Nuovi/vecchi: comunicare non è facile


Paolo Petrucci

(NPG 1979-10-21)


SIGNIFICATO DELLA RIFLESSIONE

Questo lavoro vuol essere un ripensamento sulla problematica dei «nuovi» all'interno dell'esperienza di comunità che stiamo vivendo in questi anni nel nostro centro giovanile, in una parrocchia salesiana di Torino.
Non è indubbiamente un problema nuovo.
Gli innumerevoli scritti dei Padri su questo argomento ci confermano come il problema dei «nuovi» abbia un'importanza notevole nell'economia della comunità cristiana primitiva: se da una parte i nuovi potevano essere la «rovina» della vita in comune fin li costruita, dall'altra rappresentavano però il futuro, la crescita, la sopravvivenza della Chiesa, custode e sacramento del mistero di Cristo. Questa ambivalenza della presenza dei «nuovi» nella comunità conferiva a tale questione una importanza vitale. Ogni comunità rifletteva su contenuti da trasmettere al nuovo arrivato, inventava veri e propri catechismi, incarnati nella cultura del tempo e del luogo; vi erano discussioni anche sul metodo da usare per trasmettere la dottrina della comunità (a gruppi, personalmente, ecc.) e sull'iter che il nuovo doveva percorrere prima di essere cristiano e quindi, con pieno diritto, inserito nella comunità dei credenti in Gesù Cristo (catecumenato, periodo di prova, referenze di membri della comunità, ecc.).
Questa parentesi sui Padri ci aiuta ad affrontare il problema dei «nuovi» con un respiro più ampio e con la consapevolezza che non siamo i primi a scoprirlo come fatto e come problema.
Anche in campo non ecclesiale possiamo constatare come ogni ambiente e struttura di socializzazione abbia nel suo modo di organizzarsi il problema dei «nuovi». Ciò che discrimina il nostro caso da altri è che il «nuovo» nei gruppi ecclesiali entra in un «ambiente» che gli propone un progetto totalizzante che suscita nel soggetto una risposta esistenziale. Un altro aspetto caratterizza maggiormente questa riflessione: il «nuovo» di cui si parla è un giovane, cioè un uomo preso nella fase di vita in cui più intenso è il lavoro di costruzione della personalità, con il suo bagaglio di valori e di progetti. Questo nuovo aspetto amplifica il problema nel senso che non si potrà solo parlare di come evangelizzare il «nuovo», ma bisognerà tener presente anche il suo status di crescita, quindi bisognerà cercare di integrare in modo corretto i due interventi (evangelizzazione e educazione).
La riflessione si snoda in tre momenti: il primo cercherà di presentare il contesto specifico in cui è presente la problematica dei «nuovi», cioè chi sono i «nuovi» nel nostro centro giovanile; in un secondo momento si tenterà di analizzare il problema che ci sembra più rilevante nella nostra situazione: la «comunicazione»; infine si cercherà di presentare le linee di fondo, che emergono dal nostro progetto educativo, riguardanti in modo specifico il nostro tema.

CHI SONO I «NUOVI»

Il nostro centro giovanile vuole essere un servizio qualificato della chiesa locale per far «nascere l'uomo» in quartiere; si pone, cioè, come obiettivo quello di far crescere in umanità tutta la gente (bambini, giovani, adulti) che avvicina e incontra. La sua specificità nel quartiere è quella di essere momento di grossa aggregazione sul territorio, a partire dagli interessi reali di tempo libero della stessa popolazione. Ora nel partecipare alle attività di «sana» aggregazione del nostro centro, ogni persona incontra ambiente, persone, fatti, esperienze che lo interpellano a interrogarsi sulla vita e a incominciare un dialogo con il progetto di uomo che il centro ha sposato. Questo iter pastorale ha la pretesa di farci essere responsabili della nostra vita, di «ricordare» e annunciare a noi stessi e a tutti Gesù Cristo, uomo veramente responsabile e di decidersi per una scelta di vita.
In questo quadro chi sono i «nuovi»? Prima di tutto diamogli un'età:16-18 anni. Per chiarire subito un possibile equivoco, i «nuovi» di cui parliamo non sono persone che vengono per la prima volta nel centro giovanile, ma bensì sono quei giovani che dopo anni vissuti nel centro si trovano per l'età di fronte alla possibilità di entrare nella comunità, motore del centro. Rifletteremo sulla condizione e sui problemi del giovane o nuovo animatore che fa i primi passi nell'esperienza di comunità.
La novità quindi non proviene dall'essere presente (il centro è sempre e comunque aperto a tutti!), ma dal modo con cui si vive la presenza nel centro. Vi è, proprio in conseguenza a quanto detto, un altro momento della vita del giovane a Valdocco che è caratterizzato dalla condizione di «novità»: l'inizio dell'esperienza del «biennio», che coincide con l'ingresso nel mondo della scuola media superiore. Tale periodo ha caratteristiche sue proprie: segna per l'adolescente l'inizio di un modo diverso di fare gruppo, dove vicino alle riunioni e alle attività proprie del gruppo si affiancano altri momenti, di vita in comune con tutti i giovani della stessa età che vengono al centro; comunque non è su questo particolare periodo che tenteremo di riflettere, ma bensì come abbiamo già detto in precedenza sulla fascia di giovani immediatamente superiore.
Visto anche questo esempio, possiamo dire che la «novità» consiste nel passaggio da un periodo ad un altro nell'iter educativo proprio del nostro centro. La «novità» che consideriamo significativa e determinante per la vita del giovane è il passaggio da un periodo in cui era oggetto delle attenzioni educative del centro, ad un periodo in cui dovrà essere lui stesso educatore», cioè dovrà imparare a mettersi a servizio del più piccolo. Questa prima esperienza di servizio la riteniamo importante per conoscere con il coinvolgimento personale quali sono i valori, gli atteggiamenti, le credenze, le speranze della comunità che anima il centro giovanile. Cercheremo di porre l'attenzione in particolare su questi nuovi giovani (16-18 anni). Siamo consapevoli che nel saper risolvere questo delicato periodo di iniziazione del più giovane nella comunità, sta il futuro della comunità stessa e quindi del servizio che essa sa e saprà offrire al territorio.

UN PROBLEMA: LA COMUNICAZIONE

Le difficoltà maggiori che riscontriamo sono a livello di comunicazione.
I «nuovi» devono sempre fare i conti con la «tradizione», con la storia della comunità della quale decidono (o sono invitati) di far parte; tale confronto deve avvenire anche con senso critico e volontà innovatrice, perché crediamo che lo sconvolgimento più radicale della vita della comunità deve sempre avvenire nella fedeltà al passato.
Un primo problema sta quindi nelle innumerevoli difficoltà di metodo e di contenuto nel trasmettere al «nuovo» la vita stessa della comunità. Spesso costatiarno di avere modi di ragionare e di linguaggio differenti, che indubbiamente rendono vano, spesso alienante, ogni sforzo della comunità di presentarsi ai «nuovi».
Il nostro centro non è di fatto in una campana di vetro, per cui vive i cambiamenti culturali che si sviluppano nel sociale; questo fatto rende più difficile la comunicazione dell'impianto esistenziale della comunità, perché spesso la sua elaborazione non segue il passo dei mutamenti culturali; capita così di comunicare un «messaggio» ai più giovani senza accorgersi che essi hanno un «codice» diverso da quello dei più grandi.
Un esempio chiarirà tale difficoltà.
Analizziamo il rischio di non-comunicazione del valore fondante la nostra comunità: il servizio.
L'assunzione di tale valore per la vita passa, secondo il nostro metodo educativo, attraverso il «fare esperienza» di servizio, a partire da un impegno all'interno del centro giovanile. Questo impegno di servizio «dentro» era per i più vecchi un modo concreto per vivere la sensibilità dell'impegno politico degli anni caldi post-sessantotteschi anche nel contesto ecclesiale; si credeva che il cambio della società non doveva giungere solamente attraverso il cambiamento delle strutture, ma anche attraverso il cambio dell'uomo, quindi attraverso un lavoro educativo.
Oggi che viviamo in un clima di depoliticizzazione, in tempi in cui anche la cultura «alternativa» propone (forse giustamente!) valori e atteggiamenti che abbracciano maggiormente la sfera del «personale», il valore del servizio perde la sua dimensione originale di impegno politico per inserirsi in un altro contesto: il servizio (diventare animatore, catechista, ecc.) è privatizzato, viene visto in funzione della soddisfazione personale; esso assicura identità, prestigio e quindi diritto di «cittadinanza» all'interno del centro giovanile.
Così oggi il «servizio» rischia di essere solo lo strumento che garantisce all'interno del centro la possibilità di conservare e rafforzare rapporti interpersonali che sembrano essere il valore più sentito in un mondo che sa proporre o alienazione o disperazione.
Ogni particolare momento storico-culturale ha in sé del positivo e del negativo, quindi il problema non consiste nel giudicare negativa la «condizione» del «nuovo», ma di constatare la diversità di «codici» culturali che si hanno nel comunicare. La conseguenza più interessante e positiva che nasce da tale problema sta nel fatto che la comunità, tutte le volte che è chiamata a presentarsi ai «nuovi», è a sua volta costretta a «fermarsi», riflettere, rimettere in discussione la sua funzione, e ristrutturarsi ideologicamente a partire dalle novità che ha recepito.

DAL NOSTRO PROGETTO EDUCATIVO ALCUNE LINEE PER AFFRONTARE LE DIFFICOLTÀ

Informare sulla «tradizione» della comunità

Nonostante i problemi di comunicazione resta necessario per la comunità raccontare al più giovane la propria «identità», che proviene da un cammino preciso e da una storia vissuta. Non solo ai più giovani, ma a tutti è necessario ricordare che dietro al nostro precario presente non c'è il vuoto; i passati vicini e remoti sono necessari per consolidare la nostra umanità che si ricollega agli sforzi, alle conquiste, alle speranze e alle delusioni di altri uomini che prima di noi hanno vissuto.
Ma raccontare di Gesù Cristo, di Don Bosco, del nostro ex-parroco che ha contribuito alla nostra nascita e adesso è in America Latina, dei nostri primi passi nel '72, non vuole essere un nostalgico guardare al passato, ma piuttosto un riconoscere nel passato i valori, gli ideali da incarnare oggi nella «novità della storia che cammina».

Proporre esplicitamente il progetto «uomo» della comunità

Come abbiamo già detto, la novità del «nuovo» consiste nell'approccio più sistematico e cosciente al progetto «uomo» del centro giovanile.
Tale approccio si realizza a vari livelli.
Un primo livello consiste nel rendere il più possibile visibile la vita della comunità, in modo che il più giovane possa osservare come alcuni all'interno del centro stanno già realizzando, anche se in modo non perfetto, gli ideali, i valori, le credenze del progetto «uomo» proposto; in concreto è necessario che la comunità agisca sempre in prospettiva educativa, consapevole che ogni sua manifestazione, formale o informale, è «letta» e osservata dai «nuovi».
Un secondo livello è la compartecipazione dell'esperienza di comunità; è necessario privilegiare alcuni momenti di insieme, dove l'«iniziando» abbia l'opportunità di sperimentare dal di dentro il significato di alcuni gesti fondamentali per la comunità; tali momenti devono comprendere tutti gli aspetti della vita di comunità: l'aspetto celebrativo (l'eucaristia, la preghiera, ecc.), l'aspetto di servizio educativo (assemblee e incontri per animatori, ritiri, consigli oratoriani, ecc.), l'aspetto «politico» (attività della Circoscrizione, assemblee pubbliche, momenti di mobilitazione e di lotta, ecc.), l'aspetto ludico (le feste, le gite, lo «stare insieme», ecc.), l'aspetto culturale (convegni, campi-scuola, cinema, teatro, ecc.).
Se questi primi due livelli riguardano il metodo, un terzo livello riguarda invece i contenuti specifici di tale progetto «uomo». Il problema prima sollevato circa la diversità di «codici» tra i più giovani e i giovani adulti ci mette in guardia da ogni facile comunicazione di contenuti e messaggi già impacchettati. Gli animatori che a nome della comunità intera seguono più da vicino i «nuovi» devono innanzitutto conoscere gli «iniziandi» come «condizione», cioè come portatori di nuove istanze e sensibilità che gli provengono più in generale dal loro essere adolescenti in questo preciso momento storico-culturale. Dopo questa conoscenza iniziale, che si acquista vivendo con loro, inizia il lavoro più difficile che è quello di mediare i grossi valori e ideali della comunità con le nuove sollecitazioni culturali apportate dai «nuovi». Tale elaborazione si presenta come la più difficile, ma anche la più necessaria se crediamo che il nostro progetto «uomo», che vede in Gesù Cristo il suo fondamento, debba essere incarnato nella situazione reale e storica della persona.

Essere aperti e disponibili alla «novità» del più giovane

Tale mediazione l'animatore la realizza lasciando spazio alla creatività dei «nuovi», alla loro capacità di autoprogettarsi.
I più giovani all'interno della comunità devono avere un loro spazio; uno spazio propedeutico, di prova, di prima esperienza garantisce il rispetto dei loro diversi ritmi di crescita. Tali spazi sono costituiti nel nostro centro soprattutto da momenti di catechesi e di qualificazione.
Un momento particolarmente significativo è il campo scuola.
In questi giorni di studio e di ripensamento, i più giovani vengono a conoscenza e dibattono dei grossi punti qualificanti il progetto «uomo» (la scelta di una vita a «servizio», l'impegno politico per la liberazione, nella prospettiva del Regno, la sequela di Gesù Cristo, la vita comunitaria, ecc.); dal dibattito, che avviene in piccoli gruppi, nascono atteggiamenti, prese di posizione, promesse, che rappresentano, anche se un po' emotivamente, la vita autorinnovata dei «nuovi» dopo l'incontro e lo studio dell'identità della comunità.
In questa direzione è necessario abilitare alla partecipazione e non alla delega. Molti gruppi e comunità che hanno una forte presenza di giovani adulti rischiano un disimpegno a livello organizzativo e creativo dei più giovani, che vivono all'ombra della militanza dei più «vecchi».
La comunità deve farsi garante di tale abilitazione, deve saper creare le condizioni per l'inserimento dei «nuovi»; solo così dimostrerà a se stessa e agli altri di non essere un arroccamento di potere, ma una realtà in cui traspare l'Amore di Dio per gli uomini tutti.

«CARO AMICO TI SCRIVO...»

Come appendice alleghiamo un documento che può essere significativo per il tema trattato.
Si tratta di una «lettera aperta» ai giovani del «triennio» per la fine dell'anno oratoriano.
È uno scritto un po' duro rivolto a loro da parte di alcuni animatori, che hanno visto nella loro presenza nel centro una assenza di comportamenti e atteggiamenti che denota una scarsa condivisione di alcuni valori fondamentali della comunità. Non sempre è facile inventare delle mediazioni tra valori comunitari e «nuova cultura»...
Queste righe nascono dalla volontà di riflettere sull'anno che è passato: un anno che ha fatto crescere nel positivo e nel negativo la nostra comunità in Valdocco. Sono impressioni, pensieri, proposte, giudizi buttati giù alla veloce da alcuni «più vecchi» che hanno seguito più da vicino l'esperienza del Triennio quest'anno in comunità.
È il primo anno che si è tentato di strutturare maggiormente come momento di riferimento in comunità il periodo d'età che va dai 17 ai 20 anni. Lo abbiamo chiamato comunità-triennio tenendo come riferimento gli ultimi tre anni della scuola media superiore, nonostante vi fossero proprio in quest'arco di età parecchi di voi che incominciavano a lavorare. Il Triennio nasceva per consentire a chi, superata l'esperienza del Biennio, voleva essere con maggior consapevolezza «presente» a Valdocco. Questa «presenza consapevole» sulla carta consisteva nel confrontarsi con un progetto di vita che prima ancora di identificarsi nel «come è bello stare insieme» e nello «essere impegnati» voleva essere l'incontrare la persona che sta alla base di tale progetto: Gesù Cristo.
Un incontro che avviene nella vita:
- nell'incontrare quotidianamente persone che già tentano di vivere da «cristiani» (i vostri animatori, i «più grandi» della Comunità, i preti e le suore, ecc.); nello scoprire che ogni giorno facciamo esperienza anche di cose «belle» (la gioia di un'amicizia vera, la contentezza nel fare bene un «servizio», l'interesse nello studiare qualcosa che ci piace, ecc.), segno questo che un po' di «divinità» è già dentro la nostra esistenza e che con l'evento Gesù Cristo, vero Uomo e vero Dio, è possibile sperare e lottare affinché la nostra vita sia una cosa «bella»;
- nel pregare, nel saper fare silenzio, nel saper meditare sulla vita che si sta facendo, nel saper leggere da soli e insieme la Parola di Dio;
- nel fare «seriamente» festa la domenica incontrando con la chiesa (coloro che credono in Cristo) Gesù Cristo nel sacramento dell'eucaristia.
Ecco oggi rileggendo all'indietro la strada fatta ci sembra che non sempre ci sia stata la volontà di ripensare la propria vita alla luce di questo incontro con Gesù Cristo; non c'è stata la volontà di ripensare e quindi decidersi per una scelta di vita, per un modo più responsabile e visibile di essere presente a Valdocco. Non sempre avete gridato a voi stessi e agli altri i vostri problemi, le vostre scelte, le vostre crisi di fede, le vostre speranze, il vostro futuro!
Il centro giovanile è stato quest'anno per la maggior parte di voi un punto di incontro, uno spazio fisico dove potersi incontrare senza «pericoli»; e quindi le squadre sportive, le «partitine», un po' di sala, tanto porticato, qualche gita ben riuscita, la festa di carnevale, ecc., tutte cose positive che hanno creato amicizia, voglia di stare insieme, rispetto degli altri, ecc., anche se ciò avveniva e avviene in piccoli gruppi. Ma quale immagine di Triennio avete dato a voi stessi e ai più giovani, al di là di questo positivo «stare insieme»?
Questo modo di essere rischia di essere alienante se non tiene presente altre dimensioni della vita.
Tante volte ci siamo ripetuti che il centro giovanile non è solo il luogo in cui si può gestire il momento ludico della giornata, ma piuttosto il momento in cui si dovrebbe formare ed esprimere tutta intera la persona, quindi non il luogo che utilizzo solo per divertirmi, ma il luogo che mi aiuta, attraverso l'incontrare altri, a ripensare tutta la mia esistenza.
Ci sono alcune «carenze» dell'esperienza di quest'anno che devono farci riflettere:
– quanti «triennini» (e forse anche più grandi) hanno un dichiarato e pubblico interesse e impegno fuori dal centro giovanile? quanti possono dire di essersi impegnati per cambiare in meglio la scuola, l'ambiente di lavoro, il quartiere, la propria famiglia? e se questo impegno c'è stato come è stato «ripensato insieme» tra gli amici a Valdocco, per approfondire riflettere alla luce delle varie esperienze e della Parola di Dio?
– quanti hanno chiesto, creato, inventato dei momenti non di sola aggregazione? e quanti hanno invece preferito aspettare l'invito per il campo scuola, per il ritiro, per i «mercoledì» di quaresima, per riunioni varie, decidendo spesso di non parteciparvi?
– sul problema della messa... quanti si son posti seriamente il problema? quanti sono andati dal parroco a cercare di cambiare in meglio quella celebrazione? dopo aver dedicato un anno intero a studiare il significato dell'eucaristia, quanti hanno preso una posizione, o/e hanno inventato qualcosa?
– a quanti è sorta l'esigenza di comunicare «pubblicamente» la propria esperienza? quest'anno non si è visto circolare né un giornalino, né una lettera ciclostilata, né un volantino!!! oltre al lavoro sulla musica, che era abbastanza specialistico, il nostro teatro è rimasto inutilizzato, ed è la maggiore struttura che abbiamo per poter comunicare con gli altri!!!
... E ancora altro ci sarebbe...
È necessario ripensare davvero alla presenza che ognuno di noi ha a Valdocco! Bisogna sganciarsi dall'idea che altri pensano a me, a organizzarmi i momenti di comunità, a mandare avanti il progetto educativo del centro giovanile... A 18-20 anni o si incomincia seriamente a essere protagonisti della propria vita e degli spazi in cui si vive (quindi anche del centro giovanile) oppure non si condivide il progetto di uomo che sta alla base di ogni nostro impegno educativo a Valdocco! Rifletti sulle cose sopra scritte e fai sentire cosa ne pensi.

Torino, 9 giugno 1979.