Un catechismo tra fede e storia

 

Flavio Pajer

(NPG 1979-05-44)


Ci sono certi binomi che caratterizzano tutta un'epoca nella storia della fede cristiana: al medievale binomio «fides-intellectus», per esempio, è succeduto in epoca moderna il binomio «fede-scienza», a sua volta superato oggi da altri binomi, quali «fede-esperienza», «fede-prassi», «fede-storia».
Sono formule di comodo, estremamente semplificatrici nella loro bipolarità, che hanno però il merito di coagulare la molteplice ed eterogenea complessità delle vicende culturali della fede entro alcune pochissime categorie portanti, tipiche appunto di un'epoca o di una stagione culturale.
Tocca all'indagine storica, e propriamente alla storia della teologia, verificare la correttezza o meno del rapporto dialettico stabilito tra i due poli in presenza. Sappiamo infatti della continua oscillazione tra forme di concordismo, di dualismo, di fondamentalismo, che di epoca in epoca hanno lasciato il loro segno non solo nella riflessione teologica, bensì nella prassi pastorale, nel rito liturgico, nel linguaggio catechistico, nella pietà popolare.
Qui ci interessa soffermarci solo su uno dei binomi sopra accennati, che emerge con insistenza quasi ossessiva sia nel dibattito teologico come nella pratica catechistica: il rapporto fede-storia. Il nuovo catechismo dei giovani (= cdg) per la Chiesa italiana può prestarsi opportunamente come un «rivelatore», come una «spia» di una tendenza in atto.
Dopo qualche breve cenno all'evoluzione subita dal rapporto fede-storia nella pastorale catechistica giovanile recente, metterò in rilievo come questo rapporto si traduca oggi nella struttura e nel linguaggio del cdg, per arrivare a individuare infine qualche linea operativa da privilegiare nella prassi diretta.

LA TRADIZIONE CADUTA IN DISCREDITO

Che il contenuto storico e oggettivo della fede non sia più da tempo al centro degli interessi della catechesi, soprattutto giovanile, è un'evidenza che non occorre più dimostrare. Così come appare evidente – nella fenomenologia delle pratiche educative e degli strumenti didattici in corso – che la «vita», l'«esperienza umana», i «problemi sociali» sono subentrati ad occupare il posto centrale, facendo slittare ai margini se non eliminando del tutto il riferimento ai dati oggettivi e normativi della tradizione di fede.
Dalla dimensione storica della fede, intesa come radicamento nella genesi oggettiva dei fatti e delle parole propri della rivelazione e della tradizione, si è passati a privilegiare la storia del presente, quella dell'attualità, quella dell'individuo e del gruppo situati hic et nunc. Storia intesa piuttosto come riflesso di situazioni contingenti e congiunturali che come memoria permanente, collettiva e costitutiva del capitale simbolico della fede. Certo, si possono riconoscere molteplici cause concomitanti all'origine di questo slittamento della catechesi degli ultimi 15-20 anni dalla dominante contenutistica (catechesi come introduzione alla «storia della salvezza») alla dominante cosiddetta antropologica (catechesi come «interpretazione dell'esperienza umana»).
Tra queste cause: la resistenza più che giustificata alla deviazione intellettualistica di certa catechesi succube del modello culturale e pedagogico della scuola; la fine della cultura cattolica come unica e indifferenziata ideologia di massa, che rende più difficili se non desueti i riferimenti univoci al capitale simbolico e culturale della fede; l'adozione in pedagogia della fede di nuovi criteri e di nuovi strumenti ermeneutici immessi nel campo culturale da nuove filosofie (per es., le correnti personalistiche ed esistenzialistiche) o presi in prestito da certe scienze umane oggi più in voga; lo sforzo pastorale di reintegrare attivamente il soggetto credente nel processo di appropriazione-espressione della fede e non solo di assimilazione-consumo di riti e di linguaggi precostituiti...
Ma nessuno di questi o altri fenomeni congiunturali del genere, per quanto culturalmente rilevanti, potrebbe giu.stificare l'arroccamento su modelli di catechesi che – di solito, per una malintesa valorizzazione del dato esperienziale – conducono a un oggettivo discredito se non a uno sradicamento del dato inderogabile della tradizione. La fede cristiana è qualcosa di fondamentalmente tramandato e ricevuto. Con una formula che non ha nulla di demagogico Congar scriveva qualche anno fa:

«Il cristianesimo è essenzialmente questo: è una religione costituita, istituita con interventi di Dio avvenuti tempo fa. C'è stato un Abramo, un esodo, un'alleanza sul Sinai, un Davide; c'è stato un Giovanni Battista, una Maria di Nazaret, un Gesù, una confessione di Pietro, una cena, una passione, una resurrezione, una pentecoste. Tutto questo, con il resto, costituisce la «fede tramandata ai santi una volta per tutte», di cui parla l'epistola di Giuda, 3. Questo non è più da fare, è fatto. E questo ci è dato perché noi partecipiamo a queste realtà e perché attraverso queste comunichiamo non solo con Dio, ma tutti insieme con coloro che prima di noi hanno vissuto in questa comunione. Noi siamo preceduti, siamo attorniati. Questo è la chiesa come struttura di tradizione (trasmissione) che è essenziale» (Y. Congar, Un cristianesimo tramandato e ricevuto o liberamente interpretato e vissuto?, in «Concilium» 6/1975, 141).

... E LA TRADIZIONE RIVALUTATA

L'evoluzione della catechesi giovanile verso forme più o meno esclusive di interpretazione dell'esistenza o, più recentemente, verso forme di coscientizzazione socio-politica, non poteva non provocare reazioni contrastanti a vari livelli della chiesa istituzionale. È così che, via via che le esperienze maturavano (o degeneravano, secondo altri), sono sorti attriti tra gruppi cristiani di diversa ispirazione, si è creato lo sconcerto qua o là anche tra le file degli operatori pastorali, si sono attizzate le scaramucce tra scuole teologiche di diversa obbedienza, si sono moltiplicati i richiami all'ordine da parte della gerarchia... Certo, ognuna di queste prese di posizione andrebbe anzitutto situata nel suo campo sociale e istituzionale di produzione e di diffusione, per poter individuare quali interessi strategici ognuna delle parti intende perseguire quando difende tale o tal altra posizione.
Ma all'origine delle diverse prese di parola (individuali o collettive, della base o del vertice, dell'area del consenso o del dissenso) c'è una ragione di fondo che accomuna tutti nella stessa rivendicazione: la ragione è che – anche per la Chiesa come per ogni gruppo sociale – il riferimento a una tradizione è fattore ineliminabile per garantirsi un'identità; e dunque il fatto di allentare o snaturare i legami con questa tradizione storica significa ipso facto attentare alla propria identità e quindi alla stessa esistenza sociale del gruppo.
È la solidarietà con una tradizione che crea i legami di una solidarietà sociale. La Chiesa è tradizione. È «vettore» di una storia collettiva che nasce dalla prima comunità dei testimoni di Cristo, radicati essi stessi in una tradizione collettiva e nell'ethos di Israele. È così che si sono intessute, nello spazio geografico e nel decorso storico, le parole, i gesti, i riti, i simboli della fede. L'avvicendarsi delle comunità cristiane ha significato ritoccare via via questo capitale spirituale, interpretarlo dall'interno delle varie culture succedutesi, difenderlo dai rischi interni della manipolazione arbitraria o dell'irrigidimento dogmatico, come dalle aggressioni esterne di filosofie e religioni concorrenti.
Entrare nella Chiesa significa appunto prender posto in questa tradizione di parole, di riti, di solidarietà con la storia in nome del vangelo. Funzione eminente della catechesi è proprio di iscrivere generazioni e culture nuove nella storia specificamente cristiana. Si tratta, certo, di una tradizione attiva, di una trasmissione che «inventa» continuamente i suoi supporti linguistici e simbolici, dato che la sola ripetizione materiale sarebbe tradimento dell'alterità di Dio. La fede non si identifica né nelle formule né nelle pratiche che servono per esprimerla.
Ogni tradizione è al tempo stesso interpretazione nella misura in cui attualizza la Scrittura perché diventi incontro con la Parola di Dio. Il catechista attualizza la Parola rifiutando un rapporto pedagogico di tipo asimmetrico, superando cioè la divisione di ruoli come quella funzionante, per esempio, tra insegnante e alunno, per entrare invece in stretta collaborazione, in sintonia dialettica, coi vari gruppi di credenti in cui è inserito. La dinamica stessa dell'aggregazione è significativa dello specifico cristiano. La catechesi, mentre è comunicazione di significati, trasmissione di fatti e parole intimamente connessi, è creatrice al tempo stesso di relazioni, di solidarietà interpersonali e sociali. Il che significa che la solidarietà cristiana e la visibilità storica della Chiesa rivelano la Parola mentre o prima ancora che il catechista la proclami.
Quanto dire che il credo della Chiesa ha una sua funzione socio-ecclesiale precisa, irrinunciabile. A prima impressione sembra che credo e verità dogmatica condannino il cristiano alla ripetizione delle formule di sempre e alla negazione dell'alterità culturale. Sarebbe rifiutare la storicità del messaggio cristiano se lo si isolasse nella lettera morta di un messaggio culturale impermeabile alle sollecitazioni della modernità.
In realtà il credo è simbolo non solo perché condensa espressioni molteplici dell'unica fede, ma perché unifica uomini e culture. Il credo ha una funzione sociale di aggregazione, di solidarietà collettiva attorno all'identità cristiana della fede. Esso rappresenta nel mutare della vicenda storica della Chiesa, il segno e il sacramento di un'appartenenza; è come l'itinerario obbligato che non si può impunemente abbandonare senza lasciar diluire l'identità cristiana in un caleidoscopio di significati privi di univocità.
L'identità del cristiano è tale che la sua parola non può essere disgiunta dalla «memoria», dal sapere stesso (sapere a chi credere, cosa credere, perché credere...), e questo sapere non è mai disgiunto dalla relazione o dall'appartenenza sociale. Come dire che la fede è tradizione di conoscenza e la conoscenza diventa parola di Chiesa. Nel cristianesimo, «storia e cultura, parole e lingua, non solo significano ma producono identità» (G. Defois, Des chrétiens inquiets de leurs mots, in «Catéchèse» 68/1977, 295).

GIOVANI CATTURATI DAL SOGGETTIVO

Come si situano oggi i giovani di fronte all'imperativo cristiano di «entrare in una tradizione», di lasciarsi dare il contenuto se non la forma della fede: di «verificare» la propria esistenza con una Persona e un messaggio che esigono accettazione radicale e non un'accettazione a misura del proprio bisogno soggettivo?
Non è il caso qui di ridipingere una volta di più il quadro dell'attuale situazione giovanile di fronte alla proposta cristiana. Solo un cenno ad alcuni tratti dominanti dell'attuale spiritualità giovanile, per capire il senso e gli equivoci che può assumere nella loro esperienza cristiana il rapporto fede-storia.
Stando anche solo a una tipologia approssimativa, possiamo individuare nella popolazione giovanile credente, o quella comunque che manifesta un certo impegno cristiano, alcune tendenze in atto:
– In certi gruppi giovanili è evidente un bisogno di riscoprire l'amore evangelico come momento di intimità intersoggettiva; la comunione fraterna sembra attingere il suo alimento più che dagli imperativi della Scrittura, dalle risorse extralogiche del sentimento; manca quasi totalmente il confronto critico col mondo e con la Chiesa istituzionale; si può pensare che in questi gruppi l'assoluto evangelico dell'amore fraterno e universale serva a camuffare una regressione di tipo soggettivistico, che non permette all'adolescente di divenire adulto; diventa così sempre più arduo il passaggio dalla soggettività individuale o collettiva all'oggettività dei rapporti reali, dei processi iscritti nella natura delle cose e nella storia.
– In altri gruppi viene privilegiato il confronto comunitario con la Parola di Dio secondo un iter di conversione largamente prestabilito e disciplinato dai leader carismatici; la Parola di Dio è qui un assoluto sufficiente a se stesso, che viene preso alla lettera senza far troppo caso alle inevitabili mediazioni culturali; il rapporto della Parola con le modificazioni della storia non le è strutturale ma contingente, rimesso comunque alle decisioni della coscienza singola, al volontarismo delle scelte personali, fuori dell'area sacra e aristocratica del confronto comunitario, quasi che le basse vicende della storia non dovessero venire a turbare la devota pietà dell'assemblea...
– In altri gruppi ancora il vangelo è preso come norma regolatrice della stessa gestione sociale (l'utopia, o piuttosto il mito di una nuova «societas christiana»); dal vangelo vien fatta dipendere non solo la condotta morale dei singoli ma persino la scelta di un modello di società; solo la comunità cristiana fornirebbe il modello adatto al superamento delle contraddizioni sociali; nel vangelo c'è la risposta a tutti i problemi dell'uomo. È chiaro che ci troviamo qui di fronte a forme integristiche di rapportare la fede alla storia. Spiegabili un certo narcisismo e una certa aggressività di questi gruppi, che si compiacciono nel verbalizzare gli assoluti evangelici in formule anche raffinate, ma che rischiano di congelarsi in stereotipi funzionali alla reiterazione ossessiva piuttosto che stimolare un confronto sereno, ecumenicamente aperto anche a posizioni ideologiche diverse o dissenzienti.
– Giovani pacifisti, terzomondisti, obiettori di coscienza sono capaci anche di gesti profetici, ma il loro profetismo, più psicologico che biblico, può renderli estranei a ogni inserimento istituzionale e portarli a gesti clamorosi, ma puntuali e discontinui; sono come la frangia eroica di larghi strati giovanili in cui l'universalismo del vangelo si esprime in iniziative volontarie di servizio sociale; promotori e animatori di questi gruppi giovanili «hanno ragione di rallegrarsi della larga udienza che il vangelo riscontra nel mondo giovanile, ma essi dovrebbero dar più peso al fatto che il confronto col vangelo è, in questo caso, di tipo suggestivo ed effimero, sia al fatto che, una volta svegliati dal torpore acritico del loro ambiente e introdotti nella inquietudine morale, i giovani in molti casi vanno molto lontano; consumata subito l'emozione etico-religiosa del primo risveglio, essi vanno verso una scelta politica in regola con la ragione critica e totalmente secolare» (E. Balducci, Gioventù e assoluto evangelico, in «Concilium» 6/1975, 136-137; all'articolo di Balducci si ispira anche la descrizione tipologica di questo paragrafo).
– Altri giovani infine militano sulla scorta di una precomprensione del vangelo di tipo scopertamente politico, ispirata all'analisi e alla scelta di classe, col conseguente rischio di un certo letteralismo evangelico quando le categorie bibliche fossero direttamente applicate alla congiuntura rivoluzionaria in cui si trova la società moderna; anche se va ormai sempre più estinguendosi, questa tendenza avrà rivelato a molti giovani degli anni 60-70 l'equivoco di aver identificato messaggio profetico-escatologico con l'analisi scientifica dei conflitti sociali.
In definitiva, in tutte queste tendenze rapidamente evocate ciò che fa problema è proprio il modo di coniugare fede e storia, Fraintendere un polo significa snaturare anche l'altro. Fuga dalla storia, per gli uni, in nome della fede; svuotamento della fede, per gli altri, in nome della storia. I frutti di queste fluttuazioni o esasperazioni sono noti. Animatori e responsabili si interrogano sulla politica da seguire. I giovani stessi, presi tra disillusione e impotenza, possono manifestare insospettate disponibilità a verificare da capo la consistenza del rapporto fede-storia. Da questo punto di vista, il cdg può forse rispondere a un'attesa che è nell'aria da parecchio tempo.

UN CATECHISMO «INATTUALE»?

A forza di utilizzare nella catechesi giovanile l'«ultima» generazione di strumenti pedagogici usciti sul mercato, a forza di rincorrere il «testo-choc che fa per i miei giovani», o l'ultimo ritrovato audiovisivo per captare il loro interesse, non eravamo quasi più abituati a pensare a un catechismo per i giovani di queste dimensioni e di questa fattura.
Si troverà, a prima vista, che è troppo dogmatico, magistrale, fuori del tempo; che non ha – o ha troppo poco – riferimento all'attualità dei problemi giovanili; che non è in linea con le sensibilità, le attese, il linguaggio del giovane medio; che insomma è un catechismo troppo «fede» e poco «storia», un catechismo inattuale.
L'impressione può essere vera se per inattuale si intende privo o povero di riferimenti troppo immediati alla cronaca quotidiana o all'esperienza episodica dei giovani; o se ancora per inattuale si intende l'alterità del vangelo che non può essere ridotto a sola risposta puntuale di ogni problema che nasce nella coscienza personale o nella storia collettiva dell'uomo.
Una certa «inattualità» del catechismo è stata voluta espressamente dagli estensori. Non ovviamente per scansare con eleganza il necessario e compromettente impatto del discorso cristiano con la storia, ma per superare un certo modo evasivo, epidermico, di rapportarsi all'attualità. È chiaro che il catechismo – presentando la storia di Gesù – intende raggiungere la nostra storia, la storia di ogni destinatario o lettore. Ma c'è modo e modo di operare questo va-e-vieni tra la storia passata di Gesù e la storia presente di ciascuno di noi. Il giusto dosaggio tra l'una e l'altra storia è questione di tattica catechistica sul campo, in situazione diretta. Un catechismo, inteso come testo-base o anche come strumento pedagogico, può anche permettersi di non scendere sempre a esemplificazioni e applicazioni che spettano piuttosto alla discrezione degli utenti.
Non mancano tuttavia – lungo tutta la presentazione della vita e del messaggio di Gesù – chiari ed espliciti riferimenti all'esperienza contemporanea. Sono riferimenti «esemplari» più che esaustivi. Mai sono trattati come fine a se stessi, tra l'altro per non interrompere la tensione della linea portante dell'esposizione, che è linea storica, linea tesa a restituire nel nostro tempo la sostanza del vangelo a partire dal fatto Gesù, situato organicamente nel contesto che l'ha prodotto (AT) e che l'ha portato sino a noi (NT e Chiesa). E ciò per evitare i due rischi sempre in agguato in ogni lettura del vangelo: un archeologismo irrilevante per il presente, e un'attualizzazione precipitosa che impone più o meno arbitrariamente al testo evangelico interrogativi e preoccupazioni che gli sono invece estranei.

L'OTTICA DEL RAPPORTO FEDE-ESPERIENZA

Le esperienze umane evocate nel catechismo – siano esse di tipo affettivo o sociopolitico, o più propriamente religiose e ecclesiali – non sono state evidentemente scelte a caso. Anche se altre esperienze-tipo avrebbero potuto essere efficacemente sfruttate, e con altri tipi di approccio, quelle prese in considerazione nel catechismo rispondono a precisi criteri di redazione e di articolazione del contenuto. Quattro criteri soprattutto sono stati tenuti presenti:
– La radicalità, nel senso che si privilegia un riferimento costante ad alcune poche esperienze di base, che costituiscono, per cosi dire, la mediazione esistenziale attraverso cui un'esperienza di fede è resa possibile; come radicali sono certe esperienze-limite che costringono a una decisione di vita, che non permettono l'evasione nel superficiale, che impegnano prima o poi a un aut-aut, che coinvolgono quindi la profondità e la totalità della persona.
– L'obiettività storica nel senso che tra le esperienze da valorizzare primeggiano quelle che emergono con una certa costanza e significatività dalla storia umana in generale e dalla storia personale: esperienze con le quali è opportuno e doveroso confrontarsi criticamente, se non altro per non soccombere alla suggestione psicologica soggettiva o al rischio di scelte gratificanti e arbitrarie, che chiudono individui e gruppi entro processi di identificazione riduttivi e perciò stesso isolanti dai reali impegni storici; come corollario a questo criterio, si capisce perché l'attenzione all'attualità o alle mode passeggere della «cultura giovanile» non scenda mai, nel testo del catechismo, al livello del riferimento episodico o cronachistico.
– La gradualità: criterio nettamente evidente nello stesso itinerario seguito nel condurre passo passo il giovane a una motivata scelta di fede: da un'iniziale assunzione della propria esperienza di «persona in ricerca», a confronto con l'obiettiva esperienza storica concretizzata nel Cristo e nella comunità cristiana, fino a un consequenziale coinvolgimento nell'esperienza ecclesiale, sperimentata nella libertà di chi sa e può operare scelte mature, cioè fondate e fondanti rispetto a ulteriori impegni.
– L'organicità, nel senso che esperienza soggettiva, storia della salvezza e verità cristiana non sono intese estrinseche l'una all'altra, ma nemmeno intercambiabili, né facilmente gerarchizzabili. Certo, ontologicamente parlando, la realtà storica precede la mia esperienza, la verità oggettiva esiste prima delle mie interpretazioni, ma è altrettanto vero che è dalla mia situazione hic et nunc, attraverso le mediazioni culturali di cui dispongo, che posso accedere alla comprensione della verità e della storia umana, che né è il tempo stesso oggetto e veicolo. Anche condensata in un itinerario catechistico, la fede non è riducibile a una somma di verità ma designa un modo nuovo di esistere, col quale il credente viene inserito nella relazione con Dio e nel movimento del popolo di Dio nel cammino della storia. In altre parole, una certa organicità psicologica delle esperienze non esclude, anzi invoca, una certa organicità teologica dei contenuti, a condizione naturalmente che intervenga una corretta mediazione pedagogica.

UN CIRCOLO ERMENEUTICO DA ATTIVARE

Più concretamente, come vien fatto funzionare nel cdg il rapporto fede-storia, o meglio, il rapporto tra vangelo cristiano ed esistenza attuale? Intanto è da notare l'architettura globale del testo. I tre blocchi in cui è diviso rivelano un filo logico (anzi teologico), che va dall'esistenza problematica e interrogante del giovane e più largamente dell'umanità (prima parte del catechismo), alla lettura analitica, metodica e progressiva del vangelo (seconda parte), per aprirsi infine ad alcuni nodi qualificanti la vita cristiana iscritta nella storia e costruttiva di storia (terza parte).
Tripartizione classica e scontata, se vogliamo, ma che qui risponde a un'obiettiva esigenza di un itinerario catecumenale che il giovane è invitato a percorrere, non senza dover metterci qualcosa di suo, come il coraggio e la perseveranza nella ricerca, la disponibilità e l'apertura al messaggio, il discernimento critico e la decisione nelle scelte operative. È un catechismo che chiede molto al lettore. Non lo tratta da minorenne. Non è anche questo un modo – dignitoso e antidemagogico – di rispettare la ragione, i sentimenti, i valori, le scelte che ogni giovane porta con sé?

Un catechismo a prevalente stile kerigmatico?

La rilevanza centrale che la proposta del vangelo ha di fatto nel catechismo può permettere di catalogarlo sotto l'etichetta di «catechismo kerigmatico», in quanto l'evidente sforzo pedagogico di ricostruire e rilanciare il primo annuncio del vangelo fa apparire marginale, anche se non trascurabile, la preoccupazione di un'istruzione analitica sui singoli aspetti del credo e della morale cristiana. Come si giustifica oggi una proposta di tipo kerigmatico?
Dato per scontato che la funzionalità di ogni modello di catechesi è sempre relativa a tempi luoghi culture persone e metodologie, e dato per scontato quindi che non si dà in assoluto un modello che sia sempre e necessariamente migliore di un altro, è pacifico che la scelta kerigmatica del cdg, come non significa sconfessione di altre scelte possibili come quella «antropologica», così non intende canonizzare un procedimento, un linguaggio, una lettura biblica, una teologia, una ecclesiologia...
Le ragioni della scelta kerigmatica restano in fondo contingenti e relative all'utente ordinario del catechismo. I motivi che suggeriscono la scelta di tale impostazione «kerigmatica» per un catechismo rivolto ai giovani sono quelli connessi all'obiettiva condizione loro dal punto di vista della fede, che è quanto meno condizione di profondo ripensamento, se non anche condizione di radicale dubbio e di incapacità a scorgere la consistenza essenziale della scelta cristiana.

Un costante movimento tra Parola e storia

Va tuttavia notato che questo aspetto kerigmatico è notevolmente attenuato – e corretto, se così si può dire – da un costante movimento dialettico provocato tra Parola e lettore. C'è, come in filigrana, un certo andirivieni tra Parola che illumina la storia, la storia collettiva che «porta» (come una matrice) l'esperienza personale, e l'esperienza personale che viene interpellata dalla Parola. Funziona così, anche se spesso in modo implicito, una specie di circolo ermeneutico, che fa passare il lettore da un polo all'altro della realtà. Non siamo cioè di fronte a un commento freddo, neutrale, puramente esegetico, della Parola come se si potesse mettersi «fuori campo» a guardare in veste di spettatori. C'è piuttosto un continuo mettersi in posizione di interlocutori, coinvolti in pieno e in prima persona dalla Parola, fino ad acquisire la capacità di «applicare il testo alla nostra vita e la nostra vita al testo». L'andatura del catechismo mostra anche che tutti gli avvenimenti del passato storico hanno un carattere di promessa, che sono aperti per natura su qualcosa di più grande; farne oggetto di riflessione, oggi, non significa voler farli rivivere artificialmente, ma integrarli in uno sviluppo necessario, apparentemente all'avvenimento stesso. In fondo, una corretta lettura del cdg mostra in concreto che non si può continuare a contrapporre la dottrina «proposta ufficialmente» (che è solo un deposito di garanzie-guida per l'ascolto e l'interpretazione della Parola) alla lettura fatta da chi si trova «in situazione», come se solo la prima fosse Parola di Dio e l'altra fosse solo arbitraria ideologizzazione umana. I rischi ci sono, ma su ambedue i fronti: la Parola confezionata in dottrina rischia l'astrattezza e il silenzio in rapporto alla vita; la lettura fatta in situazione particolare rischia la manipolazione e le sabbie mobili del soggettivismo. E certo, non è eliminando una delle due istanze che si risolvono i problemi di un'iniziazione adulta alla fede.

PER RINNOVARE LA STRATEGIA PASTORALE

Va ricordato che un catechismo, per quanto atto ufficiale del magistero, è strumento, non fine. Ciò che più importa, al di là dello strumento contingente, sono le effettive condizioni di rinnovamento di una pastorale giovanile da maturare nell'ambito di una prassi ecclesiale globale. Non è detto infatti che la catechesi giovanile faccia un salto spettacolare di qualità dal giorno in cui il nuovo catechismo entrerà in circolazione. Come ovviamente non sarà onesto, domani, imputare al catechismo eventuali disfunzioni croniche della catechesi giovanile, che saranno invece da attribuire più verosimilmente a «vizi» strutturali della Chiesa locale.
Stando comunque nell'ambito del nostro assunto, ci possiamo chiedere, per terminare, quali siano le condizioni per promuovere oggi una catechesi giovanile che risponda correttamente all'esigenza di correlare fede e storia, parola ed evento, l'oggettivo col soggettivo. Raggruppiamo alcune osservazioni, formulate in termini ancora molto globali, attorno a tre livelli dell'organizzazione catechistica.

Il livello degli obiettivi

A livello di obiettivi formativi specifici della catechesi, si riscontra la necessità di far acquisire al giovane la capacità di porsi responsabilmente di fronte al reale, al réale personale come al reale storico, in atteggiamento critico-interrogativo (atteggiamento qualitativamente diverso da quello semplicemente dubitativo), superando la facile tendenza narcisistica di costruirsi una fede a misura psicologica in base, per esempio, al semplice consenso maggioritario del gruppo di appartenenza; l'attitudine critico-interrogativa si accompagna all'altra correlativa capacità, quella di saper organizzare attorno a un nucleo portante, essenziale, i contenuti della fede. Ben sapendo d'altra parte che la capacità di formulare la propria fede non si esaurisce nella verbalizzazione teologica, ma si estende alle decisioni del vissuto teologale. Di qui alcuni obiettivi privilegiati da conseguire o da recuperare nell'attuale contesto culturale ecclesiale:
– acquisizione di quelle abilità critiche che rendono il giovane capace di raccogliere l'informazione e di applicarla a situazioni particolari;
– esigenza di integrità nella ricerca e nella valorizzazione della verità, che non si misura in base alla conformità con gli asserti del passato né con le evidenze spontanee del presente;
– sforzo di strutturazione di un sistema di valori che funga da quadro di riferimento normativo per la condotta dei singoli e dei gruppi;
– capacità di apertura a più «sensi» possibili del reale storico, superando l'illusione di possedere l'unico «senso» definito una volta per tutte, ma capacità al tempo stesso di accettare criticamente l'univocità della verità cristiana.
A livello di obiettivi più generali a lunga scadenza, ma sempre circa il binomio fede-storia, la catechesi giovanile dovrà preparare un cristiano che sappia integrare il vissuto della fede nell'impegno storico concreto, senza dicotomie o concordismi. Una figura di cristiano così descritta da un teologo contemporaneo:

«Il cristiano dei prossimi anni dovrà capire con molta maggior chiarezza che il sì al futuro assoluto di Dio viene pronunciato nell'accettazione degli obiettivi storici settoriali e non nell'evasione dal mondo e dalla società. Non è possibile operare un taglio netto tra vita nella situazione ultima e sopravvivenza nella situazione penultima, come si faceva in passato, poiché oggi l'uomo è chiamato ad assumersi una responsabilità concreta nei confronti del mondo e dell'umanità, come creazione di Dio. Ma è naturale che un cristiano potrà dimostrare un maggiore impegno per il mondo e per la società soltanto se vive ancor più intensamente la sostanza più vera e radicale della propria fede. Solo l'intensità dinamica della sua fede è in grado di garantire l'efficacia e la forza della sua speranza terrena» (K. Lehmann, Presenza della fede, Queriniana, Brescia 1977, 38).

Il livello dei contenuti

A livello di contenuti catechistici, si dovrà favorire una riscoperta del carattere originale dell'annuncio cristiano non certo riducibile all'auto-coscienza del giovane, ma non identificabile nemmeno nelle sole formulazioni della tradizione, nel solo linguaggio autoritativo di Chiesa. Di fatto oggi si osserva un netto sopravvento, almeno nelle nuove generazioni, del «personalmente vissuto» sull'«ufficialmente insegnato». Ma non per questo si giustifica un ritorno, in senso restaurativo, del dato oggettivo della tradizione fino ad eclissare nuovamente il dato esistenziale relegandolo per esempio alla sola funzione di terreno recettivo della Parola. Occorrerà tener conto, nell'approccio interpretativo alla tradizione cristiana, del carattere originariamente esistenziale e non solo dottrinale della verità portata dalla tradizione.
«Interpretare una tradizione religiosa, non è recuperare semplicemente l'esperienza degli antenati, ma è anche coglierne il senso. Non è solo sapere cosa è successo, ma è scoprire anche quale ne sia il significato vitale. Di fronte alle componenti di una tradizione non è sufficiente chiedersi come esse siano sorte, quali motivi furono addotti per introdurle, quali interpretazioni ne furono datenei diversi secoli, ecc., ma è necessario anch chiedersi quale valore esse abbiano; come rispondano cioè alle esigenze reali di chi si trova ad affrontare i medesimi problemi fondamentali. In una tradizione religiosa è la vita ad essere interpretata prima ancora che il pensiero degli antichi, l'intenzione dei narratori, o la concatenazione degli eventi» (C. Molari, La comunità ecclesiale come soggetto ermeneutico della tradizione nata dalla esperienza giudeo-cristiana, in «Concilium» 3/1978, 142).
In fondo, il contenuto della fede non è per noi problematico a causa delle affermazioni di natura storica, dogmatica o morale ivi formulate, ma piuttosto a causa della funzione che si fa ricoprire a questo contenuto. Fa problema non tanto quello che è detto in un dato contenuto quanto quello che gli si fa dire, cioè l'uso che si fa dei contenuti stessi. È noto che uno stesso contenuto può ottenere effetti diversi e persino contrastanti, secondo il modo di proporre, di legittimare, di far circolare, di far esprimere quel
contenuto. Il problema dunque è fondamentalmente pratico, concernente le modalità della distribuzione della Parola nella comunità. «Dimmi quello che fai del contenuto della fede, come te ne servi o come lo servi, e ti dirò (o tu dirai) ciò che è questo contenuto».

Il livello pedagogico

A livello di dispositivi e procedimenti pedagogici, la catechesi giovanile deve ancora sanare il contrasto, più pratico che teorico a dir il vero, tra direttività e non direttività, tra il polo della dottrina e il polo dell'esperienza, tra l'esegesi pura e semplice e l'ermeneutica, tra il metodo del puro annuncio (che sembra guadagnare in crescenti simpatie in numerosi gruppi) e il metodo di una antropologizzazione ad oltranza (su questi dilemmi mi permetto di rinviare alle mie annotazioni: Alcuni nodi della catechesi giovanile, in «Catechesi 13/1978, 3-11).
Sembra importante, in una pedagogia della fede giovanile che voglia essere realistica senza per questo perdere in efficacia profetica, il superamento di due miti che circolano ancora abbondantemente nei nostri ambienti e nella nostra letteratura pastorale: il mito della liberazione da ogni dipendenza in educazione, e il mito della creatività o della produzione del linguaggio:
– Non esiste educazione reale che nella misura in cui c'è confronto con un dato oggettivo, con un contenuto «identico» e identificabile. Un contenuto è condizione per costruire l'identità del gruppo e per designare i criteri di appartenenza. La responsabilità personale non si esercita se non in rapporto a un oggetto consistente e a un impegno contratto con interlocutori ben definiti. L'assenza di un contenuto comune significherebbe la morte anche di ogni relazione propriamente sociale e umana. Un credo comune porta a maturazione un gruppo nella misura in cui il gruppo se ne riconosce criticamente dipendente (e quindi non solo in funzione di consumatore).
– I nuovi linguaggi e le nuove sub-culture che attraversano il mondo giovanile non sono, sociologicamente parlando, delle pure innovazioni, ma piuttosto delle «manipolazioni», degli adattamenti che permettono ai membri di un gruppo sociale di esprimere i nuovi rapporti che intrattiene con la storia, la società, il lavoro, le istituzioni. Ne consegue, per la fede, che dovremmo lavorare meno a sostituire affannosamente il vecchio linguaggio catechistico con linguaggi più ammodernati, quanto invece di prendere sul serio i nuovi «luoghi» che strutturano l'esperienza umana e l'esperienza credente, i luoghi dove oggi si elabora cultura e si fa storia. Ma anche questa attenzione alle nuove matrici culturali e alle rispettive dinamiche non possiamo metterla a frutto, in una strategia pastorale, se non a partire dal capitale di fede e dalle forme culturali con cui ci è stato trasmesso dalla tradizione. Di qui l'irrinunciabile funzione di continuità che costituisce la memoria collettiva di un gruppo credente, per garantire non solo la fedeltà al «deposito» ma persino la possibilità di nuove espressioni della fede.