Giovani operai a Carmagnola: dallo stare insieme alla responsabilità

 

Intervista al gruppo GiOC

(NPG 1982-09-43)

L'indicazione telefonica era di cercare, arrivati al primo semaforo di Carmagnola, sulla destra, una chiesa. In realtà sulla destra c'era un grande spazio coperto di ghiaia e sullo sfondo un capannone in legno, che se non fosse stato per una croce di ferro che lo sormontava, poteva essere benissimo, e forse in origine lo era stato, un capannone di una delle tante imprese edilizie che in pochi anni hanno tirato su la nuova Carmagnola, un gran mucchio di case per gli immigrati che, cresciute come funghi, hanno contribuito a fare di un paese una città con circa 20.000 abitanti dentro la cintura industriale di Torino.
La chiesa è conosciuta nella zona come la chiesa dei preti operai e come la chiesa della GiOC, cioè i gruppi della Gioventù Operaia Cristiana.
L'idea di farci raccontare l'esperienza, più che della stessa parrocchia, dei gruppi di giovani operai e apprendisti ci è venuta nel momento in cui abbiamo letto il documento ultimo della GiOC, un volume ciclostilato quest'anno, del quale in altre pagine della rivista stiamo pubblicando l'itinerario educativo.
Abbiamo chiesto ad alcuni animatori di presentarci la loro storia, fino ad enucleare progressivamente il loro credo educativo.
Alla riunione partecipano cinque giovani sui 22 / 23 anni, tutti operai o impiegati nelle fabbriche della zona, da 5/7 anni nel giro della GiOC.

«OGNI LAVORATORE VALE PIÙ DI TUTTO L'ORO DEL MONDO»

Stiamo pubblicando su Note di pastorale giovanile l'itinerario educativo elaborato dal vostro movimento. Ci sembra utile accompagnare quel documento con una esperienza viva di un gruppo come il vostro. Ci interessa sapere cosa fate in concreto e la riflessione che accompagna il vostro impegno di educatori.

Tommy - Il documento di cui parli è «materiale di lavoro» per i gruppi. Non è quindi un documento completo perché rappresenta ancora un dover essere, nato dall'esperienza certamente, con il quale tutti i gruppi stanno provando solo ora, in termini espliciti, a confrontarsi. In effetti alla consapevolezza di una proposta educativa «organica», come quella delineata da quel documento siamo arrivati solo da poco. La nostra è più che altro una esperienza educativa che data solo dieci anni, a partire dal sorgere dei primi gruppi GiOC in Italia. Solo nel 1979 siamo arrivati a codificare la nostra pratica ed è nato appunto quel documento che ha avuto varie rielaborazioni fino alla forma attuale.
Dietro la nostra pratica educativa stanno le grandi intuizioni del fondatore della GiOC internazionale, J. Cardijn. Egli amava ripetere che «ogni lavoratore vale più di tutto l'oro del mondo». È uno slogan, si capisce, ma acquista tutta la sua attualità e manifesta tutto il suo potenziale educativo quando si pensa alla situazione di migliaia di giovani apprendisti ed operai in tutta Italia, per riferirci al nostro paese. Tutti noi sappiamo che di fatto i giovani lavoratori sono i più disaggregati, gli eterni assenti dai gruppi giovanili anche ecclesiali. Molti credenti, anche tra i responsabili di oratori e centri giovanili, non sanno più neppure che esistono i giovani lavoratori: non essendo capaci di vederli, li abrogano! Quando poi gli oratori e i centri giovanili si aprono a loro è solo per offrire una squadra di calcio...
Lo slogan di Cardijn noi lo traduciamo nella scelta di andare incontro ai giovani apprendisti là dove sono, nelle piazze e nei bar. In ogni caso per incontrarli occorre uscire dai soliti giri parrocchiali. È quello che facciamo ogni volta che diamo inizio ad un nuovo nucleo di aggregazione ispirato al nostro movimento.

Potete presentarci qualche esperienza di questo andare incontro ai giovani?

Fedele - Posso presentare la mia esperienza personale. Cinque anni fa è stato chiesto a me e ad un altro del movimento di avvicinare un giro di giovani apprendisti che gravitavano attorno ad un bar della zona e che manifestavano grosse difficoltà di inserimento nel tessuto urbano, sia perché immigrati sia perché giovani apprendisti e operai. Passavano il tempo libero al bar, a parlare del più e del meno e a ridere e fantasticare sulle ragazze che li snobbavano. Senza tante pretese siamo andati anche noi al bar e siamo diventati amici stando con loro a «perdere tempo». Ci è stato facile coinvolgerli nel parlare dei problemi del loro lavoro nelle piccole fabbriche e «boite» artigianali.
È nata da loro e con naturalezza l'idea di trovarci periodicamente. Visto che è interessante trovarci, perché non trovarci un giorno fisso alla settimana? Piccola discussione sul giorno e si decide per il mercoledì, con l'impegno di tutti di invitare il vicino di casa o il compagno di lavoro che ha a che fare con le stesse difficoltà. Da allora il gruppo ha preso a trovarsi con regolarità per parlare, come dicono i giovani del gruppo, della loro vita. Cominciano le prime riflessioni senza troppe pretese, su problemi concreti: cinquanta ore di lavoro alla settimana a 400 lire a ora, senza busta paga, difficoltà con i compagni di lavoro che spesso sono adulti, tensione con alcuni che non mancano di ricordarti che sei meridionale, rabbia perché non riesci a difendere le tue ragioni anche perché non capisci come funziona il mondo del lavoro...
Il mio gruppo è nato così: facendo leva sulle difficoltà comuni. Non per tutti, c'è da aggiungere, erano difficoltà sul lavoro. Per alcuni c'era solo l'esigenza di riempire in modo diverso il tempo libero. Per questo momento importante del cammino di gruppo è stata una gita in montagna. Per diversi era la prima volta che andavano in montagna. Si è camminato, fatto da mangiare, cantato e suonato senza altra pretesa che stare insieme.

Marina - L'inizio del mio gruppo è stato diverso da quello descritto da Fedele. Tutto è cominciato con una festa di quartiere, nella zona chiamata «Palazzo del
Sole», non senza ironia per la gente che vi abita, meridionali ammassati in quelle case con l'avvento di una nuova fabbrica FIAT a Carmagnola una decina di anni fa.
Il comitato di quartiere stava organizzando la festa e ha chiesto a noi della GiOC che avevamo già altri gruppi a Carmagnola se volevamo partecipare. Abbiamo preso la palla al balzo, non tanto per presentarci come movimento, ma per contattare i giovani della zona. Attraverso un ragazzo del quartiere appartenente alla GiOC abbiamo conosciuto alcuni giovani dai 15 ai 18 anni. La domanda che ci siamo posti con loro è stata semplice: visto che gli adulti organizzano delle gare a bocce e i bambini preparano una specie di «zecchino d'oro», che fare per la festa come giovani?
Parla e riparla è finalmente spuntata una idea: raccontare la storia, pur breve, del quartiere alla gente attraverso fotografie, interviste fatte ai primi arrivati in zona, diapositive... E perché non un recital in cui montare il materiale raccolto e presentarlo in modo originale alla gente? L'impegno del recital è stato determinante per maturare un rapporto tra tutti che è continuato dopo la riuscita della festa. Si stava insieme in piazzetta, si usciva qualche volta in bici. Poi è arrivata l'estate: perché non passarla insieme in montagna? Organizzare con cura il campeggio, far da mangiare e gestire il campo sono stati momenti di grossa maturazione. L'amicizia tra di loro e con me e l'altro animatore si è rinsaldata. I giovani ci cercavano per «parlare delle loro cose», desiderosi di qualcuno che li ascoltasse, da soli o in gruppo, in modo disinteressato, senza secondi fini.

Sorprende l'attenzione del vostro movimento che ha fatto sua la scelta dell'appartenenza al movimento operaio e quindi dell'impegno e della lotta politica, alle «cose dei giovani»...

Tommy - La dimensione sociopolitica della esistenza (e della stessa fede cristiana) è per noi fondamentale, ma ci siamo resi conto in questi ultimi anni che la persona ha dei bisogni ed esigenze sul piano personale che non possono essere dimenticati o sacrificati al politico, come ha fatto il '68. L'accogliere i giovani così come sono e inserirsi senza etichette di comodo nei loro gruppi al bar o in piazzetta non è per noi una benigna concessione alla «fuga nel privato» o un subdolo ricatto per poi passare a cose serie... Il nostro impegno educativo deve liberare la persona in tutte le sue dimensioni, comprese quelle legate alla dinamica della vita quotidiana: amicizia, accettazione di sé, utilizzo del tempo libero, rapporto tra ragazzi e ragazze...
Per capire i nostri gruppi mi sembra importante, a questo punto, ricordare una seconda intuizione di Cardijn che noi tentiamo di vivere nel servizio educativo: «con loro, da loro, per loro». Dietro a questo slogan noi vediamo l'impegno e l'urgenza di protagonismo giovanile, i giovani come educatori dei giovani, la scelta del gruppo di base e quindi del gruppo naturale di aggregazione come luogo educativo, la fine del paternalismo e dell'assistenzialismo giovanile. Per noi sono i giovani lavoratori che devono farsi soggetti, con l'aiuto dell'animatore, delle loro coscientizzazione, attività, aggregazione.
Detto questo c'è da sottolineare che il nostro non vuole essere qualunquismo o semplicismo politico e culturale. Secondo noi i problemi dei giovani operai si risolvono solo facendo riferimento al cammino del movimento operaio, che, nonostante tutti i nuovi problemi emersi negli anni 70 con la nascita di movimenti di liberazione come quello femminista, di matrice non propriamente operaia, e con lo sfaldarsi della compattezza e sicurezza del movimento operaio, rimane una forza antagonista allo sfruttamento e alla ingiustizia.
Ciò che qualifica il nostro movimento è che è parte del movimento operaio: condivide la ricerca di nuova qualità di vita, si radica nella storia del movimento, partecipa alla revisione in atto della sua cultura.
D'altra parte noi non siamo un movimento politico ma educativo. Intendiamo cioè collaborare al progetto del movimento operaio attraverso la educazione dei giovani operai e apprendisti. Nell'artigianato e nella economia sommersa lavorano circa 700.000 apprendisti ed un milione circa di giovani senza libretto, senza mutua, senza pensione.
Ci rendiamo conto dello scarto esistente tra le nuove generazioni di apprendisti ed il movimento operaio. In questo scarto e divario viene a collocarsi il nostro movimento che da una parte è movimento giovanile e quindi si fa carico delle novità che le nuove generazioni portano e le consolida fino a che i giovani si sentono parte tutt'altro che passiva e subalterna dentro il movimento operaio, e dall'altra intende iniziare i giovani al grande cammino percorso dal mondo operaio e alle mete e obiettivi che questo oggi concretamente si pone.

Come in concreto attuate qui a Carmagnola questo ideale di protagonismo giovanile?

Chiara - Possiamo darti un quadro di quello che è la nostra organizzazione a Carmagnola. Fedele e Marina hanno parlato dei loro gruppi. Come i loro «gruppi di base», così li chiamiamo, ne esistono una ventina, ognuno con un animatore, a volte (soprattutto agli inizi) due, per un totale di 35 animatori che costituiscono il cosiddetto «gruppo militanti» perché hanno fatto la scelta precisa di servizio nel movimento. -
Non è detto che tutti si occupino di giovani lavoratori e apprendisti. Se necessario ci occupiamo anche di studenti e di ragazzi delle scuole medie, alla condizione che siano figli di operai, immigrati, emarginati di fatto.
Il gruppo è affidato alle responsabilità dei partecipanti ed è quindi un vero gruppo giovanile, compreso l'animatore che va dai 18 ai 22/23 anni. Ogni gruppo di base è composto di 8/10 membri. Si tratta quindi di piccoli gruppi, allo scopo di coinvolgere tutti, mettersi in discussione, dare la parola anche ai più timidi e non solo a quelli che la sanno lunga.
Proprio per difendere i più deboli cerchiamo in genere di costituire gruppi per settori: studenti, giovani operai e apprendisti, Ci sembra più utile soprattutto nel caso dei giovani operai che di solito si troverebbero a mal partito di fronte alla spigliatezza e proprietà di linguaggio degli studenti.
Non per questo si lavora a compartimenti stagno. Ci sono occasioni, soprattutto a livello di attività, di feste e di incontri zonali in cui si realizza uno scambio tra i settori.

A SERVIZIO DELLA MATURAZIONE GLOBALE DEI GIOVANI OPERAI

Quale obiettivi vi proponete e attraverso quali strategie e strumenti cercate di raggiungerli?

Marina - Quello che noi ci proponiamo è uno sviluppo globale della persona. Noi ci consideriamo dei cristiani a servizio dell'uomo nella sua concretezza, senza eludere, fin che .è possibile, alcuno dei problemi che emergono. Crediamo che lo sviluppo del giovane debba integrare quattro dimensioni: la dimensione psicologica, la dimensione sociopolitica, la dimensione dei valori e la dimensione della fede.
Anzitutto la dimensione psicologica ed affettiva. Nei nostri gruppi non abbiamo a che fare con giovani in senso generale, ma con giovani con un sacco di difficoltà: accettarsi e accettare gli altri, conoscersi e maturare un corretto rapporto affettivo... Spesso sono disorientati, senza alcun punto di riferimento, con scarse possibilità di identificarsi in qualcosa di valido.
Se ci occupiamo di questo ambito di vita personale non è quindi solo, come si diceva, per moda, ma per accogliere e liberare i giovani reali dei nostri gruppi. La seconda dimensione della maturazione è quella sociopolitica, scrostata dalle enfatizzazioni del '68. Crediamo importante che il giovane operaio impari a situarsi nel suo ambiente di lavoro e di vita cittadina. Deve rendersi conto dei meccanismi di potere da cui viene «giocato». L'obiettivo è rendere i giovani apprendisti consapevoli della loro appartenenza al mondo operaio e quindi aprirli alla responsabilità sociale e politica.
La terza dimensione è quella dei valori. E una dimensione che emerge subito nel contatto con i giovani, ma in genere non si può affrontarla se non dopo un certo cammino di gruppo ed una buona pratica di riflessione sul vissuto. D'altra parte quello dei valori non è un problema eludibile, oggi, dopo la crisi delle ideologie capitalistiche e marxiste e dopo la fine del mito del progresso e della scienza. Quale uomo e per quale società? E, più in là, che senso ha la vita? Sono le domande a cui insieme il gruppo cerca una risposta.
La quarta dimensione dell'educazione è quella religiosa che non è altra da quella precedente, ma è una ricomprensione del senso ultimo della vita ed è la scelta di esprimere la fede nella appartenenza ad una comunità e nella celebrazione della eucaristia e degli altri sacramenti. Seguendo le intuizioni di Cardijn, aiutare il giovane a scoprire se stesso, suscitare in lui il rispetto per la dignità umana, insegnargli a guardare, valutare ed agire, aiutarlo a scoprire la bellezza della vita che freme in lui, il valore del lavoro umano, dell'amicizia e dell'amore, tutto questo è per noi la via normale che conduce a Dio e a una fede cristiana autentica.

Concetta - Quello che noi vogliamo proporre ai giovani, prima in modo implicito e poi in modo sempre più esplicito, è un itinerario educativo che si conclude con l'ingresso nella militanza dentro il movimento.
Il documento che state pubblicando sulla rivista spiega bene le quattro tappe e quindi non è necessario presentarle.

Puoi riassumerle?

Mi limito alle cose generali.
La prima tappa, quella che noi chiamiamo «dall'aggregazione alle prime contraddizioni» inizia, come ci dicevano Fedele e Marina, con la decisione di entrare in contatto con i giovani operai al bar, in piazzetta e così via. L'animatore sta con loro, chiacchera... Lentamente, in modo occasionale e senza pretese, stimola ad una prima riflessione sul come si vive. Prima ancora sollecita a osservare il proprio comportamento e quello degli altri. Non esiste ancora un gruppo vero e proprio.
La seconda tappa inizia quando si arriva a decidere di trovarsi con regolarità. Nasce un minimo di impegno, si sviluppa una piccola organizzazione, si comincia a costruire un gruppo. E la tappa che noi chiamiamo: «dalle prime contraddizioni alle prime riflessioni ed azioni».
Nelle prime due tappe prevale ancora lo spontaneismo, la scarsa consapevolezza di ciò che si vuole, la riflessione soggettiva, la non coscienza di essere nel giro di un movimento come la GiOC. Noi non parliamo del movimento se non alla terza tappa, che chiamiamo: «dalle prime azioni e riflessioni all'inizio del cammino di militanza».
Il passaggio alla terza tappa prevede un piccolo salto, una scelta più precisa. Ti rendi conto che non esiste solo il tuo gruppo ed il tuo animatore, ma altri gruppi e animatori ed un vero movimento. Si comincia a partecipare a momenti di formazione per chi desidera entrare nel movimento, «la scuola di militanza». La scelta tuttavia non è ancora centrata sul movimento ma sulla assunzione consapevole delle domande di fondo della esistenza e uno stile di vita nuovo. La terza tappa prepara quindi all'impegno e alla scelta di vita. L'età media, a questo punto del cammino è 18 anni, tenendo conto tuttavia, come è comprensibile, della non linearità della crescita dei giovani, dei diversi tempi di maturazione, della disomogeneità dei gruppi...
La quarta tappa: «dall'inizio del cammino di militanza alla militanza più piena». A questo punto del cammino ti fai carico di quello che hai ricevuto e ti proponi di portarlo ad altri giovani come te. Si diventa animatori di un gruppo di base o ci si prende qualche altra responsabilità in quartiere o dentro lo stesso movimento.

IL GRUPPO, L'INCHIESTA E L'AZIONE EDUCATIVA

Come realizzate il vostro impegno educativo? Di quali strumenti disponete?

Fedele - I nostri strumenti metodologici ed operativi sono essenzialmente tre, o se vogliamo, quattro: il gruppo, l'inchiesta, l'azione, i momenti formativi e di festa. Il primo strumento, anche se in realtà è qualcosa di più, è il gruppo. Dell'importanza educativa del gruppo abbiamo già parlato. Mi permetto di aggiungere qualche parola a proposito dello stile dei nostri gruppi.
Come già accennava Concetta, noi proponiamo ai giovani di vivere in piccoli gruppi, perché tutti siano sollecitati alla responsabilità e ad esprimersi. Le nostre riunioni, soprattutto agli inizi, sono qualcosa di caotico e disorganico, ma tutti si sentono coinvolti e tutti sanno che possono dire il loro parere senza essere ridicolizzati. Quello che ci interessa è che i giovani comprendano progressivamente che quello è il loro gruppo, un gruppo che dipende per intero da loro.
Alla classica figura del prete che fa la lezioncina appresa sui libri abbiamo, in secondo luogo, opposto la figura del giovane animatore che condivide con i giovani la cultura operaia, i problemi della immigrazione e della emarginazione, ma che ha insieme una sua esperienza umana e di fede, un suo progetto di liberazione. Il gruppo, in terzo luogo, applica una metodologia formativa, centrata su quella che noi chiamiamo «la problematizzazione» del vissuto. È da qui che parte il nostro lavoro educativo e non dai libri o dai giornali. Un esempio molto semplice. Capita che i giovani apprendisti non facciano fortuna con le ragazze e che vengano snobbati, anche perché a volte si manifestano rozzi e aggressivi. Per noi il lavoro educativo inizia da questo «fatto» e dalla sua problematizzazione.
Spesso il punto di partenza è una inchiesta condotta direttamente dal gruppo sul lavoro nero e precario, sulla disoccupazione, sullo sfruttamento degli apprendisti. Proprio l'inchiesta è il primo strumento metodologico, se si mette lo strumento gruppo ad un altro livello. L'inchiesta, usata in modo costante e capillare, porta il gruppo ad aprirsi alla realtà circostante, a scontrarsi con le contraddizioni dell'ambiente, a fare analisi e a verificarle.

Quali inchieste avete condotto?

Chiara - Bisogna distinguere tra inchieste che i piccoli gruppi conducono per conto proprio, che riguardano problemi di interesse locale, come ad es. il funzionamento dell'ufficio di collocamento, l'indagine delle piccole fabbriche, il rapporto ragazzi e ragazze, e inchieste di ordine più generale.
Qui a Carmagnola abbiamo condotto, ad esempio, una ricerca sulla realtà dei preadolescenti, con la collaborazione, oltre che di vari gruppi GiOC, di una scuola media della zona. Le domande rivolte ai ragazzi riguardavano scuola, famiglia, rapporti ragazzi-ragazze, vita di gruppo e tempo libero, droga, lavoro...
L'inchiesta, al di là dei risultati, è stata importante come occasione educativa per tutti quelli che vi hanno preso parte, attraverso il lavoro di preparazione del questionario e dei suoi obiettivi, il contatto con la gente, la rielaborazione dei dati e così via. Un secondo tipo di inchiesta è quella in cui viene coinvolto tutto il movimento sotto forma di «campagna d'azione». Così, per esempio, ora stiamo lavorando sul tema della disoccupazione giovanile, lavoro nero e precario, condizioni di lavoro dei giovani operai nelle piccole fabbriche e nelle «boîte». In questa campagna ogni gruppo deve fare la sua parte. Ciò richiede, in termini educativi, capacità di organizzarsi, qualificazione per raccogliere i dati ed elaborarli, discussione di problemi in cui sono coinvolti gli stessi membri del gruppo...
Due anni fa avevamo organizzato invece una grossa ricerca sul tempo libero dei giovani. Tutta l'inchiesta è stata un momento di intensa riflessione da parte dei gruppi sui problemi connessi al consumismo, alla ricerca di nuova qualità di vita, alla scollatura tra lavoro e tempo libero... Il materiale raccolto lo abbiamo pubblicato in un volume.

Cosa intendete invece per «azione»?

Tommy - Noi non vogliamo fare gruppi di discussione, studio o ricerca. La stessa inchiesta non è fine a se stessa. Sarebbe troppo poco. Il punto di arrivo è l'azione. L'azione è del resto un elemento tipico di formazione nella cultura operaia. e
Per i giovani borghesi la formazione è una questione di libri, di parole e di concetti. Per i giovani operai essa avviene attraverso la vita, il lavoro, l'esperienza. Fare gruppo per noi significa, e ce lo ripetiamo spesso, passare continuamente «dalle belle parole all'azione».

Concetta - Cosa sia azione posso spiegarlo facendo riferimento al mio gruppo in questi ultimi mesi. Nella revisione di vita abbiamo parlato del fatto che diversi di noi sono disoccupati. Seguendo lo schema classico ((vedere-valutare-agire», abbiamo all'inizio raccolto una serie di fatti, cioè di situazioni di disoccupazione ed abbiamo analizzato le sue cause e le conseguenze, come l'appiattimento della personalità del giovane, la mancanza di un ruolo in famiglia e la non considerazione perché non si è né studenti né lavoratori... In un secondo momento siamo passati alla valutazione in termini di valori (quali valori/disvalori comporta una simile situazione?) e di fede, attraverso una meditazione di qualche pagina di vangelo. Siamo infine arrivati all'azione, ciò che ora ci interessa di più. Intanto si vede come l'azione nasca da un lungo cammino di ricerca e di riflessione. Per noi questo è decisivo. Ce lo ripetiamo spesso con lo slogan «Azione + riflessione = prassi ( o parola autentica). Sacrificio dell'azione = verbosità. Sacrificio della riflessione = attivismo».
Cosa abbiamo fatto e stiamo facendo in concreto, visto che la ricerca non è ancora finita?
La cosa più semplice è stata preparare insieme un articolo per «Gioventù Operaia», il giornale del movimento. In secondo luogo ci siamo incontrati con un altro gruppo della zona per confrontarci sullo stesso problema. Visto poi che è il problema dei disoccupati a Carmagnola è preoccupante abbiamo iniziato una inchiesta che è durata da maggio a luglio. Abbiamo avvicinato 103 giovani, la maggior parte donne (1'87% dei disoccupati a Carmagnola sono donne!) per sapere come vivevano questa situazione. I membri del nostro e dell'altro gruppo con cui ci eravamo verificati sono passati di casa in casa a fare le domande. Poi ci si è ritrovati per elaborare i dati, calcolare le percentuali, commentare i risultati significativi. A queste 103 inchieste vanno aggiunte altre 25 interviste di più vasto respiro. I dati emersi ed il nostro commento li presenteremo alla «festa dei giovani» di zona attraverso cartelloni e un dossier ciclostilato ormai ultimato.

Marina - Quello che ha detto ora Concetta per il suo gruppo è uno schema che si ripete anche a livello di zona, visto che tutti i gruppi, come si accennava, sono impegnati nella «campagna di azione sul lavoro».
La campagna dura due anni. Ora siamo a metà e alla prossima festa faremo conoscere i risultati.
Venendo al discorso dell'azione, ne stiamo mettendo in cantiere diverse. Faccio degli esempi. In primo luogo organizzeremo degli incontri aperti a tutti i disoccupati per informarli sul funzionamento dell'ufficio di collocamento e delle sue leggi. Una seconda azione è la costituzione di un comitato per il lavoro, attraverso il quale i disoccupati possano scambiarsi informazioni su eventuali posti di lavoro. Ci stiamo anche confrontando con il sindacato per vedere di allargare i corsi delle 150 ore anche ai disoccupati, magari con la nostra collaborazione. Infine stiamo studiando con i disoccupati forme alternative di organizzazione del lavoro, come possono essere le cooperative e altre modalità associative.

Fedele - Del quarto strumento di lavoro educativo abbiamo già parlato implicitamente: sono i vari incontri di gruppi a livello zonale e di movimento, i campi-scuola estivi, le scuole militanti (una domenica al mese su temi di formazione personale del militante), le feste dei giovani a livello locale e di zona, le scuole di formazione per coloro che intendono assumere l'animazione di un gruppo...

IL GRUPPO DEGLI ANIMATORI

Si è accennato sempre di passaggio al gruppo dei militanti. In che consiste? Ha una sua vita autonoma? Che cosa accomuna i militanti?

Fedele - Il gruppo militanti è il gruppo che parte dalle più diverse aggregazioni e fa un cammino serio di riflessione ed azione, seguendo il trinomio classico «vedere-valutare-agire», che matura poi nella pratica della Revisione di vita. Dopo questo duro cammino si arriva ad una scelta di vita e di fede che determina il futuro personale. Si diventa militanti del movimento. A quel punto ti viene un grosso desiderio: capisci che quello che è stato importante per te, può esserlo per altri giovani apprendisti ed operai. Quello che tu hai sperimentato lo devi a degli animatori e ad un gruppo. Capisci che non puoi fare a meno di proporre ad altri la stessa strada e con la stessa scelta di fondo.
Personalmente credo nella passione educativa per i giovani. Molto del futuro dei giovani dipende dall'educazione che sperimentano. Per questo voglio essere educatore.

Concetta - Condivido quello che ha detto Fedele. Ad un certo punto ti rendi conto che la vita che hai è un dono, un dono grande, anche se a volte fa soffrire. Cosa fare per non sciuparla? Come consumarla per qualcosa di abbastanza grande? Come riuscire a dare sapore alla mia vita? Sono queste le domande che mi hanno portato da una parte alla militanza nella GiOC e dall'altra a essere l'animatore di un gruppo di base, come sto facendo da quattro anni. In questa scelta entra un discorso di valori ed un discorso di fede. Penso che farei certe scelte anche se non fossi cristiana. Ma credo che la fede in Gesù Cristo mi abbia dato un atteggiamento verso la vita che mi ha permesso di vedere nell'animazione qualcosa di grande: sai che le cose che fai non moriranno...

Cosa comporta fare l'animatore?

Tommy - Anzitutto l'avere poco tempo per se stessi... Non è uno scherzo. Prima di parlare degli impegni dell'animatore vorrei aggiungere qualcosa a quanto hanno detto Fedele e Concetta. Spesso la scelta di militanza e di animazione porta al servizio civile. Solo nella zona di Carmagnola gli obiettori di coscienza sono sei. Credo che questo sia in continuità con la voglia di dare sapore alla vita, come diceva Concetta.
Cosa comporta essere militante? Intanto una buona preparazione sul piano personale (questo è compito di tutto l'itinerario e della scuola militanti) e sul piano tecnico (metodo educativo, conoscenza dei destinatari, organizzazione dei gruppi a livello locale e zonale...). Proprio per consentire una adeguata formazione, da noi si comincia a fare animatore dopo i 18 anni. A Carmagnola l'età media è 20/22 anni. Prima dei 18 anni si rischia solo di bruciare gruppi e animatori.
Durante il servizio educativo il luogo principale di riferimento formativo è certamente la Revisione di vita a livello di militanti. A questo vanno aggiunti i coordinamenti settimanali a livello di settore o a livello generale di zona, quando i militanti si ritrovano per una verifica del lavoro e per una programmazione delle nuove attività. Ad esempio, in questi giorni di inizio anno sociale ci troviamo insieme per cinque sere e per tutto lo week-end. Temi all'ordine del giorno: la verifica di zona del lavoro svolto fino all'estate, l'andamento generale del movimento, la valutazione del funzionamento della organizzazione e la ricerca di possibili correttivi, la programmazione delle attività educative...

VIVERE LA FEDE «DENTRO» IL MOVIMENTO OPERAIO

Qual è la proposta di fede del vostro movimento?

Fedele - Diciamo subito che ci sentiamo cristiani e che ci sentiamo «dentro» il movimento operaio... Proprio perché condividiamo fino in fondo la sorte del movimento operaio non siamo affatto una quinta colonna della chiesa tra i giovani operai. Più semplicemente, come già dicevamo, ci proponiamo di formare alla fede e alla appartenenza ecclesiale senza costringere i giovani a mettere tra parentesi, se non a rinnegare, il mondo di provenienza.
I giovani che noi contattiamo hanno alle spalle esperienze normalmente negative di chiesa e di proposta cristiana. Io stesso, che pure sono cresciuto in un oratorio, sono andato in crisi il giorno in cui non sono più riuscito a conciliare il fatto che per andare in piscina occorreva partecipare prima all'incontro ufficiale di preghiera. Questi meccanismi non mi sono mai andati giù...
Quando i nostri giovani non sono sprezzanti verso il mondo ecclesiale, dal quale spesso sono stati ricacciati e del quale quindi hanno avuto esperienza negativa, sono generalmente indifferenti alla fede: né atei né credenti.
La fede non è quindi la prima cosa che proponiamo. Non servirebbe... Eppure noi siamo credenti e ci sta a cuore che anche ai giovani operai arrivi la buona notizia del vangelo dei poveri...
Come sbloccare anzitutto le resistenze? Noi siamo per la testimonianza anzitutto dell'animatore e degli altri militanti che i giovani incontrano nel gruppo e nel movimento. La fede in questi giovani nasce quando uno si rende conto che l'animatore o il militante, che pure vive le tue stesse esperienze, è, nonostante tutto, un credente.
Una seconda strategia per una proposta di fede è la riflessione sui valori, quando ad un certo punto del cammino educativo questo problema viene affrontato in modo esplicito. Viene il momento in cui di fronte a certe scelte ci si chiede: è giusto o è sbagliato? ha senso o no? a che scopo? chi te lo fa fare? Dalla domanda sui valori è facile il passaggio ad uno studio serio del vangelo, per lo meno per conoscere direttamente la proposta e prima ancora l'esperienza ed i valori del Gesù storico.

Tommy - La nostra scelta è di non aver fretta di fare proposte non assimilabili. Preferiamo lavorare su tempi lunghi. Sia perché si tratta dei giovani disincantati dei nostri giorni, sia perché si tratta di giovani della classe operaia, con tutti i problemi che questa appartenenza comporta.
Certo si potrebbero bruciare le tappe con una azione basata su proposte a forte identità, magari con l'aiuto di tecniche che facilitino lo scatenamento emotivo e processi di identificazione strettti... Secondo noi non ha senso allontanare i giovani dal loro mondo, costruendo per loro ambienti di esperienza di fede fittizi, entusiasti, emotivi. Non ci sembra un buon servizio al vangelo.
La nostra proposta oltre che proposta evangelica è insieme proposta di graduale esperienza ecclesiale. Il gruppo di base e il collegamento con le altre forme organizzate del movimento sono lo spazio in cui i giovani operai iniziano concretamente a fare chiesa. Nel gruppo imparano a vincere l'individualismo e l'egoismo, ad aprirsi agli altri, ad impegnarsi.
Man mano che un giovane consolida la sua appartenenza al movimento si rende conto che non ci sono solo giovani, ma anche adulti che credono, che non ci sono solo laici ma anche preti che condividono le loro aspirazioni. Si scoprono parte di una chiesa che vive nel movimento operaio. E attraverso queste esperienze di chiesa si sentono parte ed in comunione con tutte le chiese del mondo.
In questo contesto la fede diventa sempre più esplicita: si fa fraternità, comunione dei beni attraverso anche l'autofinanziamento del movimento ma soprattutto attraverso una lotta per la giustizia universale, esperienza diretta di diversi carismi dal prete all'adulto, dal delegato sindacale all'animatore del gruppo, si esprime nella celebrazione della eucaristia e del sacramento della riconciliazione.

Chiara - Mi sembra importante aggiungere che nei nostri gruppi non siamo tutti credenti. Diversi in effetti, pur non dichiarandosi atei, riconoscono di essere in una situazione di dubbio e di ricerca. Noi animatori non pretendiamo la fede dai giovani che avviciniamo. Il nostro è essenzialmente un cammino di coscientizzazione umana e cristiana. Qualcuno in effetti non arriva ad una fede esplicita. Il cammino educativo che si compie insieme, la riflessione e la pratica di valori sono per noi già un'esperienza comune significativa. La nostra fede ci dice del resto che questi giovani, se hanno fatto veramente l'opzione dell'amore, sono animati da Cristo e contribuiscono a far crescere il Regno di Dio.
(Intervista a cura di Franco Floris).