(NPG 1979-06-35)
Le domande su giovani e partiti che tramite Dimensione nuove abbiamo rivolto ai giovani e di cui abbiamo pubblicato le risposte tra i «fatti», le abbiamo proposte, in una tavola rotonda, anche ai rappresentanti di alcuni partiti e delle loro organizzazioni giovanili di Torino. All'incontro hanno preso parte Mauro Carmagnola del Movimento giovanile DC, Mario Pollo esperto di problemi politici nella nostra redazione, Livia Turco segretaria cittadina della FGCI, Claudio Valeri della FGSI e giornalista all'Avanti!, Giampaolo Zanetta della segreteria provinciale DC. Il dibattito è stato condotto dà Carlo Fiore, direttore di Dimensioni nuove e da Riccardo Tonelli.
PERCHÉ LA DISAFFEZIONE DEI GIOVANI DALLA POLITICA?
Dalle statistiche risulta che meno del 5% dei giovani italiani milita in qualche movimento giovanile di partito. Come percentuale è una delle più basse d'Europa. Voi stessi avete in mano le statistiche dei singoli movimenti. La prima domanda è appunto: perché questa disaffezione dei giovani ad una partecipazione politica? Concretamente, come mai i giovani in Italia sono così refrattari ad un impegno nei movimenti giovanili dei partiti?
Valeri - C'è subito da osservare che se è vera una crisi di affezione dei giovani verso i partiti e i loro movimenti giovanili, non è vera, almeno finora, una disaffezione dei giovani nei confronti dell'impegno politico e - della politica. Solo che l'impegno si è sviluppato ad altri livelli, verso altri tipi di organizzazione, all'interno soprattutto della scuola. Bisogna però riconoscere che in questi ultimi anni, c'è una reale disaffezione verso tutto ciò che sa di politico.
Turco - Concordo sul fatto che la partecipazione politica dei giovani non si esaurisce nelle organizzazioni giovanili dei partiti. Del resto lo stesso '68, e già prima negli anni '60 la famosa spinta antifascista dei giovani, sono stati fenomeni di partecipazione che si sono sviluppati fuori dai partiti. Al di fuori delle organizzazioni giovanili dei partiti, anche se poi i partiti li recepirono e organizzarono. L'attuale rapporto critico tra giovani e politica del Movimento Operaio (non soltanto sull'organizzazione ma soprattutto sulla stessa nozione di politica come processo di trasformazione, quindi di gradualità e di strategia), ha, fra l'altro, una radice nei limiti dello stesso Movimento Operaio che, a partire dal '68, non ha saputo recepire la spinta dei giovani all'autonomia ed il nascere di una politicizzazione molto più ampia, molto più diffusa, con canali suoi, diversi da quelli tradizionali. In ambiti della società civile in cui il Movimento Operaio era spesso assente.
Il luogo dove è maturata la spinta anticapitalistica dei giovani è stata la scuola; cioè un ambiente ben diverso dalla fabbrica in cui si è sviluppato il Movimento Operaio. Da qui sono nati elementi di divaricazione, progressivamente diventati di antagonismo e adesso di separazione fra giovani e Movimento Operaio. L'atteggiamento di quest'ultimo vedo i fermenti del mondo giovanile a partire del '77 ne è la riprova.
Quanto ai movimenti giovanili mi sembra necessaria una distinzione, perché nell'area giovanile hanno avuto, pur con tutta una serie di limiti, un ruolo diverso. Nelle scuole, ad esempio, i movimenti di sinistra si sono distinti per aver stimolato la formazione di organizzazioni giovanili legate alla situazione studentesca e autonome rispetto vari movimenti di partito.
Carmagnola - La disaffezione può trovare una spiegazione nel travaglio politico di questi ultimi dieci anni. Molta è dovuta ad una obiettiva incapacità dei movimenti giovanili e delle forze politiche in genere di recepire le istanze giovanili dal '68 in poi (la spinta contestatrice, il forte fermento anticapitalista, l'internazionalismo di molti gruppi...) e alla incapacità di risolvere concretamente i problemi nazionali ed internazionali. A questo si aggiunga la delusione per vicende come quelle del Viet-Nam e della Cambogia. Alla mitizzazione si è sovrapposta una forte delusione e dalla delusione è nato l'allontanamento dei giovani dallo spazio politico.
Il movimento studentesco sembra oggi vedere la politica come uno spazio tecnico in cui si decide sostanzialmente secondo criteri pragmatici dai quali non si può prescindere. Lo spazio per il dibattito ideologico e di politica generale si è ridotto, a favore di uno spazio tecnico da delegare ai partiti, a chi fa politica.
Al decadere dell'impegno politico, è importante sottolinearlo, corrisponde un aumento di quello che può essere chiamato impegno culturale. In questa direzione si può notare anche l'esigenza di una scuola più seria, più qualificata, senza essere una scuola d'ordine. Questa esigenza è oggi molto sentita.
Pollo - Parto da lontano per rintracciare un dato costante anche al presente. Ripenso agli anni '61-'63 in cui a Torino facevamo le prime occupazioni ad Architettura, aprendo la strada ad una procedura tipica negli anni successivi. Ciò che ricordo è che del gruppo dirigente di quel movimento, pochissimi erano iscritti ai partiti, quasi nessuno. E oggi, a distanza di 15-16 anni, ci ritroviamo tutti nei partiti, con ruoli anche di dirigenti. Questo mi fa riflettere. Mi sembra che a livello giovanile siano costanti due tensioni emergenti che giustificano, da un certo punto di vista, il fatto della non iscrizione a livello di massa ai partiti.
La prima tensione è la ricerca di autonomia. Ed è fondamentale perché si è ancora in un momento di ricerca, di non definizione per la gran maggioranza. A livello giovanile si sente il bisogno di partecipazione al polifico, ma non c'è ancora una riduzione precisa in categorie di militanza partitica. A questo è da aggiungere, oggi, la incapacità dei movimenti giovanili dei partiti di proporre una adeguata sintesi di personale e politico. In questi anni, dopo l'ondata calda del '68 e la proiezione totale dei giovani più attivi nel politico e quindi nell'utopia che il cambio strutturale avrebbe modificato necessariamente anche le coscienze, abbiamo assistito al fallimento di un certo modo di fare politica e al riflusso nel personale. In effetti un modello di aggregazione che rispetti le istanze del personale e del politico è ancora da inventare. Alcune associazioni, ad esempio CL (di cui tuttavia non condivido la impostazione), sembrano più avanti in questa ricerca di nuovi tipi di aggregazione. Per il resto è tutto da fare.
La struttura del partito cosi come è, come struttura funzionale, organizzativa è ben distante dal proporre un luogo in cui si possa sentire una realizzazione o almeno una ricerca motivi più intimi e personali, tipici della condizione giovanile. L'incapacità dei partiti di fare questo, giustifica in parte, i tassi minimi di partecipazione dei giovani. Oggi soprattutto che la dimensione del politico è in crisi rispetto al '68.
Zanetta - Che i giovani abbiano paura di intrupparsi in strutture come quelle dei partiti, da loro giudicate sclerotizzate, è un dato di fatto riscontrabile ben prima degli anni '70. Direi però che lo scollamento è fortemente aumentato nel momento in cui i giovani non si sono limitati a rivendicare i loro diritti, ma si sono appropriati dei problemi generali della società. A quel punto i partiti, e non solo le loro organizzazioni giovanili, sono sembrati sempre più dei raggruppamenti incapaci di gestire l'evoluzione sociale e culturale.
I GIOVANI TRA POLITICO E PERSONALE: QUALE VALUTAZIONE?
Alcuni interventi hanno già introdotto degli elementi per una valutazione della situazione. Proseguendo in questa direzione la domanda potrebbe essere: è positivo il fatto che solo una minoranza si iscriva ai movimenti giovanili dei partiti oppure c'è da pensare che, per evitare fenomeni di tipo anarchico o di tipo corporativista, potrebbe essere utile riaggregare i giovani attorno ai movimenti di partito?
La nostra rivista fin dal '68-'69, ha iniziato a parlare di impegno politico, sganciandolo però subito dall'impegno partitico. Senza questo sganciamento difficilmente si sarebbe potuto sollecitare all'impegno i giovani dell'area cattolica in cui la nostra rivista si colloca. Solo più tardi, negli anni successivi, abbiamo riagganciato il discorso politico alla presenza nei partiti. Ai giovani abbiamo detto che ognuno deve fare le sue scelte, in coerenza con il quadro ideale di valori ma all'interno del quadro istituzionale. Questo prima della crisi del '77-'78. Che pensare di questa curva? È corretta o l'insieme delle variabili sopra ricordate ci fanno dire che l'importante è che ci sia un impegno politico, anche se questo prescinde dalle aggregazioni partitiche?
Valeri - Mi permetto di tornare un momento indietro. A me pare che il '68 sia stato, in gran parte, una esplosione di spontaneismo con forti spinte libertarie e antiautoritarie che hanno portato al rifiuto delle strutture, anche quelle dei partiti, per altro chiuse al loro interno. Questo fatto, collegato al bisogno di autonomia durante il periodo della formazione politica, rende illusoria e con esiti facilmente negativi una scelta politica-partitica a 14/16 anni. Con questo non voglio minimizzare il disimpegno attuale, alla cui origine del resto sta anzitutto la crisi economica di cui sono soprattutto i giovani e le donne a fare le spese.
Ci sono attualmente in Italia delle vaste aree di emarginazione non solo dal ciclo produttivo, ma anche, e di conseguenza, dalla vita sociale e culturale più generale. È in questo contesto che si è verificato il cosiddetto riflusso. Oggi tra i giovani nasce di nuovo la teoria del piccolo gruppo, del vedersi per parlare di problemi più legati al personale che al politico. Di qui l'affanno di molti movimenti giovanili di partito, che da una parte stanno tentando un salto di qualità per ricomporre, al loro interno, personale e politico e dall'altro cercano di opporsi ad una politica, anche a proposito dei giovani, che giunge loro confezionata dall'alto, dai partiti e dagli orientamenti pragmatisti che oggi sono alla base delle loro scelte.
Turco - Io credo che, per dare una valutazione e per fare un discorso anche in prospettiva, non si possa parlare di partiti in generale, annullando le differenze che ci sono sempre state tra i partiti del Movimento Operaio e le organizzazioni che facevano loro capo da una parte e il partito di governo, la DC, dall'altra. Credo vada ribadito il ruolo fondamentale dei partiti del Movimento Operaio nel processo di democratizzazione del paese e quindi nella costruzione di canali di partecipazione nella società civile. Vedi tutto il discorso relativo al protagonismo delle masse, che non è un espediente politico ma un elemento fondamentale ed originale della strategia della sinistra in questi anni.
A partire da questo è necessario affermare che se è vero che si manifesta tra i giovani una separazione tra politico e personale, tra partiti e società civile, questo è un male e che una loro ricomposizione ha senso solo se la si tenta nell'alveo di una democrazia di massa.
Nella misura in cui affiora tra i giovani un rifiuto della politica ed uno stazionare unicamente all'interno del sociale, affiorano anche sia delle responsabilità sia degli obiettivi nuovi per lo stesso Movimento Operaio. Per creare nuove forme di democrazia di massa, cioè una democrazia che si costruisce attorno al Movimento Operaio. Una impresa per altro possibile solo se si pone come centrale il rapporto con i ceti emarginati, in particolare i giovani.
Muovendosi in questo alveo, coscienti della propria condizione e soggettività, con elementi di autonomia, i gruppi giovanili devono a loro volta porsi sul terreno della trasformazione politica positiva.
Questa è allora una scommessa per tutti ed il nodo fondamentale per la costruzione di una democrazia che veda come costanti il protagonismo dei movimenti di massa.
Tutto ciò può essere faticosamente costruito se, in particolare, si recepisce la politicità diffusa tra i giovani, che non è affatto o solo ribellismo, disperazione o rifiuto. Personalmente sono restia a parlare in termini di neo-qualunquismo. Non significa niente. Non è infatti il qualunquismo a cui eravamo abituati a riferirci, perché in questa chiusura nel privato ci sono delle istanze nuove. Sono anzi proprio queste istanze a costituire una scommessa per il Movimento Operaio, per un processo di trasformazione.
La politicità diffusa oggi non trova però dei canali di espressione. Né nei partiti, né nei sindacati, né nelle organizzazioni giovanili dei partiti. Partiti, organizzazioni giovanili e sindacati devono ancora recepirla e creare adeguati canali politici. In questo vedo il ruolo dei movimenti giovanili dei partiti, anche se è chiaro che si fa urgente un loro cambiamento profondo e radicale. A cominciare dall'intendere la politica non come progetto dall'esterno o come proposte calate dall'alto. Occorre capire che si sono allargati i confini della politica, che gli iter della partecipazione si sono differenziati, che le istanze sono estremamente differenti. Tenere in considerazione il sociale implica in fondo un nuovo modo di fare politica ed un nuovo tipo di organizzazione politica. In questa direzione l'approfondimento del rapporto individuale/collettivo, individuale/politico è decisivo anche per il Movimento Operaio, legato ancora a strumenti di una cultura tutto sommato economicista.
Pollo - La divaricazione tra politico e sociale è oggi molto forte. Ormai noi abbiamo da una parte un sistema sociale che vive con le sue contraddizioni e una sua dinamica, e dall'altra la direzione politica che non riesce a dare risposte concrete ai problemi del paese. Il sistema politico è oggi un sistema chiuso che non tiene affatto conto della realtà.
Questa divaricazione si fa drammatica a livello giovanile. L'apertura di questa forbice tra società reale e società delle istituzioni rischia infatti di diventare un elemento dirompente che può guastare l'intero tessuto democratico.
In questo quadro, molto schematizzato, c'è un elemento che mi preme sottolineare e cioè il fatto che nella politica è stata da tempo rimossa la categoria della utopia. Le proposte politiche in circolazione trasudano un pragmatismo veramente accentuato. La crisi attuale da fatto obiettivo è diventata categoria dello spirito. Si pensa sempre più ad un futuro senza rischi, quasi deterministico. Il futuro viene dedotto dal presente. Dimenticando che nelle transizioni da uno stato sociale ad un altro, da un'etica ad un'altra, gioca, anche se non sappiamo bene come perché non è prevedibile, l'utopia. C'è il dover essere che fa saltare tutti i calcoli più perfetti, più pianificatori. Oggi della dimensione politica della utopia non si parla più. E ciò impedisce che le forze giovanili si coagulino intorno alle proposte politiche dei partiti.
C'è da aggiungere che dovremmo leggere più a fondo l'esperienza dell'autonomia per scoprire un nuovo modo di fare politica. Le nostre organizzazioni tradizionali non sono abituate a questo tipo di coscienza, a questo tipo di realtà. Anche qui si sta aprendo una forbice pericolosa. I giovani cresciuti nei valori della autonomia non hanno bisogno di un partito padre o di un partito madre, ma di un partito fratello. I giovani sentono l'urgenza di un nuovo modo di fare politica, di una aggregazione tutta da inventare, diversa da quella tradizionale, verticale, che funziona nei partiti.
Dall'altro lato la stessa autonomia rischia di scivolare fuori dalla tradizione. E noi sappiamo che se un discorso non si colloca nella tradizione, criticamente, magari per negarla, si rafforza la tradizione. Un movimento che perde le proprie radici rischia la barbarie e nega ogni evoluzione. Solo se i germi di autonomia si inseriscono nel filone storico delle conquiste realizzate precedentemente può nascere un modello diverso di politica.
Il discorso dell'utopia svela anche una sorta di appiattimento, già denunciato negli interventi precedenti, tra forze politiche diverse. Non tutte le forze politiche sono uguali, non tutte rappresentano gli stessi interessi, non tutte hanno le stesse responsabilità nella situazione attuale di crisi. La mancanza di chiarezza a riguardo non fa che accentuare il discorso del pragmatismo e della crisi come categoria dello spirito. Una maggior chiarezza permetterebbe di delineare meglio uno spazio per la stessa partecipazione politica dei giovani.
Zanetta - La disaffezione dei giovani chiama in causa i partiti e deve costringerli ad una autocriticia. È notevole infatti che l'allontanamento dei giovani dai partiti si verifichi quando, negli anni '70, prevale nel sistema politico italiano il pragmatismo, l'economicismo e il burocraticismo. Questo ci permette anche di affermare che più dei movimenti giovanili sono i partiti a essere in crisi. D'altra parte è evidente che gli stessi partiti non possono fare a meno dei giovani. La capacità di accogliere le istanze dei giovani va vista come una verifica concreta della loro capacità di fare da filtro tra le istanze sociali e le risposte politiche.
In questo discorso del filtro va anche ripensata la funzione dei movimenti giovanili verso i partiti. La loro funzione non deve essere intesa come preparaziòne dei futuri quadri dirigenziali, della nuova classe politica. La vera funzione deve essere invece di filtro delle istanze emergenti. Dei resto l'esperienza ci dice che più il partito si rende capace di filtrare le nuove istanze, più i giovani si avvicinano al partito e al suo movimento giovanile.
Carmagnola - Sul versante delle prospettive mi 'sembra importante sottolineare che un partito che pretendesse di fondere personale e politico si porrebbe, a mio parere, in un'ottica assolutamente sbagliata. Assumersi tali compiti significherebbe essere perennemente in crisi. Di conseguenza quello che bisogna definire oggi è il nuovo spazio politico in cui al partito toccano compiti specifici e limitati.
In questa ottica mi sembra più importante una crescita civile, politica in senso largo, ma non per forza politico-partitica. Che solo il 5% dei giovani sia iscritto ad un partito non deve fare problema. È un problema solo se noi riduciamo la crescita civile, sociale, culturale alla crescita partitica. Ciò inaridirebbe la società in quanto tale e il pluralismo che ci deve essere di istituzioni sempre nuove ed in movimento, irriducibili ai vari partiti, che invece con queste dovrebbero sempre confrontarsi.
I GIOVANI NEI PARTITI: UNA SCOMMESSA SEMPRE A PERDERE?
Da quanto avete detto si possono rilanciare due domande. Prima: avete l'impressione a partire dalla vostra esperienza, che quell'ipotetico 5% dei giovani che militano nei movimenti giovanili dei partiti siano la punta emergente di una massa che in qualche modo si riconosce, magari dialetticamente, nei partiti oppure si tratta di una minoranza scollata dalla maggioranza? Seconda domanda: qual è in effetti il rapporto tra partito e movimento giovanile? C'è soltanto un processo dal partito verso i giovani o c'è anche un processo dai giovani al partito? In altre parole, i partiti accolgono la scommessa che i giovani sono, oppure è una scommessa sempre a perdere quella che i giovani propongono?
Valeri - Partendo dalla seconda domanda ed esprimendo un'opinione personale per quel che riguarda il partito in cui milito, direi che il ruolo e l'autonomia dalla FGSI è sempre stata molto estesa. Abbiamo spesso sostenuto posizioni differenti, con maggiori o minori risultati politici, su questioni che interessano i giovani, su temi di politica generale (sull'ordine pubblico, ad esempio, siamo stati sempre in termini conflittuali sia con gli altri partiti che con il nostro), sulla politica scolastica...
Una domanda cattiva: si tratta di una autonomia che corrisponde alla autonomia che il sistema riserva ai giovani, cioè il diritto di brontolare, di dire tutto quel che si vuole, tanto non cambia niente, oppure è una autonomia che è reale forza di modificazione del partito?
Valeri - È indubbio che i rapporti di forza all'interno del partito siano diversi e pesino fortemente a vantaggio degli adulti in generale. Così visto, il diritto di brontolare ha in pratica scarso peso politico, anche se è da garantire in ogni caso. I rapporti di forza sono quelli che sono... Difficile affermare che si tratti di un sistema di democrazia o di rapporto limpidamente paritario e democratico.
Turco - Vorrei riprendere il tema dell'utopia. Ho l'impressione che la grossa conquista fatta in questi anni della laicità della politica ha finito per significare molto spesso riduzione della politica a pragmatismo, generando uno scollamento tra politica come strategia concreta e idee-forza.
Cosi, per fare un esempio, nel mio partito alle grandi idee-forza: austerità, solidarietà, composizione del lavoro manuale-lavoro intellettuale, tematica della nuova identità della donna, si è opposta una strategia politica ed una serie di proposte concrete che andavano in altre direzioni.
Altro grosso problema è quello, già emerso, della coscienza storica. Molto spesso i giovani vivono il momento presente in assenza di uno spessore storico, quindi di tradizione. Questi due elementi mi paiono decisivi nel rapporto giovani/partiti. Nella misura in cui parliamo di autonomia e di raccolta di questa spinta spontanea, non posso escludere un rapporto pedagogico tra giovani ed anziani. In termini evidentemente nuovi, non di paternalismo. L'opposizione al paternalismo non può avvallare, in ogni caso, lo spontaneismo di chi non è capace, o non vuole, saldare in quel bagaglio storico o in quella tradizione gli elementi nuovi che i giovani pongono.
Ancora una osservazione. Sono assolutamente contraria a chi sostiene che tentare una sintesi tra personale e politico dentro i partiti e i loro movimenti giovanili sia in qualche modo introdurre elementi totalizzanti, integralisti. La crescita politica non può infatti essere slegata dalla crescita civile e sociale. Se autonomia significa pensare i partiti come luogo di pura tecnica politica in opposizione ad una società civile autonoma appunto dai partiti, significa anche aprire la strada al corporativismo.
Quanto al rapporto tra PCI e FGCI mi sembra che la FGCI rimanga ancor oggi una delle antenne più sensibili per registrare e introdurre nel partito le contraddizioni, magari allo stato grezzo, per una nuova riflessione politica. Certo queste antenne oggi funzionano un po' meno...
Siamo forse al diritto al mugugno?
Turco - Il diritto al mugugno... Diciamo che spesso il partito non sa recepire, ti lascia mugugnare... Il nostro partito, di fronte ai giovani, ha dei ritardi che sono enormi. Io vedo una discrepanza enorme tra l'affermazione di Berlinguer che dice che i giovani sono nostri figli e la politica che ogni giorno fa il partito. C'è una frattura generazionale, ci sono elementi di ostilità e di diffidenza nei confronti dei giovani che vivono nel partito, che fanno parte di una certa cultura, che hanno una certa formazione politica. Sono anni che siamo critici, supercritici... Un conto sono le grandi affermazioni, un conto è il concreto rapporto con i giovani. Troppo spesso perdiamo dei compagni solamente perché la FGCI ed il partito non hanno saputo dare loro niente. Si sono avvicinati perché cercavano dei punti di riferimento e se ne sono andati delusi.
Zanetta - I mugugni non ascoltati hanno origine, mi sembra, in un grosso errore di prospettiva dei partiti che spesso vedono nei problemi giovanili solo degli atteggiamenti rivendicativi. I partiti non riescono a rispondere ai giovani perché non sanno rispondere ai problemi reali del paese. Questo è per me il punto cruciale dello scollamento tra giovani e partiti.
Pollo - Proseguendo nella stessa direzione c'è da sottolineare che le difficoltà di rapporto tra giovani e movimenti giovanili dei partiti segnano la crisi del modello tradizionale di partito, come momento che risolve in se stesso, totalmente, la partecipazione alla sfera politica. Che il partito sia l'organizzatore totale della partecipazione politica è un fatto che va rivisto.
La coscienza civile si sta evolvendo verso il riconoscimento di un pluralismo di momenti di partecipazione politica anche all'interno di uno stesso individuo. C'è in effetti una grossa partecipazione che si attua, ad esempio, nell'associazionismo sportivo e culturale, nel sindacato, negli organismi di massa nel territorio, nel quartiere. Tutti momenti di partecipazione che devono rimanere autonomi rispetto ai partiti.
Il partito chiuso, il partito organizzatore, il partito esercito, il partito stato deve essere trasformato in partito di movimento, nel senso che deve apprendere a recepire quello che emerge dagli altri momenti in cui si esprime la partecipazione politica e dare ad essi una sintesi unitaria. Quindi non un partito che organizza questi momenti, ma un partito che si lascia organizzare, che confronta se stesso con quanto emerge. Per cui l'individuo che appartiene ad un partito, ma che vive queste ampie sfere di autonomia, a livello di partito ricercherà probabilmente una sintesi più elevata che includa le altre forme di partecipazione.
È difficile allora che il partito che io chiamo partito-stato organizzi il momento personale. Al contrario, in un partito che sia sintesi di momenti di associazione, il problema del rapporto personale-politico può risolversi assai meglio. E ci sarà anche un maggior arricchimento della stessa persona, in proporzione alla sua capacità di esprimersi nelle varie dimensioni della partecipazione.
Turco - Questi movimenti di massa devono però porsi il problema della trasformazione dello stato. Visto che lo stato mi pare abbia un ruolo nella società civile, soprattutto in una società capitalistica avanzata, non si può non tener conto di come i vari movimenti debbano porsi il problema della sua trasformazione politica.
Pollo - La cosa più importante mi sembra salvaguardare l'autonomia di quei movimenti che agiscano nel sociale per una sua trasformazione. La funzione politica, partitica è quella che coordina, porta a sintesi questi elementi in un disegno compiuto, senza stravolgerli. Il partito non può allora prescrivere al sindacato che cosa deve fare o meno. Deve piuttosto inserire le dinamiche sociali che si sviluppano autonomamente in un disegno che non le modifichi o le violenti ma assegni loro un ruolo politico. Un rapporto dialettico che non esisterà mai se il partito, come oggi, pretende di essere il momento totale politico e si arroga il diritto di prescrivere al sindacato la linea politica. Proprio la non chiarezza a riguardo sta portando ad uno scollamento profondo tra base sindacale e sindacato, che attraversa di fatto una crisi di credibilità.
Certo il sindacato deve confrontarsi con le altre forze politiche, in una unità dialettica, in modo da modificare le proprie scelte in funzione del tutto e non cadere nel corporativismo. Per me trovare una sintesi significa favorire un sistema in cui ci sia interazione tra i vari momenti e rispetto delle valutazioni dell'autonomia. Io credo non in una visione statalista delle istituzioni, ma in una visione federalista, in cui la sintesi non sia data da una dottrina normativa per tutti, ma dalla capacità di assumere tutte le realtà in un disegno organico.
IL CONFRONTO TRA I MOVIMENTI GIOVANILI E CON L'ASSOCIAZIONISMO CATTOLICO
Qual è il rapporto dei movimenti giovanili tra di loro e qual è il rapporto dei movimenti con gruppi e associazioni cattoliche giovanili?
Valeri - Molte volte i rapporti tra movimenti giovanili scimmiottano un po' gli adulti nel senso che ci si ritrova, molto istituzionalizzati, in occasioni particolari come le elezioni nelle scuole secondarie e nelle università, atti di terrorismo, grossi fatti politici nazionali e internazionali... In questi casi si discute, si prepara insieme il manifesto o il volantino... Quel che mi sembra sia però richiesto è se esistono dei momenti comuni, dei collegamenti. Su questo siamo molto indietro e la responsabilità è nostra: siamo molto più attenti alle possibilità di accrescere i consensi. I pochi tentativi lasciano del resto molto a desiderare quanto a partecipazione di base. Forse anche per questo ci troviamo a dover soltanto fare dei piagnistei dentro i vari partiti, senza aver la forza di portare avanti una posizione che rispecchi certi punti di vista comuni ai movimenti giovanili e che porti a cambiamenti di rotta nei partiti adulti.
Turco - Noi abbiamo sempre portato avanti il discorso della politica unitaria, perché al centro della nostra strategia c'è una politica unitaria, anche ,w vogliamo evitare una politica di cartello.
I progetti e le proposte di confronto non mancano... Ogni volta che ci si incontra si stabilisce di fare «grandi cose» e poi... Quello che manca è proprio il confronto sui temi di fondo. È una carenza molto grossa. Non si riesce a uscire da una visione «parrocchiale» dei problemi. Diverbi politici contingenti portano a sgarbi fra movimenti che condizionano fortemente la convergenza su obiettivi.
C'è poi l'altro versante: il rapporto con il mondo cattolico, in quanto tale e non come movimento giovanile DC. Con i cattolici il confronto avviene, ma, proprio perché si tratta di identità molto differenti, in una dimensione non di strategia politica o di scelte politiche immediate, ma su un piano più culturale. Così ad esempio, a Torino ci siamo confrontati con vari gruppi e associazioni cattoliche, per altro molto disponibili al confronto, su temi come individuo/collettività, famiglia, lavoro... È onesto aggiungere che le iniziative riguardano delle minoranze. La base è molto restia al dialogo. I nostri compagni non si pongono assolutamente il problema di cosa sia, come si organizza, quale tematiche sviluppi il mondo cattolico. Tutto sommato sono fermi a mondo cattolico come mondo giovanile DC, o seminai CL. E non sono affatto convinti che il confronto con i cattolici possa arricchire. Oltretutto non sembra che a sinistra si condividano questi discorsi. Il rischio allora di mettere in crisi la stessa unità della sinistra frena il confronto.
Carmagnola - Il fatto saliente di questi anni, per il nostro movimento a Torino, è stata l'offerta della collaborazione della FGCI ai giovani DC per le liste unitarie nella scuola. Questo è stato rifiutato per precisi motivi politici e per tutta una serie di scelte diverse all'interno della scuola. Quanto alla FGSI la difficoltà di collaborazione nasce dal fatto che i giovani socialisti si muovono incerti tra confronto con i giovani DC e apertura alla nuova sinistra.
L'approccio con il mondo cattolico è più sfumato. Più che un approccio con le organizzazioni cattoliche è stato un contatto fra singoli gruppi e associazioni, per evitare il cartello di gruppi la cui unione avrebbe potuto riportare a una politica falsamente unitaria. Il rapporto che oggi sosteniamo è interessante proprio perché vogliamo evitare un rapporto di allineamento. Questa impostazione si è resa necessaria per chiarire, superato il collateralismo, quello che si ha in comune e quello che ci diversifica. Il confronto è stato abbastanza intenso e fruttuoso e ci ha costretti spesso a rimettere in discussione i nostri atteggiamenti.
C'è da aggiungere che parecchi giovani appartenenti a organizzazioni cattoliche fanno parte del movimento giovanile DC. Ma questo è un discorso estremamente delicato da farsi perché i partiti e le organizzazioni cattoliche si propongono degli obiettivi chiaramente diversi.
D'altra parte mi sembra pericoloso dare un indirizzo a questo mondo cattolico che è eterogeneo e non può essere ridotto ad un discorso partitico. Oggi la collaborazione tra mondo cattolico e DC c'è ed è molto più fruttuosa, anche se quantitativamente meno rilevante, delle precedenti esperienze di collateralismo che avevano svuotato il partito nella sua essenza più viva, nella capacità di cogliere dagli altri quello che c'era di nuovo e farlo proprio.
Valeri - Io credo che, per quanto riguarda il passato, sul rapporto con i cattolici il PSI debba fare una autocritica. Il partito ha ereditato un anticlericalismo di maniera, molte volte anche in termini beceri. Bisogna tener conto della presenza nel partito di elementi e teorizzazioni radicali. La stessa apertura ai cattolici, maturata fin dalla fine degli anni '50, all'inizio molto corretta e molto seria soprattutto da parte cattolica si è poi ridotta, alla fine degli anni '60, al rapporto di governo con la DC e basta.
Negli ultimi anni c'è stato un forte ripensamento che ha portato a risultati di rilievo: la linea politica del partito è oggi anche frutto del confronto con alcuni movimenti canoa-ci e del contributo dentro il partito di ma nucleo di cattolici molto qualificati.
La presenza dei cattolici si è fatta più incisiva nella elaborazione dello stesso programma del partito quando il Movimento Politico dei lavoratori di Livio Labor, si sciolse e passò, in parte, al PSI. Attualmente poi alcuni settori chiave del partito sono in mano a compagni di provenienza cattolica.
In ogni caso credo che un certo anticlericalismo pesi ancora, anche nella federazione giovanile, proprio perché molti compagni sono arrivati al PSI e alla FGSI a conclusione di cicli di esperienze abbastanza critiche verso il movimento cattolico.
LO SPAZIO DEI PARTITI NELLA VITA SOCIALE E POLITICA
Il '68, nato come movimento politico-culturale, aveva portato i giovani ad un serrato confronto sui problemi di fondo. A distanza di anni si può osservare come i partiti abbiano in qualche modo catturato diversi di questi giovani e li abbiamo inseriti in un discorso ed in una politica di tipo pragmatista, di governo a volte. Dimenticando che i giovani hanno delle esigenze culturali che implicano un confronto tra gli stessi giovani non tanto perché si appartiene ad un partito ma perché si hanno interrogativi e prospettive in comune. Si può dire che i partiti stiano oggi dividendo i giovani impedendo l'emergere di discorsi e interventi nella direzione di un cambio culturale e sociale?
Turco - Vorrei premettere alcune precisazioni a proposito della politica unitaria e in particolare del nostro rapporto con la DC ed il mondo cattolico.
Il partito non può educare solo ad uno scontro ideologico ma ha anche un ruolo formativo-educativo finalizzato al cambiamento della società. In vista di questo ha senso ed è possibile un confronto ed un arricchimento reciproco. Il senso della politica unitaria, al di là della tattica, degli schieramenti, è allora la maturazione reciproca verso obiettivi comuni, ferme restando le differenze di identità e di vedute. Simile impostazione la credo decisiva anche nei confronti del mondo cattolico e delle sue organizzazioni.
Noi abbiamo corretto, nel nostro ultimo congresso, la parola d'ordine della unità delle giovani generazioni. Abbiamo affermato infatti che per unità delle nuove generazioni intendevamo un processo molto profondo, appunto culturale, che avesse presente obiettivi di fondo e non invece scadenze politiche ravvicinate, rispetto alle quali possono permanere delle divergenze. Il discorso del nuovo movimento vuol dire questo: non tanto una ipotetica unità tra noi e il mondo cattolico, e come mondo cattolico soprattutto la DC, ma piuttosto vedere tutti come interlocutori politici di pari livello, con pari dignità. In questo spazio ha senso anche considerare come interlocutori le varie associazioni giovanili cattoliche e lo stesso movimento giovanile DC.
Per il rapporto con il mondo cattolico c'è del resto da ricordare alcuni valori che, al di là delle diversificazioni, in questi anni abbiamo maturato insieme: solidarietà, lotta ad un certo tipo di consumismo, ricerca di una società che sia veramente a misura d'uomo... Credo che su temi del genere si possa ancor oggi sviluppare un dialogo di arricchimento e modificazione reciproca. Il momento storico ci offre fra l'altro due elementi riferendosi ài quali sia i giovani comunisti che quelli delle associazioni cattoliche possono maturare: il carattere della crisi che attraversiamo ed il ruolo delle classi lavoratrici nel superamento. Per il mondo cattolico si tratterà probabilmente di maturare rispetto al nodo fede/politica; per noi si tratterà di uscire da un certo economicismo per affrontare la crisi nella sua complessità e maturare un rapporto tra struttura e coscienza che permetta di sviluppare una più ampia progettualità. La stessa presenza dei cattolici nel partito deve essere non solo accettata nella sua laicità, ma anche per la possibilità concreta di un contributo per una più ampia progettualità.
Valeri - Io ritengo, per rispondere alla domanda fatta prima, che i partiti non devono affatto essere un momento di lacerazione civile, ma un momento di unità democratica di organizzazioni che sostengono il dibattito civile nel nostro paese. Però a mio avviso, mantenendo ben distinti i propri ruoli e programmi.
Un fatto negativo della attuale situazione è che abbiamo avuto un governo rappresentativo anche del 95% dello schieramento parlamentare. I giovani non riescono a capire. Finiscono per giudicare la classe politica una strana melma in cui prevalgono partitismi e pragmatismi e non le impostazioni ideologiche e politiche di carattere più generale. Io credo che i partiti dovrebbero definire meglio i loro programmi ed essere più chiari verso i cittadini.
Basta pensare alla legge sulla occupazione giovanile: due milioni di giovani disoccupati si sono sentiti sostanzialmente ingannati da provvedimenti presi insieme da tutti i partiti. Non dico che i partiti non dovevano prendere provvedimenti. Il guaio è che nel prenderli sono sfuggite le differenziazioni che di fatto esistono tra i vari programmi di partito. E così è decaduto lo stesso dibattito politico e confronto democratico. Ora non si può affrontare la disoccupazione giovanile se non si pone il problema di un diverso modello di società e di un diverso modello della organizzazione della vita quotidiana, del rapporto, ad esempio, tra lavoro e tempo libero. Quindi anche nell'affrontare problemi concreti, problemi più pragmatici, mi pare ci debba essere questo allargamento di orizzonti in modo che le soluzioni non scendano soltanto da provvedimenti legislativi o da visuali di carattere economicistico, ma investano anche l'organizzazione stessa della società.
Pollo - Compito di un movimento politico è abituare le persone alla tolleranza, al rispetto reciproco. Ma è un errore pretendere di trovare convergenze a tutti i costi intorno a progetti concreti.
La vita politica deve esaltare le differenze e non reprimerle. Proprio l'appiattimento delle differenze è all'origine della disaffezione dei giovani. E l'appiattimento si verifica quando prevale l'elemento pragmatico rispetto all'elemento ideale. Che cosa differenzia un partito da un altro se non il diverso patrimonio e i diversi obiettivi che pone al fondo della sua azione politica? Esistono epoche cupe come questa, in cui è possibile una collaborazione al 95% tra i partiti, perché obiettivamente i dati ideali sono trascurati a favore di una visione pragmatica della crisi. In questo modo però non si fa che imbalsamare un cadavere. La capacità di ogni partito di evidenziare il proprio patrimonio e di ricavarne degli obiettivi, è per me il vero modo di risolvere la crisi, anche se più duro, più lacerante.
Io credo nella tolleranza e tolleranza significa accettare gli altri, confrontarsi, essere disponibili alla critica e all'autocritica, essere consapevoli che la propria è una delle possibili posizioni. Quando si ha questo tipo di sicurezza il problema della unità è meno impellente.
Quanto alla presenza dei cattolici nei partiti, io giudico maturo un partito nella misura in cui riesce ad avere al suo interno dei cattolici senza etichetta, senza cioè che questi abbiano bisogno di dire «noi siamo cattolici», e permette loro di portare un contributo culturale senza sottolineare che si tratta di contributo specifico del mondo cattolico a cui, bontà sua, il partito dà spazio e accoglienza.
Nel progetto socialista c'è un'ampia sfera di ricupero di cultura cattolica ben integrata nel progetto di trasformazione. Questo non è stato fatto a scopo più o meno pubblicitario... Semplicemente, nell'aggregazione di forze, il gruppo di persone che avevano una matrice cattolica hanno dato il loro contributo al progetto. Questa mi sembra la strada per superare lo strumentalismo, di chi vede il cattolico come «altro» politicamente. Se non si supera tale atteggiamento si continua a dare una categorialità politica ai cattolici. In altri termini si dà ragione a chi sostiene che ci deve essere un partito dei cattolici.
Il vero problema è di vedere una strategia di rapporti a giusti livelli. Ad esempio, il rapporto tra movimenti giovanili dei partiti e aggregazioni cattoliche non sta nel fatto che io dialogo con un altro da me, ma nel fatto che io dialogo con un punto diverso nella pluralità del modo di organizzare e, prima ancora, di essere nella vita politica. Dialogo dunque con un momento di un'altra dimensione esistenziale, in questo caso di tipo ecclesiale, ma non dialogo perché il cattolico è diverso da me politicamente, bensì perché è un'altra dimensione del politico ed il dialogo con un'altra dimensione arricchisce me e l'altro.