prima di tutto il parere diretto dei giovani. Con un briciolo di attenzione pastorale, i problemi scoperti emergono a prima vista.

LA SITUAZIONE: «LA SCUOLA È DIVENTATA UN CIRCO»?

I giovani sono stati drastici: la scuola italiana non funziona. L'insoddisfazione e la condanna è generale, da qualunque atteggiamento politico ci si situi.
– La scuola attuale non è più una cosa seria. Si vuoi dare nuovamente importanza al professore e al preside. Ma ormai la scuola è diventata un circo. E i professori sono guardiani da circo falliti...
– La scuola non dice più niente. Non ha più niente di serio da dire. Va radicalmente cambiata.
– Ci vuole una riforma radicale.
– La scuola diseduca... altro che educare!
– Dopo cinque anni, non vedo l'utilità di questa scuola. Non vedo l'ora di uscirne.

Perché?

I giovani sono coscienti che la valutazione dell'incidenza formativa della scuola passa attraverso l'analisi del rapporto «contenuti e vita» e la riflessione sugli «atteggiamenti» cui la scuola spinge.

I contenuti e la vita

In generale sul problema dei contenuti che la scuola comunica come preparazione alla vita (dimensione formativa della scuola) le risposte sono precise ed unanimi: la scuola non prepara alla vita.
Disparità di vedute appaiono invece a proposito della preparazione tecnica. Ma anche chi giudica con una certa positività, non si esime dall'avanzare perplessità e proposte alternative.
Qualche gruppo scavalca il problema affidando alla scuola unicamente il compito di fornire dei dati: l'educazione alla vita è ridotta ad un fatto strettamente personale.

– Scuola e società sono due mondi estranei.
– Studiamo materie che sono completamente estranee dal contesto generale della vita quotidiana.
– La scuola non può offrire una preparazione completa: è solo l'inizio di una preparazione. Direi che in parte questa preparazione la dà. Dà gli strumenti e le indicazioni per poter incominciare un lavoro personale.
– La scuola italiana ha la pretesa di essere una scuola di formazione culturale globale. Invece non riesce neppure a diventare una scuola di informazione scientifica e tecnica adeguata. II diploma non prepara neppure ad entrare nel mondo del lavoro. Quando si inizia il lavoro, ci si deve specializzare da capo.
– Di cose la scuola ne insegna a bizzeffe. Ma quasi tutte inutili. Non aiuta a ragionare.
– La scuola insegna solo cose teoriche. I problemi concreti del lavoro non vengono insegnati. Quando usciremo da scuola sapremo tante cose... ma sicuramente non sapremo come instaurare un rapporto umano con i nostri. dipendenti e colleghi di lavoro.
– Nella nostra scuola, tutta la preoccupazione è tesa alla formazione di un tecnico. Si dimentica l'uomo. Ho l'impressione di non essere mai considerato come un uomo. Tentano solo di riempirmi la testa di nozioni.
– La nostra scuola è distaccata dalla società. Non vuole ingerenze. Se vogliamo una scuola vera, alternativa, dobbiamo inserirla a fondo nella società.

Gli atteggiamenti 

La valutazione non termina al tipo di cultura che è messa in circolazione nella scuola. Più pesanti si fanno le critiche quando si giunge a riflettere sul modo con cui si realizza l'insegnamento, sulla educazione indiretta che la scuola offre.

– La scuola ha una sua cultura. Devi prenderla e basta. A scatola chiusa. Non c'è mai lo spazio per una valutazione critica, non c'è un'educazione a porsi in atteggiamento critico di fronte ai fatti.
– La scuola non insegna a ragionare. Ci dice: questa è la strada. E basta.
– La scuola è impregnata di nozionismo. E si va a scuola con lo spauracchio del voto. Mi piacerebbe una scuola dove si andasse per imparare e non per i voti. Ma purtroppo le cose sono diverse. Tutto questo ci educa a fare il minimo indispensabile. Se basta il voto... non occorre impegnarsi di più.
– La nostra scuola insegna a superare gli altri, a camminare sulle loro teste. Con il diploma, io sono più importante. Divento diverso. Ma perché?
– La scuola prepara alla competitività, proprio come quella presente nella nostra società. E, di riflesso, a diventare «menefreghisti».
– La scuola educa all'arrivismo e a saper schiacciare gli altri. Nella scuola vale chi è intelligente e chi ne sa di più degli altri. Basta la diseguaglianza tra il più bravo e il meno bravo: non ci si preoccupa affatto di capire il perché, di andare alle radici.
– Se nella scuola porti il discorso sull'uomo vero contro l'arrivismo, contro il nozionismo, contro le differenze di classe... si va a finir male; sei bocciato e amen.

Di chi è la colpa?

La diagnosi sulla situazione scolastica emersa è pesante. I giovani non hanno però terminato qui il loro discorso. Si è cercato di cogliere i «perché», di giungere alle cause.
La riflessione è stata condotta lungo tre direzioni: gli studenti, i professori, l'apparato strutturale.

Gli studenti

Il discorso sugli studenti e sulle loro responsabilità nella attuale crisi della scuola è segnato da molto realismo. A parte la condanna completa degli studenti come «scioperati cronici» e la risoluzione dei problemi della scuola a base di sola buona volontà, espressa da alcuni giovani, nella maggioranza è presente una consapevolezza di responsabilità accompagnata dalla ricerca dei fattori determinanti.

– La scuola va male per colpa degli studenti e non dei professori. La scuola è formata dagli studenti, non dai professori o dai politici. Quando si tratta di fare sciopero, tutti d'accordo. Ma se c'è un'ora di scuola in più o un impegno più serio da assumere, ci si tira indietro. C'è da cambiare la testa di tutti e non la scuola!
– Non vedo l'ora di uscire dalla scuola... Ci vado per il pezzo di carta.
– Tra noi studenti sta crescendo un senso di responsabilità. Ma sono pochi quelli che ne hanno raggiunto una dose sufficiente. Perché? Dipende dal sistema, dal modo di impostare la scuola, dal voto. La scuola educa gente non responsabile.
– Tutto ci educa a non impegnarci, a prendere le cose così come sono. Si accetta logicamente quello che la scuola vuole, al massimo si contesta un po' ma non troppo. Ci si chiede: perché impegnarsi di più? A che scopo? Per guadagnarci cosa? Tutto sommato è più facile fare il minimo indispensabile. L'assenteismo è condizionato da questa mentalità di base.
– Dipende molto anche dalle materie che ci fanno studiare. Noi abbiamo materie inutili, che non servono assolutamente a nulla. Ho cercato di approfondire lo studio delle materie che ritenevo più importanti. Ma poi, per il voto e la promozione, ho dovuto ripiegare anche sulle altre. Si immagini con quale passione...

I professori

La figura del professore è esaminata soprattutto rispetto al modo di rapportarsi con i giovani. È cioè preso in esame il «dialogo» tra studenti e professori.
Appare evidente un fatto: ci sono due nette categorie di professori. Coloro che dialogano e coloro che portano avanti la scuola con i vecchi metodi autoritari. Il tentativo di descrivere con percentuali le due categorie dà indicazioni abbastanza contraddittorie.
Per qualche gruppo di studenti, inoltre, il dialogo non è tutto: nasconde una nuova, anche se velata, mistificazione.

– I professori che hanno voglia di far scuola bene sono il 30/40%.
– Il 40% dei professori hanno voglia di farci imparare qualcosa di serio e sono disponibili ad un rapporto dialogico con noi.
– Professori che cerchino un rapporto personale con gli studenti... non ne ho mai trovati!
– Tra tutti quelli che conosco, ne conto 2 o 3 di veramente disponibili.
– Spesso i professori sono ostacolati nel tentativo di impostare dei rapporti corretti con gli studenti, dal voto e dalla rigidità del sistema scolastico.
– Purtroppo abbiamo moltissimi professori preoccupati solo della loro autorità e per niente di farci maturare verso una vita futura.
– Ci sono professori che si dichiarano disponibili. Ma appena si toccano sul vivo, le cose cambiano. Tutto torna come prima.
– Posso dire onestamente di aver cercato una posizione di intesa con i miei professori. Ma i risultati sono stati tutt'altro che soddisfacenti.
– Molti nostri professori sono dei falliti come educatori: tutti pensano alla fine del mese e cercano un modo di vivere che dia il minor numero di grane possibile. Non hanno una preparazione psicologica alle spalle, per cui stentano a capirci. Questa è la mia impressione: ne conosco solo un paio di professori che mi capiscono.
– Il professore è utilissimo per imparare la materia tecnica. Ma inutile per formarmi alla vita.

Le strutture

Il terzo polo di attenzione cui i giovani si sono rivolti: le strutture. I giudizi sono stati notevolmente pesanti.
– Anche per i professori impegnati, lo spazio è molto ristretto perché non c'è autonomia sufficiente all'interno della scuola.
– Non basta la buona volontà e l'intesa con i professori. C'è di mezzo il programma. Da svolgere bene o male. E così si divide la scuola in due momenti ben distinti: quello utile e quello utilizzato per svolgere il programma.
– Non è possibile una cultura neutra. Quando si è obbligati a vivere nella società, dobbiamo fare scelte politiche. Bisogna quindi politicizzare la scuola. Ma è proprio questo che la struttura non vuole.

IL CLIMA POLITICO NELLA SCUOLA

Ci sono ampie riflessioni tecniche a livello di diagnosi sul clima politico presente oggi nella scuola italiana.
Abbiamo preferito la viva voce dei protagonisti. Emerge una costatazione abbastanza diffusa. Pochi sono coloro che hanno idee chiare in testa. La stragrande maggioranza oscilla tra un tentativo di capire qualcosa di più, grazie alla sensibilizzazione che i gruppi politicizzati offrono e il disimpegno favorito anche dal clima di caos che si respira.
Emerge ancora un secondo fatto preoccupante: i gruppi politicizzati sono abbastanza impenetrabili, la collaborazione è tutt'altro che facile, a meno di un'accettazione acritica delle loro proposte. E questo emargina ulteriormente la grossa fetta degli studenti.
Preferiamo offrire il quadro conservando la descrizione delle singole città: la panoramica non è uniforme ma proprio per questo è significativa a livello di denominatori comuni. Evidentemente i giudizi sono la trascrizione delle affermazioni giovanili: non ci siamo preoccupati di impostarne una verifica.

Bolzano

Esistono gruppi di estrema sinistra e di estrema destra. Pochi hanno con chiarezza in testa il significato delle proprie scelte. Per molti è un'opzione acritica: verso un certo disimpegno, tanto che oggi, nella scuola, si studia molto meno di una volta.
Non sembra che esistano gruppi precisi e strutturati, ma un insieme di giovani che ondeggia da una posizione all'altra, in base alla moda del momento. Soprattutto non esiste un discorso «di centro»: sembra che ci sia spazio solo per gli estremismi, perché la possibilità di un «cambio «ordinato non viene accettata.

Sondrio

L'unica presenza incidente nella scuola è il «movimento studentesco». La sua forza è abbastanza relativa per il notevole disimpegno della stragrande maggioranza degli studenti e per il peso autoritario di molti professori. Pochi studenti hanno operato delle scelte precise. Per molti c'è l'andazzo secondo la corrente o, peggio, la scelta del caos per il disimpegno. Un motivo della crisi di credibilità del movimento studentesco è la sua politicizzazione a livello di partito. Esso propone obiettivi che esulano dai temi strettamente scolastici. Dovrebbe essere preferita una problematica vicina alla scuola, perché la vita dello studente si svolge all'interno di questo contesto preciso. È difficile separare i due momenti... Ma oggi ha decisamente preso il sopravvento una dimensione troppo politica, con nette strumentalizzazioni pratiche.

Firenze

Gli studenti hanno chiaro un fatto: le cose così non possono andare avanti. Si vuole far qualcosa. È difficile dire «che cosa». Ci si muove a tentoni alla ricerca di una soluzione.
Sono pochi coloro che hanno le idee chiare. Tentiamo delle percentuali: il 10% ha idee abbastanza chiare. L'altro 90% si disinteressa quasi totalmente. Del 100/o politicamente attivo, il 99% è di sinistra. Esiste una sparutissima frangia di destra.
Con questa assenza di coscienza politica, le cose non possono che andare come vanno oggi. Le occasioni politiche sono scuse per non andare a lezione. Sta facendosi strada la coscienza in alcuni giovani di un impegno a livello personale, per cambiar qualcosa. L'esperienza ha fatto perdere la fiducia nei gruppi politici. Molti cercano di far qualcosa di serio attraverso un colloquio con i professori e con i compagni. Dei gruppi estremisti non ne vogliono più sapere.

Ferrara

Lo scorso anno c'era del movimento. Poi è scattata la repressione. E ora domina il caos. Esistono gruppi di sinistra e di destra. Ma con ben poche differenziazioni concrete. Oltre tutto, ogni gruppo tenta di imporsi come un «messia», condannando gli altri. E così passano il tempo a scomunicarsi a vicenda, invece di lavorare seriamente.
Non sanno, né quelli di sinistra né quelli di destra, che cosa vogliono. Quindi la massa è amorfa e disimpegnata. Vedendo che gli impegnati non fanno nulla se non della dialettica politica e qualche volta partitica inconcludente, si chiudono maggiormente nel loro disimpegno.

Livorno

Il menefreghismo è dominante. I gruppi impegnati sono pochi e spesso con proposte non chiare.
I motivi sono tanti. Prima di tutto la carenza di ideali tra gli studenti; la troppa politicizzazione ha fatto perdere la presa: non si sa bene per che cosa lottare. Molte scuole poi, da noi, hanno un orario pieno. Dopo 6 o 8 ore di lezione, chi ha voglia di darsi alla politica? Si tratterebbe di pagare di persona, rischiando qualcosa. Ma rischiare è complicato... Un terzo motivo sta nel troppo allargamento di prospettive. Finché il tema della lotta era la scuola, molti sentivano sulla propria pelle i problemi e si davano da fare. Quando i problemi sono slittati su altre problematiche, molti hanno tirato i remi in barca.
Ad ogni modo, coloro che tengono duro, quella sparuta minoranza che ha voglia di fare qualcosa (dal 10 al 20 % ), sono di estrazione marxista.

Cuneo

A Cuneo le uniche forze presenti nella scuola sono i movimenti di estrema sinistra. Ma sono pochi, controllati, non sostenuti dalla massa degli studenti. L'emarginazione di ogni presenza critica ha spinto questi gruppi a discorsi sempre più specialistici e «chiusi». Gli altri studenti se ne stanno ai margini. Approfittano dello sciopero per fare... vacanza.