Scuola e società: rapporti strutturali tra educazione, economia e politica


Paolo Latapi

(NPG 1973-06/07-19)

È difficile pensare di orientare l'educazione verso forme più giuste di coesistenza fra gli uomini se non si precisano, prima di tutto, alla luce di una visione strutturale della società, i rapporti interessanti l'educazione e gli altri processi sociali.
Questo lavoro mira a sottolineare i rapporti di dipendenza tra educazione, economia e politica. Afferma, da una parte, la funzionalità del sistema educativo nei confronti delle strutture di potere e di produzione (cosa che comporta l'impossibilità di realizzare una società giusta unicamente attraverso la trasformazione del sistema educativo) e segnala, dall'altra, i limiti all'interno dei quali l'azione educativa può contribuire alla giustizia.
Le nostre riflessioni hanno come oggetto principalmente – non esclusivamente – i paesi in via di sviluppo. Suppongo sia nota la situazione di «ingiustizia educativa»presente e imperante in questi paesi: scarsità di mezzi educativi, nonostante l'aumento di spese nella programmazione di questo settore; aumento di analfabetismo (in cifre assolute) tra la popolazione adulta; la marginalizzazione di grandi masse di ragazzi e di giovani, privi di ogni forma educativa, specialmente per quanto riguarda il campo professionale; differenze sempre più profonde tra ambiente cittadino e ambiente rurale, tra regioni ricche e regioni povere; in una parola, un sistema educativo insufficiente che privilegia soprattutto le élite. Suppongo ancora che sia noto il fatto che la gratuità dell'educazione pubblica non assicura affatto una distribuzione effettivamente paritaria (possibilità di accesso, di presenza, di resa)- Anzi, rafforza la stratificazione socio-economica esistente.
Lo schema della trattazione è il seguente:
1. Rapporto di dipendenza tra educazione e sistema politico;
2. Rapporto di dipendenza tra educazione e sistema economico;
3. Rapporto di dipendenza tra educazione e valori culturali.

EDUCAZIONE E SISTEMA POLITICO

Quando si analizza l'assenza di equità con cui avvengono le distribuzioni di fondi per l'educazione – soprattutto nei paesi in via di sviluppo – generalmente non si tiene conto che delle cause immediate: penuria di risorse finanziarie, difficoltà di comunicazioni, povertà della popolazione... È difficile trovare indicazioni che si riferiscano invece al fatto che il sistema educativo è il prodotto di decisioni politiche, coscienti e deliberate; non dipende dal caso certamente... un profitto molto elitario, la distribuzione delle risorse senza alcuna preoccupazione di giustizia quando si tratta di facilitare l'educazione nelle diverse regioni o tra diverse classi sociali. Non è il caso che determina tutto ciò, ma un piano di potere che sta alla radice di questa precisa politica educativa. Questo è il modello abitualmente utilizzato per mettere a quadro questo sistema politico: investimenti, conversione, produzione. Gli investimenti comprendono gli appoggi e le richieste che i differenti settori sociali e i gruppi d'interesse presentano agli organismi decisionali. Questi «convertono»appoggi e domande in decisioni politiche; esse sono il «prodotto»del sistema.
Lo schema abituale su cui si modellano le decisioni di politica educativa in un paese in via di sviluppo, è il seguente: il gruppo delle élite, soprattutto il grande capitale (generalmente alleato al capitale straniero) , assicura al potere politico un notevole apporto. Questo apporto è necessario per la stabilità e la legittimazione del sistema politico. Si tratta di un apporto specifico per l'educazione; per esempio, garanzie d'impiego, contributo per il finanziamento educativo, rinuncia a polemiche ideologiche nei confronti dell'educazione...
Anche i settori minoritari offrono al sistema politico un appoggio considerevole: attraverso la cooptazione dei propri leaders e l'alienazione delle masse.
Le domande, generalmente, provengono quasi esclusivamente dai settori elitari. Essi esigono dal sistema politico tutti gli strumenti idonei alla preparazione di una manodopera qualificata quale è richiesta dall'economia e una serie di misure di politica educativa in armonia con la strategia della produzione.
I settori minoritari non avanzano domande relative ai loro interessi di classe – educazione in favore degli operai o degli agricoltori –, eccetto casi di particolare conflittualità.
I processi decisionali della politica educativa avvengono ancora, in molti paesi, nel segreto e nell'anonimato. E così lo stato può facilmente far apparire di prendere decisioni a favore delle maggioranze, mentre invece fa esattamente il contrario, in campo di politica educativa.
In altre parole, le diseguaglianze politiche si creano, a livello politico, attraverso il gioco delle pressioni e degli interessi.
Lo stato democratico occidentale ha, in teoria, una triplice funzione:
a) deve vegliare perché la rappresentanza sia generale, rispettosa cioè di tutti i gruppi sociali;
b) deve esercitare una funzione compensatrice nei confronti dei gruppi più deboli;
c) deve provvedere alla propria sopravvivenza e conservazione.
E, invece, nella pratica politica, lo stato è ben lungi dall'essere neutrale; stabilisce alleanze d'interesse con i gruppi più potenti.
Dalle transizioni con il grande capitale, hanno origine tre tensioni correlative alle tre funzioni sopra ricordate.
Il capitale, proprio perché è gruppo particolare, ostacola una rappresentatività generale, chiedendo per sé un posto di particolare favore; si oppone alla funzione compensativa dello stato nei termini in cui ciò mini i propri particolari interessi; si oppone pure all'autoconsolidamento dello stato quando lo avverte come suo rivale.
Di conseguenza, le decisioni di politica educativa tendono a ricostruire i rapporti di potere che regnano nella società e questo in relazione diretta con la disarticolazione socio-politica di gruppi e classi senza influenza. È un'utopia pensare che, in virtù di un magico ideale egualitario, le decisioni dello stato possano produrre una vera eguaglianza educativa.
L'educazione, a questo primo livello di analisi, appare funzionale alla configurazione del potere nella società e la politica educativa tenderà a riprodurre gli squilibri esistenti nella distribuzione del potere.

EDUCAZIONE E SISTEMA ECONOMICO

Entriamo nel secondo livello di analisi: vogliamo dimostrare che i fattori economici condizionano le scelte politiche e quindi, per conseguenza, determinano la configurazione della politica educativa (**). Le potenze economiche vedono nella politica educativa fondamentalmente un mezzo di produzione di manodopera.
Così le norme di sviluppo del sistema educativo sono correlate ad un progetto di posti-lavoro e ad un impiego di manodopera, di fatto insufficiente e spesso a vantaggio solo delle élite. Questo sistema tenderà soprattutto – e questo nella logica della domanda-offerta politica – a stabilire una netta separazione tra le poche persone che troveranno un posto di lavoro stabile e ben rimunerato e le molte costrette a arrabattarsi tra occupazioni dequalificate, per inserirsi tra i disoccupati o i sottoccupati.
Le ineguaglianze economiche – inerenti ad una strategia economica e a modalità di produzione come sono quelle del neo-capitalismo – determinano le diseguaglianze educative.
È abbastanza utopico pensare che l'eguaglianza educativa, implicitamente contenuta nella gratuità dell'insegnamento pubblico, sbocchi, in breve tempo e di generazione spontanea, in una eguaglianza economica e politica.
La gratuità della scuola non serve a compensare in maniera proporzionata le diseguaglianze economiche originarie; l'effetto proprio dell'educazione sulla mobilità sociale è, generalmente, limitatissimo e riservato a poche sacche della classe media. Per le grandi masse, l'educazione gratuita, più o meno disponibile di fatto, non ha portato miglioramenti sociali ed economici.

EDUCAZIONE E VALORI CULTURALI

Le strutture di potere e di proprietà hanno un peso nell'educazione. Ma non è il più condizionante. Più sottile ma non meno incidente è la dipendenza dal fascio dei valori in vigore nell'ordine economico e politico e dal relativo riflesso sui problemi educativi.
I sociologi parlano di «violenza simbolica» per offrire spiegazioni al fatto che il sistema attuale di educazione è spesso organo di «riproduzione culturale» e di conservazione sociale, invece di diventare strumento di cambio.
Oltre all'incapacità del sistema educativo a stemperare le differenze di classi (incapacità facilmente documentabile!) , si può costatare che «qualora si giungesse a realizzare un'eguaglianza formale sulle facilitazioni accordate in vista dell'educazione, il sistema d'insegnamento potrebbe assumere una parvenza di legittimità anche rimanendo a pieno servizio della legittimazione dei privilegi».
Una affermazione così sorprendente affonda le sue radici su due fatti sociali, collegati ambedue ai valori che fanno da base alla cultura. Prima di tutto, le finalità formali del sistema educativo in quanto istituzione sociale non corrispondono mai alle finalità reali che vengono adottate sotto la spinta delle intenzioni effettive dei gruppi e delle classi sociali. E così l'«intenzione aggiunta», quella che effettivamente il sistema educativo ha, differisce sostanzialmente dalle sue finalità formali.
D'altra parte, l'avvenire socio-economico dell'alunno – la cosa più decisiva – dipende da ciò che il sistema educativo gli apporta sul piano affettivo e su quello dei valori; e ciò è spesso più importante di ogni apporto a livello di conoscenze.
Un ricercatore, Herbert Gintis afferma che i valori trasmessi attraverso la scuola, negli Stati Uniti (l'insieme degli atteggiamenti, abitudini, credenze sociali e forme di comportamento) contribuiscono al successo futuro dell'alunno in una proporzione che oscilla dal 95 al 65%; solo il resto dipende dalle conoscenze nozionistiche acquisite.
Non è questo il luogo per prendere in esame scientificamente le motivazioni che sottostanno a questa affermazione; devo invece limitarmi a illustrarne le implicanze in prospettiva sociologica: il rapporto tra educazione e valori culturali poggia le sue radici proprio qui.
Il sistema educativo impone all'alunno un insieme di valori sociali, determinati dalle élite che detengono il potere politico ed economico, attraverso soprattutto i mezzi di comunicazione di massa di cui esse dispongono e gli intrecci di relazioni interpersonali che esse costruiscono. A scuola il solo fatto di trasmettere un messaggio pedagogico comporta e impone una definizione sociale di ciò che merita essere trasmesso, del codice in cui far correre la trasmissione, di coloro che hanno il dovere di trasmettere, di coloro che hanno il diritto di ricevere e, infine, del modo d'impostare il messaggio per conferirgli la legittimità e l'intera significazione dell'informazione trasmessa.
In questa prospettiva, l'educazione diventa un fattore politico decisivo per legittimare i valori culturali.
D'altra parte, le relazioni umane che intercorrono nella scuola (relazioni d'autorità, di controllo, di motivazione e di stimolazione, di sanzioni e di speranza di promozione) riproducono i rapporti di classe presenti nella struttura di produzione. Ad una economia neo-capitalista corrisponde una scuola che riproduce e legittima i valori su cui si fonda il sistema capitalistico. I rapporti tra gli allievi sono legati alla competitività e non certo alla collaborazione...
I professori si rapportano con gli allievi in forma autoritaria. Gli allievi si sentono alienati, come l'operaio e l'impiegato, nei confronti del loro lavoro scolastico, perché non partecipano alle decisioni concernenti la programmazione educativa, perché non sono motivati sufficientemente nello sforzo di apprendimento personale, perché, in campo educativo, il risultato acquisito si misura attraverso indicazioni estrinseche al lavoro gestito ed è ricompensato attraverso gratificazioni egualmente estrinseche. Insomma, questi rapporti e i valori culturali sottesi sono collegati con una ideologia propria di una struttura economica neo-capitalista e sono finalizzati a creare una manodopera specializzata in vista di un inserimento in questa struttura.
Ancora, allargando le riflessioni ad una scala più vasta, la stratificazione
educativa della popolazione – contraria a prospettive di eguaglianza democratica! – coincide con queste suggestioni. È un'espressione del principio capitalistico della divisione gerarchica del lavoro. Da qui deriva la necessità di creare una minoranza che decide e comanda ed una maggioranza che non ha altro potere che quello di osservare le decisioni prese sulla propria testa. Se si vuole, la rigida struttura di classe, caratteristica del sistema economico e politico oligarchico, si riflette in pieno nella selettività del sistema educativo. Così, l'educazione diventa la cinghia che permette la persistenza nel tempo di una struttura sociale, politica ed economica contraria alla giustizia.
L'organizzazione educativa è diventata, grazie alla sua configurazione strutturale, un gigantesco dispositivo per l'intossicazione dei valori... teso a perpetuare, nella società, un metabolismo viziato che permette ai rapporti di produzione di funzionare «in piena armonia».
Per tutti questi motivi, la crisi attuale dell'educazione in rapporto alla giustizia, soprattutto nei paesi in via di sviluppo, proviene da cause più gravi e profonde di eventuali errori di strategia, e neppure dipende in primo luogo da assenza di risorse o da una eccessiva burocratizzazione e istituzionalizzazione. Le cause della attuale incapacità a perseguire non solo gli scopi dichiarati ma anche la promozione di una società giusta, aperta alla partecipazione e ragionevolmente egualitaria, sono diverse: immediatamente stanno nei rapporti di produzione e mediatamente nei valori trasmessi, mantenuti in vita dalle élite detentrici del potere politico ed economico.

UNO SBOCCO PER IL FUTURO?

Tutto sommato, penso sia necessario cambiare decisamente prospettiva se si vuole far funzionare il sistema educativo. Per indicare a che cosa miro, non trovo un termine più adeguato della «rivoluzione culturale» (anche se ho coscienza delle deformazioni «maoiste» di cui è carico). Sullo sfondo di una teoria sociologica del cambio sociale attraverso i conflitti, non necessariamente violenti, tra le classi, si ergono metodologie educative che impegnano le classi diseredate a «prendere coscienza», attraverso una scoperta personale, dei propri valori. Evitando ogni nuovo autoritarismo, questi tentativi mirano a liberare la coscienza degli oppressi, favoriscono la formazione di comunità vive, capaci di agire come gruppi di pressione contro lo sfruttamento cui sono condannati.
D'accordo: si tratta di un principio generale, evidentemente pieno di rischi. Pensiamo a questo modello, disincantati sui modelli educativi esistenti: quello del mondo occidentale, che rifiutiamo con conoscenza di cause; quello del mondo socialista che pure contestiamo data l'inconsistenza dottrinale, l'effettiva alienazione e l'«economismo disumanizzante».
Le scienze sociali dell'educazione ignorano ancora gli sbocchi programmatici cui dovrà essere soggetta, a tutti i livelli, questa «rivoluzione culturale» per non ricontaminarsi con i valori dominanti, quando soprattutto i gruppi muteranno la loro situazione di classe e di potere.
Nonostante tutto, questa concezione dell'educazione, che ogni giorno diventa realtà in America Latina, è un punto di riferimento indispensabile per ogni progetto di riforma che voglia perseguire un'educazione orientata alla giustizia.

(*) L'articolo riproduce la relazione tenuta dal P. Latapi s.j. al convegno promosso da EDUC internazionale per i Superiori maggiori delle Congregazioni interessate ai problemi educativi, sul tema «Educazione alla giustizia». Le problematiche sono facilmente riconducibili a situazioni della scuola italiana, anche se la effettiva compromissione non è nei termini di cui parla l'autore a partire da esperienze dell'America Latina.
(**) Nel testo originale l'autore comprova le affermazioni qui riportate, che formano la parte conclusiva del paragrafo, attraverso una lunga analisi del sistema economico vigente nel Messico, letto come emblematico di altri sistemi. Abbiamo preferito tralasciare questa parte di documentazione per rimandare all'intervento sul rapporto scuola-lavoro nel contesto italiano attuale.