Lavorare per la rigenerazione dei ragazzi poveri... il nostro impegno politico

Inserito in NPG annata 1974.


Gruppo «giovani cooperatori» di Torino

(NPG 1974-06-38)

Ecco una esperienza che ad una lettura affrettata potrebbe apparire tanto comune, da non meritare neppure di essere raccontata.
Chi la pensasse così... incontrerebbe tutto il nostro disaccordo. Per due motivi almeno.
Prima di tutto, il «grande» e il «piccolo», nello impegno educativo ed ecclesiale, hanno unità di misura diverse dalla logica capitalistica. Non è «grande» quello che lascia a bocca aperta e «piccolo» ciò che tutti sono in grado di fare.
II parametro è su tutt'altra sponda: l'amore e il servizio. Meglio, il servizio ai poveri, per amore. Da questo punto di vista, l'esperienza è tale da meritare davvero notevole considerazione: ci si scontra con la povertà, l'emarginazione che provoca la fede e la sensibilità educativa di un gruppo di giovani.
Ma c'è un altro motivo, su cui vogliamo richiamare l'attenzione del lettore frettoloso.
L'esperienza che trascriviamo aiuta a capire come le intuizioni più semplici possono diventare importanti, se dosate e articolate con cura.
E di intuizioni educative preziose qui ce ne sono molte.
Ne elenchiamo alcune, a titolo d'esempio:
• La scelta del concreto, come spazio di intervento, al di là dei grossi sogni utopici, spesso irrealizzabili. La gratificazione al gruppo non viene dal «sentirsi vivo perché si fanno cose serie», ma dalla reale capacità di rispondere seriamente alle spicciole richieste concrete.
• il contatto frequente e coltivato con le famiglie: per non creare alternative che, in ultima analisi, rimbalzano «contro» i ragazzi che si vogliono servire a parole. Un contatto attento, sufficientemente critico, eppure di abbondante rispetto di una situazione che non può essere sconfessata solo sulla scorta dell'emotività e delle semplificazioni.
• Il tempo della colonia preparato e «continuato»: perché l'iniziativa non si disperda tra i bei ricordi. Il dopo-colonia ha i toni apparentemente dimessi delle cose normali (una gita, la visita in famiglia, il collegio per i più malandati...); ma sono proprio queste le cose che rispecchiano la normale sensibilità dei ragazzi e quindi le loro esigenze più vive.
• La dimensione politica dell'esperienza non accontenta certamente i «puri», che vorrebbero chiare definizioni di competenze e denunce di precise responsabilità.
vero; ma pericoloso. Il gruppo ha scelto la strada della persona, in un servizio più primario che strutturale. Una scelta con suoi pregi e innegabili limiti. Il gruppo se ne rende conto e non gioca all'oltranzismo. La proposta può offrire un prezioso contrappeso ad altre gestite secondo temi più esplicitamente politici (si pensi ad una esperienza simile e pur tanto diversa, raccontata in «Note di Pastorale Giovanile» 1973 /5); e viceversa.
Il gruppo in questione appartiene ad un movimento ecclesiale a risonanza nazionale (i «giovani cooperatori»). Nella trascrizione dell'esperienza l'accento non è messo sull'identità specifica del movimento ma sulle attività concrete di un suo gruppo locale.

(Elaborazione redazionale su materiale messo a disposizione dal gruppo)

OPERAZIONE COLONIA

L'iniziativa era partita quattro anni fa. Con i dubbi e le incertezze che segnano tutti i tentativi diversi.
Ora è una felice realtà, che ha alle spalle tanta di quella «storia» e un bagaglio così ricco di esperienze, che incominciamo a preoccuparci di non vivere di routine, nella scelta del nostro servizio. Perché, quando si lavora sul vivo di ragazzi, è un grosso guaio procedere o troppo a braccia o troppo in base a programmazioni prefabbricate.
Dunque... che facciamo?
Il nostro gruppo svolge un'attività estiva che ha lo scopo di offrire un soggiorno gratuito in montagna ad un numero di ragazzi poveri proporzionato alle nostre forze.
Torino è carica di ragazzi che non hanno nessuna possibilità di trascorre un periodo di vacanza in altra zona che non sia lo stradone sottocasa. Hanno genitori disoccupati o sottoccupati con lavori saltuari che non offrono assistenza sociale ai figli. E questi sono poveri reali. Non gli unici, però.
Noi diamo uno spazio anche a quei ragazzi che non hanno condizioni finanziarie disagiate in casa, ma che vivono in situazioni familiari carenti dal punto di vista morale e affettivo. E quando ci si imbarca in questa prospettiva con un briciolo di sensibilità, ci si accorge quanto la lista si allunghi...
Tutto questo nostro lavoro si muove dentro una piattaforma che si sta facendo sempre più precisa almeno a livello di consapevolezza (nei fatti... le cose sono poi ben complicate!). E la nostra «ideologia di servizio». Agli enti assistenziali compete il dovere di provvedere a molti casi di emarginazione minorile. Nonostante l'attuale capillarità del servizio, ci sono ragazzi ancora «di nessuno». Ma anche nella situazione ottimale, è ben difficile gestire un servizio educativo «per amore». C'è il rischio di burocratizzare tutto. E così l'aria marina o montana si sostituisce a quella inquinata della città. Ma il vuoto affettivo non è colmato.

Prima della colonia

L'operazione «reclutamento» è facilissima. Purtroppo si complica per i molti «no» che oggi siamo costretti a pronunciare.
Abbiamo ormai un giro di amicizie, personali e mediate.
Sacerdoti, parroci, gruppi giovanili che conoscono la nostra attività ci propongono i ragazzi per la colonia.
Alcuni del nostro gruppo hanno contatti professionali (insegnanti, assistenti sociali, infermiere...) che ci mettono necessariamente di fronte a situazioni di bisogno.
Le famiglie che hanno avuto bambini con noi negli anni scorsi, tornano spesso a bussare per richiedere il servizio o si fanno promotrici di proposte a conoscenti.
Insomma, non ci mancano le richieste. Diciamo dei no, perché la disponibilità di forze operative del gruppo... è ristretta. E soprattutto perché vogliamo assicurare un clima familiare alla colonia: il numero basso ne è condizione indispensabile.
Accettati i ragazzi per la colonia, iniziamo il contatto prolungato con le rispettive famiglie, per creare un clima di reciproca collaborazione.
Vogliamo conoscere a fondo l'ambiente di provenienza, per le ripercussioni che esso esercita sul carattere dei ragazzi.
Purtroppo le costatazioni cui generalmente approdiamo sono molto tristi. Ci confermano, se non altro, della necessità di un servizio come è quello offerto, anche se i rimedi andrebbero presi a ben altri livelli... Le famiglie rispecchiano una situazione di vera miseria.
I padri sono disoccupati, qualche volta perché... è più comodo. Lavorano solo saltuariamente, cercando di vivere di espedienti. Situazioni familiari disastrose, anche sotto il profilo morale. L'impegno educativo è scarso o nullo. E quindi i ragazzi crescono violenti, vendicativi, con equilibrio psichico instabile e soffrono complessi di inferiorità.
La loro scolarità è deficitaria. L'arco di accettazione per la nostra colonia va dagli 8 ai 14 anni, ma pochissimi sono a posto dal punto di vista scolastico.
Tutto questo clima si ripercuote nel momento della colonia e rende difficile il nostro lavoro. La loro violenza, ripercussione della violenza che subiscono nell'ambiente familiare, giunge ad essere vissuta anche nei loro diritti primari.
La carenza affettiva notevole li conduce a ricercare compensi in un ambiente che dà loro un calore familiare mai goduto: talvolta tendono a suscitare considerazione nei loro riguardi attraverso motivi negativi di interesse e di affermazione.

Durante la colonia

Questi sono i nostri ragazzi. Certo, costringono a vuota poesia i sogni di grandi interventi «alternativi». Anche a noi piacerebbe impiantare la nostra esperienza sulla linea di tante proposte che circolano. Ci crediamo profondamente e più di una volta ne abbiamo discusso tra noi e con qualche esperto.
Ma... è ben complicato.
Questi ragazzi stanno con noi una quindicina di giorni. Vengono da ambienti duri e difficili. Scoprono un modo diverso di essere e di socializzare. Incontrano amici più grandi di loro che non li sfruttano, ma li «servono».
Tutto termina così. Perché finisce il tempo della colonia. E perché, per loro, la vita riprende il pesante ritmo quotidiano. L'ambiente da cui sono venuti, li risucchia.
Il quadro può apparire pessimistico. Fosse vero! Ci abbiamo ragionato tanto. Se continuiamo... è perché crediamo al servizio, crediamo che qualche cosa incida e li modifichi, soprattutto se è efficace il «dopo colonia».
Gli interventi «speciali» nel periodo della colonia sono presto ricordati:

Un clima davvero di famiglia, tra noi e i ragazzi, per creare una proposta di affetto concreta e efficace. Le mille piccole cose che chi ha fantasia e amore educativo sa inventare... costruiscono questo clima.

Momenti di riflessione, umana e religiosa. Sia a livello informale che programmati e curati da tutto il gruppo degli «educatori».

L'incontro con i genitori. Una delle iniziative pùi interessanti. Ci pare molto importante far incontrare genitori e figli in questo «terreno neutro», che è il soggiorno, anche per offrire ai genitori la proposta concreta di come potrebbero essere i loro figli... se circondati da un pizzico più grande di affetto. Per molti è stata una scoperta: reciproca. Favorita dal clima di particolare calore predisposto da un'accurata preparazione.

I ragazzi sentono molto la responsabilità e ci tengono a farsi valorizzare. Per questo cerchiamo di moltiplicare le occasioni per affidare loro impegni, creando «responsabili» di servizio nella gestione della colonia. Purtroppo il sottofondo di violenza ogni tanto riaffiora. Non è raro il caso di ragazzi incaricati di qualcosa... che portino a termine la loro missione con pugni e calci.
Durante il periodo di colonia, notiamo spesso un relativo miglioramento nei ragazzi. Soprattutto migliora la loro capacità di maturazione e di assunzione di responsabilità. Il clima di famiglia che si crea rende sicuramente piacevole il soggiorno. Sono contati i giorni che mancano al termine... non per la nostalgia di tornare a casa, ma per il dispiacere di lasciare la colonia.

Il dopo-colonia

È certa una cosa: se tutto il nostro lavoro finisce con la colonia, sarebbe davvero ben poco. Aprire a ragazzi uno spiraglio su un modo diverso di vivere la vita quotidiana e bloccare tutto proprio nel momento in cui la prospettiva incominciava a prendere forma, significa frustrare le persone, creare attese sproporzionate alle risposte.
E – ne siamo convinti – non vale di sicuro in questo contesto il proverbio che «qualcosa è meglio di niente».
Sentiamo vivo il problema e siamo alla ricerca di risposte adeguate. Per il momento, ci muoviamo in queste direzioni:

• Per alcuni ragazzi è indispensabile il ricovero in istituti educativi che li impegnino a tempo pieno. Ci siamo dati da fare, muovendo il giro delle conoscenze. E abbiamo sistemato in collegio molti di questi ragazzi. Ogni tanto andiamo a trovarli. Non vogliamo che abbiano l'impressione di essere stati sbarcati sotto altro tetto, dopo aver chiuso, da parte nostra, la responsabilità. Sono – e continuano ad essere – dei «nostri», a pieno titolo.

• Continuiamo il contatto con le famiglie. Una visita periodica, almeno quindicinale. Per ricordare... i bei tempi della colonia e soprattutto per rispolverare impegni e tono. In molte famiglie ormai siamo di casa. Ci aspettano con ansia. I problemi loro diventano nostri. Cercano da noi la soluzione. In qualche caso, siamo riusciti a modificarne anche il ritmo, sistemando meglio il lavoro di papà e mamma, trovando un posto all'asilo per i più piccini, qualche mobile e un intervento serio dell'ufficio assistenza... Per altre famiglie siamo ancora degli intrusi. Ci guardano di brutto, come se venissimo a turbare una scelta inconsapevole ormai condivisa e consolidata. Si chiedono... che cosa ci possa essere sotto il nostro tipo di intervento.

• Un momento forte del dopo-colonia sono le passeggiate di tutto il gruppo: educatori e ragazzi. Natale, Pasqua, Carnevale... assieme. A rivivere in sedicesimo il tono di famiglia creato in colonia.

• Stanno andando in porto anche incontri periodici con i genitori dei ragazzi. Partiamo dai problemi spiccioli e concreti (la preparazione alla colonia, la gita programmata...) ma subito il discorso si fa educativo e
«politico». Cerchiamo di offrire a quelle famiglie in crisi di fiducia, una consapevolezza più piena della personale dignità e responsabilità. Molto spesso le riflessioni corrono su prospettive strettamente umane. Ma ci pare così di iniziare e di rendere possibile un discorso più ampio di evangelizzazione, in vista di una chiara esperienza di vita di fede, anche in famiglia.

Uno dei punti più critici del dopo-colonia è la possibilità aperta al ragazzo di confrontare la sua famiglia con il clima vissuto al soggiorno. È un problema che non trascuriamo. Lo sentiamo vivo anche se non vogliamo drammatizzarlo.
Senz'altro, il fatto di portare un ragazzo a vivere anche solo quindici giorni in un ambiente molto diverso da quello familiare può metterlo in una situazione di urto. Confrontare ciò che riceve da persone che, alla fin fine, sono degli estranei, che ha incontrato «a caso», con quanto gli danno i suoi genitori, dà certamente origine a conflitti. Ci preoccupiamo di non esasperarli, aiutando i ragazzi a prendere atto della provvisorietà della nostra esperienza. Nello stesso tempo, però, cerchiamo di guidarli a costruirsi una loro gerarchia di valori, per imparare a giudicare le cose nella loro giusta realtà. Il comportamento dei genitori è analizzato non soltanto a livello della loro personale responsabilità, ma è inserito in una dimensione sociale più vasta per i cui riverberi essi sono nel disagio che il ragazzo avverte.

L'IDENTIKIT DEL NOSTRO GRUPPO

Ci siamo definiti più su quello che facciamo che su quanto cerchiamo di essere. L'abbiamo, un po', fatto apposta. Perché ci pare più vero quanto diciamo di noi se nasce dai fatti. E perché fa parte del nostro spirito. Siamo un gruppo di servizio educativo-ecclesiale. La nostra identità e la nostra spiritualità sta proprio nel «tono» di fede con cui cerchiamo di essere presenti nelle situazioni di disagio.
La strada è ancora lunga: per chi di noi la sta percorrendo ormai da quattro-cinque anni e per chi è ai primi passi. E una scoperta che ci consola: i nuovi problemi e le nuove percezioni ci mantengono – come gruppo – «giovani», in fase ricerca.

Perché abbiamo scelto la colonia

Tutto il nostro gruppo è concentrato nell'unica attività di cui abbiamo parlato. Il resto gli gira d'intorno. Non tutti però sono sempre in prima linea. Per molti, cui gli impegni professionali lasciano poco spazio libero, il lavoro è più da retrovia. Ma non discriminiamo sui gesti. Perché ci sentiamo tutti al servizio di quella cinquantina di ragazzi che ogni anno portiamo in colonia. Qualcuno in un compito direttamente educativo. Altri nel racimolare i fondi, nel preparare i listoni dei viveri, nel progettare alla lontana metodi e interventi...
Perché abbiamo scelto «questa» attività e non altre?
E difficile dirlo. Ogni gruppo ha una sua storia che si fa chiara solo poco a poco. Le origini si perdono lontane. In alcune intuizioni, nel caso di un incontro, in una sensibilità particolare...
È proprio così anche per noi.
Siamo giovani cooperatori salesiani, cioè laici che attirati dalla missione di don Bosco vogliono continuare l'opera restando nella propria condizione sociale. Da don Bosco abbiamo imparato il fiuto... del lavoro con i ragazzi più poveri.
Ci siamo quindi interrogati: «Che cosa farebbe don Bosco oggi di fronte a tanti ragazzi, per lo più immigrati, che, vivendo in una estrema povertà, sono spesso trascurati dalle loro famiglie?».
Risposte molte... Alcune pretenziose e altre troppo minimaliste.
Non potevamo restare però a discutere, alla ricerca del verso giusto. Ci siamo rimboccati le maniche e siamo partiti.
Un primo timido tentativo, scelto più per necessità di cose che per profonda maturata convinzione. E poi la scelta decisa. La colonia come un grappolo di iniziative: una attira e conduce l'altra.
La colonia prima, perché le ferie erano l'unico tempo libero anche per noi. Finita la colonia, abbiamo capito che non potevamo chiudere tutto, nell'attesa delle prossime ferie. Quei ragazzi, reinseriti nelle loro famiglie, si sarebbero scontrati con gli stessi problemi di prima. Quindi si prolungano i contatti. Contatti epistolari. Poi incontri periodici: con i ragazzi e le rispettive famiglie. E, infine, tutto quell'insieme di attività di cui abbiamo parlato sopra.

La maturazione del nostro gruppo

Il lavoro ha maturato il nostro gruppo. Siamo diventati diversi. Sotto molti punti di vista.
La nostra spiritualità di impegno apostolico è notevolmente cresciuta. Sotto l'incalzare degli impegni ci siamo sentiti poveri e vuoti. Non potevamo programmare un servizio per amore, come si fa il punto sulla passeggiata o si prepara il menù della festa. Il lavoro senza ricarica di fede ci lasciava sempre più vuoti. Quindi abbiamo progettato molti momenti-forti, tutti per noi. Per scoprire il significato della nostra vocazione, proprio all'interno del servizio agli altri.
Abbiamo anche capito cosa vuol dire educare: essere «cooperatori». L'abbiamo capito di più nel duro delle lunghe giornate di colonia o a contatto con i ragazzi che ci toglievano il respiro di giorno e il sonno di notte. Quando ci incontravamo per riflettere, le mani piene di qualcuno arricchivano presto tutti. E quelle parole che prima scorrevano a fiumi, presto diventavano scarne, incerte, eppure tremendamente vere.
Il nostro gruppo si è anche consolidato in quanto gruppo. L'impegno, le preoccupazioni che l'hanno subito circondato, lo sforzo continuo di scoprire i valori profondi che dovevano innervare il servizio, hanno fatto gruppo. Ci hanno fuso e legato profondamente. Ora ci sentiamo «uniti», anche quando siamo... in libera uscita. Perché il chiodo dell'impegno educativo con questi ragazzi poveri ci martella dentro.

E... con l'impegno politico?

Dobbiamo parlarci chiaro. Non siamo sciocchi e ci sentiamo un po' «ossa fuori posto» nel mondo giovanile attuale.
Non tanto perché dedichiamo il mito delle ferie a lavorare per gli altri, quando un sacco di giovani scorazzano nei luoghi di villeggiatura... a godersi il meritato riposo.
Ma soprattutto perché ci accorgiamo di fare un... pericoloso lavoro di supplenza. E quindi siamo in crisi sulla sponda dell'impegno politico. Più di un amico potrebbe contestarci che, attraverso il nostro lavoro, perpetuiamo una situazione di irresponsabilità sociale, aggiustiamo le falle, mentre sarebbe necessario far esplodere un sistema così ingiusto che crea ragazzi come quelli che incontriamo... E cose del genere.
Il ritornello lo conosciamo ormai a memoria. E lo condividiamo. Crediamo tanto alla persona, a quei poveri ragazzi «terra di nessuno», che sentiamo il dovere di intervenire a rabberciare invece di far esplodere. Non vogliamo che la rivoluzione si faccia sulla pelle di ragazzi che soffrono la fame, l'aria inquinata, l'ignoranza e l'emarginazione culturale, la crisi di affetto.
Vogliamo fare qualcosa per loro. Poco ma subito. E qualcosa per le loro famiglie. Ancora: poco ma subito.
Altri metteranno in cantiere impegni a più largo respiro. Li rispettiamo. Ne condividiamo tutta l'ansia e l'attesa. Siamo con loro. Ma vogliamo servire «subito» anche quei poveri ragazzi.
La nostra non è però solo un'opera di aggiustaggio provvisorio. Cerchiamo di dare la coscienza della personale dignità ai ragazzi e alle loro famiglie. Offriamo lo spazio per una cultura, a chi ha sofferto da sempre di marginalità. Interveniamo presso gli enti provinciali e statali perché facciano il loro dovere sociale. Bussiamo a tutte le porte. E non solo per raccogliere fondi. Paghiamo di persona: in tempo, denaro, fatica.
Questo è il nostro impegno politico.
Ci pare molto cristiano e decisamente «alternativo». Proprio nei termini in cui facciamo di tutto per non assolutizzarlo.