(NPG 1974-12-49)
Nella presentazione di esperienze, «Note di Pastorale Giovanile» risente spesso della sua collocazione geografica. Molti amici ce lo hanno fatto giustamente osservare.
Abbiamo preso il coraggio a due mani e fatto un salto fino in Sicilia.
L'esperienza del gruppo di Lineri dimostra, a chiarissime tinte, l'ampia ricchezza di contenuti e la maturità delle scelte: indice, questo, che se abbiamo parlato soltanto di gruppi giovanili del Nord è per difetto redazionale.
Come al solito, per rendere la trascrizione più eloquente, vogliamo sottolineare alcuni aspetti per noi di particolare rilievo pastorale.
1. II contesto culturale
Al lettore attento non sfuggirà certamente il clima al cui interno tutta l'esperienza si muove. E il rispetto attento di questo clima in cui il gruppo ha vissuto.
Troppe volte si elaborano riflessioni pastorali che assolutizzano aspetti invece soltanto strettamente locali. Se l'operatore non è accorto nell'opera di mediazione, corre il rischio di imporre le sue scelte, con l'alibi di «servire» la realtà concreta.
A Lineri è presente una cultura ancora largamente sacrale. Sarebbe stato un grave errore imporre un ritmo di presenza «diverso». Il gruppo lo ha avvertito ed ha impostato il suo servizio in preciso raccordo con questa oggettiva dimensione. La crescita in avanti non può avvenire attraverso forzate rotture, ma unicamente in un processo di maturazione.
2. Il cammino del gruppo
Il gruppo giovanile di cui stiamo parlando ha sei anni di vita. Un vero record, se si misura l'età con lo stile corrente di molti gruppi.
I sei anni sono segnati da un continuo cammino di crescita, con fasi ben precise. Nella trascrizione lo è stato sottolineato abbondantemente.
La crescita è segnata da un ascolto rispettoso della realtà e da una periodica verifica: due criteri davvero preziosi.
3. La dimensione ecclesiale del gruppo
Il gruppo è riuscito a conservare un clima ecclesiale maturo, nonostante gli scossoni a cui è stato sottoposto.
Non a caso. La lettura in filigrana dell'esperienza ricorda le molte attenzioni presenti.
Il gruppo ha maturato una dimensione di ecclesialità precisa, superando i condizionamenti che gli potevano provenire dalla facile enfasi sui rapporti primari. È diventato «chiesa», perché proiettato nel servizio.
Assicurata la radice di una corretta ecclesialità, gli aspetti formali hanno trovato un terreno prezioso su cui germogliare. L'ascolto della Parola, la celebrazione dell'eucaristia, !a continua meditata riflessione catechistica, la preoccupazione ad una saggia partecipazione, il collegamento con la chiesa locale: atteggiamenti tutt'altro che retorici, proprio in forza del deciso «decentramento» sul servizio ai poveri di Lineri.
4. La scelta politica
Ci pare molto interessante la verifica della dimensione politica. Almeno a tre titoli diversi. Prima di tutto la «politica» non è stata «imposta» al gruppo né gli è capitata tra capo e collo sotto la spinta dell'esterno. La coscienza politica è stato invece lo sbocco naturale di un processo di servizio sempre più qualificato.
In secondo luogo, ci piace il tipo di scelta maturata. Altri potranno discordare. Per noi è indice di maturità, soprattutto tenendo conto del contesto in cui il gruppo era chiamato ad operare.
E, in terzo luogo, la maturità del raccordo tra fede e impegno politico. Non vorremmo essere pessimisti, ma sono pochi i gruppi che hanno conservato una chiara maturità ecclesiale all'interno di un forte coinvolgimento politico. A Lineri ci sono riusciti. Forse, grazie alla catechesi che mai hanno smesso.
5. Il «passar la mano»
Il servizio è vero se si permette al «povero» di crescere e di diventare autonomo, responsabile della propria liberazione. Altrimenti è sempre manipolazione, anche se ammantata di belle parole.
Quando il gruppo ha raggiunto questa consapevolezza, si è buttato a fondo nel tentativo di «far nascere la chiesa a Lineri», come dicono, «passando la mano» ai giovani del posto.
Potrebbero essere sottolineati altri aspetti, tanto l'esperienza è ricca di sfaccettature stimolanti. Ogni lettore attento li saprà ritrovare personalmente.
Elaborazione di R. Tonelli su materiale messo a disposizione dal gruppo: interviste registrate e documenti.
LINERI, TERRA DI NESSUNO
È da cinque anni che sono coinvolto nella «esperienza Lineri»; e, anche se qualche volta, per un motivo o per un altro, non ho avuto possibilità di partecipare con continuità, ne ho sempre seguito la crescita come una realtà che mi appartiene.
Questa esperienza è stata decisiva nell'orientamento e nei contenuti della mia vita. È una realtà ricca e complessa, fatta di persone, di incontri, di metodo di lavoro, di preghiera di riscoperta cristiana di tutta la realtà. Ma andiamo con ordine.
Lineri, come spazio di incontro umano, è diventata esperienza di Chiesa; e nell'esperienza di Chiesa, scoperta del Cristo e di Dio.
Venivo da un ambiente in cui l'incontro e i rapporti con gli altri erano programmati, strutturati, previsti anche nel modo. La spontaneità invece, l'improvvisazione, l'immediatezza, la libertà di rapportarmi agli altri fu la realtà che, di Lineri, mi entusiasmò maggiormente. Mi tuffai in questa esperienza per me così nuova: vivevo la vita di quei meravigliosi ragazzi di periferia, «giravo» per le famiglie, stavo con la gente, per le strade.
Comprendevo che se volevamo proporre determinati discorsi, come per esempio uscire dall'isolamento, acquistare uno spirito di coscienza collettiva per rendere Lineri una abitazione umana, dovevamo adottare il metodo dell'incarnazione: «come loro», parlare il loro stesso linguaggio, vivere la loro stessa vita...
L'impatto con una realtà di questo genere, mi costringeva continuamente ad uscire da me stesso, a superare la paura di compromettermi nell'affrontare situazioni sempre nuove.
La spontaneità di quelle persone mi meravigliava, mi rendeva più semplice, più essenziale. Riscoprii valori profondamente umani: l'ospitalità, l'esigenza della giustizia, la capacità di sopportare disagi, il sacrificio, la sofferenza, naturali componenti della vita di ogni uomo.
La scoperta degli altri mi diede un nuovo volto del Cristo ed una nuova esperienza di Chiesa.
Il messaggio di «Chiesa», da esclusivamente religioso, diventò sociale, umano; da potenza si trasformò in servizio ed amore, da legge in libertà. Incominciai a comprendere la Chiesa non più come gerarchia o burocrazia, ma come vita, ricca quindi di tutte le esperienze umane, di peccato e di grazia, di gioia e di dolore, di delusione e di speranza. Chiesa significò una forza viva che chiarifica ed autentica la vita dell'uomo e del mondo, riduce gli spazi di incomprensione e di incomunicabilità, dà un senso agli interrogativi più angosciosi e proietta l'uomo nella speranza certa di una vita nuova vissuta in parte anticipatamente. Chiesa significò uno stile di vita, un metodo di lavoro, una esperienza di gruppo e di comunità.
Se l'incontro con le persone di Lineri focalizzò i valori di cui ho parlato, nella vita di gruppo questi valori li ho fatti miei.
Il confronto continuo di esperienze e lo scambio di idee fatto individualmente e comunitariamente mi rese meno impacciato e più sicuro di me. Il costatare che, non per tutti determinati valori e metodi erano pacifici, mi diede elasticità di intelligenza ed apertura: la Chiesa non è più una setta, ma una esperienza che offre spazi così ampi da accogliere tutti gli uomini e ciò che è autenticamente umano.
Tutto questo per me ha avuto un senso in quanto ha maturato una scelta di fede, una esperienza di incontro personale con Cristo.
Il cristianesimo da ideologia è diventato Persona: si vive per le persone che si amano e in cui si crede. L'esperienza di incontro con gli altri è esperienza di incontro con Cristo e viceversa. Lineri ha acquistato il volto del Cristo e Cristo il volto di Lineri: un volto duro e pieno di rughe, abituato alla fatica ed alla sofferenza; un volto gelido per il vento che scende dall'Etna e rudemente abbronzato dal sole di agosto delle ore 15,30 (quando puntualmente salivamo da Catania per stare con le persone); un volto madido del sudore dei ragazzi che lavoravano e dopo giocavano a calcio; un volto con il sorriso dei bimbi che si divertivano per le strade in mezzo alla polvere.
Più che poesia, questa, a Lineri è una realtà che si vive e che diviene.
Cristo, sei anni fa, è salito a Lineri; ed un gruppo di giovani e ragazze, con un prete, lentamente, tra incertezze, timori e preghiera, stanno costruendo il volto del Cristo, della Chiesa: la dimora dell'uomo (Rocco - 19 anni).
Poche case, affastellate ai bordi dell'unica strada asfaltata. A fatica le formazioni laviche cedono il passo alle abitazioni. Sentieri di lava battuta congiungono casa a casa, fino allo stradone.
Così appare Lineri, oggi, a chi a fatica la raggiunge nella periferia di Catania.
Negli anni sessanta, molte famiglie cercavano a Catania un pane sicuro in un lavoro diverso da quello sofferto nei paesi dell'entroterra. I prezzi alle stelle e le lunghe pratiche burocratiche per avere una casa hanno spinto gli immigrati ai bordi della città. Nel costume tradizionale, il desiderio di una casetta propria: almeno uno stanzone in una «baracca» fabbricata alla bell'e meglio.
Lineri è terra di nessuno. Quindi luogo ideale per queste «costruzioni» abusive.
La zona dipende amministrativamente da Misterbianco. Ma il comune è irraggiungibile: 5 kilometri tra la lava.
I collegamenti sono più facili ed evidenti con Catania: il posto di lavoro, le compere, i rapporti di parentela, il divertimento.
Il comune di Catania ignora la realtà Lineri. È trascritta in un colore diverso nelle carte comunali.
A Lineri, chiunque può costruire. Le casette si allargano a macchia d'olio. Vengono parenti e amici. La povertà, che rendeva la vita impossibile nella grande città, ha finalmente trovato uno sfogo.
Nel giro di pochi anni Lineri si popola, fino a raggiungere il tetto attuale di 3.000 persone.
Ci sono le case. Ma manca tutto il resto. Nessuna infrastruttura. Non ci sono scuole. Le strade sono sentieri tracciati tra i canaloni della lava. Mancano la farmacia, l'ufficio postale, la luce elettrica, i servizi sociali, la chiesa. Tutto.
Lineri è la casa dei poveri che la città emargina. Una sacca di povertà da cui attingere manodopera a basso prezzo, da scaricare terminato il lavoro, senza oneri pubblici.
Nell'isolamento in cui gli abitanti vivono e crescono, rispuntano i canoni tradizionali dei paesi di origine. A Lineri si costruiscono «isole» culturali che riproducono usi, mentalità, tradizioni.
Ma le provenienze sono diverse. Quindi diverse le tradizioni. Per questo lo sradicamento, frutto del forzato urbanesimo, consussiste con scontri di costumi e arroccamenti di mentalità.
Soprattutto i giovani soffrono le contraddizioni di questa situazione culturale: il contatto con la città crea nuove abitudini; il clima parentale non le sa integrare sufficientemente, anzi ne esaspera spesso la spontanea conflittualità.
Gli abitanti di Lineri diventano, poco a poco, il luogo di coagulo dei mille problemi che la grande città pone a chi è costretto a viverci forzatamente. Prima della nostra esperienza, era assente anche ogni preoccupazione religiosa e ogni servizio ecclesiale.
Ogni tanto qualche sacerdote tentava un approccio. Ma tutto finiva presto. In pochi gesti si sistemava la preparazione alla comunione o veniva conclusa la partecipazione alle pratiche religiose fondamentali. Alcuni anni fa, a Lineri si è costituita una «chiesa evangelica» grazie alla presenza di un pastore. Questa chiesa ha presto recepito molti credenti, perché risultava l'unico sbocco aperto al sacro, a cui, per tradizione culturale, gli abitanti sentivano di non poter rinunciare.
Oggi le cose sono cambiate. In piccola misura, se i criteri sono quelli delle realizzazioni strutturali operate. In misura più consistente, se si prende in considerazione la mentalità e la capacità di partecipazione degli abitanti. A Lineri la strada principale è oggi asfaltata. C'è un progetto, in fase di realizzazione, di farmacia e di ufficio postale. C'è la scuola materna, elementare, e una sezione distaccata di scuola media. Una linea cittadina di autobus prolunga le sue corse fino alla «piazza». Qualcuno si sta muovendo sul piano amministrativo. Un garage serve da chiesa, mentre se ne sta costruendo una «vera». Soprattutto la gente di Lineri sta acquistando una nuova coscienza sociale.
Tutto questo è, in larga misura, la storia della nostra presenza: il servizio umano e cristiano del nostro gruppo.
UN GRUPPO CHE SA CRESCERE NEL SERVIZIO
Sei anni fa, in questa situazione, la cui descrizione traducendo i fatti in parole ha addolcito i conflitti, si è inserito un sacerdote salesiano e un gruppetto di giovani per una proposta di servizio.
Ogni gruppo ha una sua storia, segnata da criteri di sviluppo e di crescita. È una parte importante della vita di molti di noi. La raccontiamo agli amici, con rispetto e timore.
Guardando oggi la nostra esperienza a ritroso, ci piace identificare almeno cinque fasi di maturazione.
II passaggio da una tappa all'altra è sempre segnato da un momento di verifica: la realtà, smontata e riletta con calma, ci ha arrovesciato dentro e costretto a crescere.
Le cinque fasi sono, grosso modo, queste:
• la fase entusiastica: la scoperta di Lineri e la decisione di fare qualcosa;
• la fase organizzativa: un «qualcosa» che lentamente assume toni concreti, contrassegnati da una prima intonazione di valori. Si parlava di aiutare le persone, di gestire una promozione umana, di fare del bene;
• e questo apre ad una fase di servizio più maturo: sentiamo di essere a Lineri come cristiani, quindi in fase di testimonianza e come risposta alla nostra identità. Scopriamo di non poter essere i «ricchi che vanno a dare qualcosa». Ma «poveri», anche noi, pronti a ricevere. Sono gli abitanti di Lineri che ci danno qualcosa, proprio perché sono in una situazione diversa dalla nostra;
• segue poi la fase più strettamente politica, legata ad una precisa «collocazione» del gruppo e ad un lavoro di coscientizzazione di base;
• attraverso un approfondimento della nostra fede, il gruppo ha compreso a fondo il significato del nostro essere chiesa a Lineri: questo ha aperto la fase più esplicitamente ecclesiale, attraverso la maturazione del servizio attorno all'eucaristia.
Questo è in breve il cammino del nostro gruppo.
Lungo la strada molti si sono perduti: hanno alzato bandiera bianca sotto la pressione di altre suggestioni o hanno preferito un impegno diverso.
Nel gruppo, alcuni di noi sono però della prima ora. Essi segnano la continuità formale della nostra esperienza, testimoniando ai nuovi la sensibilità acquisita.
È di questi giorni la scoperta che «la chiesa sta nascendo a Lineri», perché il nostro gruppo passa la mano ai giovani del posto, perché essi stessi diventino protagonisti della loro crescita.
Abbiamo raccontato sei anni della nostra vita a battute velocissime. Ci pare utile ricominciare il discorso da capo, per sottolineare gli stimoli che hanno guidato il gruppo a crescere. Non vogliamo raccontare la nostra storia, per convincerci di essere «bravi». È invece nel cammino che noi abbiamo vissuto e sofferto, che qualcosa di noi può arricchire gli altri.
LINERI SI FA PROPOSTA
Abbiamo scoperto la realtà Lineri in una circostanza fortuita. Era la fine del '68.
Un gruppo di giovani del centro diocesano di AC stava progettando di concludere l'esperienza di AC nella formazione di una «piccola comunità ecclesiale»di servizio. Ed era alla ricerca del luogo giusto dove piantare le proprie tende.
Hanno scelto Lineri.
Si rendeva necessario un sacerdote per celebrare ogni tanto l'eucaristia.
Per questo hanno invitato un salesiano del liceo di «Cibali», conosciuto per la sua sensibilità ai problemi giovanili.
Lineri è un pugno nello stomaco. Non si può celebrare l'eucaristia, tra quelle baracche, arroccate su speroni di lava, e tornarsene tranquilli a casa, per missione compiuta.
Lineri provoca.
Dobbiamo farci qualcosa, si è detto il sacerdote. E ne ha parlato a suoi alunni. Qualcuno si è mosso. E ha deciso per Lineri. Nasce una prima proposta di servizio, molto sull'ali dell'entusiasmo.
Si celebrava la messa alla domenica: all'aperto, in un garage, in qualche stanzone alla bell'e meglio. Terminata la messa, qualcuno fa giocare i bambini del posto. Altri chiacchierano un po' con la gente. Poi tutto finisce.
NON BASTA L'ELEMOSINA DI UNA PRESENZA PROVVISORIA
Prestissimo ci si accorge che le faccende non possono continuare così. Non basta una presenza saltuaria e superficiale. Nasce l'interrogativo più serio: che fare?
La prima scelta è per una catechesi ai ragazzini del posto. Al sabato. Nel nostro gruppo, molti sono «brillanti»: suonatori di chitarra accaniti, magnifici calciatori.
Ci siamo presto trovati inondati di ragazzini. A Lineri ce ne sono molti. Nessuno aveva mai loro fatto una proposta.
Dal gioco si passava alla catechesi, con una successione spontanea. Nascono i primi timidi tentativi di collegamento con la popolazione. L'anno scolastico volge al termine. E con le vacanze il nostro servizio finisce.
A ottobre si ricomincerà? Affiora una grossa crisi. La pausa estiva ci preme addosso: sentiamo di aver tradito gli amici di Lineri, abbandonandoli solo perché per noi era tempo di vacanza.
Il gruppo si interroga ancora una volta sul da farsi.
Scopriamo che è necessario qualcosa di diverso. Circolano parole impegnative come «continuità» e «organizzazione».
Chi le propone incontra resistenze. Le nostre mentalità erano mediamente lontane da una visione seria dei problemi. La nostra azione viaggiava sull'onda dell'entusiasmo. Incanalarlo significava cambiar testa. Convertirci noi, per essere una proposta seria di servizio.
La situazione di Lineri però non ci permetteva di barare sulle parole. Quelli di noi che avevano capito meglio il problema non accettavano l'assopimento tranquillo del «qualcosa è meglio di niente».
Essi non hanno fatto prediche ai novellini. Hanno soprattutto agito. Mettendoci lentamente in crisi sull'onda dei fatti. Ci hanno fatto crescere, senza infilarsi la toga dei maestri.
Poco a poco, attraverso incontri accesi e lunghe verifiche, il gruppo prende posizione. Se volevamo impegnarci, dovevamo farlo in una maniera organizzata, con prospettive di aiuto serio.
Nessuno ancora parlava di dimensione politica del nostro lavoro. Anche l'aspetto ecclesiale era molto larvato.
L'estate del 1970 segna la grande scoperta: noi eravamo i «ricchi» che portavano qualcosa a dei porevacci, costringendoli ai nostri ritmi. Ci siamo messi in crisi: a tutti i livelli.
Prima di tutto abbiamo deciso di smetterla con le scadenze scolastiche, per inserirci davvero nella situazione di Lineri dove le «vacanze» sono un sogno proibito. E, di conseguenza, di smetterla con la nostra aria di «missionari», di colonizzatori.
Questa scelta ha fatto esplodere un aspetto che stava prendendo troppo la mano al gruppo.
Ce ne siamo accorti giusto a tempo, certamente non d'un sol colpo. Ed è facile parlarne adesso, che le cose sono tranquille. Allora si era nel caldo del problema, con tutte le conseguenze che è facile immaginare. Ci spieghiamo.
Molti giovani avevano scelto di venire a Lineri sotto la spinta di un servizio da rendere a quelle popolazioni. Ma nel sottobosco di molti e del gruppo stesso, serpeggiava una scelta diversa: il gruppo era un ottimo sfogo alla necessità di intavolare rapporti amicali, nella grossa crisi di anonimato in cui viviamo. La scelta del gruppo era sulla spinta dell'amicizia: l'amicizia con il sacerdote che lo animava o con qualcuno del gruppo ne era stata l'occasione e lentamente minacciava di diventarne la motivazione.
Anche i momenti di verifica erano funzionali a questa dimensione. Spesso si parlava dei nostri problemi, non delle cose da fare. Erano per il gruppo, non per il servizio del gruppo.
Le cose importanti stavano diventando i legami interpersonali, il telefonarci frequente, il ritrovarci spesso anche fuori di Lineri, lo stare volentieri assieme. E il tutto sotto la facile copertura dell'impegno e del servizio. Nel più profondo c'era la intelligente utilizzazione del gruppo per risolvere fatti personali. Il primo dei quali era il problema della fede, acuito dalla crisi adolescenziale e soprattutto dalle drammatiche realtà di cui eravamo protagonisti. La cose non potevano andare così.
Quando finalmente ce ne siamo resi conto, il gruppo ha aperto una pagina importante della sua nuova vita.
VERSO UN LAVORO SERIO
Una tre giorni di verifica nel settembre del '70 determina una svolta importante nella vita del gruppo.
Decidiamo di salire a Lineri quattro giorni alla settimana, per condividere la vita del luogo, stare a disposizione realmente della popolazione, maturare in essi e in noi una chiara coscienza di partecipazione. Avevamo affittato, sborsando qualche contributo di tasca nostra, un garage. È diventato il tutto della nostra vita a Lineri: la chiesa, il luogo di incontro, lo spazio per il gioco, l'«aula» per la catechesi e il doposcuola.
La nostra presenza a Lineri, per diventare seria, doveva connotarsi di impegni seri.
Abbiamo fatto una programmazione con i fiocchi e ci siamo buttati a capofitto nella sua realizzazione.
Il primo nostro lavoro consisteva nello stare assieme alla popolazione. Dovevamo, lentamente, ricostruire i tessuti di una speranza e di un senso di responsabilità personale, che si erano sfaldati sotto l'imperversare dell'emarginazione di fatto.
Questo servizio di contatto è stato svolto principalmente dalle ragazze del gruppo. La loro presenza si è rivelata indispensabile.
Le ragazze hanno smontato una situazione di diffidenza, entrando nelle case, per dare una mano alle faccende domestiche, alla pulizia, interessandosi della spesa giornaliera e dell'educazione dei bambini. Hanno, a poco a poco, creato un clima di intensa fraternità.
Un secondo nostro impegno era la catechesi ai ragazzini che si preparavano alla prima comunione: una catechesi lunga e accurata, per creare le premesse di una coscienza cristiana ed ecclesiale, superando le distorsioni e i pregiudizi, legati alle tradizioni dei luoghi di provenienza.
Un impegno tutto speciale era riservato alla preparazione e alla celebrazione della messa domenicale, il vero «incontro» della popolazione di Lineri. Essa veniva spiegata e adattata alle reali esigenze, nei limiti del possibile. Una cura intensa per la partecipazione attiva. Il clima di fraternità che si andava creando, favoriva molto questa partecipazione.
Un altro impegno portato avanti, parallelamente alla catechesi, era il doposcuola. Ci siamo resi conto delle gravi lacune della scuola: i ragazzi non avevano nessuna possibilità di studiare a casa, perché mancava uno spazio tranquillo e spesso la luce; gli insegnanti che venivano dalla città piombavano da un altro mondo, creando spesso reali fratture di interessi e di linguaggio.
Da questa costatazione: il doposcuola.
Non abbiamo inizialmente percepito l'opportunità di un doposcuola alternativo. Il nostro era un doposcuola «sussidiario»: facevamo quello che la scuola esigeva e che non era possibile fare a casa. Solo più tardi abbiamo pensato ad un tipo diverso di doposcuola, molto più incidente e formativo.
LA DIMENSIONE POLITICA DEL NOSTRO SERVIZIO A LINERI
Un anno di lavoro secondo questi parametri ha modificato il gruppo: ci siamo accorti di crescere davvero, di diventare diversi, affinando sensibilità e proposte.
Da una parte cresceva l'esigenza di qualificare ecclesialmente la nostra presenza a Lineri. E ci siamo sentiti costretti a chiederci che cosa significava in definitiva essere chiesa.
Dall'altra, la sensibilità politica che molti di noi respiravamo nelle scuole di provenienza, ci spingeva a verificare il taglio della nostra presenza sotto quest'angolo prospettico.
Le due dimensioni, politica ed ecclesiale, nei primi tempi sorgevano in noi con una certa conflittualità: avvertivamo sempre più il bisogno di una reciproca integrazione.
Raccontiamo a tappe questa importante fase della nostra maturazione. A Lineri non esisteva nessun censimento della popolazione: mancava ogni infrastruttura al riguardo.
Per capirci meglio e progettare con maggior precisione, decidiamo di fare un «censimento». Abbiamo diviso Lineri in settori, preparato le schede di rilevamento e ci siamo buttati nell'impresa.
Passando famiglia su famiglia, abbiamo trascritto i dati essenziali. Lentamente sul tavolo si allineavano le schede di censimento, ma soprattutto fluivano stimoli a non finire e problemi grossissimi.
Dopo tre mesi di lavoro, una panoramica reale della situazione, una piattaforma concreta per un servizio qualificato.
Come renderne partecipi i reali protagonisti?
L'esperienza scolastica di molti di noi convoglia una risposta: facciamo un'assemblea di tutta Lineri.
Dunque la prima assemblea. Presenti oltre 100 padri di famiglia. Partendo dai dati del censimento, abbiamo spiegato il motivo dell'incontro e affermato la nostra piena disponibilità.
I problemi concreti sono emersi aggrovigliandosi l'uno sull'altro: la spazzatura, la farmacia, l'ufficio postale, la scuola, illuminazione pubblica, le strade, le pensioni, il piano di fabbricazione.
Tra i tanti, bisogna fare delle scelte prioritarie. Ci siamo giunti attraverso una votazione.
A conclusione si è costituita una commissione per prendere contatti con il sindaco e preparare una seconda assemblea. Dopo questa, altre ancora. Lentamente l'assemblea divenne un dato di fatto, con scadenze periodiche e con fortune alternative.
Mancava in noi e negli abitanti di Lineri una chiara coscienza politica. L'interesse era sui fatti, nella loro brutale consistenza. Si parlavano i toni della rivendicazione spicciola e delle pretese.
Così le cose non potevano andare: la partecipazione andava calando, perché dalla fase rivendicativa non sapevamo approdare a quella più esplicitamente politica.
Qualcuno propose di sviluppare l'assemblea in un «comitato di quartiere», più ristretto ma più «politico».
Nasce il comitato, come coscienza riflessa della base. Il nostro gruppo ne è parte a pieno titolo, proprio perché ormai tutti ci consideravano di Lineri.
Questi fatti rimbalzano all'interno del gruppo, come uno scossone radicale. Noi lo chiamiamo spesso la nostra svolta politica.
Partecipare all'assemblea, prima, e al comitato poi, significa avere in pronto un bagaglio di «idee» da proporre e sostenere.
Quali «idee»? In causa è chiamato il gruppo in quanto gruppo, perché è evidente la necessità di una larga convergenza programmatica dei membri del gruppo, se si vuole incidere in forma significativa. Il gruppo si interroga sulla necessità di configurarsi in una precisa collocazione politico-partitica.
Nasce un dibattito aperto sulla opportunità di un'opzione del genere e in concreto sul tipo di opzione da privilegiare.
A fatica si fa strada una posizione di fondo, che diventa «la» scelta del gruppo. Noi, ci siamo detti, non vogliamo fare la politica di nessun partito. Vogliamo fare una politica di pieno servizio delle persone di Lineri. Ogni partito crea clientelismo. Il potere costringe ad asservirsi e quindi strumentalizza. Se ci configuriamo in un partito, cadiamo in braccio a qualcuno che ci strumentalizzerà, presto o tardi.
Non fu una decisione né pacifica né tanto meno indolore. Ci giungemmo al termine di una memorabile tre giorni di verifica, dopo lunghe discussioni e proposte di documenti e controdocumenti.
Per qualcuno fu il principio di rottura nei confronti del gruppo. Alla fine ci siamo ritrovati con le idee abbastanza chiare.
Tutto questo discorso veniva gestito sul fondale della nostra dimensione ecclesiale, una caratteristica a cui credevamo molto e che stava diventando per noi sempre più irrinunciabile.
L'opzione politica ci costrinse ad una verifica ecclesiale. Volevamo capirci di più e meglio: che significa essere chiesa per il mondo? come raccordare fede e impegno politico?
Finalmente, ancora una volta sotto la spinta di quella realtà da cui ci siamo lasciati educare sempre, i problemi assumono un nome preciso e concreto.
Per questo abbiamo deciso di potenziare la «catechesi» all'interno del nostro gruppo. Ci siamo messi a studiare la «chiesa», attraverso i documenti conciliari e le riflessioni teologiche più vive. Volevamo capirci di più, per vivere e decidere meglio. Non fu solo un lavoro intellettuale. Se prima la messa era un dato importante, tradizionalmente irrinunciabile, per la nostra vita di gruppo, in questa fase della nostra maturazione la celebrazione eucaristica divenne questione di vita o di morte. Senza eucaristia non riuscivamo più a «capire» il nostro servizio a Lineri. Non ce la facevamo a continuare, in poche parole, in quel difficile atteggiamento assunto dal gruppo, che poneva la persona in primo piano: la «persona» degli abitanti di Lineri da servire, da far crescere, in una partecipazione e in una responsabilizzazione politica piena e in un'incipiente coscienza ecclesiale.
VERSO UNA COSCIENZA ECCLESIALE
Riflettendo oggi sul cammino della nostra esperienza, scopriamo cose che ci fanno molto piacere.
Quando il nostro servizio a Lineri incominciò ad assumere tratti più oggettivamente maturi, circolarono parole come «partecipazione» e responsabilizzazione». Ne abbiamo già parlato.
Di qui, la svolta politica come fatto inevitabile.
Volevamo creare negli abitanti di Lineri una sensibilità ed una responsabilità, vere premesse ad una seria partecipazione. Partendo dalla coscienza delle situazioni concrete, potevamo giungere alla costruzione di una vera coscienza sociale, consapevole dei diritti e dei doveri, propri di ogni uomo. Attraverso questa strada ci pareva raggiungibile l'obiettivo che gli abitanti stessi gestissero la realtà sociale di Lineri, superando la mentalità parcellizzata che li spingeva prima di tutto a cercare ciò di cui sentivano il bisogno e che mai avevano goduto.
In fondo a tutto c'era l'obiettivo di creare in essi la coscienza che era possibile raggiungere livelli di convivenza più «umani» non mendicando dall'uno o dall'altro quattro favori, ma attraverso una saggia amministrazione della cosa pubblica.
Le difficoltà da superare erano tutt'altro che piccole. Ma non c'era altra strada, se ci stava a cuore davvero la crescita della persona.
La catechesi sulla chiesa ci ha fatto scoprire che questa era la strada privilegiata per creare anche una seria esperienza ecclesiale. Partendo dalla partecipazione politica, potevamo giungere alla chiesa. Una chiesa «libera»: non supplettiva, ma di servizio alla maturazione globale delle persone.
La salvezza che cercavamo di portare alle situazioni contingenti di Lineri era per noi segno e anticipazione di una più radicale salvezza, che iniziava nel tempo per aprirsi ad un futuro fuori del tempo. Volevamo risolvere i problemi della gente di Lineri: tutti i problemi. Ma si faceva strada la consapevolezza che non avremmo mai risolto i «problemi dell'uomo» che abitava a Lineri, perché più globali della spazzatura, dell'assenza di una farmacia o della carenza di abitazioni decenti.
Tutte queste percezioni ce le siamo maturate all'interno del gruppo. Dal nostro gruppo lentamente sono defluite attorno a noi, raggiungendo i giovani di. Lineri più sensibili.
In questo clima, anche il nostro lavoro si è intensificato e qualificato. Le stesse cose, catechesi, doposcuola, contatto con le famiglie... Ma in una prospettiva più umanizzante. Abbiamo raggiunto la dimensione «umana» di ogni problema, proprio attraverso l'ampio contatto umano ricercato e coltivato.
DUE «CHIODI» PER NOI IRRINUNCIABILI: LA CATECHESI E LA VERIFICA
Costretti a raccontare agli amici qualcosa della nostra esperienza, abbiamo smontato pagine di vita. Non è stato un processo indolore. Ma, al termine, abbiamo capito quanto possa essere prezioso.
Molte cose le abbiamo vissute sull'onda delle esigenze concrete: tanto «concrete» e tanto «esigenze» che spesso ci hanno afferrato tutto di noi, lasciandoci con il fiato rotto. Ripensarci, ce le fa capire meglio. Ci stiamo accorgendo così di aver camminato in avanti, soprattutto grazie a due «cardini» che sono diventati ogni giorno più importanti, irrinunciabili: la catechesi e la verifica.
D'accordo, il lavoro ci ha maturato. La realtà di Lineri non ha permesso di barare e ci rovesciava dentro, tutte le volte che tentavamo di strumentalizzarla.
Oggi però possiamo affermare, senza indecisioni, che la nostra crescita è strettamente legata alla riflessione in chiave di fede che accompagnava ogni gesto quotidiano.
E di questo dobbiamo dire grazie al nostro animatore e a quelli di noi che non hanno permesso al gruppo di addormentarsi nella foga delle cose da fare.
LA CATECHESI
Siamo partiti con un progetto in testa: vivere un'esperienza ecclesiale. Era chiaro l'obiettivo ma molto vago il criterio di realizzazione. All'inizio, essere chiesa significava per noi stare assieme, moltiplicare i rapporti interpersonali, passare un sacco di tempo a dircelo.
Oggi, essere chiesa vuol dire giocare tutto di noi per la liberazione e la crescita di Lineri, concentrando ogni nostro impegno nel servizio a cui siamo chiamati, facendo coesione nel gruppo più sulla dimensione del progetto che abbiamo elaborato che sulle relazioni «corte». Da qui, l'urgenza che i giovani di Lineri, assumano in prima persona la liberazione della loro realtà.
All'interno di ciò stanno tutte le altre dimensioni che fanno esplicitamente la chiesa: la celebrazione dell'eucaristia, la proposta di una salvezza globale, un saggio rapporto con la storia, il collegamento con il nostro vescovo, l'attenzione a tutta la realtà ecclesiale della nostra città...
Abbiamo «capito» tutto ciò vivendo e «studiando». Man mano che un problema si presentava alla nostra attenzione cercavamo di risolverlo nel confronto con la parola di Dio e nello studio dei documenti conciliari. Ci siamo accorti così di un fatto: che non potevamo mai pronunciare la parola «fine» al nostro impegno di catechesi. Raffinata la nostra sensibilità, altri problemi si affacciavano alla nostra esperienza e così ricominciava da capo l'itinerario formativo.
Abbiamo l'impressione di privilegiare la catechesi nel servizio a Lineri, proprio perché ne abbiamo scoperto sulla nostra pelle l'essenzialità e la vitalità.
LA VERIFICA
Il secondo momento forte della nostra esperienza lo possiamo indicare nella verifica che normalmente accompagnava il nostro lavoro. All'inizio era un modo come un altro per passare qualche ora assieme. Poi le cose sono cambiate. Man mano che cresceva la serietà della nostra responsabilità, diventava più urgente procedere a periodiche verifiche. Ci pareva di tradire gli amici di Lineri, camminando a casaccio, senza mai fare il punto.
Abbiamo progettato momenti di verifica «normali»: gli incontri del sabato. E momenti straordinari: le «tre giorni» all'inizio di ogni nuovo anno.
Le «svolte» del gruppo portano sempre come matrice comune gli incontri di verifica.
Le nostre verifiche non erano mai un fatto strettamente tecnico, anche se non coincidevano abitualmente con i momenti di catechesi esplicita. Prima di iniziare il lavoro ci mettevamo in atteggiamento di penitenza e di ascolto, perché tutto quello che avremmo detto fosse davvero «parola di Dio per noi». E questo non ci permetteva di fare chiacchiere, né ci lasciava scivolare nei dibattiti intellettualistici. Era tutta la nostra vita che veniva passata al vaglio della verifica.
Così l'eucaristia che concludeva normalmente questi incontri era stata «preparata»; le nostre ricerche assumevano rilevanza al confronto con la Parola «ufficiale» di Dio e nella morte e risurrezione di Cristo che assieme celebravamo.
Nonostante i periodi di crisi cui sono andato incontro più volte e i sacrifici notevoli che ho dovuto affrontare per far fronte ai diversi impegni, nonostante i vari «sfottimenti» che ho dovuto sopportare dai miei amici, anche da quelli più intimi, che mi tacciavano di «perditempo» e che si allontanavano da me, la mia esperienza cristiana a Lineri è stata senz'altro più che positiva poiché mi ha fatto trovare un Giovanni che finalmente dopo molti sforzi aveva trovato un suo ideale sotto la cui luce poteva vedere la sua vita e per cui poteva combattere. Questa mia esperienza cristiana ha fatto senz'altro nascere in me una nuova persona che, senza la minima ombra di presunzione, è risultata più matura, più sensibile verso determinati problemi, più cosciente al fatto che la vita non la si può assolutamente affrontare alla giornata aspettando l'evolversi degli avvenimenti di fronte ai quali tu non sei altro che uno spettatore. È chiaro che un minimo di coerenza verso i tuoi ideali esigeva tutto un altro modo di vivere e di pensare. Innanzi tutto in famiglia dove, durante animate discussioni, cercavo in tutta umiltà ma senza paura di portare avanti le idee per cui vivevo e che dovevo testimoniare nella vita vissuta; tra gli amici, cercando di esprimere un modo di vivere che avrebbe potuto contrariare qualcuno, ed anche nel travagliato mondo dell'università non mi sono lasciato trasportare dal dedalo di viuzze che si aprivano davanti a me. A livello personale sono riuscito ad avere una maggiore stima in me stesso soprattutto perché, specialmente adesso, sono certo di non essere più un numero ma di avere trovato una mia dimensione, un mio ruolo ben preciso, soprattutto grazie al gruppo con cui lavoro e in cui mi sono trovato realizzato. Sono riuscito anche ad essere più aperto verso i miei amici, ad avere molta più stima del mio prossimo che senz'altro poteva capirmi ed aiutarmi ed infine ad avere una mentalità molto più aperta verso determinate classi sociali abbandonando posizioni razzistiche.
Di certo tutta la mia esperienza non poteva essere rose e fiori: all'inizio ho detto che sono andato incontro a diverse crisi che mi hanno portato a travagliate verifiche della mia posizione e di certo altre ne verranno, comunque il fatto che mi ha angustiato di più e che anche adesso mi obbliga a continui ripensamenti è che spesso quando non sono a Lineri, ma torno nel mio ambiente di Catania, mi scordo cosa voglia dire agire da cristiano mettendomi perfettamente in contrasto con tutti quegli ideali secondo cui in altri ambienti cerco di vivere. È chiaro che agire con totale coerenza, come Cristo ci dice più volte, lasciando inascoltato ogni richiamo che ci può pervenire dalla «vita facile» non è semplice. È certo però che le crisi che ne possono susseguire, se accompagnate da attente verifiche della nostra situazione non vengono che per migliorarci o in ogni caso non certo per nuocerci (Giovanni - 18 anni).
LA CHIESA STA NASCENDO A LINERI
Il lavoro serio e programmato e la riflessione di fede hanno modificato il gruppo.
Gli abitanti di Lineri ci hanno arricchito. Hanno fatto di noi giovani «nuovi», diversi.
Su una cosa, oggi, ci troviamo tutti d'accordo: abbiamo scoperto sul vivo cosa significhi per noi «essere chiesa». Non in astratto, ma filtrando la fatica della nostra presenza a Lineri attraverso le categorie interpretative che la catechesi ci ha fornito e dando spessore di concretezza alle molte riflessioni teoriche che hanno percorso i momenti di verifica.
Lo scorso anno abbiamo di nuovo rimesso in discussione tutta la nostra attività. Per essere chiesa non potevamo continuare a gestire noi, in prima persona, il servizio. Fare chiesa a Lineri significava che gli abitanti scoprissero il loro radicale essere chiesa.
E così, con un nuovo obiettivo che non ci permetteva di mettere la parola «fine» alla nostra attività, siamo ripartiti.
Il terreno più disponibile erano i giovani. Abbiamo iniziato da loro. Prima abbiamo richiesto la loro collaborazione alle attività programmate: al doposcuola, all'organizzazione delle gite e di un tentativo di colonia, all'animazione del tempo libero dei ragazzi.
Poi la proposta: una catechesi speciale tutta per loro. A loro abbiamo presentato la scoperta che ha sostenuto il lungo cammino del nostro gruppo. Molti dei giovani non avevano ancora ricevuto il sacramento della cresima né fatto la prima comunione. Per «prepararsi», si trovavano assieme – e noi con loro, allo stesso livello di ricerca – per rivedere il senso del proprio essere cristiani.
Questi incontri sortirono un effetto insperato. Quei giovani si sentirono presto «gente del gruppo», a pieno titolo. E ci misero in crisi, perché ci fecero toccare con mano gli atteggiamenti da colonizzatori che ancora ci portavamo addosso e le contraddizioni di cui soffrivamo.
A Lineri sta nascendo la chiesa. La chiesa sono questi giovani, capaci ormai di porsi in pieno al servizio dei loro parenti e dei loro concittadini. A loro, ormai, dobbiamo passar la mano per la costruzione della comunità cristiana. Essi sono in grado di realizzarla in pieno.
È cambiato intanto anche il gruppo.
Prima tutti facevano tutto o quasi. Oggi parlare seriamente di partecipazione significa, tra l'altro, modificare i rapporti interni.
Abbiamo coniato uno slogan: settorialità come funzionalità.
Il gruppo è responsabile di tutto ma non può risolvere tutti i problemi. La gestione di singoli problemi è affidata autonomamente a sottogruppi «reali»: a chi è più dentro e ha più le mani in pasta.
Per conservare la comunione e la corresponsabilità, le riunioni plenarie non hanno più il compito programmativo, ma quello di verificare il rapporto tra le soluzioni spicciole e il progetto del gruppo. Ci pare di essere maturati, anche in questa prospettiva.
È la strada di un sano pluralismo, più rispettoso delle singole personali disposizioni e più pronto a rispondere alle diverse esigenze.
È, anche questo, un modo concreto per far nascere fattivamente la chiesa a Lineri.
Non ci sentiamo però degli arrivati, della gente che ormai può sedersi a godere il meritato riposo. Parliamo spesso, tra noi, di chiesa. Ma non è un felice possesso: né per il gruppo né per quella parte di Lineri che ci crede e collabora.
La chiesa è un progetto verso cui tendere. Un progetto che ci affascina da lontano.
Lavoriamo per farlo diventare realtà. Superando una esperienza di gruppo raggomitolato in se stesso, chiuso nei rapporti primari. Motivando in prospettiva di fede ogni nostro gesto. Vivendo la vita di ogni giorno in tensione continua all'eucaristia con cui concludiamo ogni nostra giornata. Ma soprattutto aprendo alla comunità reale che deve diventare chiesa: tutta Lineri.
A Lineri la chiesa ha preso l'umana carne di una zona abbandonata. In questa povertà è diventata una proposta. Oggi, davvero, a Lineri la chiesa sta nascendo.
Ho iniziato la mia esperienza a Lineri per un fatto puramente occasionale. Sarebbe troppo lungo narrare i particolari: una cosa però credo sia molto importante, mettere in evidenza soprattutto come effettivamente ci sia stato un miglioramento radicale ed una crescita in me. Precisamente il fatto che al momento del mio ingresso nel gruppo ero, come si suol dire, completamente «bianca»: non avevo ideali; vivevo passivamente la mia vita; avevo rinunciato pure alla fede: rifiutavo quella che avevo acquisito durante l'infanzia e, del resto, non mi andava di accettare qualcosa che non riuscivo a spiegarmi razionalmente. Non avevo neanche la minima idea di quali fossero gli ideali, le prospettive, il lavoro effettivo del gruppo. Accettai solo spinta dalla curiosità di vivere un'esperienza nuova; un'esperienza grande, tipo imprese da «Mille e una notte» tale appariva ai miei occhi.
Appena entrata ebbi subito un'attività da svolgere, anzi due: ripetizioni a cinque bambini delle elementari e il «giro».
Andare in giro mi servì moltissimo, soprattutto per cominciare ad inserirmi concretamente in quella realtà. I rapporti di amicizia che si creavano con le persone mi sembravano qualcosa di straordinario, di meraviglioso, e così mi gettai anima e corpo ad approfondire quell'esperienza. Ma fu ai momento che partecipai la prima volta alla riunione ed alla Messa che faceva il gruppo che avvenne il «patatrac».
Dopo la prima riunione, cui assistetti, cominciai a capire che, al di sotto di quell'attività filantropica, entusiasta come io la ritenevo, stava qualcosa di molto più profondo: un lavoro ed una complessità di problemi a me sconosciuti. La messa fu un vero «colpo»: quel modo nuovo, «diverso» di partecipare mi colpì moltissimo. Non era una di quelle «celebrazioni» cui ero abituata e che non mi dicevano assolutamente niente. Le frequentavo per tradizione; ma anche esse, a lungo andare, non le avevo accettate più. Qualcosa, quindi, senz'altro avvenne dentro di me. Ricordo ancora il turbamento di quei giorni: mi sembrava tutto assurdo e nello stesso tempo meraviglioso: io che fino a poco tempo prima avevo cercato, ma inutilmente, di spiegarmi razionalmente determinate cose, che poi del resto avevo preferito non affrontare più, adesso scoprivo tutta una dimensione nuova e tutto un mondo di valori prima sconosciuti.
E tutto ciò avveniva senza il minimo sforzo intellettuale, ma semplicemente stando accanto ai bambini, alle persone di Lineri, ai ragazzi del gruppo. Un momento molto importante fu la prima volta che feci la Comunione. Man mano che il mio impegno a Lineri aumentava, sentivo che non potevo continuare a partecipare alla Messa con la semplice mia presenza: occorreva una partecipazione vera che poteva realizzarsi solo nel momento della Comunione; mi decisi a fare il gran passo e da allora, poco a poco, cominciai a vedere quel momento come la autentica partecipazione, il completamento del mio impegno a Lineri. Forse ho descritto in modo molto veloce tutti questi avvenimenti. Certo ripensare tutta un'esperienza di tre anni è un po' difficile: ci si accorge di tante cose che prima, vivendole, non si erano notate.
Rileggendo ciò che ho scritto, sembra che tutto sia avvenuto come di seguito, tranquillamente. Eppure non è stato così: ogni singola scoperta, ogni piccolo momento di maturazione è avvenuto lentamente ed è frutto di molte difficoltà e di parecchie sofferenze. Passare da uno stato di «vegetazione» ad uno di scoperta di valori e poi all'altro di concretizzazione di tale scoperta, non è cosa tanto facile. Si devono superare parecchi ostacoli di qualsiasi natura, con se stessi e con gli altri.
Tutto il mio primo anno di esperienza a Lineri lo si potrebbe definire l'anno delle grandi crisi e delle grandi crescite a tutti i livelli. La presa di coscienza di determinate situazioni e la loro conseguente accettazione alla luce di quei valori che si sono acquisiti; il mio incontro con gli altri (genitori, compagni di scuola, etc...) che non mi accettavano nella mia nuova dimensione, furono alcuni dei fatti che mi causarono molta sofferenza ma che, nel momento in cui riuscii ad accettarli nella giusta luce, contribuirono moltissimo alla mia maturazione.
Fu nell'estate del '72, che avvenne un'altra svolta decisiva, anch'essa determinata da un fatto che forse, preso per se stesso, non direbbe nulla: l'instaurazione di un rapporto amichevole, molto profondo, con un ragazzo del gruppo ed una conseguente «apertura» agli altri componenti del gruppo. A questo proposito vorrei dire che sin dall'inizio, il mio inserimento nel gruppo era stato causa di molte difficoltà. Sono stata sempre piuttosto chiusa e questo impedì molto una mia apertura verso le persone del gruppo; avevo anche la sensazione di non essere accettata, e pure questo mi bloccava molto; e tanti altri motivi che qui sarebbe troppo lungo elencare avevano contribuito a pormi in una posizione, come dire, di «distacco» neí confronti del gruppo. Quei rapporti interpersonali che cominciarono a crearsi ed allargarsi, non dico che furono determinanti, ma certo contribuirono moltissimo alla soluzione di questo problema, e non solo di quello.
Quella certa maturazione che stavo tentando di raggiungere cominciava ad acquistare una dimensione più ampia ed influenzava anche l'azione concreta che svolgevo. Per prima ci fu quella che mi piace chiamare la «crisi dello sdoppiamento». Spiego meglio: mi accorsi che, mentre a Lineri mi veniva facile vivere, alla luce di quei principi che avevo accettato, non avveniva lo stesso altrove (intendo famiglia, scuola, etc...); qui il mio cristianesimo era soltanto teorico, in quanto il mio atteggiamento, le mie azioni non erano per niente coerenti con ciò che avevo maturato; mi chiesi il perché. Forse, mi sono detta, a Lineri è tutto più facile perché, bene o male, non ci sono grossi ostacoli: l'ambiente è favorevole, le persone mi accettano... ed altro; altrove non è così. Ed allora dicevo, non ha senso continuare, il mio è soltanto un cristianesimo di comodo, adatto per una situazione particolare. Occorreva subito una soluzione: non potevo continuare ad essere due persone: io a Lineri, io a Catania, e soprattutto Lineri non poteva essere un momento staccato di tutta la mia vita, l'occasione buona per mettere in atto il mio impegno cristiano. Fu difficile superare tutto ciò, ma poco a poco anche questo è stato superato: Lineri è adesso, non un momento, ma parte integrante della mia vita che, nonostante le difficoltà, cerco giorno per giorno, di accettare e di vivere alla luce del messaggio di Cristo.
E a questo punto un'altra svolta decisiva: misi in crisi tutta la mia azione concreta a Lineri. L'elemento fondamentale del messaggio cristiano è l'amore. Mi chiesi: «per me cosa significa amare gli altri?». Forse amarli sentimentalmente? Filantropicamente? Facendo la cosiddetta azione caritatevole? Ma tutto questo non è forse un modo per mettersi la coscienza a posto? La risposta è chiara: amare significa dare tutto perché l'altro «cresca» veramente; mi accorsi allora che nonostante tutto in fondo il mio impegno non era ancora a questo punto. Lavoravo si, senz'altro, ma con questo lavoro contribuivo realmente ad un'autentica «crescita» delle persone che mi stavano accanto?
Favorita dalla nuova struttura presa dal gruppo ho dato un nuovo orizzonte alla mia azione concreta a Lineri. Inserimento in un solo settore di lavoro, ma con un impegno molto profondo e che investe diverse prospettive ma che credo, stia contribuendo realmente ad una autentica promozione umana e cristiana (Carmela - 18 anni).