A cura del CSERPE
(NPG 1974-04-60)
I dati che vengono qui presentati sono il risultato in sintesi della elaborazione di una ricerca condotta, nei mesi di febbraio-marzo 1973, dal CSER-CSERPE sui giovani italiani emigrati in Svizzera.
La ricerca comprende un arco di età tra i 15 e i 25 anni, per offrire la possibilità di studiare gli effetti dell'emigrazione su individui ancora nel periodo della adolescenza e su individui che da essa sono già usciti.
Il problema è di estrema rilevanza. Non interessa solo gli operatori pastorali che agiscono a contatto con i giovani intervistati. Investe direttamente la pastorale giovanile italiana, soprattutto delle zone da cui parte il flusso migratorio, chiamata in causa dagli atteggiamenti e ideali di giovani che vivono la propria identità cristiana in condizione particolarmente difficile, senza il sostegno che molte regioni italiane ancora offrono.
Comunque ne riparleremo, studiando un progetto pastorale per i centri di formazione professionale, luogo dove, in alcune regioni italiane i giovani fanno «apprendistato» per l'emigrazione.
Per il momento ci preme portare a conoscenza degli operatori pastorali italiani le conclusioni più rilevanti di una ricerca seria e attendibile, cui possono far riferimento coloro che sono interessati ad una visione più completa e documentata di questa nostra sintesi.
CARATTERISTICHE GENERALI
DELLA EMIGRAZIONE GIOVANILE IN SVIZZERA
L'età
La zona francese della Svizzera presenta un gruppo di giovani italiani con un'età sensibilmente inferiore a quella della comunità giovanile della Svizzera tedesca. La diversità è principalmente dovuta alla maggior anzianità della collettività italiana della Svizzera francese: ciò ha portato alla costituzione di un folto gruppo di adolescenti italiani nati in Svizzera: 13%.
L'origine geografica
Si presenta più equilibrata per la Svizzera francese mentre nella Svizzera tedesca abbiamo il 75% dei giovani che sono di origine meridionale.
L'anzianità migratoria
Dobbiamo notare che è di fondamentale importanza per la formazione della personalità di base il periodo in cui è avvenuto il trasferimento all'estero.
La formazione scolastica e professionale
Si può dire che per i ragazzi che sono emigrati dopo i 15 anni la formazione di base ricevuta in Italia è stata per quasi tutti sufficiente a dare gli elementi necessari; essi si trovano ad avere una preparazione molto migliore di quella dei loro genitori.
Rispetto agli immigrati dall'Italia la situazione dei nati in Svizzera sotto l'aspetto scolastico e professionale è ancora migliore.
Abbiamo sostanzialmente un giudizio positivo sull'educazione ricevuta a scuola, sotto il profilo della preparazione alla professione; più critico invece quando è guardata come preparazione alla vita.
La professione
Nel complesso la separazione e l'inserimento professionale dei giovani emigrati appare in posizioni favorevoli e senz'altro migliori di quelle delle classi di età più elevate. La sicurezza dello statuto professionale può essere un elemento stabilizzatore nella psicologia del giovane e nelle sue aspettative: e questo è un elemento favorevole per l'azione pastorale.
La lingua
La lingua locale è sufficientemente usata nei rapporti di lavoro. Fuori del lavoro, i giovani italiani si ritrovano più spesso tra loro formando un in-group, un gruppo etnico con scarsi rapporti di comunicazione con l'ambiente locale.
IL QUADRO DEI VALORI MORALI
Quali sono i valori cui fanno riferimento i giovani emigrati italiani in Svizzera? Teniamo presente che, nel linguaggio sociologico, per valore si intende l'importanza che si dà ad un oggetto, che può essere anche ideale, sotto la sollecitazione che, in dato contesto storico e sociale, viene alla persona da un insieme di oggetti che si propongono alla sua attenzione. È chiaro che l'attribuzione di importanza e, soprattutto, la gerarchizzazione degli oggetti d'interesse viene fatta non dall'individuo isolatamente ma nel contesto della sua inculturazione; la trasmissione della scala di valori è anzi uno degli aspetti fondamentali della azione formativa perché da essa dipendono poi i modelli di comportamento. Nell'azione pratica e nelle sue aspirazioni infatti l'individuo si riferisce sempre ad una scala di valori poiché, logicamente, egli è attratto da una cosa in proporzione dell'interesse che sente per essa e l'interesse lo sente perché a questa cosa viene attribuito un peso, un valore. Ecco perché è di fondamentale importanza rilevare la scala di valori cui si riferiscono i giovani emigrati in Svizzera, prima ancora dei loro atteggiamenti pratici. Sarà interessante soprattutto vedere quale posizione occupano, in questa scala, i valori che tradizionalmente vengono ritenuti importanti nella educazione e formazione religiosa e civile.
Al primo posto essi pongono il rispetto per la vita altrui e propria. Subito dopo abbiamo i valori di giustizia, verso la famiglia anzitutto, e il senso della giustizia sociale.
Vengono poi due valori che assolutamente non ci si aspetterebbe fossero così collocati in un modello culturale latino: il rispetto per gli animali e per le regole del traffico..E questo un esempio della sedimentazione di modelli estranei alla primitiva inculturazione, che non attecchiscono ma semplicemente nascondono le carenze di socializzazione.
Nella parte inferiore della scala dei valori vengono infine le azioni che implicano una certa consequenzialità di fede religiosa (scarsa considerazione per la bestemmia), di lealtà interpersonale e di pratica religiosa.
Notiamo la perdita del senso della Messa domenicale e della moralità sessuale-familiare tradizionale.
Notiamo come il valore della vita individuale e familiare si accompagna ad una frattura de' valori morali religiosi tradizionali; l'insensibilità ai valori societari e di sincerità nei rapporti interpersonali, propria della nostra cultura, è a malapena mascherata dall'acquisizione di un certo modello svizzero di ordine formalistico.
GLI IDEALI DI VITA
Gli ideali di vita si ricollegano strettamente alla scala dei valori. Abbiamo visto che dalla scala dei valori non emergono in primo piano i valori sociali (eccetto il senso della giustizia) né quelli della fede e morale tradizionale in campo sessuale e di pratica religiosa.
Dominano gli ideali individualistici-intimistici, con una forte connotazione di fuga dalla realtà e dagli impegni sociali (anche l'ideale familiare si riduce all'equilibrio tra i partners) anche se direttamente si rinnega un ideale apertamente edonistico come quello del «godere la vita» allo stesso modo di un ideale di vita che si ricolleghi direttamente ai valori della fede religiosa.
C'è una domanda, nell'inchiesta, che serve ad approfondire gli ideali di vita e a completare quanto siamo venuti finora dicendo.
Notiamo, ai vertici delle preferenze, l'aspirazione al posto sicuro, di successo, che può garantire a se stessi e di fronte agli altri di essere riusciti: il desiderio di costruirsi la casa in Italia si collega strettamente a questo ideale e ci mostra come non si possa parlare di integrazione per questi giovani (vedremo che la casa in Italia è il sogno anche per i ragazzi nati in Svizzera: è la trasmissione di un valore familiare-paterno di primario interesse nel meccanismo delle aspirazioni dell'emigrato).
L'ultimo posto nella scelta di impiego di una ipotetica somma di danaro, va alla costruzione di una fabbrica. Non si possono trarre conclusioni affrettate da questo semplice test ma non possiamo non notare come la generalità anche dei giovani emigrati dimostri una scarsissima aspirazione dell'imprenditorialità, che è poi una delle più gravi carenze del Meridione d'Italia. L'ideale impiego delle risorse e dei mezzi che si ricavano in emigrazione rimane ancora, sul tipo tradizionale, la costruzione della casa in Italia: la costrizione delle aspirazioni entro i limiti angusti individualistico-familiari di paese rischia di fare dell'emigrazione giovanile in Svizzera l'ennesima occasione perduta per lo sviluppo del Mezzogiorno e per l'emigrazione italiana in generale.
Una considerazione torna qui opportuna: la nuova generazione in Svizzera sembra essersi sbarazzata facilmente dei valori religioso-morali tradizionali. Ma se il Dio tradizionale si è fatto, in un certo senso, lontano, la personalità di base del giovane emigrato rimane ancora chiusa entro gli schemi culturali patriarcali nelle sue aspirazioni e scelte di fondo: ci si può allora chiedere se il comportamento deviante rispetto ai valori di fede e di morale tradizionali non sia una inconscia rivolta contro le angustie di una inculturazione di cui si avvertono le carenze ma che, proprio per queste carenze e per i vuoti che ha creato, obbliga a cercare sicurezza all'interno dei modelli e dei valori familistici (l'ideale della casa in Italia e del coniuge dello stesso paese). La ricerca psicologica potrebbe qui dire molto. Ma anche la pastorale potrebbe, a partire da questi meccanismi del profondo, impostare un discorso di vera liberazione.
FEDE ED ESPERIENZA DI FEDE
Il 94% dei giovani emigrati dice che la propria religione è la cattolica: la lontananza da Dio dei giovani (così come appare dalla scala di valori e di ideali) non significa quindi per la gioventù italiana emigrata sconfessione di una religione cui tradizionalmente si appartiene: sono le motivazioni di questa religione che sembrano appassite così come alcune verità portanti del messaggio cristiano, come vedremo subito.
L'esistenza generica di Dio è affermata dal 72,4% dei giovani nella zona francese e dal 73,9 nella zona tedesca.
L'alto numero dei dubbiosi (1/5 dell'intero campione) ci mostra come sia in atto tra i giovani emigrati, nonostante la ancora massiccia professione di cattolicità, un allontanamento dall'idea di Dio che, più che un rifiuto, è una specie di anestetizzazione della sua figura. Questa perdita dell'idea di Dio si accompagna al rifiuto dell'idea della «trascendenza» in ciò che ha di più esistenziale: in quelle verità cristiane che interessano direttamente il soggetto e la sua sorte particolare e hanno impliciti riflessi sulla sua condotta di vita poiché tali verità implicano che l'esistenza presente verrà sanzionata nell'al di là. E proprio questo «al di là» che ottiene un elevato numero di rifiuti.
E interessante notare come l'esistenza del Paradiso ottenga più consensi dell'esistenza dell'Inferno e come i giovani della zona tedesca si dimostrino più credenti in queste verità che non i giovani della Svizzera francese, anche se non si può spiegare come si sia disposti ad ammettere un paradiso quando si nega l'esistenza di un'altra vita. Questa maggior percentuale di adesione all'esistenza di un castigo e di un premio soprattutto, che non di una vita dopo la morte, è un po' una costante che si ritrova in diverse ricerche di sociologia religiosa e che viene diversamente spiegata: generalmente pare che l'esistenza di un premio e di un castigo (il Paradiso e l'Inferno) non sia collegata, per tanta gente, all'idea di un'altra vita quanto piuttosto ad una specie di premio e di castigo che già in questa vita viene aggiudicato ai buoni e ai cattivi. L'idea della immortalità personale è difficilmente reperibile in tale mentalità.
Notiamo come gli ideali fondamentali non siano in sostanza rinnegati: il rispetto per gli altri, il senso di giustizia, il rifiuto di ogni idea di superiorità razziale, ecc., sono tutti elementi che indicano una ricchezza interiore. Ciò che sembra mancare è un respiro più ampio a questi ideali e un orizzonte che non sia quello angusto del «io rispetto ma mi faccio rispettare» proprio della vecchia emigrazione italiana. In questo campo può trovare posto quel discorso di liberazione che, riportando all'autentica visione della fede cristiana, diventa anche e al momento stesso discorso di liberazione dell'uomo.
Dalla tabella si può ricavare un'osservazione molto importante: notiamo al vertice la verità indiscutibile, prima ancora dell'esistenza di Dio, del diritto personale a spendere liberamente i propri soldi. Con tutta probabilità ciò che gli intervistati volevano affermare non era tanto il diritto a sprecare i propri soldi o a spenderli senza giudizio, quanto il diritto al possesso integrale del frutto del proprio lavoro e alla sua collocazione o investimento come all'individuo pare più opportuno, senza legami o costrizioni societarie. L'emigrazione è un atto individuale, nella scelta, e individuale rimane anche per i giovani l'investimento degli eventuali frutti di questa scelta: è il nodo centrale dell'emigrazione italiana da cui anche la giovane generazione pare incapace di sciogliersi.
Abbiamo vista la fede e una certa qualificazione di essa, almeno di fronte alle verità ultime, dei giovani emigrati. Possiamo precisare meglio quale esperienza di fede essi vivano in rapporto alla idea o alla figura di Dio che abbiamo visto essere ancora accettata in larga misura?
Una domanda del questionario mirava proprio a ricercare questa dimensione esperienziale nei rapporti con Dio.
La preghiera personale viene indicata dai giovani della Svizzera francese come il modo principale di parlare con Dio. Invece il parlare con Dio aiutando gli altri è al primo posto nella zona tedesca.
Questo parlare con Dio aiutando gli altri attenua in parte l'impressione di poco solidarismo che appare dall'insieme degli ideali e delle aspirazioni dei giovani. Non dobbiamo però attribuire ad esso un soverchio
peso come se di fatto i giovani avessero scoperto la dimensione teologica dell'amore al prossimo o qualcosa di simile. Bisogna andare molto cauti nel generalizzare: in una precedente inchiesta su un campione molto più ampio di emigrati è risultato che la dimensione orizzontale altruistica della religiosità è ammessa da una buona percentuale di intervistati come l'essenza, in un certo modo, del cattolicesimo ma viene praticamente ridotta al «rispetto» per l'altro e quasi mai viene chiamata in causa una correlazione Dio-prossimo. Possiamo però intendere l'affermazione dei giovani di parlare con Dio quando aiutano gli altri come coscienza di essere in sintonia con qualcosa di superiore allo stretto orizzonte che normalmente chiude le loro aspirazioni e quindi, effettivamente, si tratta di vera esperienza religiosa.
Scarsa è la percentuale di coloro che affermano di parlare con Dio soprattutto quando sono in chiesa (tra il 19 e il 22%: praticamente 1/5 degli intervistati). Una quota molto elevata (più del 35%) afferma di non parlare mai con Dio in chiesa: ciò non significa che non sentano mai Dio in chiesa perché in questa percentuale confluiscono anche i numerosi non praticanti; dobbiamo però prendere atto di una frattura ormai profonda tra la pratica alla chiesa e il sentirsi in rapporto personale con Dio.
IL RAPPORTO CON LA ISTITUZIONE ECCLESIASTICA E LA PRATICA RELIGIOSA
Per «rapporto con la istituzione ecclesiastica» intendiamo fondamentalmente il rapporto con i sacerdoti.
In generale si nota una diminuzione dei contatti con i preti a seguito dell'emigrazione.
La figura del prete viene spontaneamente associata dall'emigrato adulto all'idea della educazione e della formazione del bambino, anzi si tende a ridurne primariamente la funzione proprio a questo. «Quando uno è bambino ha bisogno del prete, quando diventa grande non ha più bisogno del prete ma del lavoro». Il voler prendere le distanze dalla figura del prete e l'allontanamento dall'idea di Dio diventano allora conferma di una unica tendenza: hanno il significato di un tentativo di abbandonare schemi interpretativi della realtà, valori, norme e modelli di comportamento troppo angusti. Dio e il prete fanno le spese, in un certo senso, di una ribellione che si dirige contro una formazione e dei valori che vanno profondamente modificati e inseriti in un nuovo contesto sociale. La riflessione pastorale dovrà porre la sua attenzione a questa funzione di schermo e di copertura ad un certo tipo di familismo patriarcale che viene ad avere sia la figura che l'azione del sacerdote missionario: se questa interpretazione è abbastanza vicina alla realtà del dinamismo psicologico soprattutto dell'emigrazione meridionale, bisognerà andar molto cauti nel lasciarsi andare ad un'azione pastorale tipo «manifestazione di bisogno-soddisfazione» perché si rischia di mantenere dei meccanismi di fuga e di regressione in modelli di comportamento che sono incapaci di interpretare la realtà.
Il giudizio che i giovani danno sulla formazione ricevuta in Italia e sul prete, in genere è positivo.
Ciò a cui si assiste è il progressivo deterioramento delle motivazioni, pratiche e credenze religiose che non hanno avuto sufficiente tempo di attecchire e di svilupparsi, soprattutto data la cronica carenza di formazione catechetica durante l'adolescenza, grave in Italia ma ancora più problematica per i trasferimenti all'estero. I germi della prima formazione religiosa non giungono a sviluppo e restano, più o meno, come sottobosco di fronte al rigoglioso sviluppo di motivazioni e valori di più immediato interesse.
Consideriamo infine come vorrebbero i giovani che fosse esercitata l'attività del prete.
Il risultato è stato di mettere in primo piano una visione del prete come il factotum sul piano dell'assistenza sociale, colui che deve sbrogliare l'emigrato dalle difficoltà di trovare alloggio, lavoro, ecc. Questa accentuazione dell'attività del missionario italiano, sulla linea della più tradizionale esigenza della vecchia emigrazione, fa rimanere un po' perplessi. Non si tratta infatti di una esigenza, da parte dei giovani, che il prete si impegni e comprometta con la realtà della storia e del mondo (un discorso di secolarizzazione è il più alieno dalla mentalità dei giovani emigranti, tant'è vero che al secondo posto, dopo l'attività di servizio sociale da parte del prete, collocano subito la celebrazione della Messa), quanto invece di un giudizio di valore dato in stretta conformità con la visione paternalista e tradizionale del prete-scorciatoia per arrivare ad ottenere, prima e meglio, quei servizi che nell'anonimato di un ufficio o di una pratica burocratica suscitano istintiva diffidenza in chi è abituato al contatto personale. Due visioni si riallacciano qui all'idea del prete come aiuto: l'idea del prete che ha potere più degli altri (ed è la permanenza dello stereotipo della stretta connessione tra potere politico e potere clericale, tipica della mentalità religiosa soprattutto meridionale), e il desiderio di recuperare il contatto personale come salvaguardia dall'anonimato burocratico. Entrambi questi fattori ci mostrano come agiscono ancora in profondità i vecchi modelli culturali.
I RAPPORTI SOCIALI, POLITICI E IL TEMPO LIBERO
Com'è la vita di gruppo dei giovani emigrati? Si è visto come distribuiscono le loro amicizie con prevalente tendenza a limitarle all'ambiente etnico italiano.
Inoltre i dati della ricerca fanno vedere una situazione abbastanza desolante per quanto riguarda la partecipazione dei giovani alla vita sociale e politica.
Come trascorrono il tempo libero? La percentuale più grossa (38%) in locali pubblici (bar, cinema, sale da ballo). Uno dei modi di trascorrere il tempo libero che la ricerca ha voluto puntualizzare sono: la frequenza al cinema e le letture.
Non c'è grande frequenza agli spettacoli cinematografici: il genere preferito è quello drammatico.
La lettura dei giornali è diffusa ormai tra i giovani: il 73% nella zona francese e il 69% in quella tedesca affermano di leggere un giornale almeno, lungo la settimana: per la Svizzera francese trovano posto i giornali locali in buona misura; per la zona tedesca invece c'è il predominio della stampa italiana: Gazzetta dello Sport e Corriere della Sera sono i giornali più letti dai giovani.
Meno diffusa la lettura di libri.
Passando a considerare più direttamente il grado di interesse al mondo politico che opera in emigrazione (sia quello italiano che quello svizzero), e la conoscenza che degli organismi che s'interessano all'emigrazione ha il giovane in Svizzera, troviamo una ignoranza massiccia di Enti, organizzazioni, iniziative che pure trovano una eco sulla stampa più recente.
I PROBLEMI APERTI DEI GIOVANI EMIGRATI IN SVIZZERA
Agli intervistati fu sottoposta una lista di problemi che sono più o meno comuni ai giovani.
La distribuzione dei problemi ci può servire come quadro riassuntivo della realtà giovanile in Svizzera.
Notiamo ai vertici della classifica il problema della libertà.
Il problema della libertà ci rende avvertiti del disagio profondo in cui si dibattono i giovani di fronte alla realtà in cui sono immessi: le strutture di valori che essi hanno assimilato, soprattutto nell'educazione familiare, sono incapaci di interpretare la realtà nuova e le trasformazioni dell'ambiente di emigrazione. Il condizionamento interiore è apparso molte volte nel corso dell'analisi di comportamenti e di giudizi dei giovani e si è vista l'ambivalenza che regna spesso in tali comportamenti, soprattutto sul piano dei valori religiosi. Abbiamo già riscontrato il posto che può trovare, in questa ansia di libertà dei giovani, una coraggiosa pastorale di liberazione e di inserimento in una solidarietà più ampia di quella offerta dalla tradizionale visione familistica.
Il problema dell'amore richiama la scelta del coniuge in cui si giocano i valori della prima inculturazione molto più che in una normale scelta matrimoniale in Italia: si è visto infatti cosa significhi il richiamo delle proprie origini (moglie e casa al paese) come meccanismo di difesa e di fuga dalla realtà. Il giovane avverte tutta la problematica del rapporto con l'altro che, prima ancora di essere rapporto con l'altro sesso è presa di contatto con un mondo di valori e di comportamenti spesso ordinati su una scala completamente diversa da quella che gli è stata tramandata. Il problema è poi aggravato, certamente, da tutto l'insieme dei problemi implicati dal rapporto tra i due sessi. Una educazione familiare e religiosa tradizionale non ha certo preparato questi giovani ad affrontare e vivere il problema dell'amore, anche dal lato strettamente morale dei limiti da porre all'attività sessuale: notiamo, a questo proposito, come sia una consistente minoranza quella che mette in evidenza la gravità dei problemi sessuali.
La questione della giustizia sul lavoro è pure un problema centrale e di fondo, ben diverso dal problema contingente del proprio avvenire. Si è già visto come la coscienza della giustizia sociale sia viva nei giovani emigrati: ciò che invece non trova come naturale corollario un comportamento di sincerità e di solidarietà sociale. Il valore di «rispetto dell'altro» e il senso della giustizia sembrano contrarsi alla loro connotazione negativa «non fare»: l'impegno personale di solidarietà non viene avvertito. Un'ultima osservazione va fatta a proposito della scarsa importanza data ai problemi strettamente religiosi: essi vengono praticamente relegati all'ultimo posto. Se però poniamo attenzione al valore preminente dato al problema della libertà e ricordiamo la funzione di copertura che riveste l'ideale religioso e la figura del sacerdote, sui quali si riversano la dialettica e lo sforzo di distaccarsi dal modello patriarcale della prima inculturazione, vediamo che la ricerca di spazio per nuovi valori e interpretazioni della realtà viene messa proprio al primo posto.
Accompagnare gradualmente i giovani in questa ricerca di una nuova sintesi di modelli, norme e valori, che sappia resistere all'ansia e alla tentazione di chiudersi negli schemi sicuri ma asfissianti della prima inculturazione, troppo affrettata e parziale per costruire una vera personalità di base, e che sappia proiettare nel più ampio orizzonte della comunione cristiana i valori del familismo e del solidarismo della società primaria, può allora essere l'obiettivo dell'impegno pastorale tra la giovane generazione in Svizzera.