Problemi relativi alla presenza nel gruppo di ragazzi e ragazze

 

Vittorio Ghetti

(NPG 1979-02-45)


Presento alcune riflessioni sui rapporti tra ragazzi-ragazze in un gruppo misto tenendo presente l'esperienza della Comunità «Speranza» che costituisce un utile punto di riferimento per dare concretezza al discorso. Dovrei, in pratica, proporre una risposta ad una delle tre domande di fronte alle quali gli adulti – dicono i giovani – stanno sempre più ammutolendo. Le tre domande sono: «Come essere cristiani oggi; quale militanza politica e, appunto, quale rapporto tra uomo e donna nell'attuale momento storico». Pur riconoscendo una almeno parziale fondatezza dell'accusa (e non dando quindi a quanto cercherò di dire un valore generalizzabile) mi sembra di poter esprimere sull'argomento proposto alcune osservazioni basate, in parte, sulla mia personale esperienza e, in parte su quella di molti amici educatori quotidianamente confrontati coi problemi della coeducazione.

IL GRUPPO MISTO LUOGO DI RISONANZA DEL RAPPORTO UOMO-DONNA

Vorrei anzitutto affermare la mia convinzione che sarebbe grave errore considerare a parte, estrapolandolo, il problema dei rapporti ragazzo-ragazza. Il gruppo misto è infatti luogo di risonanza del tipo di rapporti tra uomo e donna che la nostra società non ha risolto, ha risolto male o ha enfatizzato in un contesto culturale contraddittorio e fondamentalmente mercantile.

MODELLO FEMMINISTA O FEMMINILE?

Malgrado l'ormai abituale contrapposizione tra femminista e femminile quello che, un po' dovunque, mi sembra prevalere nei gruppi misti di 16-18 anni è la componente maschile colla sua propensione a situare la donna nella categoria degli oggetti e, da parte della ragazza, di accettare con sufficiente disinvoltura questo ruolo. Anche se con crescente insistenza le ragazze dei gruppi misti manifestano ed affermano scelte di indipendenza e di autonomia di ispirazione femminista, il più delle volte finisce per prevalere nel loro comportamento con l'altro sesso il richiamo della civetteria e dell'offerta affettiva. Se dovessi dunque prendere posizione tra prevalere del modello femminista o di quello femminile direi che è ancora dominante quest'ultimo.
A conforto di questa mia ipotesi sta la frequenza con cui nel gruppo misto si assiste alla formazione di coppie la cui genesi aderisce in genere molto di più alla logica del richiamo esercitato su un ragazzo dagli attributi femminili di una sua compagna di gruppo piuttosto che a quella dell'affermazione egualitaria e autonomista della donna.
La formazione di coppie all'interno di una comunità giovanile mista può costituire, se manca da parte dei protagonisti la volontà di evitarlo, un ostacolo al normale funzionamento del gruppo: la presenza di una o più coppie può infatti creare una serie di situazioni anormali capaci di compromettere la coesione e la stabilità del gruppo.

Il gruppo protegge la coppia

Quello che il più delle volte mi ha sorpreso è che, malgrado il determinarsi di chiare situazioni di privilegio per le coppie, il gruppo nel suo insieme tende a giustificare ed a proteggere i «partners» accettando, per esempio, le loro manifestazioni affettive, la loro tendenza ad appartarsi od a sottrarsi anche quando questi comportamenti costituiscono un evidente disturbo alle attività ed alla vita del gruppo. Mi sembra che due ordini di motivazioni possano spiegare questa insolita permissività. Il gruppo può cioè anzitutto ravvisare nel comportamento della coppia quella positiva capacità di affettuosa attenzione tra ragazzo e ragazza che costituisce per gli altri membri un modello ambito, atteso e non ancora realizzato. La giustificazione accordata può d'altra parte (e questa potrebbe essere la seconda motivazione) corrispondere a quella di cui si avrà bisogno in tempi più o meno ravvicinati quando si sarà in situazione di coppia.

Quale fondamento per un gruppo misto

Queste brevi e incomplete riflessioni potrebbero indurre non pochi lettori a chiedersi se tenuto conto delle difficoltà e delle incognite che con tanta frequenza si incontrano nei gruppi misti, sia ragionevole promuovere o, semplicemente, acconsentire alla loro costituzione. L'interrogativo è assai meno peregrino di quanto a prima vista possa apparire.
A mio avviso si tratta di ponderare l'alternativa (o le alternative) con un taglio educativo lungimirante volto a valutare la capacità del gruppo, indipendentemente dal sesso dei suoi membri, di essere strumento di crescita verso la pienezza di vita e luogo dove nascono e si consolidano le scelte che contano. Se la risposta sarà affermativa e la situazione di gruppo sarà ritenuta capace di favorire i meccanismi di autoformazione, la scelta di operare in condizioni di comunità mista non potrà essere che subordinata all'obiettivo dell'educazione della persona nella sua globalità. Credo che su questo punto sia veramente necessario avere idee e propositi molti chiari. La coesistenza tra ragazzi e ragazze in un gruppo può infatti essere tomba o tesoro educativo non tanto in funzione delle misure più o meno pertinenti che il responsabile del gruppo avrà messo in atto per rendere accettabile la convivenza dei due sessi, ma piuttosto in ordine alle «scelte di vita» ed ai «programmi personali di crescita a lungo termine» che l'educazione comunitaria sarà stata capace di suscitare e di far perdurare in ogni membro del gruppo.

ALCUNI PROBLEMI CONCRETI

Dopo quest'ultima riflessione che ritengo centrale della mia sommaria esposizione sul tema in oggetto mi sembra comunque necessario e importante aver presente alcune misure capaci di facilitare la soluzione di problemi concreti coi quali sono abitualmente confrontati gli animatori dei gruppi misti.
Comincerò con quello riguardante la scelta degli animatori di questi gruppi. A mio avviso è importante che siano un uomo ed una donna, una coppia educante dunque, sufficientemente maturi per costituire un convincente modello di rapporto tra uomo e donna per tutto il gruppo.
Il clima delle relazioni tra ragazze e ragazzi del gruppo è infatti sicuramente molto più influenzato dalla testimonianza di coerenza e di interazione offerta dai suoi animatori che dalle esortazioni e dagli interventi di un o una responsabile isolati. Molte delle difficoltà prima citate sono tipiche di gruppi misti affidati ad un uomo o ad una donna troppo giovani o, peggio ancora, a un sacerdote. Un'altra raccomandazione importante mi pare essere quella relativa al ritmo di attività dei gruppi misti. Esso deve essere a mio avviso (e secondo la mia esperienza) particolarmente intenso con il minimo spazio possibile per i tempi vuoti ed il «relax».
Se infatti i «tempi morti» possono non essere negativi per un gruppo monosessuale in quanto capaci di favorire le comunicazioni interpersonali e quindi il consolidarsi delle amicizie, le pause (soprattutto se frequenti e prolungate) possono costituire per un gruppo misto momenti privilegiati di maschilismo e di civetteria.
Vorrei ancora ricordare che gli animatori e le animatrici di gruppi misti dovrebbero preoccuparsi di stimolare, facilitare e promuovere incontri e interessi dei membri del loro gruppo al di fuori del gruppo stesso. Il gruppo misto tende infatti a soddisfare in modo certamente più esauriente di un gruppo monosessuale le esigenze dei giovani. Esso può quindi diventare un cerchio chiuso ed esclusivo agendo in termini riduttivi sull'orizzonte formativo dei ragazzi e delle ragazze.
Ricorderei infine l'opportunità di far vivere ai membri dei gruppi misti momenti separati di attività nei quali i ragazzi e le ragazze possono ritrovare e ricostruire i rapporti interpersonali specifici dei due sessi. Anche se i membri del gruppo dichiarano di non capirne il significato, sono del parere che questi siano utili momenti di ricarica della coscienza critica dei ragazzi e delle ragazze nei confronti dei reciproci modi di essere e che dopo di essi la coesistenza sia più costruttiva e serena.