A cura del Centro di Ricerca e Documentazione Febbraio '74
(NPG 1982-09-35)
Tra il 1977 e il 1979 il Centro di Ricerca e Documentazione Febbraio '74, diretto da Giancarlo Quaranta, ha compiuto una ricerca sui gruppi giovanili cattolici di base, sui gruppi cioè non legati ad associazioni di tipo nazionale, e quindi apparentemente isolati dall'ambito dell'associazionismo religioso tradizionale.
L'importanza di tale ricerca appariva immediatamente rilevante: l'aggregazione di base dei giovani sembra infatti essere una caratteristica propria del mondo cattolico, tale, secondo Quaranta, «da rappresentare l'elemento costitutivo di una vera e propria area culturale» con suoi propri «processi di socializzazione e di inculturazione paralleli, talvolta in conflitto, talvolta nella stessa direzione, a quelli che si attuano» in altri ambienti, e con caratteristiche qualitative (di «primarietà») e quantitative che ne esaltano la rilevanza per l'intera società italiana.
I risultati di questa ricerca, per certi aspetti dagli esiti sorprendenti, sono stati pubblicati col titolo L'associazione invisibile. Giovani cattolici tra secolarizzazione e risveglio religioso, Sansoni 1982, ed hanno suscitato un vivace dibattito non solo nell'ambito della sociologia della religione contemporanea, ma anche tra gli operatori pastorali, politici e sociali.
Crediamo utile presentare sinteticamente ai lettori la parte che riteniamo più interessante, sotto l'ottica pastorale, di questo volume.
LE IPOTESI DI PARTENZA
L'ipotesi-quadro della ricerca era articolata in tre sotto-ipotesi, corrispondenti ad altrettante lacune conoscitive circa la realtà socio-culturale del mondo giovanile cattolico italiano. Le lacune riguardavano: numero e dislocazione dei gruppi; dati sulla vita e la cultura dei gruppi; tipo di interazione tra gruppi e realtà sociale.
Sotto-ipotesi 1. Il fenomeno dell'aggregazione giovanile di base è quantitativamente notevole e sembra interessare un numero di giovani forse maggiore di quello delle grandi associazioni cattoliche nazionali messe assieme.
Sotto-ipotesi 2. I gruppi di base costituiscono, al di là del loro apparente carattere effimero e frammentario, un vero e proprio sistema integrato e coerente, all'interno del quale si svolgono processi di socializzazione e di inculturazione dei giovani ad alta densità emotiva e religiosa. Tali processi riguardano sia valori, status e ruoli propri della religione cattolica, sia valori, status e ruoli propri di quelle altre forme religiose che sono emerse nelle società ad alto sviluppo industriale conseguentemente all'affermarsi o alla crisi dei processi di modernizzazione.
Sotto-ipotesi 3. I gruppi di base hanno una cultura propria, formata attraverso processi di assimilazione, scambio e creazione culturale. I gruppi hanno una notevole permeabilità sia nei confronti dei messaggi emessi dal «climax» dell'area cattolica (gerarchia, intellettuali, editoria, ecc.), sia nei confronti di quelli provenienti da altre aree culturali o culture. Questo può significare che i gruppi, in quanto possibile luogo di incontro e di sintesi religiosa e culturale, possono costituire una fonte di novità per la Chiesa italiana.
In base a tali sotto-ipotesi è proceduto l'intero lavoro successivo.
ALCUNE QUESTIONI METODOLOGICHE
Il concetto di «gruppo»
L'oggetto della ricerca è stato non quello della religiosità dei singoli giovani aggregati solo occasionalmente in gruppi, bensì il gruppo, sia come portatore di una determinata cultura (nel senso dell'antropologia culturale), sia come fattore di dinamismi sociali. I gruppi sono stati allora considerati come facenti parte di una specifica sub-cultura giovanile (all'interno di una più vasta area culturale cattolica) e come soggetti attivi di grandi processi di codificazione istituzionale dei comportamenti individuali e collettivi.
In particolare, un gruppo è stato definito tale a partire da elementi quali: l'unione di più persone, di ambo i sessi, in età evolutiva, con relativa stabilità nel tempo, che fosse percepita nel microambiente locale per la sua rilevanza pastorale, politico-culturale, rituale, ecc. La qualifica di cattolico ai gruppi è stata invece assegnata in base all'interazione di fattori quali: la pratica della liturgia cattolica, la presenza di leaders o assistenti appartenenti al clero, la presenza di religiose, relazioni in atto con la gerarchia cattolica, il nome del gruppo (se riferito alla parrocchia ospite), ecc.
Censimento e alcuni dati
E stato distribuito un questionario, a domande «chiuse», a leader o a membri di tutti i gruppi esistenti in Piemonte, Lombardia, Veneto, Liguria, Emilia Romagna, Toscana, Marche, Umbria, Lazio, Campania, Calabria, Basilicata, Puglia. Nel corso della prima ricerca, sono stati reperiti e consiti nelle venti regioni italiane 8.010 gruppi, e in tredici di essi (a circa 6.500 gruppi) è stato distribuito il questionario. Hanno risposto validamente al questionario 2.003 gruppi, pari al 31% dei gruppi censiti nelle tredici regioni e al 25% dei gruppi di tutta Italia.
- L'insieme dei gruppi di base censiti (l'«associazione invisibile» del titolo) aggrega circa 350.000 giovani (con una media di 37 aderenti a gruppo), cifra che da sola costituisce il 50% dell'intero fenomeno aggregativo cattolico giovanile.
- Il 60,8% dei gruppi è nel Nord Italia, il 18,4% nel Centro e il 20,8% nel Sud e nelle isole.
- I gruppi residenti nelle parrocchie sono 1'81,7% del totale. Le parrocchie sono quindi un fattore importante per la nascita e l'esistenza dei gruppi, fornendo loro sedi, strumenti tecnici, assistenza e legittimazione al loro lavoro pastorale.
LA GENESI DEL FENOMENO DEI GRUPPI
Agli inizi degli anni '60
Fino alle soglie degli anni '60, nel mondo cattolico era preponderante una organizzazione della base giovanile secondo strutture associative di dimensione nazionale (l'Azione Cattolica ne era un esempio). All'inizio degli anni '60 si sviluppò proprio all'interno dell'Azione Cattolica, un dibattito circa le formule organizzative mediante le quali si sarebbe dovuto dare forma all'aggregazione di base. L'opzione che venne poi effettuata, cioè quella della forma «gruppo» locale al posto della precedente «associazione», condusse a conseguenze di notevole portata. Infatti, la forma «gruppo» sembrava la più adatta ad esprimere la scelta conciliare in favore di una maggiore responsabilizzazione delle Chiese locali e le recenti istanze teologiche e culturali legate a nuove domande di soggettività individuale e comunitaria.
Tre fattori costanti
Tre fattori costanti che hanno contribuito alla nascita del fenomeno dei gruppi appaiono essere: la ventata di «aggiornamento» nel mondo cattolico degli anni '60 (con la riforma liturgica e in seguito il rinnovamento della catechesi); l'incremento di identità e stabilità del cattolicesimo, dovuto proprio alla sua peculiare capacita di accoglienza delle novità culturali; la radicalità critica del movimento del '68.
Ma sono chiamati in causa anche altri elementi. Anzitutto, il mutamento della religiosità dei cattolici, che si è avvicinata a forme culturali tipiche delle società neocapitaliste a sviluppo industriale avanzato e che si è concretizzato, ad esempio, nell'esperienza della messa come luogo socializzante dove si realizza la propria personalità e la ricerca di rapporti interpersonali soddisfacenti tra i fedeli, anziché come luogo dove si esprimono i temi dell'adorazione o del timore di Dio. Altro elemento è stato la polemica antiistituzionale effettuata dai giovani del '68, che tendeva a privilegiare aggregazioni di tipo informale, cioè non dirette (almeno estrinsecamente) dall'alto e che ha generato, in alcuni casi, fenomeni di dissenso nella Chiesa.
Nel suo complesso tuttavia, l'interazione tra aggiornamento cattolico e rivoluzione giovanile, lungi dal produrre (come nel caso del movimento del '68) un rifiuto totale delle strutture istituzionali di qualsiasi tipo e del mondo moderno, ha prodotto nei giovani cattolici una sintesi tra la cultura della modernizzazione e la cultura cattolica, senza per questo negare né la cultura cattolica stessa, né le istituzioni ecclesiastiche.
I gruppi, invece di costituire l'area del dissenso prevista agli inizi degli anni '70, costituiscono l'area di un «nuovo consenso» alla Chiesa cosiddetta «istituzionale», realizzando il disegno giovanneo e paolino di ridare i cristiani ai vescovi e ai parroci mediante una sorta di «pacificazione» del mondo cattolico. Indubbiamente se tale pacificazione è apparsa forse l'unica forma possibile per garantire la continuità della vita della Chiesa in un determinato periodo, appare problematico che possa esserlo anche per il futuro.
VERSO UN SINCRETISMO CULTURALE
Uno degli elementi di sorpresa già nella formulazione delle ipotesi era stato per i ricercatori la constatazione circa la qualità della cultura dei gruppi di base. Citiamo direttamente dal testo.
Soprattutto i gruppi osservati nei centri rurali più sperduti della Calabria, della Sardegna, della Puglia, dell'Abruzzo, del Molise o dell'Umbria presentavano una comune caratteristica, che li rendeva disomogenei rispetto alla cultura locale. In tali gruppi si poteva osservare una sistematica attitudine dei giovani cattolici a contrastare le forme religiose della cultura rurale, nonché a esprimere il proprio essere religioso in modelli comportamentali molto diversi da quelli dei coetanei residenti nei medesimi luoghi, anche con un linguaggio che non aveva quasi nulla o nulla in comune con quello della tradizione. Nello stesso tempo, quei gruppi sembravano essere visti o percepiti, dai rispettivi ambienti, «diversi» sotto molti punti di vista, quali la liturgia praticata, la promiscuità sessuale, la libertà nei rapporti interpersonali, il linguaggio incomprensibile e sofisticato, l'allontanamento dalla tradizione, non solo religiosa, ma anche laica, della vita. Alcuni di questi tratti erano comuni a giovani della stessa fascia di età non cattolici o non appartenenti a gruppi di base. Il fenomeno più sconcertante, però, era costituito non tanto dall'uso di modi e costumi cittadini dallo scontato effetto secolarizzante, quanto piuttosto dalla imprevedibile sintesi tra elementi della cultura urbana e della religione cristiana. In altre parole, i giovani appartenenti a quei gruppi rappresentavano un problema per l'opinione pubblica locale, perché per essi alla cosiddetta modernizzazione non aveva fatto seguito la scelta per l'indifferenza religiosa. In agglomerati urbani, che non possiamo non chiamare villaggi per le loro dimensioni, si assisteva dunque al manifestarsi di forme religiose difficilmente definibili con termini diversi da quelli di urbane, cittadine o moderne. Esse si presentavano come la negazione dei culti locali di santi o di valori come quelli dell'obbedienza, della castità e dell'umiltà. Da un punto di vista positivo, i gruppi e i giovani in essi aggregati apparivano i portatori, entusiastici e coscienti, di nuovi riti, di nuove idee, prevalentemente tratte dai testi conciliari e, infine, di nuovi valori, tutti legati a una concezione dinamica dell'uomo e delle sue relazioni, nello stesso tempo individualistica e socializzante, caratterizzata essenzialmente dalla prospettiva della spontaneità e della realizzazione di se stessi, nel rifiuto di status e ruoli ascritti e con una decisa predilezione per l'azione elettiva rispetto a quella prescrittiva. Quest'ultimo insieme di dati appariva indubbiamente più significativo perché poteva costituire il legame maggiormente evidente tra questi gruppi e la cultura della modernizzazione o la cultura urbana tout court...
Che una qualche omogeneità possa esistere all'interno di una grande associazione nazionale, che dispone di grandi strumenti di unificazione come la stampa associativa, la formazione dei quadri, la presenza di una sola leadership nazionale, non è una novità, ma che gruppi non collegati ad associazioni nazionali, inseriti prevalentemente nell'ambito locale e parrocchiale, presentassero le medesime caratteristiche, non poteva che valutarsi, appunto, come sorprendente. Parimenti interessante era poi il fatto che tali omogeneità non si riferivano a tratti culturali esclusivamente religiosi, cioè che tali omogeneità non erano affatto ovvie. Ci si stava accorgendo, da parte dell'équipe di ricercatori, della possibilità di scoprire qualcosa di realmente nuovo. Non solo si poteva affermare, in conseguenza dell'osservazione preliminare fatta in maniera disordinata o sistematica, qua e là per tutto il Paese su pochi gruppi-test, che la cultura cattolica era in qualche modo mutata, ma che la stessa società italiana, se i fenomeni osservati occasionalmente avessero avuto un carattere più universale e sistemativo, stava sviluppando in se stessa, anche grazie alla presenza di questi gruppi o di gruppi analoghi, processi di trasformazione di grande ampiezza (p. 1315).
UN NUOVO RAPPORTO TRA MODERNITÀ E TRADIZIONE
L'analisi compiuta da Quaranta sottolinea attraverso una massa imponente di dati (sulla struttura dei gruppi di base, sulla tipologia dei gruppi, di analisi linguistica) l'omogeneità della subcultura sincretica emergente. Le sue fonti sono da ricercare anzitutto nella similarità dell'atteggiamento generale nei confronti della vita, fondata su una comune «esperienza» sociale e culturale, e inoltre dell'accesso selettivo a elementi culturali diffusi dai «mass media» di emittenza cattolica (tale da poter a buona ragione parlare di area comunicativa cattolica) e rielaborati e reinterpretati all'interno di ogni gruppo.
Il sincretismo ottenuto in ogni caso offre a posteriori la prova di una non incompatibilità tra modernizzazione e religione; o meglio nega l'equazione modernizzazione = secolarizzazione.
A ben vedere infatti, la modernizzazione o lo sviluppo tecnologico non colpiscono il sacro in quanto sacro, ma piuttosto eliminano il sacro in quanto parte integrante della cultura premoderna e nelle sue forme legate a tale cultura. Così, in Italia, la secolarizzazione riguarda o il cattolicesimo tradizionale o le forme religiose proprie della vita rurale, non incidendo invece sull'ampiezza e sulla profondità della domanda religiosa in se stessa, o meglio, avendo scarsa influenza su quella pressione della cultura che spinge la società umana a trovare nuove forme di produzione del sacro, quando quelle tradizionali non sono più in grado di rispondere alle esigenze del tempo (p. 26).
È opportuna allora una revisione o rielaborazione dei concetti di modernizzazione, secolarizzazione e religione, alla ricerca di una modello teorico che sappia vedere i legami tra tradizione (e tradizione religiosa) e la modernizzazione, dal momento che sembra ormai accertato che insieme al processo di modernizzazione non può non svilupparsi un insieme di nuove forme di vita religiosa.
Nel caso dei gruppi giovanili, accanto ad esperienze di tipo individualistico, soggettivistico, moderno, il riemergere di forme di vita religiosa.
La ricerca sembra mettere in evidenza questo dato: il più grande fenomeno di aggregazione giovanile esistente in Italia vanterà certamente, tra le cause che l'hanno prodotto, le dinamiche connesse con il modello tradizione-modernizzazione. L'intensificazione poi del fenomeno dei gruppi di base negli anni 1976-78 (in concomitanza con l'acutizzarsi della disoccupazione giovanile) ha fatto supporre che i gruppi stessi siano il luogo privilegiato dove i giovani tentano di ricostruire un proprio «mondo vitale», con valori, status, ruoli diversi da quelli proposti da altre istituzioni socializzanti come la scuola.
TRE MODELLI INTERPRETATIVI
Questi fenomeni possono essere ordinati e compresi alla luce del rapporto esistente tra modernizzazione e tradizione, attraverso alcuni modelli interpretativi.
Modello interpretativo della «reazione religiosa»
I gruppi di base vivono l'esperienza religiosa ai più alti livelli, cioè in prospettive di tipo totalizzante, ovvero la loro temperatura religiosa è bassa o media, mentre alta è quella delle loro visioni sociopolitiche del mondo?
Il modello è costruito sui concetti di prospettiva totalizzante, di anomia e di reazione religiosa: per eliminare l'anomia il giovane ricerca qualcosa di diverso da quello che offre il mercato degli status e dei ruoli di una società laicizzata, secolarizzata, ad alto sviluppo industriale: egli cerca cioè nuovi status e nuovi ruoli che, come tali, gli possono essere offerti esclusivamente nella dimensione totalizzante della religione e soprattutto del gruppo religioso (che offre già un primo elemento di trascendenza rispetto all'esperienza mondana). Tale modello può essere utilizzato come criterio per verificare se all'origine del movimento che ha dato luogo alla nascita dei gruppi ci sia quella reazione religiosa ormai tipica delle società in via di modernizzazione. Ora i dati della ricerca dimostrano la fondatezza della tesi secondo la quale una delle concause, forse la più importante, dell'aggregazione giovanile cattolica di base è quel revival di vita religiosa che caratterizza le società ad alto sviluppo industriale o in via di modernizzazione, ovvero dell'altra tesi secondo la quale attraverso i gruppi si sia realizzata una risposta soddisfacente, almeno in apparenza, della Chiesa Cattolica alla sfida della società moderna, ovvero ancora, dell'ipotesi secondo la quale in tali gruppi si tenterebbe di recuperare un'identità individuale in termini religiosi, usufruendo di tratti di cultura genuina, garantendo l'autotrascendimento dell'Io biologico attraverso il gruppo che, in tal modo, viene sacralizzato come unico dato sostanzialmente e incondizionatamente religioso (p. 278).
Modello interpretativo del processo di risocializzazione
Come fanno i gruppi a essere capaci di rispondere positivamente alla reazione religiosa di fronte ai processi di secolarizzazione o di fronte alle crisi prodotte dal senso di anomia, diffuso soprattutto tra le fasce più basse del mondo giovanile, che costituiscono la maggioranza del fenomeno dell'aggregazione cattolica di base? Sono in grado tali gruppi di rimettere in moto processi di socializzazione primaria, processi cioè capaci di alterare il vecchio campo di percezione, le vecchie gerarchie di valori e soprattutto le aspirazioni verso status e ruoli irraggiungibili? E se riescono a realizzare tali obiettivi, quali forme determinate di status e di ruoli e di sistemi di valori propongono nei loro processi di risocializzazione e di reinculturazione? Una risposta potrà essere data, nella ricerca, ordinando e interpretando i dati secondo il modello della risocializzazione, utilizzabile quindi per comprendere la natura dell'azione sociale svolta in prevalenza dai gruppi.
Ora, i dati mostrano che i giovani che aderiscono ai gruppi vengono in un certo senso ri-socializzati attraverso la gestione di masse di emotività tali da far mutare il loro precedente campo di percezione. La risocializzazione (di intensità simile a quella primaria» che si svolge in famiglia nei primi anni di vita) viene orientata, lo ricordiamo, specialmente attorno ai valori dell'amicizia e del realizzare se stessi. Su questa base, gli status e i ruoli introiettati dai giovani nei gruppi sono differenziati e mutevoli, in conformità con il modello moderno che predilige l'informalità dei rapporti e la fluidità delle prestazioni degli individui.
È da notare che, in questo modo i giovani assimilano sia valori moderni del lavo': ro, della sessualità, dei rapporti interpersonali quotidiani, sia valori del cattolicesimo, in un contesto che li fa percepire e convivere in un modo sorprendentemente non-conflittuale. Sembra che anche in questa maniera si sia realizzata la linea di pacificazione e mediazione, tipica del pontificato paolino, tra mondo moderno e cattolicesimo.
Che questa linea sia stata efficace per superare una possibile crisi del cattolicesimo sembra indubbio. Resta da riflettere, però, intorno a una serie di suoi effetti collaterali, come la progressiva scomparsa di molte significative istanze di rinnovamento e di radicalità evangelica, che, anche se forse involontariamente, sono stati prodotti.
Modello interpretativo del «sincretismo religioso»
Il terzo modello in base al quale i dati della ricerca possono essere analizzati, si riferisce al sistema con il quale i gruppi gestiscono le forme religiose che sono la chiave della loro interpretazione del mondo e della loro interpretazione dell'essere sociale del gruppo.
Tale modello è costituito dal processo mediante il quale vengono prima assorbite e poi espresse forme religiose diverse nello stesso tempo, senza percepire alcun disagio (come è nel caso del contrasto tra etica sessuale praticata e magistero ecclesiastico) e senza che questo incida sulla conflittualità dei rapporti tra gruppi di base e gerarchia.
L'analisi particolareggiata di due sistemi di indici (raggruppamenti di valori e blocchi semantici) mostra che i valori della Chiesa post-conciliare costituiscono il punto di riferimento formale, simbolico, rituale dei gruppi, una serie di involucro all'interno del quale la religione (extra-ecclesiale) della modernità (quella dell'amicizia, del realizzare se stessi, ecc.) svolge invece un ruolo dinamico, di orientamento anche pratico della vita dei gruppi stessi.
Così mentre la religione ecclesiale sembra avere la funzione di consentire una permanenza nel tempo, nonostante le trasformazioni culturali, di una identità cattolica dei gruppi di base, essendo il modo col quale i gruppi rappresentano soprattutto all'esterno il loro essere sociale, la religione della modernità incide profondamente sul campo di percezione, sul modo stesso di selezionare proposte e programmi, anche della religione gestita ecclesiasticamente, imponendo a essa ad esempio il primato dei rapporti orizzontali su quelli di tipo verticale.
L'effetto più macroscopico di questo processo di acculturazione è rappresentato dalla frammentazione del movimento cattolico in una costellazione di gruppi, ognuno dei quali, legato alla propria parrocchia, ha assunto un campo di percezione particolaristico. Di qui la nascita di una realtà complessa come quella dell'aggregazione di base, ancora unita o unitaria, ma in maniera invisibile, come se fosse un'associazione - perché di fatto i legami istituzionali esistono tra gruppo e gruppo su tutto il territorio nazionale - che non sapesse di essere tale, che ha assunto complessivamente nei confronti della gerarchia cattolica un atteggiamento di indifferenza (p. 329).
Nonostante il rischio che la religione della modernità, attuata nel sincretismo religioso dei gruppi di base, offra un notevole scarto rispetto all'universo di significato della fede cristiana e fino alla possibile cancellazione dell'identità cattolica dei giovani dei gruppi, tuttavia l'intero fenomeno offre rilevanti motivi di speranza. Esso infatti garantisce indubbiamente una continuità di presenza della Chiesa cattolica tra i giovani e un potenziale «serbatoio» per chi voglia andare avanti sulla strada del rinnovamento conciliare. Inoltre, i gruppi costituiscono un esperimento «riuscito» di modernizzazione. Infatti essi hanno dimostrato la possibilità effettiva di avviare processi di mutamento socio-culturale in funzione dello sviluppo in Italia, a patto di conservare nel nuovo contesto elementi della cultura tradizionale. Infine, proprio per la loro apertura a correnti culturali diverse, i gruppi possono costituire una vera e propria fonte di novità, che adesso non siamo in grado di prevedere completamente.