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    Introduzione a: Umanesimi, giovani e fede



    (NPG 1978-02-13)


    Noi viviamo in un'epoca in cui si sta preparando una nuova cultura.
    La Gaudium et spes ci ricorda: «Con il termine generico di cultura si vogliono indicare tutti quei mezzi con i quali l'uomo affina ed esplica le molteplici sue doti di anima e di corpo; procura di ridurre in suo potere il cosmo stesso con la conoscenza e il lavoro; rende più umana la vita sociale sia nella famiglia che in tutta la società civile, mediante il progresso del costume e delle istituzioni; infine, con l'andar del tempo, esprime, comunica e conserva nelle sue opere le grandi esperienze e aspirazioni spirituali, affinché possano servire al progresso di molti, anzi di tutto il genere umano.
    (...) Le condizioni di vita dell'uomo moderno, sotto l'aspetto sociale e culturale, sono profondamente cambiate, così che è lecito parlare di una nuova epoca della storia umana» (GS 53 e 54).
    Una cultura sta finendo e si sta preparando una nuova epoca culturale.
    I giovani sono pronti e facili catalizzatori degli aspetti più nuovi di questa cultura. Questa è una costatazione pacifica: fuori problema.
    Il problema è un altro: quale progetto d'uomo emerge in questo cambio culturale?
    La GS ha tracciato una definizione di cultura che ruota attorno a dimensioni costitutive dell'essere uomo.
    «Cultura» è perciò «visione dell'uomo»: umanesimo (e cioè raccolta di elementi che descrivono «chi» è l'uomo).
    Ci sono molte altre definizioni di cultura. Noi ci riconosciamo in questa e parlando di cultura ci muoviamo in questo orizzonte.
    Il discorso sull'uomo non è mai un fatto neutrale. Investe immediatamente la quotidianità dell'esistere, personale e sociale, e il significato (l'integrazione o la disintegrazione) della fede nella maturazione umana.
    Il tema ci tocca perciò molto da vicino.
    Quali modelli di umanesimo sono presenti nella «nuova cultura»?
    Che influsso essa esercita nell'attuale condizione giovanile? Possiamo parlare di un umanesimo o ci troviamo in un complicato intreccio di diversi umanesimi?

    FATTI

    Un grosso rischio della pastorale in genere e di quella giovanile in particolare è di fare un discorso sull'uomo come essenza relegata fuori della storia e non invece come soggetto in continua evoluzione e strutturantesi storicamente in diversi progetti.
    Per non correre questo rischio è importante una attenta riflessione sulla sensibilità del mondo d'oggi e sulla situazione psico-sociologica dei giovani del nostro tempo. Dalla riflessione emergeranno i modelli di umanesimo
    che oggi sono proposti ai giovani e in cui loro si riconoscono e gli interrogativi che questi progetti di uomo pongono agli operatori pastorali, primo fra tutti se in essi è possibile una acculturazione della fede o se invece la loro accettazione porta necessariamente alla disintegrazione della fede.
    Gli umanesimi non si ritrovano allo stato puro, ma sempre e solo incarnati nel comportamento e nelle scelte concrete dei giovani. Questo rende problematica l'analisi che ci proponiamo, sia perché impedisce di procedere con metodo
    deduttivo-speculativo sia perché complica la ricerca di parametri su cui misurare
    i progetti.
    Abbiamo fatto delle scelte. La prima è quella di procedere analizzando criticamente tre riviste che girano oggi tra i giovani. Ci è sembrato che fra i diversi approcci possibili fosse uno dei più semplici e corretti.
    La seconda scelta riguarda la griglia di lettura. Su quali parametri fare oggi una analisi dei diversi umanesimi?
    Ne abbiamo rintracciato tre (la persona, la comunità, la religione) e li abbiamo approfonditi, uno per uno, in diverse direzioni, cercando di focalizzare due livelli: quello dell'interesse' disinteresse verso i diversi oggetti sociali e quello della motivazione sottostante alle varie scelte.
    Queste battute sottolineano il limite e il significato della rassegna.
    Non intendiamo giudicare le riviste che abbiamo scelto come campione.
    Uno-due numeri sono assolutamente insufficienti per fare un discorso corretto.
    E neppure pretendiamo di ridurre gli umanesimi oggi presenti nel mondo giovanile a quelli espressi dalle riviste analizzate. Ci troviamo in un groviglio culturale così largo e confuso, che sarebbe follia tentare una schematizzazione troppo rigida.
    Il nostro obiettivo è un altro: fare solo un esempio, di contenuto e di metodo.
    Un esempio di umanesimi oggi in circolazione e un esempio di metodo di lavoro per ricavare questi dati mediante un procedimento induttivo.

    PROSPETTIVE

    Entriamo nel vivo del problema che abbiamo messo in programma in questo dossier. Dobbiamo studiare il rapporto tra fede e cultura.
    Preferiamo condurre la nostra ricerca nel concreto: abbiamo davanti agli occhi la cultura di oggi (i diversi umanesimi presenti nel mondo giovanile), l'esperienza cristiana vissuta nelle difficoltà attuali (soprattutto in merito alla sua «significatività»), «questi» giovani, immersi in un intricato groviglio di proposte e spesso oscillanti da una visione culturale all'altra, con una strana mobilità.
    Il concreto si fa progetto per l'azione con valore universale, solo se è compreso in profondità e interpretato alla luce di orientamenti generali. Altrimenti siamo nel pragmatismo più pericoloso.
    Vogliamo rispettare anche questa istanza educativa.
    Lo facciamo sia offrendo del materiale contemporaneamente concreto e universale, sia richiamando alcuni principi interpretativi fondamentali. Abbiamo già pubblicato due interventi assai stimolanti: vanno riletti da quest'ottica (T. Goffi, «Una fede acculturata nell'oggi», 1977/5; G. Piana, «Integrismo e radicalità cristiana», 1977/1). Aggiungiamo queste note iniziali, che hanno lo scopo di inquadrare il problema. Ci ispiriamo ad un editoriale de «La civiltà cattolica» («È possibile una cultura cristiana?», 1976 IV 209-218).

    1. Cultura è umanesimo

    Abbiamo già ricordato la definizione di cultura in cui ci riconosciamo. In essa entrano in gioco tre elementi:
    – una visione dell'uomo, del mondo e della storia;
    – un insieme di valori;
    – un insieme di comportamenti personali e sociali che traducono nella vita concreta la visione del mondo e i valori proposti.
    La cultura comporta sempre un processo di umanizzazione, perché realizza (e spinge a realizzare storicamente) un determinato progetto sull'uomo. La cultura è «umanesimo».

    2. L'ispirazione cristiana della cultura

    Si può parlare di «ispirazione cristiana» di una cultura se i dati fondamentali della fede cristiana «ispirano» (danno significato e consistenza) ai tre elementi sui quali si costruisce la cultura:
    – una visione dell'uomo, del mondo e della storia elaborata alla luce della rivelazione;
    – una proposta di valori umani e cristiani, finalizzati alla promozione integrale dell'uomo;
    – uno sforzo di tradurre nella storia quotidiana tale visione dell'uomo del mondo e tali valori, suscitando comportamenti personali e sociali ad essi conformi, creando istituzioni e forme di vita sociale, capaci di veicolarli.

    3. Una «cultura cristiana»?

    È possibile una cultura cristiana? I primi due momenti sono decisivi, per poter rispondere a questo grave interrogativo.
    Dobbiamo ricordare altri due dati pregiudiziali:
    – Ogni cultura è un fatto storico: essa dipende dalle condizioni concrete in cui l'uomo vive. Non esiste perciò «una» cultura, ma molteplici culture, sia nello sviluppo della storia sia, come capita oggi, in uno stesso segmento di storia.
    – Ogni cultura è frutto di elaborazione umana: essa è il prodotto dell'attività creatrice e trasformatrice dell'uomo.
    L'esperienza cristiana, invece, trascende la storia, perché in Cristo Dio si è rivelato in modo definitivo, in termini assoluti, validi per tutti i tempi e i luoghi. Essa, inoltre, è fondamentalmente dono: non elaborazione dell'uomo ma proposta di Dio all'uomo.
    La conclusione è immediata: non ci può essere una cultura cristiana, unica per tutti i tempi, con la pretesa di essere espressione adeguata e completa dell'esperienza cristiana. Il rapporto tra cristianesimo e cultura è sempre dialettico, irriducibile. Nessuna elaborazione culturale può pretendere di essere «la» cultura cristiana.

    4. L'esperienza cristiana cerca una cultura

    Il cristianesimo non si può identificare con nessuna particolare cultura.
    Nello stesso tempo, però, esso ha bisogno di esprimersi, di incarnarsi, in culture: non è mai estraneo alle diverse culture.
    Non approfondiamo i motivi dell'affermazione. Ci auguriamo che il discorso sia pacifico, ormai; basta richiamarsi all'evento dell'Incarnazione.
    Sottolineiamo, invece, le conseguenze che nascono da questa affermazione. La fede cristiana cerca una cultura in cui incarnarsi: e così si fa storica, entra in contatto con persone situate in un determinato momento della storia. Solo quando la fede è incarnata in una cultura, essa è esprimibile e significativa; altrimenti resta una vuota e incomprensibile astrazione: non parla alla vita e non progetta sulla vita.
    Non tutte le culture sono però «capaci» di incarnare la fede.
    Quando esse sono troppo lontane dalle sue dimensioni specifiche (o perché troppo disimpegnate o perché la respingono o sono chiuse in limiti così ristretti da non poterla contenere), il processo non può avvenire: resta esclusa la possibilità di quella radicale «ispirazione cristiana», di cui si è accennato sopra.
    Il rapporto tra fede e culture è sempre circolare: la fede si incarna in una cultura, ma la giudica e la relativizza.

    5. Il problema oggi

    Per lo stretto rapporto tra fede e cultura, il cristianesimo non solo offre una visione cristiana dell'uomo e dei suoi problemi, ma anche deve formulare proposte che siano capaci di orientare i progetti storici nel senso della promozione integrale dell'uomo, in dialogo con tutti. Inoltre è urgente ripensare i valori permanenti del messaggio cristiano nei termini che sono propri della cultura del nostro tempo, per rendere la proposta cristiana «significativa» per l'uomo d'oggi. Questi due compiti non sono certo facili.
    Il pensiero moderno si fonda, in larga scala, sull'immanentismo e lo storicismo. Questi caratteri si pongono in contrasto con il pensiero cristiano, che è apertura alla trascendenza ed attribuisce alla ragione umana il compito e la facoltà di percepire quanto vi è di stabile e assoluto nell'uomo e nella natura. Tuttavia, anche nel pensiero moderno vi sono valori umani di grande portata (come la dignità dell'uomo, la libertà, la solidarietà, il senso della storia, l'autonomia delle realtà terrestri, la creatività, la democrazia...) che il cristiano non può trascurare, perché orientati a quell'umanesimo integrale che è proprio del messaggio evangelico.

    6. Nell'attuale condizione giovanile

    Questi appunti interpellano profondamente la nostra pastorale giovanile. La proposta cristiana sarà significativa per i giovani d'oggi solo se riuscirà ad incarnarsi nella loro cultura.
    Ed ecco il primo problema: qual è la loro cultura? C'è una nuova cultura giovanile? Quali sono i suoi tratti tipici? In un tempo di crisi istituzionale come è il nostro, di rinascita del soggettivismo, di sfacelo economico... si può parlare di elaborazione di una «nuova cultura» o non è più corretto pensare alla frettolosa ricucitura di molti e disomogenei frammenti del passato? L'incarnazione della fede nella cultura (l'«acculturazione», come si dice) è possibile solo se la cultura è aperta alle dimensioni caratteristiche e irrinunciabili dell'esperienza cristiana.
    Di qui il secondo problema: l'attuale cultura giovanile è tutta aperta alla fede o, invece, molti modelli sono costruiti su parametri così chiusi e gretti da rendere impossibile il dialogo con la fede? L'interrogativo si fa concreto se si pensa al marxismo, al radicalismo borghese, al consumismo.
    Il mondo giovanile è oggi più che mai suddiviso in una frammentazione culturale impressionante. È un mondo in cui il pluralismo domina, non solo tra gruppo e gruppo ma anche nel profondo della stessa persona, spingendo a passare da un umanesimo all'altro nella ricerca spasmodica di significati esistenziali.
    Ed ecco il terzo problema: si può parlare di un'unica proposta cristiana o dovremo lavorare in una larga pluralità di modelli? Ci sono però delle costanti, dei progetti vincenti, delle linee operative da privilegiare?
    Giovani, adulti, educatori e istituzioni hanno già un loro modello culturale, perché l'esperienza cristiana ha privilegiato una cultura e si è incarnata in essa. Spesso, l'umanesimo di molti educatori si rifà a valori individualistici e statici: l'uomo come individuo, in una società poco sensibile al cambio, in una storia da accogliere più come dato di fatto che come responsabilità. Altre volte, invece, sono i giovani stessi che accettano questa visione della vita. L'ambiente di provenienza, la formazione ricevuta, alcune frustrazioni subite, li hanno spinti verso un programma di sogni a piccolo cabotaggio. E, forse, educatori e comunità sono in tutt'altra posizione.
    Sorge un quarto problema: dobbiamo imporre il nostro modello di esperienza cristiana agli altri? Oppure, al contrario, vanno tutti bene? E c'è il Dio dei giovani «cremini» e quello dei «rivoluzionari»... La comunità ecclesiale: uno spazio così impersonale da accogliere tutti? Come la fede può «giudicare» e inquietare anche questi umanesimi?
    Per rispondere a questi interrogativi, le pagine che seguono.

    7. Per «capire» i quattro articoli

    Non possiamo neppure sognare una risposta esauriente a tutti questi problemi. Ci vorrebbe un libro e soprattutto una persona capace di scriverlo. Noi abbiamo scelto quattro interventi che in modo complementare suggeriscano stimoli di risposta, privilegiando qualcuno dei molti problemi aperti. L'analisi delle riviste con cui abbiamo aperta il dossier, non ha solo suggerito un metodo di lavoro ma ha rilevato l'esistenza di alcune tendenze. Corrispondono veramente alla situazione culturale attuale? In che direzione ci si muove?
    Risponde a questa prima domanda l'articolo di Six. L'autore riconosce la presenza di tre «culture» (tre umanesimi, per dirla con un sinonimo). Esse attraversano il nostro mondo, con una certa dose di conflittualità, perché la terza sembra quella vincente nel mondo giovanile e tenta di soppiantare le altre due, anche se trova forti resistenze.
    Lo stretto rapporto che intercorre tra fede e cultura (l'abbiamo sottolineato proprio in questa lunga introduzione) ci costringe a confrontare questo dato con i contenuti irrinunciabili dell'esperienza di fede.
    La vita cristiana va d'accordo con queste tendenze? Dove può acculturarsi meglio? Quale cultura è più vicina alla fede cristiana?
    A questo nuovo interrogativo risponde l'intervento di Goffi. L'autore fa un discorso a largo respiro. Indica, infatti, la funzione profetica della fede rispetto ad ogni cultura ed evidenzia alcuni «segni dei tempi» di cui la fede deve tener conto. Abbiamo l'impressione che l'autore si collochi molto vicino alla terza corrente culturale descrita da Six, anche se con notevoli correzioni di rotta. Le tre correnti culturali di Six non sono spuntate a caso, ma sono il frutto di un passato di meditazione antropologica. Gevaert analizza i diversi umanesimi che si incrociano nella storia dell'umanità, per aiutarci a comprenderli in modo critico. Per fare questo, l'autore evidenzia i punti nodali su cui misurare ogni umanesimo.
    A che serve questo discorso? Corrisponde ad una istanza operativa che potremmo definire: «fatelo da voi». Ci spieghiamo. Il lavoro di Six e di Goffi non esaurisce certamente l'orizzonte culturale attuale. Molto materiale sfugge; su altro sono stati operati dei tagli. Chi agisce nel concreto deve allargare lo sguardo'un po' su tutto; soprattutto deve essere attento alla «sua» situazione. Gevaert gli offre gli strumenti. Il suo articolo «abilita» ciascuno ad analizzare i processi culturali e a chiedersi come la fede possa acculturarsi in questi dati. Le pagine conclusive di Pollo ricordano la chiave di lettura globale di tutto il dossier: viviamo in un intreccio culturale e ideologico complicato. Non possiamo dire che nei giovani d'oggi c'è solo questo umanesimo o solo quell'altro. Essi hanno interiorizzato molte proposte, anche apparentemente contraddittorie e vivono in una larga mobilità culturale, che li spinge a passare da una sponda all'altra con estrema facilità.
    In queste trasmigrazioni c'è qualcosa che permane sempre; ed è lì che affonda le sue radici quella terza corrente culturale di cui parla Six, che raccoglie contributi dalle prime due mentre ne prende le distanze.
    Tutto questo complica le cose. Ci costringe a leggere tutto il dossier con una dose abbondante di responsabilità personale, per non tirare nessuna conclusione troppo affrettata.

    PER L'AZIONE

    W. Kasper ha descritto molto bene il dramma che stiamo vivendo: «Mai prima d'oggi nel corso della sua storia l'uomo ha saputo tanto su se stesso Mai prima d'oggi la quantità delle informazioni su di sé l'ha reso così insicuro». La costatazione ha un peso particolare quando è riferita ai giovani. Certo è importante non ampliarla, fino a trovare in questo fatto culturale l'unica causi dello stato diffuso di insicurezza. Grossi disagi strutturali (la disoccupazione, la crescente marginalizzazione, la crisi del modello di sviluppo e della qualità di vita, per esempio) condizionano negativamente il momento che attraversiamo L'insicurezza affonda le sue radici qui. Bisogna intervenire a questo livello, se vogliamo che le cose cambino.
    In questo contesto ci interessa affrontare però il fatto culturale, per sottolinear le dimensioni educative del problema. Perché è egualmente molto vero che il groviglio culturale in cui siamo immersi, la presenza di umanesimi che sono una sfida alla trascendenza dell'uomo, la persistenza di progetti disimpegnata
    e consumistici, mettono veramente in crisi l'uomo.
    Che fare? Come intervenire?
    La risposta è unica: educare ad un atteggiamento critico nei confronti di «questa» realtà.
    La terza parte del dossier offre strumenti di lavoro, orientati verso questo compito.
    Desideriamo suggerire il clima in cui essi vanno usati.
    La maturazione personale avviene mediante il confronto critico-creativo con la realtà. Nel nostro caso: l'interpretazione dei diversi umanesimi sui quali si costruisce la proposta culturale attuale.
    L'obiettivo si raggiunge solo in una doppia modulazione:

    1. Decodificare i messaggi

    Gli umanesimi sono incarnati in diversi «veicoli»: i «fatti» con cui abbiamo aperto il dossier esemplificano molto concretamente il discorso. Il confronto personale avviene solo quando si riesce a «decifrare» queste proposte, ritrovando il «contenuto» culturale nei veicoli strumentali che lo esprimono. Per realizzare questo processo si richiedono metodi di analisi, griglie di lettura, confronto con documenti.

    2. Leggere l'esperienza personale

    Gli umanesimi non sono solo nelle cose e nei documenti; sono soprattutto nello stile di vita delle singole persone. Quello che Carlo, Andrea, Caterina stanno vivendo, il modo quotidiano di risolvere le situazioni di vita, i valori attorno ai quali si orienta l'autoprogettazione: questo è l'unico, concreto «umanesimo». Esso non proviene dal nulla, ma viene abitualmente indotto dal confronto con i modelli di comportamento che sono in circolazione. Ma «fa problema» soprattutto quando è prassi: smette di essere dato culturale per diventare fatto esistenziale.
    È perciò indispensabile stimolare il confronto con la personale esperienza di vita (aspirazioni, valori, scelte, orientamenti). Educare significa, in questo caso, abilitare a leggere in profondità la propria vita.
    Il materiale che offriamo si riferisce unicamente al primo aspetto: decodificare i messaggi. La fatica educativa investe soprattutto il secondo aspetto: abilitare a leggere la personale esperienza. Questo compito si gioca però solo nella concreta relazione educativa.


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