Il matrimonio,
fondamento della famiglia
Sacramento e icona trinitaria
Ina Siviglia
Introduzione
Il presente Convegno costituisce un punto di arrivo di un percorso condiviso, ma anche un punto da cui ripartire per un autentico rinnovamento della pastorale familiare della regione umbra.
Il taglio del mio intervento sarà evidentemente teologico, ma di quella teologia pensata e intessuta con l'esperienza di donna sposata da 32 anni e madre.
Ritengo opportuno entrare subito in medias res, senza preamboli di tipo sociologico in quanto sono state già offerte relazioni specifiche relative ad altri ambiti.
Il tema che mi è stato affidato potrebbe sembrare scontato, in quanto in quest'ultimo trentennio, a partire dai testi di GS e di FC, si sono notevolmente moltiplicati gli studi e le pubblicazioni sull'argomento. Eppure io ritengo che c'è una novità ancora tutta da scoprire, da assaporare e da assimilare da parte del Popolo di Dio: si tratta del rapporto tra éros e agape che già a partire dal magistero sulla coppia umana di Giovanni Paolo II era stato bene messo in luce, ma che ha avuto uno sviluppo teologico eccezionale nella prima enciclica dell'attuale pontefice. Non è un caso che Benedetto XVI, all'inizio del III millennio, abbia dedicato la Deus caritas est ad un tema tanto attuale quanto complesso e delicato, data la sua enorme rilevanza anche nel dialogo con le giovani generazioni e col mondo "laico".
L'attuale Papa ha compiuto con questo documento di altissimo profilo teologico, un'operazione culturale, ecclesiale e pastorale al tempo stesso, molto lucida e rispondente ai problemi del nostro tempo, parlando finalmente dell'esistenza di un unico amore, colmando in tal modo il fossato che nei secoli era stato scavato tra éros e agape. Per troppo tempo generalmente nella Chiesa si è vissuto una sorta di oscurantismo rispetto alla affettività e alla sessualità.
Benedetto XVI ha intuito, profeticamente, che sul fronte dell'amore si giocava, contemporaneamente, tanto l'idea dell'identità di Dio che quella della verità dell'uomo e del rapporto costitutivo tra uomo e Dio e tra gli esseri umani tra loro.
La scelta di questo argomento, come oggetto della prima enciclica programmatica è apparsa davvero illuminata, in quanto ha permesso al Pontefice di fornire una chiave di lettura dei rapporti interumani – in modo particolare della relazione uomo-donna –attraverso un linguaggio comprensibile all'umanità contemporanea, riagganciando sul piano esistenziale oltreché morale e religioso, specialmente i giovani e i cosiddetti lontani, nel ginepraio di visioni altre rispetto a quella cristiana.
Nella nostra epoca, connotata da un forte interesse per il progresso scientifico e tecnologico, al quesito delle scienze empiriche quid est, va accompagnato sempre quello di carattere sapienziale ad quid est: c'è oggi una forte richiesta di senso, implicita o espressa, specialmente riguardo al senso globale e ultimo dell'amore e della vita e della morte.
Forse è da denunciare la forte deriva moralistica che nel tempo ha talvolta inquinato la predicazione e la pastorale della Chiesa sul matrimonio e che purtroppo è stata anche amplificata, non sempre correttamente, dai mezzi della comunicazione sociale. La comunità ecclesiale ha rischiato di perdere il proprium della riflessione autenticamente e squisitamente teologica che, lungi dall'elencare tanti no, mostra i luminosi "sì di Dio all'uomo", come ha bene messo in luce l'attuale Papa nel discorso rivolto all'assemblea della Chiesa italiana riunita a Verona.
Ritengo che una delle più urgenti e condivise priorità pastorali oggi in Italia sia quella di attirare i giovani alla vita cristiana e avvicinarli alla Chiesa. Tale operazione appare oggi alquanto difficile se la proposta non è imperniata sulla bellezza, sulla positività, sul fascino di quella pienezza che il Vangelo promette e che incontra appieno il desiderio di felicità e la voglia di compiutezza che c'è in ciascun ragazzo. Peraltro la sensibilità dei nostri giovani, per ragioni culturali, è ben lontana dall'approdare a forme di spiritualità dell'amore, più diffuse in passato, imperniate sulla rinunzia e sul sacrificio in relazione al mistero della croce. Questo non significa che i ragazzi oggi siano incapaci di sacrificarsi: lo dimostrano le numerose e svariate esperienze di volontariato e di solidarietà che hanno per protagonisti i giovani. Ma essi sono disposti a dare tutti se stessi soltanto in vista di una pienezza di senso e di esistenza.
Per questo, a mio avviso, è importante calcare l'accento primariamente sulla fascinosità dell'avventura cristiana, che risplende a partire dall'incontro vivo e vivificante con Cristo, piuttosto che su precetti morali, le cui derive sono peraltro a tutti note.
I giovani appaiono generalmente pronti a rispondere alla radicalità del Vangelo, qualora siano profondamente convinti che la sequela di Cristo risponda alle loro esigenze più profonde di realizzazione personale e di coppia. Si tratta dunque di mettere in luce il lato luminoso e liberante dell'amore e della fede.
Oggi al centro del dibattito culturale, etico, sociale e politico c'è il tema della famiglia: da parte della Chiesa e dei teologi il miglior contributo consiste, a mio avviso, nel ripartire dal più autentico senso antropologico dell'amore, che include la circolarità virtuosa tra éros e agape.
Il matrimonio in quanto sacramento ha in comune con gli altri sacramenti l'essere mezzo e segno di quella grazia redentrice e santificante che viene incontro alla fragilità, alla peccaminosità dell'uomo, assicurando la presenza efficace del Dio-Alleato, del Dio-con-noi.
Dall'assemblea della Chiesa italiana, riunita a Verona, è stato opportunamente messo a tema ed analizzato il senso della fragilità umana, nel suo duplice volto: quello negativo della debolezza, dell'inclinazione al male, della peccaminosità, ma anche quello positivo del limite creaturale che pone le basi per un rapporto fecondo col Dio che salva, di tipo dialogico-fiduciale.
Nel caso specifico del Matrimonio vi è, come peraltro per ciascuno degli altri sacramenti, un proprium che merita di essere enucleato in tutta la sua valenza significante e santificante.
L'uomo e la donna ricevono insieme un unico sacramento, mentre gli altri sei sono amministrati ai singoli individui. Questa particolarità già, di per sé, dice la valenza comunionale del sacramento che è al tempo stesso riconosciuta tale dal basso all'autentico amore umano e, al tempo stesso, conferita dall'alto agli sposi cristiani.
C'è in verità una connotazione teologica che attinge direttamente al cuore della Trinità – cosa peraltro vera anche per gli altri sacramenti – ma che nella coppia cristiana risplende iconicamente, in un modo che è leggibile da tutti: il Dio Uni-Trino, inabita, si manifesta e si rivela in maniera analogico-corrispondente nell'amore della unidualità dei coniugi; la comunione coniugale riflette, come in uno specchio, la circolarità agapica della Trinità.
L'amore nuziale come metafora-chiave della Rivelazione, in reciprocità ermeneutica tra amore divino e amore umano
Su questo punto sarò molto sintetica, in quanto è uno di quelli più sviluppati dai seminari precedenti.
L'assunzione costante e coerente della coppia umana nella Sacra Scrittura come metafora dell'Alleanza col Dio vivente, dell'amore appassionato, fedele, intimo, eterno di Dio per il popolo eletto nell'Antico Testamento, "amore erotico" di Dio per noi come lo definisce Benedetto XVI e nel Nuovo Testamento di Cristo per la Chiesa-Sposa, costituisce un leit-motiv di enorme rilevanza sia dal punto di vista teologico che da quello antropologico.
La prima coppia umana, appena creata, quella di Adamo ed Eva, apre il grande racconto della storia della salvezza, e quella finale di Cristo-Sposo e della Chiesa del libro dell'Apocalisse chiude la Sacra Scrittura.
Numerosi sono i passi significativi che esprimono la precisa opzione di Dio di assumere l'amore nuziale come metafora-chiave per rivelare tutta l'economia salvifica. Due libri dell'Antico Testamento in particolare colpiscono per il loro realismo impressionante, prosaico e/o rivestito di senso poetico: quello del profeta Osea e quello del Cantico dei cantici.
La vicenda umana del profeta, del suo matrimonio con una prostituta, si intreccia drammaticamente col richiamo di Dio al suo popolo infedele. Dio mostra di prediligere la via dell'uomo per rivelare Se stesso come Amore, ma anche per rivelare alla persona la verità sull'uomo e sul suo rapporto con Dio, talora oscurata da una ambigua contraddittorietà, fatta sia di corrispondenza amorosa, che, a tratti, di vile tradimento.
Per una corretta lettura del dato rivelato è legittimo ricorrere a due vie: c'è il metodo analogico che parte dal basso e illumina, pur con le dovute differenze, la realtà più alta e c'è il processo catalogico che, a partire dalla realtà divina, illumina e manifesta il senso più profondo della realtà umana.
La strada della comune umanità è quella scelta da Dio per farsi conoscere e amare e tale opzione raggiunge un acme ineguagliabile nel Cantico dei cantici, nel quale un amore profano, nella sua sorgiva autenticità, è chiamato a rappresentare, la koinonía eterna anche nella sua implicazione erotica, la passione di Dio per l'umanità, la sua opzione irrevocabile di Alleanza con l'umanità.
Nel rivelare se stesso come Amore, Dio rivela al tempo stesso, dunque, l'uomo all'uomo (v. GS 22) ma anche la verità autentica e totale della sponsalità alla coppia.
Val la pena citare un testo di Osea, peraltro riportato anche dall'attuale Papa nella sua prima enciclica, significativo sotto il profilo dell'éros di Dio nei confronti dell'uomo: "Come potrei abbandonarti, Efraim, come consegnarti ad altri, Israele? [...] Il mio cuore si commuove dentro di me, il mio intimo freme di compassione. Non darò sfogo all'ardore della mia ira, non tornerò a distruggere Efraim, perché sono Dio e non uomo; sono il Santo in mezzo a te" (11,8-9). Il testo afferma "Sono Dio e non uomo", ma al tempo stesso mostra come il medesimo Dio manifesta questo amore con parole umane, con cuore umano, con calore umano, direi con la carne stessa.
La scelta dell'amore umano da parte di Dio, infatti, come via conducente alla comunione totale ed eterna, culmina nell'evento dell'incarnazione, il caso serio della storia. L'incarnazione del Figlio, del Lógos eterno, costituisce, infatti, la chiave di lettura del mistero dell'Amore che è Dio stesso e che nell'uomo, creato a sua immagine, si manifesta ed esige una piena realizzazione.
Il Cristo incarnato rivela la volontà eterna e immutabile del Dio Unitrino di sposare l'umanità, di compromettersi nella storia degli uomini, fino al dono estremo della vita. La dimensione sponsale di Cristo con l'umanità, e più specificamente con la Chiesa (v. Ef 5,22-32), spalanca l'orizzonte escatologico del banchetto finale del Regno, quando finalmente la compenetrazione tra Dio e i credenti sarà totale perché "Dio sarà tutto in tutti" e si sarà pienamente realizzata quella comunione d'amore, che è all'origine del piano salvifico e che ne costituisce la meta ultima.
Le parole di Paolo nella lettera agli Efesini appaiono come un'illuminazione piena di stupore e di meraviglia "Questo mistero è grande: lo dico in riferimento a Cristo e alla Chiesa" (Ef 5,32), quasi fermandosi sulla soglia di qualcosa che intuisce in profondità ma che lo supera. La parola "mistero" dice due cose: la prima che c'è un'eccedenza di questo amore che sfugge alla nostra misurazione e totale comprensione, e l'altra che è un dinamismo di salvezza. Eppure da questa contemplazione di un mistero eccedente egli trae indicazioni e insegnamenti di grande concretezza etica e teologica in ordine agli sposi cristiani: "Mariti, amate le vostre mogli come Cristo ha amato la Chiesa e si è offerto per lei per santificarla..." (Ef 5,25-26).
Non si tratta, infatti, di un'affermazione astratta, o teoretica, o teologica nel senso intellettualistico. È un'affermazione da cui derivano alcune conseguenze molto impegnative per i due partners: "amate le vostre mogli, come Cristo ha amato la Chiesa", fino al punto, cioè, di sacrificare se stessi per l'altro.
Allora amare "come Cristo" significa avvertire un imperativo categorico a vivere l'esperienza coniugale assumendo una misura alta di vita cristiana, anzi altissima. In realtà, questa misura non sarebbe realisticamente raggiungibile da parte di nessun uomo e di nessuna donna, se il Figlio divino stesso non intervenisse, insieme al Padre e allo Spirito nel sacramento del matrimonio, consentendo ai due sposi di divenire in Cristo, per Cristo e con Cristo, partecipi essi stessi dell'Amore trinitario e di poter attuarlo nella storia, superando di gran lunga le capacità dell'umanità decaduta a causa del peccato.
Paolo, come si vede, insiste sul fondamento cristologico e sulla funzione redentiva del sacramento, non mostra in questo testo una esplicita prospettiva trinitaria: tale visione nel tempo è stata letta forse più nel senso giuridico-istituzionale, relativo ad una visione ecclesiologica cristomonista. La visione trinitaria del sacramento, invece, è più confacente ad una concezione comunionale di Chiesa, fondata su una struttura sinodale e carismatica.
I testi che più si prestano ad una interpretazione teologica di stampo trinitario sono senz'altro quelli giovannei (IV Vangelo e lettere).
Si tratta, infatti, di una prospettiva più matura di quella dei sinottici, dal punto di vista dell'elaborazione teologica degli eventi e delle parole in chiave trinitaria.
Nella preghiera rivolta dal Figlio al Padre, prima della passione, Giovanni riporta queste parole: "Padre santo, custodisci nel tuo nome coloro che mi hai dato, perché siano una cosa sola, come noi.... Come tu, Padre, sei in me e io in te siano anch'essi in noi una cosa sola perché il mondo creda che tu mi hai mandato.... E la gloria che tu hai dato a me, io l'ho data a loro, perché siano come noi una cosa sola. Io in loro e tu in me, perché siano perfetti nell'unità e il mondo sappia che tu mi hai mandato e li hai amati come ami me.... Ho fatto conoscere il tuo nome ... perché l'amore con il quale mi hai amato sia in essi e io in loro" (Gv 7,11-26).
C'è una circolarità così evidente, che è resa ancora più tale dalla metafora della vite e dei tralci (cfr. Gv 15,1-8), in cui la stessa linfa amante, che dal Padre scende nel Figlio e che dall'eccedenza nel Padre e Figlio esplode nella Persona-Amore che è lo Spirito, ci inabita profondamente.
Giovanni conduce ad una riflessione affascinante, che poi si completa nel capitolo quarto della Prima Lettera: "Chiunque ama è generato da Dio e conosce Dio. Chi non ama non ha conosciuto Dio, perché Dio è amore.... Se ci amiamo gli uni gli altri, Dio rimane in noi e l'amore di lui è perfetto in noi. Da questo si riconosce che noi rimaniamo in lui ed egli in noi: egli ci ha fatto dono del suo Spirito.... Dio è amore; chi sta nell'amore dimora in Dio e Dio dimora in lui". (cf. 1Gv 4,7-16). Qui è veramente la celebrazione, l'apoteosi del Dio-Amore Padre, Figlio e Spirito che riversa questo amore, dunque se stesso, come afferma Paolo nella lettera ai Romani, "nei nostri cuori" (Rm 5,5).
Evidentemente, in questo contesto, Gesù non si riferisce alla coppia umana ma ai "suoi", alla comunità degli apostoli e dei discepoli. Ma sono espressioni che, comunque, ben si attagliano all'esperienza degli sposi cristiani trattandosi di amore e di unità. Quello che colpisce è il reiterarsi del come che non indica una pallida somiglianza, ma il modo e la sostanza dell'amore stesso della Trinità, partecipato per Cristo e in Cristo, a coloro che sono inabitati dalla Trinità e perciò resi capaci di un'unità nella comunione perfetta, prodotta e sigillata dall'amore divino: ["perché l'amore con il quale mi hai amato sia in essi ed io in loro"(Gv 17,26)].
È lo stesso Giovanni che conduce ad una riflessione interessante dal nostro punto di vista, includendo questa volta la Persona dello Spirito.
Nella sua I lettera al cap. 4 (vv. 7-13) leggiamo: "Chiunque ama è generato da Dio e conosce Dio. Chi non ama non ha conosciuto Dio, perché Dio è Amore.... Se ci amiamo gli uni gli altri, Dio rimane in noi e l'amore di Lui è perfetto in noi. Da questo si conosce che noi rimaniamo in Lui ed Egli in noi: egli ci ha fatto dono del suo Spirito.... Dio è amore; chi sta nell'amore dimora in Dio e Dio dimora in lui".
La prospettiva offerta mostra una misteriosa reversibilità, motivata da una transitività teologica, fondata su una delle rivelazioni più sintetiche e profonde di tutto il Nuovo Testamento: Dio è Amore! Se, dunque, Dio è Amore, chiunque ama conosce Dio, Dio è in Lui e rimane in Lui. Dunque possiamo forse spingerci a ritenere che ogni esperienza di amore autentico, foss'anche vissuta da coppie non credenti, o di altre fedi, risulta essere un luogo manifestativo dell'amore di Dio, e anche se manca la consapevolezza dei soggetti, potrebbe aprire una finestra sull'intimità divina.
Il dono dello Spirito è connotato dalla libertà stessa dello Spirito, il quale agisce universalmente ed è riconoscibile dalla qualità dell'amore: l'aspetto penumatologico è, dunque, molto rilevante.
Evdokimov, il noto teologo ortodosso, scriveva "È lo Spirito che fa sbocciare la carità sacerdotale dei mariti e la materna tenerezza delle mogli".
È lo Spirito, infatti, che congiunge i due sposi nell'amore rendendoli Una caro: perché Lui è il nexus amoris della vita trinitaria, potenza di unità ed energia di differenziazione identitaria al tempo stesso.
Inabitando il cuore dei credenti la terza Persona della Trinità trasforma ogni giorno il cuore di pietra di ciascuno in cuore di carne (Ez 36,26; 2Cor 3,3). Instaurando nei seguaci di Cristo la "vita nuova" (cf. Rm 8), li rende capaci di amare senza confini, nella fedeltà e nella perseveranza, nella misericordia, nel dono e nel perdono.
Amore trinitario e amore sponsale in alcuni autori della tradizione cristiana
In un'epoca come la nostra in cui alla svolta verso il soggetto, avvenuta nella cultura moderna, sono seguite le derive post-moderne di soggettivismo, di narcisismo, di relativismo etico, assumere la prospettiva trinitaria per leggere l'amore umano, secondo il progetto originario di Dio, significa trovare quella prospettiva teologica che permette di recuperare l'ontologia della persona umana e più specificamente della coppia uomo-donna, "ad immagine e somiglianza" del Dio Uno e Trino. In altre parole, la relazionalità, l'accoglienza dell'alterità, la complementarietà, la reciprocità dell'Amore, il perdersi dell'uno nell'altro per ritrovarsi nella identità personale, che connotano teologicamente la vita delle Tre divine Persone, sono analogicamente, le caratteristiche costitutive dell'essere umano e in particolare della coppia sponsale nella sua relazionalità costitutiva. Dunque, né Dio né l'uomo sono pensabili come essere solitari, paghi si sé, autosufficienti: piuttosto sono costituiti, l'uno e l'altro, da una identità che è tutt'uno con la relazione, la quale, dunque, come si vede, non può essere catalogata come un "accidente" in senso aristotelico.
S. Tommaso aveva coniato, riferendola alle Persone della Trinità, l'espressione originale e puntuale "Relazione sussistente".
L'accostamento tra vita trinitaria ed esperienza antropologica dell'amore, nella storia della teologia, si pone sulla linea di sviluppo della prospettiva biblica sia vetero che neo-testamentaria della metafora nuziale come chiave ermeneutica per comprendere l'Amore di Jahvè per il suo Popolo nell'Antico Testamento e di Cristo per la sua Chiesa nel Nuovo Testamento.
Agostino, in una delle più alte opere della maturità, il De Trinitate, così si interrogava: "Questo va ricercato: a partire da quale similitudine o comparazione con le realtà da noi conosciute crediamo in Dio e anche lo amiamo prima ancora di conoscerlo?" (VIII 5,8).
Negli scritti, il Santo, da una parte si mostra in disaccordo con quei pensatori cristiani che ritenevano di poter rinvenire nel matrimonio e nella famiglia (uomo-donna-bambino) una realtà umana che rimandava all'immagine trinitaria, dall'altra però individua, senza svilupparla, la pista dell'amore come chiave ermeneutica che illumina ambedue i misteri, quello di Dio e quello umano, nei quali rinviene un reciproco rimando.
La questione posta ha uno statuto teologico significativo in quanto il Dio trascendente e ineffabile, creando l'universo, ha disseminato "le vestigia" del suo essere, e in modo del tutto speciale e unico ha impresso la sua impronta nell'uomo, facendolo "a sua immagine e somiglianza". Ciò che nell'uomo emerge come realtà più nobile e perfetta –"ad immagine e somiglianza" – è, per Agostino, l'amore, che presenta in sé le caratteristiche della comunione, della trascendenza, dell'eternità.
Ecco perché, continuando la sua riflessione, il Padre della Chiesa sposta conseguenzialmente la sua ricerca sull'autenticità dell'amore: "Perciò in questa questione sulla Trinità e la conoscenza di Dio dobbiamo principalmente indagare che cosa sia il vero amore, o meglio, che cosa sia l'amore, perché non c'è amore degno di tale nome che quello vero" (VIII 7,10).
Egli, coniugando in modo mirabile pensiero ed esperienza, giunge ad elaborare un pensiero sulla trasparenza dell'amore sperimentato: "Ecco tre cose: colui che ama, ciò che è amato, e l'amore stesso. Che è dunque l'amore se non una vita che unisce, o che tende a che si uniscano due esseri, cioè colui che ama e ciò che è amato? È così anche negli amori più bassi e carnali.... Ci rimane dunque l'elevarci e cercare più in alto queste cose, per quanto è concesso all'uomo di farlo" (VIII 10,14). Agostino conclude sinteticamente "Immo vero vides Trinitatem, si caritatem vides": "Ebbene, sì, tu vedi la Trinità, se vedi l'amore".
E in un altro capitolo, un po' più oltre, continua "Ci siamo rivolti al nostro spirito, secondo il quale l'uomo è stato fatto «ad immagine di Dio», trovandovi un oggetto di studio a noi più familiare, per riposare la nostra attenzione affaticata e così ci siamo soffermati sulla creatura che siamo noi, per poter vedere con l'intelligenza, attraverso le cose create, le perfezioni invisibili di Dio" (XV 6,10).
Riccardo di San Vittore (XII sec.) nel suo De Trinitate accostava, espressamente, in una prospettiva squisitamente antropologico-teologica, l'Amore del Dio trinitario con l'amore sponsale della coppia umana.
Rilevava come l'uno si specchiava nell'altro, in una reciprocità ermeneutica, che consentiva una penetrazione unica dei due misteri. Per questo autore, dunque, il matrimonio umano rifletteva la circolarità intradivina; l'esperienza sponsale era come una finestra aperta sull'intimità divina e, a sua volta, la rivelazione divina della Trinità costituiva il modello della vita matrimoniale.
Come le tre Persone della Trinità si conoscono e si amano, si relazionano tra loro in un travaso d'amore che è scambio di sé in una comunione compenetrante infinitamente perfetta ed eterna, così gli sposi sono chiamati al dono reciproco di sé, in una illuminata generosità e perfetta benevolenza, senza ombra di egoismo, gelosia, possesso esclusivo.
Riccardo giunge ad utilizzare l'icona dell'amore sponsale per dimostrare che Dio non può essere un Dio-persona singola.
La connotazione cristologico-sacramentaria dell'amore sponsale non è esclusivamente cristocentrica quanto, piuttosto, inclusivamente trinitaria, nel senso che Cristo, e solo Lui in quanto Figlio incarnato, è la Via, la Verità e la Vita che può introdurre all'intimità agapica. Dunque, la coppia umana, in Cristo e per Cristo, è immessa alla partecipazione del dinamismo amante della Trinità, divenendo in tal modo capace di un amore la cui sorgente e la cui meta è il Dio Unitrino-Amore.
Il mistero pasquale, che costituisce il nucleo generatore della grazia dei sacramenti, viene attualizzato in maniera tutta speciale nell'esperienza coniugale, attraverso la donazione totale e definitiva di ciascuno degli sposi all'altro, donazione che comporta capacità di rinunzia e di sacrificio, che implica pertanto il riferimento alla Croce, in vista della realizzazione di un amore unico, fedele, indissolubile e fecondo. Tutta la Trinità "si compromette" nella libera scelta del sacramento del matrimonio, il cui sviluppo e la cui fioritura si dipana in tutto il corso della vita dei coniugi cristiani in maniera imprevista ed inedita.
L'uomo e la donna creati "ad immagine e somiglianza di Dio", di un Dio che è Amore, relazione, comunione, assumono il loro amore come dono, ma anche come compito di trasparenza del mistero trinitario, di annunzio e di testimonianza credibile del dinamismo agapico.
Il rapporto tra éros e agape
La prima enciclica di Benedetto XVI, Deus caritas est, pone chiaramente in un rapporto costitutivo l'éros umano e l'agàpe, superando ogni pregiudizio negativo sulla corporeità e sulla sessualità. Il magistero dell'attuale Papa, che ha una valenza universale, mostra come ogni autentico amore, che lega in modo unico ed eterno un uomo e una donna, diviene luogo e strumento della rivelazione dell'Amore trinitario e questo, a sua volta, diventa il paradigma per la coppia umana di circolarità, di dono, di accoglienza, di reciprocità, di unità delle alterità, di eccedenza dell'amore.
Gli sposi mostrano, in ogni luogo della terra e in ogni tempo, che l'amore è uscita da sé, in vista di un dono totale e definitivo di sé che tende a realizzare la felicità dell'altro. Contro ogni forma di possessività dell'altro e di autogratificazione, di narcisismo e di consumismo dell'amore, l'esperienza dell'autenticità dell'amore, assunta e sigillata dalla Sacra Scrittura, è esperienza di e-stasi da sé e di compenetrazione con l'altro. C'è dunque una analogia tra l'amore umano e l'agàpe della Trinità molto forte e molto pregna di conseguenze sul piano dello stile di vita e delle opzioni familiari, per tanti versi ancora da indagare e da realizzare sia nella Chiesa che nella società.
In passato la Chiesa non ha valorizzato, anzi talvolta ha disprezzato, l'éros perché, così come era concepito per esempio nel mondo greco, nel mondo iniziatico delle religioni pagane, era visto come ebrezza, come via di perdizione (pensiamo alle sacerdotesse nell'ambito delle iniziazioni). Quindi la Chiesa ha guardato con molto sospetto a tale concezione dell' éros, ma, di contro, non ha elaborato in passato un'altra concezione di éros sano, che lasciasse intravedere il diritto alla felicità, la legittimità della gioia e del piacere. Per questo l'éros era guardato con sospetto anche dentro la vita dei credenti.
Il primo Agostino nei Soliloquia scrive: "Quanto a me, penso che le relazioni sessuali vadano radicalmente evitate, penso che nulla avvilisca lo spirito dell'uomo quanto le carezze di una donna e i rapporti corporali che fanno parte del matrimonio".
Qua e là tra le pieghe della storia della spiritualità è come se l'uomo e la donna non avessero 'diritto' ad un amore umano pieno, l'anima è stata quasi separata dal corpo per essere rivalutata: ma la divisione tra anima e corpo non fa parte dei dettami della Bibbia cristiana, ma degli sviluppi delle teorie filosofiche (Platone parla del corpo come prigione dell'anima e molti Padri della Chiesa sono impregnati di tale filosofia più che di Scrittura). Se noi andiamo alla fonte scritturistica, non c'è infatti alcun dualismo: i cristiani credono ad un corpo Spiritualizzato, cioè un corpo che accoglie lo Spirito, un corpo vivificato dallo Spirito, non disincarnato, ma realmente inabitato dallo Spirito: "Non sapete voi che il vostro corpo è tempio dello Spirito Santo che è in voi e che avete da Dio?" (1Cor 6,19).
Il matrimonio, dunque, nel corso dei secoli è stato visto con sospetto: la via della perfezione era considerata quella scelta dai monaci che, fuggendo il mondo e dedicandosi alla vita di preghiera, erano in grado di vincere le tentazioni e le passioni carnali. Ma tale ideale veniva proposto anche agli sposati, considerati "deboli": per coloro che non riuscivano a vincere le passioni, c'era, allora, il "remedium concupiscaentiae", cioè il matrimonio. D'altronde, la generazione dei figli implicava questo "prezzo" da pagare: il matrimonio era, cioè, il male minore per non estinguersi l'umanità. Lo stesso Agostino, in una fase intermedia della sua maturazione cristiana, scrive: "Desiderate l'unione fisica solo nei minimi necessari a generare figli e poiché non potete averli in altra maniera, abbassatevi a quell'atto con dolore".
Nella letteratura siciliana dell"800 c'è un interessante quadretto che mostra la formazione delle ragazze a quell'epoca: nel Gattopardo il protagonista dichiara ironicamente: "Sono un uomo vigoroso ancora, e come fo' (faccio) ad accontentarmi di una donna che a letto si fa il segno della croce prima di ogni abbraccio e che dopo, nei momenti di maggiore emozione, non sa dire che Gesù, Maria, Gesù, Maria; quando ci siamo sposati, tutto mi esaltavo, ma adesso sette figli ho avuto con lei, sette, e non ho mai visto il suo bellìco (ombelico); è giusto questo?".
L'amore coniugale, secondo il piano di Dio manifestato nei racconti della creazione, integra istinto e amore, desiderio, piacere e santificazione; è l'esperienza globalizzante in cui gli aspetti diversi si armonizzano ("E vide che era cosa molto buona" Gen 1,31).
L'amore coniugale porta a ricomprendere anche un aspetto importante del rapporto tra Eucarestia e matrimonio. Il Corpo eucaristico è il Corpo di Cristo: i due coniugi che si cibano dell'Eucarestia ricevono Cristo, ciascuno per sé e insieme, e nel dono che ciascuno fa all'altro, si scambiano la trasparenza della comunione con Cristo divenendo tutti e due Uno, per Lui e in Lui.
Una corretta cristologia consente di ripensare l'intera antropologia e di capire che l'Incarnazione mette in atto per tutti gli uomini un processo di conformazione al Signore crocifisso e risorto. L'inabitazione dello Spirito, infatti, trasfigura anche la nostra affettività, sessualità, corporeità. "Trasfigurare" non significa "rendere altro", ma far risplendere l'autentica esperienza umana nello splendore del progetto originario e del compimento.
La connotazione teologica di questo sacramento attinge direttamente al cuore della Trinità: il Dio uni-trino si manifesta, si rivela e inabita l'amore dei coniugi nella loro uni-dualità. Ho usato questi due termini perché si corrispondono in qualche modo: l'uni-dualità della coppia e l'uni-trinità di Dio. Come dire che c'è un mistero che accomuna la Trinità e la coppia, dell'essere una sola cosa in persone diverse, e questo è unico nel sacramento del matrimonio. Anche gli altri hanno un fondamento trinitario, ma nel matrimonio di esso c'è un'icona incarnata, vivente e visibile della Trinità.
Dio, dunque, avrebbe scelto la chiave nuziale per leggere l'intera economia di salvezza, perché non c'è una realtà più significativa per dire un amore totale.
Se prendiamo non alla lettera ma nello spirito quello che Giovanni ci dice, anche quando mancasse un'espressa e piena consapevolezza dei soggetti, dobbiamo credere che anche in forme umane non riconosciute validamente dalla Chiesa – le convivenze tra uomo e donna, le famiglie ricomposte... – si può realizzare un autentico amore umano fatto di totale dono dell'uno all'altro.
L'elemento pneumatologico appare molto rilevante: "Egli ci ha fatto dono del suo Spirito". Lo Spirito è libero, lo Spirito soffia dove vuole (cfr. Gv 3,8), lo Spirito ha una dimensione universale nel suo donarsi e agisce in base ad una legge di libertà che raggiunge l'uomo aperto, l'uomo docile alle ispirazioni trascendenti anche quando non abbia piena consapevolezza di questo.
La prospettiva trinitaria offre dei criteri certi per comprendere quale sia l'amore autentico: tale prospettiva teologica, infatti, permette di risalire all'ontologia della persona: l'uomo e la donna, la coppia umana, sono creati "ad immagine e somiglianza di Dio" (cfr. Gen 1,26), di un Dio che è Amore (cfr. 1Gv 4,8-16).
Ma come si manifesta l'amore di Dio nella Trinità? Nel perdersi ciascuno nel dono di sé nell'altro, per ritrovarsi sempre in una maggiore identità personale: quindi nel perdersi per ritrovarsi.
San Tommaso – parlando di Dio Trino come Relazione sussistente – dimostra che la comunione interpersonale è costitutiva e ciò vale anche per l'uomo creato "ad immagine".
L'éros iniziale dell'attrazione dei sessi, costituisce una sorta di incentivo che il Creatore ha messo nell'uomo e nella donna per apprendere l'arte di uscire da sé e di donarsi senza riserve per vivere la comunione: l'uomo altrimenti sarebbe condannato al solipsismo perché grande è la fatica di vincere l'egoismo. Se questa non fosse coniugata al piacere, alla passione dell'incontro con l'altro, forse molti resterebbero tranquillamente nella loro chiusura.
Per tutti gli sposati ci sono stagioni dell'amore: l'amore matura e diventa sempre più dimenticanza di sé, totale dono di sé agli altri, voglia di compenetrazione non solo fisica ma anche spirituale con l'altro partner, si impara l'arte di amare fino a ricomprendere tutti gli altri esseri umani.
Connotazioni concrete dell'amore umano, l'éros, fecondato, nutrito, portato a compimento nell'agape
La promessa di felicità, che canta nel cuore di ogni uomo e che lo spinge a cercare in un altro/a l'appagamento di sé, di fatto conduce ad un'estasi che, se perseguita fino in fondo, guarisce l'amore, lo purifica da ogni scoria di egoismo, conduce all'altro nella più pura gratuità e non per conseguire il proprio benessere ... porta alle vette più alte della donazione di sé. Metafora dell'e-stasi di chi vuole amare Dio: non si deve cercarlo per possederlo ma per essere posseduti.
- Tra l'éros e l'agàpe però va, sempre e comunque, coltivata la filia intessuta di fede e di condivisione di valori e di mete alte. Manca oggi una vera e propria educazione all'amore in tutte le sue forme, fatto di sguardi, di ascolto, di dialogo. Nel tra del noi della coppia, nell'intimità della comunicazione delle anime incarnate, o dei corpi inabitati dallo Spirito, è presente e agisce il Logos fatto carne in persona, in quanto Cristo non disdegna di compromettersi come a Cana nella relazione dei due.
Allora il dialogo tra due sposi è (diò-logos) Cristo tra loro, Cristo con loro, Cristo per loro. L'essere insieme nel nome del Signore rende la loro unità un'unica offerta di corpi e anime gradita a Dio, un unico sacrificio vivente, un unico segno e strumento d'amore per tutti gli altri. L'amore dei coniugi, se vissuto in profondità, rende Cristo prossimo a chiunque altro, attraverso i loro gesti e le loro parole.
- L'atto coniugale diviene il luogo privilegiato per analogia dell'esperienza di compenetrazione reciproca nell'amore delle Tre divine Persone.
Esso permette di leggere il mistero dei due (dei Tre) che diventano una sola cosa, pur rimanendo nella loro identità, anzi crescendo nella loro unica e irripetibile identità singolare: l'Eucarestia corona e sigilla questo mistero di comunione perfetta.
- L'amore a due non è perfetto: questo lo insegna la vita trinitaria.
C'è il rischio e la tentazione di chiudersi, di ripiegarsi in un narcisismo a due, di sentirsi appagati bloccando la circolarità dell'amore.
Quando un amore è autentico si manifesta un'eccedenza straordinaria. La fecondità biologica, il figlio, è metafora di un amore accogliente, che si allarga e si dona a tanti "terzi", primi tra tutti i più bisognosi, i più emarginati, i più poveri.
- L'avventura dell'amore è un viaggio di sola andata, che va dritto verso la meta. L'amore è un percorso verso la piena maturità: si trasforma, prende le mosse dalla sorgente che è l'amore divino e non è pienamente compiuto se non quando la comunione dei due partners non diventa danza agapica con le tre divine Persone. Molte coppie si fermano nelle tappe intermedie, accontentandosi della finitezza dell'esperienza, senza aspirare all'infinito.
- C'è una specifica missione ecclesiale degli sposi cristiani: "La reciproca appartenenza dei coniugi l'uno all'altro è la rappresentazione reale, per tramite del segno sacramentale, del rapporto stesso di Cristo con la Chiesa. Gli sposi sono pertanto il richiamo permanente per la Chiesa di ciò che è accaduto sulla Croce" (FC 13).
È questo il nucleo del ministero coniugale: rendere presente "carnalmente" la passione amante di Cristo-Sposo nei confronti della Chiesa-Sposa e al tempo stesso rendersi docili per apprendere l'arte del dono della Trinità, guardando a Cristo Servo: "Vi ho dato l'esempio, perché come ho fatto io, facciate anche voi" (Gv 13,15). Negli sposi deve crescere il desiderio di compiere il volere divino: "Un corpo tu mi hai preparato, allora ho detto: ecco, io vengo per fare la tua volontà" (Eb10,5-7).
- La vita di coppia può aprire anche alla comprensione profonda dell'esperienza mistica, per analogia: essa è, infatti, esperienza unitiva nell'amore, che peraltro talvolta lascia il segno del passaggio di Dio anche nel corpo (v. stimmate).
Chi dice che anche i coniugi cristiani non possano essere, in modo tutto speciale, capaci di un'esperienza religiosa nella fede totalizzante tale da venire "afferrati" come Paolo da Cristo nella sua potenza amante? T. de Chardin parlava di un processo cosmico di 'armonizzazione' che si compie nel punto Omega della storia che è Cristo Salvatore e ricapitolatore: tutti, pertanto, siamo chiamati a questa piena conformazione, attraverso una unione trasformante.
- La pericoresis intradivina trabocca all'esterno di sé nella missio ad extra. Analogicamente, l'esperienza degli sposi e della famiglia conduce ad uscire da sé in uno slancio missionario di annuncio incarnato dell'amore.
Clemente Alessandrino negli Stromata applica alla famiglia la promessa di Gesù: "Dove due o tre sono riuniti nel mio nome, lì sono io" (Mt 18,20) e commenta: "Egli stesso si rende presente ai due sposi con gli eventuali figli; il suo Spirito costituisce il vincolo d'amore fra i membri della famiglia e apre la famiglia alla Chiesa e al mondo".
- Dalla prospettiva trinitario-comunionale della famiglia si può sviluppare una spiritualità fondata sull'ascolto comune della Parola e sul confronto esistenziale basato su di essa: il nutrimento della preghiera comune e dell'Eucarestia trova una espressione molto bella (anche se poco praticata) della Benedizione dei figli o dei giovani più in generale.
Agli anziani in passato in Sicilia si rivolgeva il saluto 'sa benerica' che vuol dire Vossia benedica!
Nella religione ebraica era un uso molto diffuso, specie da parte dei padri nei confronti dei figli (come dire che insieme alla vita biologica passa anche la forza viva e vivificante dell'azione di Dio stesso attraverso i genitori).
- Una prospettiva trinitaria fa maturare stili di vera condivisione con gli altri, realizzando una prossimità agapica soprattutto verso chi soffre, chi è nel bisogno, con la creatività dell'amore, in una fraternità feconda (v. affidamento e adozione).
- La famiglia piccola Chiesa, la Chiesa come famiglia di famiglie.
La struttura trinitaria che connota sia la famiglia che la Chiesa (Cipriano, III sec., definisce la Chiesa Plebis adunata de unitate Patris, Filii et Spiritus Sancti), crea uno scambio osmotico tra l'una e l'altra.
Già gli Atti degli Apostoli e le lettere paoline mostrano la dimensione domestica della Chiesa.
Giovanni Crisostomo definiva la famiglia Ecclesia micra ed anche microbasiléia (piccolo Regno) come anticipazione del Regno di Cristo.
Finché non si strutturerà un dinamismo ecclesiale e pastorale incentrato sulla famiglia, come cellula viva e generante amore di comunione, l'azione della Chiesa rischia di rimanere sterile, disincarnata e perciò stesso inefficace.
Solo assumendo la centralità della famiglia e la sua piena soggettualità ecclesiale si potrà sperare di realizzare un'efficace trasmissione della fede alle giovani generazioni che sia esistenzialmente significativa perché trasmessa nella quotidianità, nella quale risplende la santità feriale dei membri della famiglia. Il ministero coniugale di evangelizzazione si realizza prima sul piano dell'essere, in quanto gli sposi sono testimoni del Dio-Unitrino, e solo in un secondo momento sul piano dell'agire ecclesiale.
La scelta di Giovanni Paolo II di innalzare agli onori degli altari i coniugi Beltrame Quattrocchi è un segno molto significativo del nostro tempo: la santità dei due coniugi insieme è additata come meta a cui aspirare, pur nella ferialità della vita familiare.
- L'impegno sociale e politico della famiglia (v. Forum) deve portare l'impronta della vita trinitaria, dunque, deve essere teso in una tensione utopico-escatologica a creare una autentica civiltà dell'amore nel qui ed ora della storia.
Termino con due adagi: "Famiglia diventa ciò che sei, Famiglia credi a ciò che sei!" e riecheggiando un'affermazione dell'Apostolo Paolo: "Guai a noi famiglie se non evangelizziamo con l'amore l'Amore stesso!".
(Assisi, 18 ottobre 2008)