Schede giovani
Materiali di lavoro per gruppi giovanili
(Fonte: non identificata... da qualche sito diocesano)
1. “Ali come aquile” – Giovani che sono giovani davvero
Obiettivo
Mettere a fuoco in cosa consista realmente la giovinezza, in modo da vedere meglio cosa significhi ringiovanire la chiesa e come farlo.
Voci giovani
Non si tratta di voci giovani, ma della voce di un giornalista adulto – purtroppo prematuramente scomparso – che però esprime bene la novità di questa generazione di giovani.
Giovani del III millennio
Sono la prima generazione che ha passato il guado dai timorati di Dio agli innamorati di Dio. Vogliono scrivere la vita cristiana dentro un’assoluta normalità, tra piercing, orecchini e zatteroni, ombelichi al vento; non vogliono essere contro nessuno o migliori di qualcuno, ma cristiani tra di loro nei loro percorsi normali. Sanno passare dal rock al gregoriano in un baleno, dalla danza al silenzio immediatamente. Sono comportamenti di un innamorato che non ha bisogno di raccomandazioni per mettersi in sintonia, di contorcimenti su di sé per sentirsi all’altezza; sa che chi lo ama lo ama sempre più di quanto lui sa esprimere e allora cambia quel che è suo, è entusiasta di quel che incontra, si mette subito dall’altra parte.
La vita cristiana la vogliono scrivere a modo loro. Questo Dio se lo vogliono fare loro, conquistare dentro i sentimenti tenui della loro affettività, forti come l’amore se sanno andare oltre l’innamoramento. La vita di fede la vogliono scrivere dentro lo spazio dell’amicizia, nella rete dei loro piccoli rapporti, nell’intensa ricerca di incontri personali. Non sono tentati di far diventare la fede, o Gesù Cristo un mito, una fiaba, un’avventura… Forse possono essere tentati di crearselo come piace a loro. Noi adulti siamo preoccupati del riferimento all’oggettivo della vita credente. Gesù non lo possono inventare come vogliono loro, ma ci dicono anche che nemmeno noi lo abbiamo in tasca, né possiamo ingessarlo con le nostre manie intellettualistiche e ritualistiche.
Paolo Giuntella
Parola di Dio
Una nuova generazione porta già in se stessa una promessa di bene. Ma per essere giovani basta portare nel mondo qualcosa di nuovo, magari da contrapporre al vecchio? Temiamo di no. La giovinezza non è nemmeno, a quanto pare, uno status assicurato dall’età anagrafica. Provocatoriamente, diciamo che ci sono ultrasessantenni che conservano un dono di giovinezza meglio di molti adolescenti… Allora cosa ci vuole a un giovane per essere giovane fino in fondo?
Dal Libro del profeta Isaia (40, 6-10.28-31)
Una voce dice: «Grida»,
e io rispondo: «Che cosa dovrò gridare?».
Ogni uomo è come l'erba
e tutta la sua grazia è come un fiore del campo.
Secca l'erba, il fiore appassisce
quando soffia su di essi il vento del Signore.
Veramente il popolo è come l'erba.
Secca l'erba, appassisce il fiore,
ma la parola del nostro Dio dura per sempre.
Sali su un alto monte,
tu che rechi liete notizie in Sion;
alza la voce con forza,
tu che rechi liete notizie in Gerusalemme.
Alza la voce, non temere;
annunzia alle città di Giuda: «Ecco il vostro Dio!».
Non lo sai forse?
Non lo hai udito?
Dio eterno è il Signore,
creatore di tutta la terra.
Egli non si affatica né si stanca,
la sua intelligenza è inscrutabile.
Egli dà forza allo stanco
e moltiplica il vigore allo spossato.
Anche i giovani faticano e si stancano,
gli adulti inciampano e cadono;
ma quanti sperano nel Signore
riacquistano forza,
mettono ali come aquile,
corrono senza affannarsi,
camminano senza stancarsi».
Il profeta Isaia suggerisce l’idea che la giovinezza, prima che essere una condizione biologica, è un dono che riceve chi resta a contatto con la Parola di Dio, meglio ancora: chi se ne fa attraversare, per trasformarsi in una buona notizia per gli altri. La giovinezza è di Dio, perché la forza di rallegrarsi ad ogni nuovo giorno, di spendersi senza curarsi di sé, di rialzarsi sempre, è sua… di più ancora: è lui. È in lui la sorgente di ciò che sa rinnovare il mondo! Giovinezza umana, allora, è capacità di lasciarsi “prendere dall’alto”, di lasciarsi “sor-prendere”, di innalzarsi come aquile, al di là di se stessi, per partecipare del soffio di Dio, della forza perenne del bene.
Voce della Chiesa
Il Concilio Vaticano II è stato l’ultimo grande momento di rinnovamento della chiesa. A chi il Concilio rivolse le sue ultime parole, il 7 dicembre 1965? Ai giovani.
“È a voi, giovani e fanciulle del mondo intero, che il Concilio vuole rivolgere il suo ultimo messaggio. Perché siete voi che raccoglierete la fiaccola dalle mani dei vostri padri e vivrete nel mondo nel momento delle più gigantesche trasformazioni della sua storia. Siete voi che, raccogliendo il meglio dell'esempio e dell'insegnamento dei vostri genitori e dei vostri maestri, formerete la società di domani: voi vi salverete o perirete con essa.
La Chiesa, durante quattro anni, ha lavorato per ringiovanire il proprio volto, per meglio corrispondere al disegno del proprio Fondatore, il grande Vivente, il Cristo eternamente giovane. E al termine di questa imponente «revisione di vita»; essa si volge a voi: è per voi giovani, per voi soprattutto, che essa con il suo Concilio ha acceso una luce, quella che rischiara l'avvenire, il vostro avvenire. (…).
La Chiesa vi guarda con fiducia e con amore. Ricca di un lungo passato sempre in essa vivente, e camminando verso la perfezione umana nel tempo e verso i destini ultimi della storia e della vita, essa è la vera giovinezza del mondo. Essa possiede ciò che fa la forza o la bellezza dei giovani: la capacità di rallegrarsi per ciò che comincia, di darsi senza ritorno, di rinnovarsi e di ripartire per nuove conquiste. Guardatela, e voi ritroverete in essa il volto di Cristo, il vero eroe, umile e saggio, il profeta della verità e dell'amore, il compagno e l'amico dei giovani. Ed è appunto in nome di Cristo che noi vi salutiamo, che noi vi esortiamo, che noi vi benediciamo”.
Viene da dire: ci vuole un bel coraggio, a dire che la Chiesa è la vera giovinezza del mondo! Eppure anche oggi, a quasi mezzo secolo dal Concilio e a venti secoli dalla sua fondazione, la chiesa potrebbe ripetere le stesse parole; non è questione di non voler vedere le proprie profonde rughe, ma di non riuscire a cancellare la presenza di Cristo risorto in lei: chi accetta di stare con fede nella strana compagnia della chiesa continua a fare esperienza di Gesù, nascosto proprio dentro le sue rughe, come un meraviglioso farmaco di eterna giovinezza: “Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo” (Mt 28,20).
Papa Giovanni Paolo II aggiunge un secondo importante tassello alla nostra ricerca. Nella lettera indirizzata a tutti i giovani del mondo nel 1985, quando istituì le Giornate Mondiali della Gioventù, egli scrisse:
“La Chiesa guarda i giovani; anzi, la Chiesa in modo speciale guarda se stessa nei giovani, in voi tutti ed insieme in ciascuna e in ciascuno di voi. Così è stato sin dall'inizio, dai tempi apostolici. Le parole di san Giovanni nella sua Prima Lettera possono essere una particolare testimonianza: «Scrivo a voi, giovani, perché avete vinto il maligno. Ho scritto a voi, figlioli, perché avete conosciuto il Padre... Ho scritto a voi, giovani, perché siete forti, e la parola di Dio dimora in voi» (1Gv 2,13s).
Le parole dell'apostolo (…) risuonano con un'eco potente di generazione in generazione.
Nella nostra generazione, al termine del secondo Millennio dopo Cristo, anche la Chiesa guarda se stessa nei giovani. E come la Chiesa guarda se stessa? Ne sia una particolare testimonianza l'insegnamento del Concilio Vaticano II. La Chiesa vede se stessa come «un sacramento, o segno e strumento dell'intima unione con Dio e dell'unità di tutto il genere umano» (Lumen Gentium, 1). E dunque vede se stessa in relazione a tutta la grande famiglia umana costantemente in crescita. Vede se stessa nelle dimensioni universali. Vede se stessa sulle vie dell'ecumenismo, cioè dell'unità di tutti i cristiani, per la quale Cristo stesso ha pregato e che è di indiscutibile urgenza nel nostro tempo. Vede se stessa anche nel dialogo con i seguaci delle religioni non cristiane e con tutti gli uomini di buona volontà. Un tale dialogo è un dialogo di salvezza il quale deve servire anche alla pace nel mondo e alla giustizia tra gli uomini.
Voi, giovani, siete la speranza della Chiesa che proprio in questo modo vede se stessa e la sua missione nel mondo. Essa vi parla di questa missione” (n. 15).
Dunque: la chiesa invita i giovani a guardarsi in lei, la chiesa invita se stessa a guardarsi nei giovani. Il motivo è sempre lo stesso: Cristo, presente nella chiesa, presente nei giovani. In particolare, la chiesa riconosce la presenza di Cristo nella capacità che hanno i giovani di andare incontro agli altri, di costruire ponti, di portare speranza (il dialogo, la missione).
Echi
Torniamo al nostro obiettivo: in cosa consiste la vera giovinezza? A costo di semplificare troppo, ci viene da concludere: il segreto della vera giovinezza è nel mettere insieme il volto di Gesù che è nascosto nella chiesa (in particolare nella Parola e nella viva tradizione che la custodisce) e il volto di Gesù che è nascosto nei giovani (in particolare nella loro capacità di innamorarsi di Dio e di andare incontro agli altri). Sembra proprio che, per mettere insieme il volto eternamente giovane di Gesù – che né solo i giovani né solo la chiesa hanno in tasca… –, i giovani e la chiesa debbano incontrarsi. E smettere di parlare di chiesa-e-giovani…
“Da giovane le mie ali erano forti e instancabili,
ma non conoscevo le montagne.
Da vecchio conoscevo le montagne
ma le mie ali stanche non potevano tener dietro alla visione.
Il genio è saggezza e gioventù”.
E.L. Masters, Antologia di Spoon River
Guardiamo avanti
Perché le comunità cristiane possano ringiovanire, sembra particolarmente importante prendere questo orientamento:
- Non considerare la pastorale giovanile un incarico di alcuni
Il soggetto della pastorale giovanile è la comunità cristiana nel suo insieme. La pastorale giovanile “è l’attenzione e la cura appassionata della comunità cristiana tutta per le nuove generazioni, perché possano incontrare e accogliere nella propria vita il Signore Gesù”. È necessario allora che la comunità maturi uno sguardo di simpatia nei confronti del mondo giovanile. Quand’anche i giovani presenti in comunità fossero al momento pochissimi, una comunità dovrebbe protendersi, per amore dei giovani, verso un coraggioso rinnovamento di se stessa, non solo nell’immagine ma anche nello stile e negli atteggiamenti, perché non esprimere l’eterna giovinezza dello Spirito sarebbe comunque tradire la propria chiamata.
Sei d’accordo con questo orientamento? Lo esprimeresti diversamente? Ne suggerisci altri?
Operativamente
ci sono segnali molto concreti che fanno capire se una parrocchia vive realmente l’apertura ai giovani: lo stile con cui si celebra l’Eucarestia della domenica e si offre il commento alla Parola di Dio; la presenza e l’ascolto dei giovani nel Consiglio pastorale e in altri gruppi di progettazione/coordinamento; l’atteggiamento con cui i ragazzi e i giovani vengono accolti in canonica, nell’oratorio, negli ambienti parrocchiali; la disponibilità ad investire risorse anche economiche per la formazione degli animatori o per disporre di ambienti davvero accoglienti; la cura delle relazioni e del clima che si respira venendo in parrocchia…
Quali sono, secondo te, le scelte operative più efficaci perché tutta una parrocchia – e non solo alcune persone già sensibili – maturino più simpatia e attenzione verso i giovani? E perché ciò avvenga per tutta la diocesi – e non solo per gli “addetti ai lavori” della pastorale giovanile – ?
Conosci esperienze positive grazie alle quali dei giovani hanno scoperto ed apprezzato di più il patrimonio di fede e di testimonianza della chiesa? Descrivile.
Preghiera
Saper cambiare
Ma chi ha detto
che è segno di personalità
non cedere di un palmo
e continuare a tirare dritto
per la propria strada?
Se un altro ha visto meglio di noi,
non è più saggio tenerne conto?
Ma chi ha detto
che una vita è riuscita
solo perché non ha mai cambiato rotta
anche quando avrebbe potuto
raggiungere prima le sue mete
ed evitare percorsi accidentati?
C’è una bella differenza tra
restare fedeli a Dio e ai fratelli
e restare arroccati
nei propri piccoli progetti.
Spirito di sapienza,
porta nella mia vita
la novità di Dio.
Non permettere che io rimanga
affezionato alle mie comodità,
immerso nei ritmi abituali,
rinchiuso nei miei progetti di sempre.
Fa’ che almeno tenti di scrivere
la mia pagina nella storia del regno
senza ricorrere sempre
alle fotocopie di disegni altrui.
Dammi coraggio
e allora sarò veramente nuovo,
mi butterò alle spalle
tante cose vecchie e ingombranti
e camminerò dietro a Gesù
senza alcuna paura.
PER COMINCIARE GIÀ A CAMBIARE
Confrontiamoci con chi ha saputo ringiovanire con la chiesa:
es. Francesco di Assisi (v. il film “Francesco” di Liliana Cavani; il libro “Io, Francesco” di Carlo Carretto – ed. Cittadella)
es. Caterina da Siena (v. il libretto “Caterina, un cuore di fuoco per l’Europa” di Elena Ascoli – ed. Messaggero)
Facciamo un approfondimento sulla giovinezza: cerchiamo tra le canzoni esistenti quelle che meglio esprimono la vera giovinezza, quelle che esprimono una falsa giovinezza…
N.B. il libro: “Prestami orecchio – L’uso della canzone nel dialogo tra le generazioni” – ed. La Meridiana
Scriviamo noi una canzone che esprima davvero chi siamo:
Concorso “Una canzone giovane” (FestaGiovani 2010 – vedi file allegati sul sito www.5pani2pesci.it )
2. “Saranno profeti” – Giovani che sanno criticare
Obiettivo
Mettere a fuoco quale sia il compito specifico dei giovani nella comunità cristiana.
Voci giovani
Una parola-chiave per descrivere il compito dei giovani nella chiesa, in questa scheda, è “profezia”. Le due voci che seguono introducono il nostro approfondimento: a loro modo, potrebbero essere colte come due esercizi di profezia.
Mi chiamo Martina, ho 25 anni e ogni volta che mi chiedono se sono cattolica mi trovo in una situazione imbarazzante. Ho ricevuto i sacramenti ma non posso davvero dire di essere cattolica. Sono solo stata educata alla morale cattolica. Come molti altri giovani della mia età, mi sono allontanata dalla Chiesa, che dovrebbe chiedersi perché a così tanti giovani accade questo. Innanzitutto l'istituzione cattolica dovrebbe mettersi a servizio della comunità, non curandosi del suo potere temporale; e poi io credo che dovrebbe formare i suoi credenti in modo serio e non proporre soltanto idee preconfezionate. Vorrei che la formazione cristiana fosse dedicata all'analisi approfondita, alla lettura, alla comprensione e discussione dei testi biblici (e di altri testi sacri!). Vorrei che la Chiesa non mi dicesse già in partenza ciò che è giusto o sbagliato, il bene e il male, ma che mi insegnasse a chiedermi ogni volta e continuamente il significato di questi concetti. I credenti cattolici non leggono la Bibbia, non sanno la storia della loro religione. Perché invece la Chiesa non mi insegna a diventare protagonista della parola di Dio? Alla fine rispondo: "Sì, sono cattolica non praticante".
Martina, 25 anni
Non credo che si possa dire che la Chiesa abbia in sé un certo potere, se non la possibilità di ciascun uomo di operare per il bene, e questo in comunione. Non credo nemmeno che essa possa vantare una qualche autorità, se non quella dell'umile che si dispone all'ascolto del Vangelo, da realizzare pienamente nelle azioni e nelle scelte. Oggi cosa chiederei alla Chiesa? Di guardarsi un po' meno allo specchio, di non temere lo sguardo degli ultimi, ma anzi di riconoscersi riflessa negli occhi di quel poveretto sulla strada, rapito e picchiato dai briganti, per chinarsi come quel buon extracomunitario della parabola, ad asciugare le ferite di un bisognoso. Le chiederei di impegnarsi per conservare la propria identità attiva, e di non affannarsi troppo per definire e affermare un suo primato culturale, o peggio, ideologico. Perché, superbi, ci diciamo tutti cristiani, se non lo siamo? Forse solo credendo con un animo povero è possibile indurre la speranza del Vangelo in noi e negli uomini nostri fratelli, forse solo accostandosi a Gesù come piccoli amici in cammino avremo l'occasione di riconoscerlo.
Marco, 20 anni
Parola di Dio
È il giorno di Pentecoste. La folla di persone provenienti dai più diversi angoli della terra sta reagendo, stupita, al fatto prodigioso di sentire gli apostoli parlare nella lingua di ciascuno. È il giorno di nascita della chiesa, l’inizio del compimento di quel sogno di Dio che vuole radunare tutti gli uomini in una sola famiglia. Non per omologare tutti in una “teocrazia”, ma perché la libertà di essere figli regni in tutti i cuori. Lo spirito di Gesù risorto, la liberazione del cuore, soffia in ogni uomo che accoglie la sua Parola…
Dagli Atti degli Apostoli (2, 12-18)
Se ne stavano lì pieni di meraviglia e non sapevano che cosa pensare. Dicevano gli uni agli altri: «Che significato avrà tutto questo?». Altri invece ridevano e dicevano: «Sono completamente ubriachi».
Allora Pietro si alzò insieme con gli altri undici apostoli. A voce alta parlò così: «Uomini di Giudea e voi tutti che vi trovate a Gerusalemme: ascoltate attentamente le mie parole e saprete che cosa sta accadendo. Questi uomini non sono affatto ubriachi, come voi pensate, - tra l'altro è presto: sono solo le nove del mattino. - Si realizza invece quello che Dio aveva annunziato per mezzo del profeta Gioele.
Ecco - dice Dio - ciò che accadrà negli ultimi giorni: manderò il mio Spirito su tutti gli uomini: i vostri figli e le vostre figlie saranno profeti, i vostri giovani avranno visioni, i vostri anziani avranno sogni. Su tutti quelli che mi servono, uomini e donne, in quei giorni io manderò il mio Spirito ed essi parleranno come profeti.
Voce della Chiesa
Lasciamo che a commentare questo testo sia il cardinale Martini. Egli lo cita, infatti, rispondendo a una domanda importante: “Che differenze esistono tra le generazioni? Qual è il contributo peculiare dei giovani?”.
“Esistono senza dubbio diverse situazioni ed età della vita, come le descrive la moderna psicologia dell'età evolutiva. Anche la Bibbia dispone di questa conoscenza nel Nuovo Testamento e, prima ancora, nell'Antico Testamento. Nella predica di Pentecoste, Pietro riprende infatti le parole del profeta Gioele del IV secolo a.C. e racconta l'opera dello Spirito Santo in tre fasi della vita, ognuna differente: «I vostri figli e le vostre figlie profeteranno, i vostri giovani avranno visioni e i vostri anziani faranno sogni».
I «figli e le figlie» saranno profeti significa che essi devono essere critici. La generazione più giovane verrebbe meno al suo dovere se con la sua spigliatezza e con il suo idealismo indomito non sfidasse e criticasse i governanti, i responsabili e gli insegnanti. In tal modo fa progredire noi e soprattutto la Chiesa.
Il profeta dice poi che la generazione di mezzo, vale a dire coloro che sono responsabili, avrà delle visioni. Un vescovo, un parroco, un padre, una madre, un imprenditore: essi dovrebbero avere degli obiettivi per una comunità, una famiglia, un'azienda. I responsabili devono sapere cosa fare e quali compiti accettare.
È bello che il profeta assegni un compito anche agli anziani. Non ci si può aspettare che siano innanzitutto critici e profetici. Non si deve pretendere dagli anziani che portino pesi, elaborino progetti e li realizzino come la forte generazione di mezzo. Hanno meritato di affidare ad altri gli affari e il comando e di dedicarsi a qualcosa di nuovo: il sognare. Così dice il profeta, e Pietro riprende questa idea quando descrive l'opera dello Spirito Santo e l'augura alla Chiesa in ogni tempo.
Oggi questo rapporto reciproco potrebbe rendere interessante il dialogo tra le generazioni, perché mostra il contributo che ognuna può portare, diverso ma di uguale valore.
Il contributo «dei figli e delle figlie» è fondamentale. Essi sono ancora interessati oggi a criticare noi, la Chiesa, i governanti, oppure si ritirano in silenzio? Dove esistono ancora conflitti arde la fiamma, lo Spirito Santo è all'opera. Nella ricerca di collaboratori e vocazioni religiose dovremmo forse prestare attenzione innanzitutto a coloro che sono scomodi e domandarci se proprio questi critici non abbiano in sé la stoffa per diventare un giorno responsabili e alla fine sognatori. Responsabili che guidino la Chiesa e la società in un futuro più giusto e «sognatori» che ci mantengano aperti alle sorprese dello Spirito Santo, infondendo coraggio e inducendoci a credere nella pace là dove i fronti si sono irrigiditi”.
Al card. Martini è stato chiesto anche: “Spesso la Chiesa come istituzione appare molto debole. Di chi è la colpa?”.
“Alcuni ritengono che gli anziani uomini della Chiesa non avrebbero nulla da dire al nostro tempo. D'altra parte anche i giovani non dicono nulla, non partecipano. Che siano i giovani a non dire nulla, oppure i vecchi a non ascoltare, è vano chiedere di chi sia la colpa. Occorre che la comunicazione tra le generazioni migliori, perché esse hanno molto da dirsi. Non è necessario che siano d'accordo, ma che si stimolino a vicenda, aiutandosi ad avanzare nel cammino verso Dio. Il dialogo serve proprio a questo.
Il più grande male della Chiesa nel mondo del benessere, in Occidente, è senz'altro l'indebolimento di tale comunicazione. Il dialogo è importante, a mio avviso anche la polemica tra giovane e vecchio, fra tradizione e modernità. Se questo dialogo riacquistasse dinamismo, ne sarei felice. Nell'amore potremmo aiutarci è vicenda ed essere più capaci di amare. Sentiremmo di essere così sicuri in Dio, da avere il coraggio di affrontare ogni questione, ogni compito e anche ogni conflitto”.
La domanda “a monte” di questo dialogo con Martini sul rapporto chiesa-giovani è questa: “come potrebbe la Chiesa aprire le porte alla gioventù?”.
“Possiamo aprirci ai giovani soltanto prendendo spunto proprio da loro. Di cosa si interessano? Dove vivono? Come vivono le loro relazioni? Cosa criticano e quale impegno pretendono da noi? Qui emergono molte domande di cui i collaboratori ecclesiastici possono farsi partecipi. All'inizio i giovani saranno al centro dell'attenzione, solo in un secondo momento potranno arrivare gli adulti e le strutture della Chiesa, offrendo appoggio e correzione.
Certamente il metodo giusto non è predicare alla gioventù come deve vivere per poi giudicarla con l'intenzione di cercare di conquistare coloro che rispettano le nostre regole e le nostre idee. La comunicazione deve cominciare in assoluta libertà, in caso contrario non è comunicazione. E, soprattutto, in questo modo non si conquista nessuno, caso mai lo si opprime. L'essere umano che incontro è fin dal principio un collaboratore e un soggetto. Dialogando insieme giungiamo a nuove idee e a nuovi passi condivisi.
La questione che più tocca la sensibilità dei giovani è se li prendiamo sul serio come collaboratori a pieno titolo o se vogliamo farli ravvedere come se fossero stupidi o in errore.
Crediamo che tutti gli esseri umani siano creature di Dio e abbiano uguale dignità. Questo è il presupposto fondamentale di ogni comunicazione cui prendiamo parte”.
da: “Conversazioni notturne a Gerusalemme”, ed. Mondadori
Echi
I giovani devono essere critici, anche a costo di creare conflitti… Allo stesso tempo, la comunicazione chiede loro di sentirsi parte di ciò che criticano, di riconoscere che i giovani, gli adulti e gli anziani (i “critici”, i “responsabili” e i “sognatori”) o sono insieme o non sono niente. Senza generazioni che comunicano, il mondo si ferma, e la comunità cristiana soffoca lo Spirito di profezia che la abita, Spirito che le è dato per mostrare che essere giovani, adulti o anziani ha senso, e tendere gli uni verso gli altri è anticipo della gioia perfetta che Dio ha nascosto nei cuori dei padri e dei figli.
Io, giovane giustamente critico, sono capace di dire: “Io sono la Chiesa”?
Anch’io sono responsabile dei “responsabili”, e senza di me i “sognatori” restano solo dei vecchi…
Guardiamo avanti
Alla luce di quanto ascoltato, per rinnovare la chiesa sembrano importanti due orientamenti:
- Aprire spazi e momenti di dialogo
È vitale utilizzare o creare tutte le opportunità possibili per provocare il dialogo tra le generazioni: un dialogo instancabile, che non si spaventa nemmeno dei conflitti, perché li considera senz’altro più fecondi del silenzio, della distanza diffidente, dei giudizi generalizzanti, della sterile lamentazione “tra pari”.
Questo dialogo non potrà non considerare anche tanti giovani che, per provenienza geografica, culturale, religiosa o per scelte di vita sono ancora visti come “estranei” dal punto di vista pastorale.
- Ripartire dall’ascolto dei soggetti
Il dialogo maturo chiede agli adulti, come primo esercizio, quello di ascoltare senza pregiudizi, con pazienza, preoccupandosi di valorizzare gli aspetti inediti e positivi dei giovani, accettando le loro critiche come parole che contengono un germe di profezia, un po’ come dei ricci che contengono castagne saporite… L’ascolto consente di ripensare la proposta educativa a partire dai giovani stessi, rendendola finalmente efficace.
Sei d’accordo con questi due orientamenti? Li esprimeresti diversamente? Ne suggerisci altri?
Operativamente
- si potrebbe evitare che i momenti pastorali che coinvolgono i giovani siano sempre troppo “a sé stanti”: messa “dei” giovani, film per i giovani, camposcuola per giovani… Mescolare di più le generazioni!
- Ideare e programmare momenti non saltuari di confronto aperto e di discussione tra giovani, adulti e anziani, se necessario anche in ambienti “neutri”, non parrocchiali, coinvolgendo le diverse voci del territorio;
- animatori giovani e adulti sappiano uscire dai luoghi della parrocchia e incontrare i giovani là dove essi si trovano.
Hai altre disposizioni pratiche da suggerire, per promuovere il dialogo tra generazioni? Quali ti sembrano potenzialmente più efficaci? Quali sono le difficoltà concrete da superare?
Preghiera
Signore, incomincia da me
Signore, tu hai chiesto di confessarti davanti agli uomini,
anche se oppongono indifferenza o rifiuto.
Incomincia da me!
Signore, tu ti attendi che le parole del Vangelo
siano rese credibili dai fatti.
Incomincia da me!
Signore, tu ti aspetti di non essere solo accanto al povero,
al forestiero, all'infermo, all'anziano.
Incomincia da me!
Signore, tu chiedi a tutti
di vincere il male con il bene.
Incomincia da me!
Signore, tu ci hai detto di amare i nostri nemici
e di rispondere alle offese con il perdono.
Incomincia da me!
Signore, tu sei contrario ad ogni forma di ipocrisia
e ci chiedi trasparenza e sincerità.
Incomincia da me!
Signore, tu ti opponi a guerre, violenze, divisioni,
e vuoi che ti seguiamo su questa strada.
Incomincia da me!
Signore, tu ami ogni uomo e la sua vita
e comandi di rispettare la sua dignità e i suoi diritti.
Incomincia da me!
Signore, tu sei venuto per servire e non essere servito,
e per renderci capaci di seguire il tuo esempio.
Incomincia da me!
Signore, tu hai aperto le braccia ai bambini,
perché anche noi li amiamo e accogliamo nel tuo nome.
Incomincia da me!
Signore, tu credi che omertà, corruzione, speculazione, usura
siano vincibili con la denuncia.
Incomincia da me!
Signore, tu sai che non c'è un'umanità nuova
se prima non ci sono uomini nuovi.
Incomincia da me!
PER COMINCIARE GIÀ A CAMBIARE
Confrontiamoci con alcuni stili “profetici”:
es. Don Lorenzo Milani (v. “Lettera a una professoressa”, il film “Don Milani – Il priore di Barbiana” di Lorenzo Frazzi – Italia 1997)
Approfondiamo l’attenzione al dialogo giocando a “Le parole che valgono” (v. file allegati sul sito www.5pani2pesci.it )
Esercitiamoci nella critica profetica
Concorso “Castagne&Ricci” (FestaGiovani 2010 – vedi file allegati sul sito www.5pani2pesci.it)
3. «Guardaci!» – Giovani che sanno guardare verso la chiesa
Obiettivo
Mettere a fuoco come i giovani possano riscoprire la stima verso la comunità cristiana.
Voci giovani
Un giovane racconta la scoperta, inattesa, della chiesa come volto concreto di Gesù, mano concreta della sua fiducia che rialza.
“Collasso cardiaco, salvo per un pelo”. C'ero ancora...
Tutto finito? Tutto a posto? Tutto come prima, una volta uscito dall'ospedale?
No.
Perché se fisicamente ero salvo, dentro di me qualcosa era morto.
Cominciò il periodo più duro della mia vita: io che fino ad allora credevo di sapere, io che ero pieno di certezze cominciai a vacillare.
Avevo visto la morte in faccia, l’avevo sentita sopra di me... cominciò la paura.
Non so in che modo, ma iniziai a guardarmi indietro e vidi solo errori, tanti errori.
Dovevo ricominciare tutto da capo.
Ma per fare questo ci voleva una forza che non sospettavo, una forza che forse non avevo. Per la prima volta in 19 anni andai in cerca di aiuto.
Una domenica mattina mi trovai in una chiesa poco distante da casa mia, a messa.
Ascoltavo e guardavo quell'uomo appeso alla croce... mi sentivo un estraneo mentre tutti recitavano le preghiere, io che a mala pena sapevo il Padre Nostro!
Ma, al contempo, provavo una sensazione di pace interiore, mi sentivo protetto e rassicurato.
Tornai anche la domenica successiva e poi ancora quella dopo e così via...
Nel frattempo avevo lasciato tutti i miei amici: niente più serate sprecate al bar, a fare gli stupidi, basta con le giornate buttate via in cerca del divertimento a tutti i costi.
Poi quella telefonata: "Sappiamo che suoni la chitarra, verresti a suonare nel gruppo della parrocchia? Sai, cerchiamo gente...".
Conobbi così la mia chiesa, quella che non avevo mai frequentato se non per poter ricevere comunione e cresima... imparai ad ascoltare il Vangelo... e a viverlo!
Francesco
Parola di Dio
La comunità dei discepoli di Gesù è appena agli inizi (tanto che gli apostoli frequentano ancora il tempio e il culto giudaico), il dono dello Spirito santo è avvenuto da pochi giorni. Pietro e Giovanni incontrano un uomo storpio, come tanti di quelli incontrati da Gesù. Non si dice se quest’uomo fosse giovane, ma ci piace pensarlo…
Dagli Atti degli Apostoli (3, 1-10)
Un giorno Pietro e Giovanni salivano al tempio. Erano le tre del pomeriggio, l'ora della preghiera. Presso la porta del tempio che si chiamava la "Porta Bella" vi era un uomo, storpio fin dalla nascita. Lo portavano là ogni giorno, ed egli chiedeva l'elemosina a tutti quelli che entravano nel tempio.
Appena vide Pietro e Giovanni che stavano per entrare, domandò loro l'elemosina. Ma Pietro, insieme a Giovanni, lo fissò negli occhi e disse: «Guardaci!».
Quell'uomo li guardò, sperando di ricevere da loro qualcosa.
Pietro invece gli disse: «Soldi non ne ho, ma quello che ho te lo do volentieri: nel nome di Gesù Cristo, il Nazareno, alzati e cammina». Poi lo prese per la mano destra e lo aiutò ad alzarsi. In quell'istante le gambe e le caviglie del malato diventarono robuste.
Con un salto si mise in piedi e cominciò a camminare. Poi entrò nel tempio con gli apostoli: camminava, anzi saltava per la gioia e lodava Dio.
Vedendolo camminare e lodare Dio, tutta la gente lo riconobbe: era proprio lui, quello che stava alla "Porta Bella" del tempio. Così rimasero tutti pieni di stupore e di meraviglia per quello che gli era accaduto.
Pietro e Giovanni sono due persone molto diverse tra loro, ma hanno fatto entrambe esperienza dell’amicizia di Gesù. Hanno imparato molto dai loro stessi errori, hanno imparato ad accettare le loro debolezze e miserie e a considerarle come la loro vera fortuna, perché nel proprio limite hanno potuto conoscere l’amore di Dio in una misura insperata. Dove hanno conosciuto questo amore? Nello sguardo di Gesù: mentre gridava loro “beati i poveri!”, mentre metteva il pane nelle loro mani vuote, mentre guardava l’uno umilmente anche se lo aveva appena rinnegato, l’altro dolcemente anche se stava sotto la sua croce senza riuscire ad alzare gli occhi…In quel Dio sconfitto-amico risuscitato i due hanno incontrato la forza e la bellezza della libertà difficile.
La forza che ricrea le gambe di quell’uomo storpio dalla nascita viene da Gesù morto e risorto, ma passa attraverso lo sguardo di Pietro e Giovanni, reso trasparente da una povertà diventata beatitudine; passa attraverso la mano di Pietro, resa potente da una debolezza diventata amore. Per questo ci piace pensare allo storpio come a un giovane: non per un'idea un po' pietistica dei giovani (poverini… senza risorse e messi ai margini della società…), ma perché i giovani più belli e più contagiosi di speranza sono quelli che hanno saputo riconoscersi bisognosi, hanno avuto il coraggio di tendere la mano e di guardare con fiducia a chi non aveva risorse appariscenti né soluzioni facili… ma poteva donare lo Spirito di Gesù.
Voce della Chiesa
A quanto pare, se si vuole scoprire il volto di Gesù vivo che è nascosto nella chiesa, bisogna fare un passo nell’umiltà. Bisogna cioè mettersi almeno un po’ in discussione, vincendo certe diffidenze e certi pregiudizi (o, almeno, impedendo che paralizzino ogni movimento). Ma soprattutto bisogna vedere dove ci si trova realmente, dire a se stessi: che cosa sto cercando davvero?
Intervistato ancora sul rapporto giovani-chiesa, il card. Martini individua quattro “tipi” di giovani: in quale gruppo ti riconosci?
“Spesso ci si lamenta che i giovani sarebbero interessati solo a divertimenti e svaghi, o che si impegnerebbero, certo, ma al di fuori della Chiesa e solo a breve termine. Come commenterebbe un'analisi simile?”.
“So che queste tendenze sono sempre esistite, in tutte le generazioni. La mia esperienza dei giovani è ben più positiva. Tra loro dobbiamo distinguere diversi gruppi.
1. Innanzitutto quelli che non nutrono particolare interesse per valori spirituali, religione o problemi sociali. Si limitano a vivere alla giornata, si divertono, mirano al consumo, al successo e allo svago. È difficile che la Chiesa entri in contatto con loro se non in modo superficiale, in occasioni come sposalizi o funerali.
La situazione cambia quando questi giovani si trovano in difficoltà, per esempio diventano tossicomani o deviano nella criminalità. Talvolta sentono di non essere sulla strada giusta, di avere bisogno di qualcosa d'altro, di avere necessità degli altri. Così a volte si può aprire una porta e la Chiesa è in grado di aiutare sotto il profilo umano, sociale e terapeutico.
In generale, si potrebbe dire che la fede deve pervadere l'intera persona, ossia testa, cuore, mani e piedi. È ovvio che ciò che più conta avviene nella testa e nel cuore, ma per molti giovani oggi è più semplice iniziare con le mani e i piedi. Specie per quelli che hanno pochi contatti con la Chiesa o con una parrocchia. La strada giusta è il coraggioso impegno a favore delle sorelle e dei fratelli, la dedizione al prossimo. Queste persone sono in cammino verso l'amore di Dio. La Chiesa è a disposizione di tutti, non deve operare alcuna distinzione sociale all'interno e all'esterno della sua istituzione.
Così potrebbe avere inizio un'evoluzione che aiuti i giovani a proseguire: fino alla fede, alla fiducia, alla gratitudine. Forse anche fino a entrare nella Chiesa e avvicinarsi a Gesù, ma questo non dobbiamo darlo per scontato. Il nostro aiuto non deve avere secondi fini.
2. Un secondo gruppo è costituito da coloro che vengono da noi perché sperano di trovare in noi qualcosa che non trovano altrove. Vengono perché hanno bisogno di una comunità e vorrebbero conoscere altri giovani. Non vogliono essere soli, ma sono meno interessati a interrogarsi sulla preghiera o su Dio. In ogni modo, si avvicinano a noi.
3. Il terzo gruppo è composto da molti giovani che difendono dei valori, sono interessati a questioni spirituali o sociali, ma mantengono le distanze dalla Chiesa. Magari hanno gli stessi obiettivi (giustizia, spirito umanitario, solidarietà), ma li promuovono lontano dalla Chiesa. Spesso sono di idee politiche di sinistra. Come noi, anch'essi operano per la salvezza del mondo e ciò che Dio vuole per il mondo. Naturalmente saremmo lieti di appoggiarli e di cercarne la collaborazione. Insieme potremmo fare molto di più e salvare più persone. Anche questi giovani sono spesso soli, hanno bisogno di un contesto, di un accompagnamento, di una comunità. Occorrerebbe mostrare loro fonti di forza, riposo, direttive, sorgenti di energia che nell'incertezza e nel dubbio, nella confusione e nello sconforto, li aiutino a trovare vie di uscita.
4. Il quarto gruppo è quello dei giovani che vengono da noi chiedendo: come posso diventare un buon cristiano? Come posso imparare a pregare, come posso leggere le Sacre Scritture? Domandano di Dio e anche della loro missione nel mondo. A volte, tuttavia, hanno grandi difficoltà ad aprirsi a Dio. Pregare riesce loro difficile, non sanno decidersi a impegnarsi. Cercano una strada per adempiere la volontà di Dio, ma sono insicuri. Magari si dedicano a opere buone, ma non osano prendere la decisione della loro vita. Occorre aiutarli a superare lo sconforto e l'incertezza e a prendere una decisione, anche a costo di fallire.
I giovani sono in cammino e questo è l'importante”.
da: “Conversazioni notturne a Gerusalemme”, ed. Mondadori
Echi
La conclusione della risposta di Martini è interessante: "i giovani sono in cammino, e questo è l'importante". L’altra cosa interessante è questa visione positiva della debolezza che emerge dalla testimonianza dei discepoli di Gesù: essere dei poveri diavoli non è un problema, se si affida la propria povertà all’amore di Dio. Dunque posso non aver paura della mia umanità, e posso anche non scandalizzarmi se la chiesa mi mostra un volto esteriore così poco attraente. Neanche un corpo martoriato e appeso a una croce, del resto, lo è, eppure abbiamo la gioia di mostrarlo su molte pareti… La chiesa non è dunque l’assemblea dei perfetti, ma una compagnia di peccatori perdonati, sempre in cammino. Essere cristiani non è “fare sempre il bene per poter essere amati da Dio”, ma “lasciarsi sempre amare da Dio per poter fare il bene”.
Certo, questa qualità evangelica a volte si fatica a trovarla, tra coloro che si dicono credenti: è offuscata dall’attivismo, dall’integralismo, dal formalismo, da malattie dell’anima… Si è tentati di fare come Tommaso: voglio vedere- toccare direttamente Gesù, altrimenti non credo.
Ma ci sono ancora tanti “fatti di Vangelo”, nelle nostre comunità e anche fuori di esse. Ci sono tanti volti che possono ancora mostrarci Gesù. E ci sono tanti volti che, se li guardassimo con fiducia, potrebbero tornare ad accendersi di luce. “Beati quelli che non hanno visto e hanno creduto!” (Gv 20, 29).
Guardiamo avanti
Proviamo a dare concretezza alle riflessioni fatte fin qui. Tra gli orientamenti pastorali importanti, c’è senz’altro quello che chiede rispetto per il cammino di ogni giovane (e di ogni persona che si coinvolge nella comunità cristiana). Accade a volte, infatti, che la scarsità di giovani e di operatori, in parrocchia o in associazione, porti ad affidare compiti sproporzionati e responsabilità precoci rispetto alla maturità umana e cristiana degli interessati.
- Rispettare la crescita delle persone, a partire dai giovani “vicini”
Il fatto che un giovane, dopo aver concluso il cammino di iniziazione cristiana, continui a frequentare gli ambienti parrocchiali o un’associazione (oppure vi si avvicini e mostri disponibilità) non è garanzia del fatto che abbia già incontrato Gesù. Prima di impegnare un giovane e chiedergli di servirla stabilmente, la comunità cristiana può essere ancora in debito con lui dell’annuncio del Vangelo e di un cammino formativo che lo abbia portato a maturare un sufficiente orientamento vocazionale. La priorità di questo cammino non deve mai essere smentita in nome dei “bisogni della parrocchia” o delle urgenze dell’associazione, neanche quando fosse il giovane stesso a voler privilegiare il “fare”. Questo rispetto dei tempi della crescita è segno fondamentale del primato della persona rispetto alla “struttura”, e diventa ancor più esigente quando si propone ai giovani un servizio educativo verso altri giovani.
Sei d’accordo con questo orientamento? Lo esprimeresti diversamente?
Ti sembra emergano anche altre scelte di fondo importanti? Ad esempio: differenziare il più possibile le opportunità che un giovane può vivere in parrocchia/vicaria/associazione/diocesi per fare un cammino (percorsi di volontariato, di ricerca artistica, di espressione corporea, di approfondimento culturale…in dialogo con il Vangelo)?
Operativamente, si propongono queste scelte:
- per rispettare le esigenze formative delle persone, porre almeno una soglia d’età sotto la quale non affidare stabilmente un servizio educativo (16 anni? 17?);
- evitare che fare l’animatore dei bambini/ragazzi sia – specie in parrocchia – l’unica opportunità reale di coinvolgimento di un giovane;
- valorizzando le risorse e competenze reperibili, sviluppare cammini formativi che sappiano intrecciare con fantasia il Vangelo e l’esperienza artistica, manuale-corporea, multimediale, affettiva…
- In particolare, sono da promuovere tutte le esperienze possibili di volontariato: il servizio e la condivisione con persone toccate da sofferenze e povertà sono vie privilegiate di scoperta dei propri talenti e di incontro con il Vangelo.
- Promuovere anche tra i giovani i ministeri (lettorato, accolitato) e il diaconato permanente; far conoscere meglio anche i cammini di orientamento vocazionale disponibili in diocesi.
Hai altre disposizioni pratiche da suggerire, per migliorare la qualità, la gradualità e la varietà dei cammini di formazione? Hai altre idee da condividere, a riguardo?
Preghiera
Saper pazientare
Abbiamo appena deposto
il seme nel terreno
e vorremmo che fosse già
la stagione del raccolto.
Abbiamo appena dissodato
una zona incolta
e ci attendiamo di vederla coperta
di messi abbondanti.
Abbiamo appena intrapreso
una qualche impresa
e vorremmo già essere
al termine della nostra fatica.
No, decisamente non siamo fatti
per avere pazienza.
Vorremmo tutto e subito,
vorremmo vedere immediatamente
i frutti del nostro lavoro.
E poi non ce la facciamo
ad accettare quelli
che ci stanno accanto:
quelli con cui dovremmo collaborare,
quelli con cui dovremmo trovare un'intesa,
quelli con cui dovremmo fare strada assieme.
Li vorremmo perfetti,
sempre disponibili e pronti,
sempre all'altezza della situazione.
Ma neppure noi siamo così...
Spirito di sapienza,
donaci di essere pazienti e fiduciosi
perché il raccolto verrà,
ma resta ancora molto da fare.
PER COMINCIARE GIÀ A CAMBIARE
Confrontiamoci con lo stile di una comunità che cerca di farsi carico del cammino delle persone; due film simpatici e interessanti:
“Lars e una ragazza tutta sua”, di Craig Gillespie (Usa, 2007)
“Si può fare”, di Giulio Manfredonia (Italia, 2008)
Approfondiamo il problema dei pregiudizi verso la Chiesa attraverso l’attività: “I dieci volti della chiesa” di don Andrea Brugnoli (v. file allegati sul sito www.5pani2pesci.it)
Esercitiamoci nel cercare i volti significativi di chiesa che possiamo trovare attorno a noi:
Concorso fotografico “Il volto bello della Chiesa” (FestaGiovani 2010 – vedi file allegati sul sito www.5pani2pesci.it)
4. “Gli andò vicino” – Giovani che superano i confini
Obiettivo
Mettere a fuoco quale sia il compito specifico dei giovani nella comunità cristiana.
Voci giovani
Quando i giovani sono davvero se stessi? Quando rompono gli schemi, lanciano ponti, aprono nuove vie al dialogo e alla fraternità. Il giovane qui sotto ne dà buona testimonianza (anche se ora il servizio civile è diventato solo volontario…).
"...e puntano al tuo tempo e ad alcuni sissignore, perfino a un giuramento e a un anno di tua proprietà... " (L. Ligabue).
Un anno di mia proprietà... Come viverlo? Come spendere quel tempo?
A 18 anni, in distretto militare, barrai la crocetta "servizio civile" un po’ per esclusione, (non mi sarei mai visto con un’arma in mano...) ma man mano che il tempo passava cresceva in me la convinzione che quei dieci mesi di quell'anno "di mia proprietà" potevano diventare invece un'opportunità, del tempo da dedicare "agli altri".
L'esperienza che ho così vissuto al Centro di Ascolto della Caritas Diocesana di Padova come obiettore di coscienza è stata per molti versi sconvolgente e destabilizzante: per un neolaureato in Economia e Commercio come ero io, incontrare ogni giorno persone di qualsiasi lingua, razza e religione a cui manca di tutto (casa, soldi, famiglia, futuro, amici, voglia di vivere, libertà...) e che con una dignità incredibile ti chiedono aiuto, mi ha fatto riflettere molto e mi ha messo anche un po' in crisi sulle scelte che avevo compiuto fin lì...
E' stata però indubbiamente una grandissima esperienza di crescita a livello umano e credo che mi abbia avvicinato di più a certi valori che ora ritengo fondamentali per la vita di tutti gli uomini e che purtroppo fanno ancora fatica ad affermarsi in questo mondo così tormentato: sono i valori del dialogo, della solidarietà, della pace tra gli uomini, della giustizia, della carità, del perdono, dell'amore.
Forse le persone che credono in questi valori sono ancora troppo poche, ma è proprio qui che sento forte la sfida come obiettore di coscienza e come cristiano: testimoniare questi valori nella vita di tutti i giorni: difficile quanto volete ma forse ne vale la pena...
«Quando sento cantare: “Gloria a Dio e pace sulla terra” mi domando dove oggi sia resa gloria a Dio e pace sulla terra. Finché la pace sarà una fame insaziata e finché non avremo sradicato dalla nostra civiltà la violenza, il Cristo non sarà nato» (Gandhi).
Bene, cosa stiamo aspettando?
Giacomo
Parola di Dio
Il mondo è da sempre diviso da confini, più o meno invisibili, che possono essere anche le semplici parole a tracciare. Chi devo considerare il mio “prossimo”, colui da “amare come me stesso”?
Dal Vangelo secondo Luca (10, 29-37)
Ma quel maestro della legge per giustificare la sua domanda chiese ancora a Gesù: - Ma chi è il mio prossimo?
Gesù rispose: «Un uomo scendeva da Gerusalemme verso Gèrico, quando incontrò i briganti. Gli portarono via tutto, lo presero a bastonate e poi se ne andarono lasciandolo mezzo morto.
Per caso passò di là un sacerdote; vide l'uomo ferito, passò dall'altra parte della strada e proseguì.
Anche un levita del tempio passò per quella strada; anche lui lo vide, lo scansò e proseguì.
Invece un uomo della Samaria, che era in viaggio, gli passò accanto, lo vide e ne ebbe compassione.
Gli andò vicino, versò olio e vino sulle sue ferite e gliele fasciò. Poi lo caricò sul suo asino e lo portò a una locanda e fece tutto il possibile per aiutarlo.
Il giorno dopo tirò fuori due monete d'argento, le diede al padrone dell'albergo e gli disse: "Abbi cura di lui e anche se spenderai di più pagherò io quando ritorno"».
A questo punto Gesù domandò: - Secondo te, chi di questi tre si è comportato come prossimo per quell'uomo che aveva incontrato i briganti?
Il maestro della legge rispose: - Quello che ha avuto compassione di lui.
Gesù allora gli disse: - Va' e comportati allo stesso modo.
“Prossimo”, nel cerchio di Israele, era solo il connazionale. Gesù, fedele al sogno universale dei profeti e della Scrittura, rompe ogni cerchio in modo sorprendente: “prossimo” sei tu, “fatti prossimo”. È una risposta che è come una spruzzata di vernice spray sopra un muro scrostato, e che ha il volto del Samaritano.
Il samaritano di cui Gesù racconta è una figura davvero singolare: la sua libertà interiore riempie di stupore. Facendo il passo verso il malcapitato lui supera almeno quattro confini: quello “razziale” (i samaritani erano considerati dai giudei una specie di eretici), quello religioso (un uomo sanguinante, secondo le leggi di purità, era intoccabile), quello “umano” (uno mezzo morto ai bordi della strada chissà chi è, cosa ha combinato…), quello pratico (il samaritano, a differenza degli altri due, era in viaggio, aveva un programma…).
Dunque: il prossimo sei tu, fa’ come il samaritano. Ma chi è il Samaritano? È Gesù stesso! Gesù sta raccontando di se stesso, che in viaggio dal cielo alla terra si è fatto vicino a noi, feriti nella nostra umanità, e si è fatto carico di noi. Gesù ci affida alla locanda della chiesa, dove “a sue spese” impariamo a prenderci cura gli uni degli altri…fino al suo ritorno.
Chi condivide con Gesù la passione di superare tutti i confini? Chi ne ha la freschezza interiore? Chi è giovane nel cuore.
Voce della Chiesa
Far conoscere a chi non c’era l’esperienza dell’ultimo Concilio della Chiesa universale è importante: le radici della nostra ricerca di rinnovamento partono da là. Ci piace riportare la testimonianza di frère Roger, fondatore della Comunità di Taizé, grande protagonista del “ringiovanimento” della chiesa e grande amico dei giovani.
“A metà del XX secolo è apparso un uomo di nome Giovanni, nato in un'umile famiglia di contadini del nord d'Italia. Nel 1959, quell'uomo anziano, Giovanni XXIII, annunciando un Concilio pronunciò qualche parola tra le più limpide che ci possono essere. Esse possono rendere completamente trasparente questa comunione d'amore che si chiama Chiesa. Ecco quelle parole di luce: «Non faremo dei processi storici, non cercheremo di sapere chi ha avuto torto o chi ha avuto ragione; le responsabilità sono condivise; diremo solamente: riconciliamoci!». Giovanni XXIII aveva l'intuizione che un Concilio avrebbe potuto aprire delle vie di comunione tra cristiani. Ci siamo sentiti pieni di riconoscenza quando abbiamo capito che desiderava anche la nostra presenza come osservatori. Ripenso al giorno in cui è arrivata la lettera: essere invitati a partecipare a questa ricerca, era un regalo di Dio!
Il Concilio Vaticano II cominciò nel 1962. Con un linguaggio chiaro, Giovanni XXIII seppe trovare espressioni che stimolavano ad andare avanti, senza attardarsi ad ascoltare profeti di sventura.
Il giorno dell'apertura del Concilio, diceva: «Nell'attuale situazione della società, questi profeti di sventura non vedono che rovine e prevaricazione; dicono che la nostra età è profondamente peggiorata, come se una volta tutto fosse perfetto; annunciano catastrofi, come se il mondo fosse vicino alla fine». Un'altra delle sue parole pronunciata lo stesso giorno, stupisce per la sua forza intuitiva e permane così attuale: «La Chiesa preferisce usare la medicina della misericordia piuttosto che della severità». Un giorno, in un'udienza privata, Giovanni XXIII ci confidò come talvolta prendesse le sue decisioni pregando: «Parlo con Dio» disse. Fece una pausa, poi aggiunse: «Oh! molto umilmente, oh! molto semplicemente».
Dopo un incontro che abbiamo avuto con lui il 13 ottobre 1962, siamo venuti a sapere che aveva detto di noi: «Non abbiamo parlamentato, ma ci siamo parlati; non abbiamo discusso, ma ci siamo amati».
Il nostro ultimo incontro ebbe luogo il 25 febbraio 1963. Eravamo in tre con i miei fratelli Max e Alain. Colpito da un tumore avanzato, a 82 anni, il Papa sapeva che la sua morte si avvicinava e ne eravamo stati avvertiti. Eravamo stati prevenuti che la nostra udienza sarebbe stata collocata in un giorno in cui Giovanni XXIII non avrebbe sofferto, si sentisse riposato e avrebbe ricevuto solo noi. Quell'udienza fu di una durata insolita. Consapevoli che non lo avremmo più rivisto, ci tenevamo ad ascoltare dal Papa come un testamento spirituale. Giovanni XXIII desiderava che noi rimanessimo sereni per quanto riguardava il futuro della nostra comunità. Facendo più volte con le sue mani dei gesti circolari, precisò: «La Chiesa cattolica è fatta di cerchi concentrici sempre più grandi, sempre più grandi».
Durante quell'ultimo incontro con lui, abbiamo visto delle lacrime scendere dai suoi occhi perché, ci diceva, certe sue intenzioni erano recentemente state stravolte nel loro senso”.
(da “Dio non può che amare”, ed. Elledici)
La fiducia che la chiesa ripone nei giovani, dal Concilio in qua, viene dalla speranza che i giovani sappiano aiutare tutti i cristiani a non farsi avvelenare dalla paura, a non farsi tentare dalla severità verso il mondo invece che dalla misericordia, a chiudersi in cerchi “sempre più piccoli”… Volto meraviglioso di questa fiducia, Giovanni Paolo II scriveva ai giovani, nel 1985:
“Palpita in voi, nei vostri giovani cuori, il desiderio di un'autentica fratellanza fra tutti gli uomini, senza divisioni né contrapposizioni né discriminazioni. Sì! Il desiderio di una fratellanza e di una molteplice solidarietà, voi giovani, lo portate con voi - e non desiderate certo la reciproca lotta dell'uomo contro l'uomo sotto qualsiasi forma. Questo desiderio di fratellanza - l'uomo è il prossimo dell'altro uomo! l'uomo è fratello per l'altro uomo! - non testimonia forse il fatto (come scrive l'Apostolo) che «avete conosciuto il Padre»? Che i fratelli sono solo là dove c'è un padre. E solo là dove c'è il Padre gli uomini sono fratelli.
Se voi, dunque, portate in voi stessi il desiderio della fratellanza, ciò significa che «la parola di Dio dimora in voi». Dimora in voi quella dottrina che Cristo ha portato e che giustamente ha il nome di «Buona Novella». E dimora sulle vostre labbra, o almeno è radicata nei vostri cuori, la preghiera del Signore, che inizia con le parole «Padre nostro».
Molti giovani hanno già in loro il Vangelo e un seme vivissimo di preghiera, e non lo sanno o non ci credono abbastanza. Intervistato sui giovani, il card. Martini confida la sua più grande preoccupazione.
“C'è anche qualcosa che la preoccupa nei giovani? O approva tutto?”
“A dire il vero, ciò che mi preoccupa è la mancanza di coraggio. Senza dubbio vi sono molti fattori positivi: oggi sono in tanti a studiare teologia e nella Chiesa cattolica l'interesse per la Bibbia non è mai stato così grande. Vi sono anche numerosi movimenti sociali. Non mi pare che ai tempi della nostra infanzia e giovinezza fossimo così sensibilizzati alle ingiustizie come molti giovani del giorno d'oggi. Si adoperano per i senza tetto, per i bambini di strada, vanno in Sudamerica e in India per aiutare i più poveri. Questa disponibilità è straordinaria. E hanno anche meno paure nei confronti degli estranei, di altre religioni e Chiese. Queste constatazioni mi infondono grande speranza.
Eppure non sono del tutto soddisfatto. La mia generazione non ha potuto fare esperienze così importanti, forse l'hanno impedito o sostituito anche la guerra e la povertà. Molti di noi, però, hanno agito di conseguenza, hanno preso decisioni. Insieme siamo entrati nel noviziato dei gesuiti.
Pieni di entusiasmo, volevamo mettere la nostra vita completamente al servizio di Dio. Volevamo servire la Chiesa e fare molte cose meglio degli anziani.
Come mai oggi da noi, dove regnano libertà e benessere, arrivano sempre meno critiche e le grandi decisioni sono rare? Spesso mi viene da pensare a Gesù e al giovane ricco.
Gesù l'ha considerato il candidato ideale per la sua cerchia di apostoli, ha cercato di conquistarlo e lo ha lodato. Ma il giovane ricco non ha saputo imboccare questo cammino e se n'è andato via triste. Gesù non l'ha rimproverato e non l'ha giudicato, ma certamente ha sofferto per non essere riuscito a conquistare questo giovane come collaboratore e farne un apostolo. Questa è anche l'emergenza della Chiesa di oggi.
(…) Alla gioventù e alla Chiesa vorrei dire questo: abbiate coraggio! Rischiate qualcosa! Rischiate la vostra vita. D'altro canto, chi dovrebbe mettere la sua vita su un piatto della bilancia, se non coloro che sono saldi in Dio! Amo la parolina «amen», che contiene in quattro lettere l'intera nostra fede e preghiera. Viene dall'ebraico e tradotta significa qualcosa come: ho fiducia, credo, sono sicuro”.
(da “Conversazioni notturne a Gerusalemme”, ed. Mondadori)
Echi
I giovani sono fatti per superare i confini, per allargare sempre di più i cerchi del dialogo; il loro cuore è il terreno più ricco di speranza che ci sia. Cosa manca? Forse coraggio. Molte delle parole raccolte fin qui sembrano lasciare intuire che il vero confine da superare è dentro: il dialogo più prezioso da imparare è quello interiore, nella coscienza. C’è da incontrare nel silenzio, nella Parola, nei sacramenti, il Samaritano che si piega verso di noi come un amico. Non è un caso che i più grandi costruttori di pace siano anche persone di grande preghiera…
Come possiamo fare perché la stagione iniziata dal Concilio non diventi un inverno?
Guardiamo avanti
Il tempo presente ci chiama a non pensare la pastorale giovanile (e la pastorale in genere) senza saper restare sui "confini": il confine è un luogo rischioso perché costringe a mettere in gioco la propria identità, ma è anche il luogo in cui scopriamo di aver bisogno degli altri per capire noi stessi. Abbiamo già visto che c'è un "confine" tra le generazioni, ma ci sono anche altri "confini":
- tra "cattolici" e "altri cristiani";
- tra "cristiani" e "credenti di altre religioni";
- tra "credenti" e "non credenti";
Ci sono altri confini ancora, tra giovani cattolici/cristiani/credenti italiani e giovani cattolici/cristiani/credenti immigrati; ma anche confini più sfuggenti o sottili: tra giovani "credenti" e giovani "praticanti", tra giovani studenti e giovani lavoratori, tra giovani di gruppi e associazioni diverse… e di parrocchie diverse!
Alcuni orientamenti pastorali possibili:
- Aprire spazi e momenti di dialogo
Questo dialogo non potrà non considerare tanti giovani che, per provenienza geografica, culturale, religiosa o per scelte di vita sono ancora visti come “estranei” dal punto di vista pastorale. Dovremo pensare ad una pastorale giovanile che dialoga con tutti i giovani che sono presenti sul territorio, senza creare troppe iniziative “parallele” che non si incrociano mai.
- Ritornare all’annuncio essenziale del Vangelo
I confini con cui tradizionalmente si descriveva l’appartenenza alla chiesa sono sfumati. È necessario ricalibrare la pastorale sul kerygma, sull’annuncio pasquale, superando la distinzione fra chi è “dentro” e “fuori” la Chiesa. La stessa sete di spiritualità e di incontro con Dio sembra abitare indistintamente tutti i giovani.
- Far crescere con più decisione la collaborazione tra parrocchie e tra associazioni/movimenti ecclesiali
I confini tra parrocchia e parrocchia, tra gruppo e gruppo, sono spesso ancora molto rigidi: la pastorale giovanile è uno dei primi ambiti in cui mettere insieme obiettivi, proposte, cammini comuni; a livello di unità pastorali, di vicariati, di diocesi; tra le associazioni – specie quelle che hanno finalità comuni – e tra associazioni/movimenti e gruppi parrocchiali. Le esperienze positive già in atto confermano il vantaggio di unire le idee, le risorse, le sensibilità diverse.
Sei d’accordo con questi orientamenti? Li esprimeresti diversamente?
Ti sembra che siano altri gli orientamenti importanti?
Operativamente
Riguardo i primi due orientamenti, non è facile individuare azioni veramente concrete, ma è già importante – come si sta tentando anche a livello diocesano – mettere a fuoco i soggetti con i quali coinvolgersi:
- i giovani immigrati (attività per gli italiani e per gli stranieri, che sappiano rispettare il bisogno del giovane migrante di stare con i suoi connazionali, ma sappiano anche offrire momenti di incontro e di crescita d’insieme, verso quello che tra non molti anni sarà “la norma”… Si tratta di lavorare sul fronte interculturale, ma anche interconfessionale e interreligioso);
- gli studenti delle scuole superiori (proposte che facciano entrare più in comunicazione scuola e parrocchie/associazioni/diocesi, che mettano più a confronto l’esperienza della formazione e dello studio con la ricerca del senso della vita, con le scelte di vita e le diverse vocazioni…);
- i giovani universitari (la presenza di studenti – che vengono anche da cammini di fede nelle loro diocesi di origine – presso il polo universitario di Rovigo è sempre più significativa; allo stesso modo, giovani polesani che studiano presso altre sedi possono aver bisogno di essere orientati per trovare contesti di servizio o formazione cristiana negli anni dello studio…);
- i giovani lavoratori (le proposte di pastorale giovanile spesso soffrono di una eccessiva intellettualizzazione, non sono pensate per chi sta facendo già l’esperienza concreta di un lavoro/professione, o la sta cercando…);
- i giovani non credenti (iniziative di primo annuncio – ad es. le esperienze di evangelizzazione di strada già in sperimentazione – , proposte che aiutino ad entrare in dialogo a partire da sensibilità condivise, come quelle verso lo sport, la musica, il cinema, le performance artistiche, i problemi sociali…).
Riguardo la collaborazione tra parrocchie/associazioni e movimenti:
- i catechisti dei ragazzi e gli animatori/capi scout di adolescenti e giovani facciano insieme – a livello interparrocchiale o vicariale – un cammino permanente di formazione, che li aiuti a conoscersi ed apprezzarsi, che li educhi al confronto, alla costruzione di una visione condivisa, alla collaborazione;
- ragazzi, adolescenti, giovani vivano a livello interparrocchiale/vicariale esperienze concrete di comunione (momenti comuni di catechesi, celebrazioni, incontri di festa, uscite, campi, ecc.) che li aiutino a superare la mentalità campanilistica e ad aprirsi al dialogo con tutti;
- si promuova lo scambio di informazioni e notizie tra le varie realtà giovanili (bollettini, blog, mailing list di porta elettronica, sito di pastorale giovanile diocesano, La Settimana, Radio Kolbe…);
- tutte le realtà giovanili (gruppi parrocchiali, associazioni, movimenti) convergano unanimi negli appuntamenti vicariali e diocesani più significativi e considerino questi momenti come parte integrante dei loro cammini annuali (es. Veglia-pellegrinaggio di ottobre, Venerdì giovani, Veglia di preghiera per le vocazioni, FestaGiovani).
Hai altre disposizioni pratiche da suggerire, per aprire spazi di dialogo, di annuncio del Vangelo, di collaborazione? Hai altre considerazioni da condividere, a riguardo?
Preghiera
Rit. Venga il tuo regno
Dove una persona fa strada accanto all'altro,
per ascoltare, condividere e fare rinascere la fiducia,
là incomincia in regno di Dio.
Dove gli uomini si amano scambievolmente,
combattono per la giustizia e sono operatori di riconciliazione,
là si annuncia il regno di Dio.
Dove due sposi camminano l'uno vincolato all'altro,
capaci ancora di stupirsi vicendevolmente e di riconciliarsi,
là prende volto il regno di Dio.
Dove il mio pane è nostro e vostro,
la sua fame è anche mia,
là si concretizza il regno di Dio.
Dove l'altro è accolto come fratello,
nel suo volto di ammalato, anziano o carcerato,
là cresce il regno di Dio.
Dove si abbattono le barriere di censo, razza e religione,
per dialogare e costruire insieme un mondo migliore,
là avanza il regno di Dio.
Dove Dio è invocato e testimoniato come Padre nostro,
perché ogni uomo di senta figlio dell'Altissimo,
là viene il regno di Dio".
PER COMINCIARE GIÀ A CAMBIARE
Confrontiamoci con alcuni “artisti” del dialogo:
es. frère Roger di Taizé (v. le sue opere e il sito www.taize.fr )
es. Chiara Lubich (v. i suoi scritti e il sito www.centrochiaralubich.org )
Confrontiamoci coi problemi del dialogo; film interessanti:
sulla multiculturalità, “Freedom Writers” di Richard LaGravenese (Usa, 2007)
sul dialogo interreligioso, “Monsieur Ibrahim e i fiori del Corano” di François Dupeyron (Francia, 2003)
sulla scuola, “La classe – Entre le murs” di Laurent Cantet (Francia, 2008)
Approfondiamo il tema del dialogo sui vari “confini” coinvolgendo i responsabili e collaboratori degli uffici pastorali diocesani:
Davide, Irene, Alessandro, Silvia e don Dante (Caritas diocesana), sul dialogo con i giovani immigrati;
don Rossano Marangoni (Ufficio Ecumenismo e dialogo interreligioso), sul dialogo interconfessionale e interreligioso;
don Damiano Furini (Ufficio Scuola) e gli insegnanti di religione, sul dialogo con i giovani studenti;
Centro Don Bosco (Gruppo FapiùRumore), sul dialogo con gli universitari;
don Carlo Marcello (Ufficio Pastorale del Lavoro), sul dialogo con i giovani lavoratori;
don Giampietro Ziviani (Ufficio Catechesi), don Piero Mandruzzato e la Fiaccola (Servizio di pastorale giovanile), per il dialogo con i non credenti e il primo annuncio.
Esercitiamoci nel dialogo:
inventiamo/partecipiamo a un’esperienza di incontro con una persona-realtà “di confine”;
andiamo a conoscere una comunità impegnata in qualche forma di dialogo e allo stesso tempo nella vita di preghiera (es. Comunità di Taizé, Comunità monastica di Bose, Comunità di Sant’Egidio, Sermig, …).
5. «Come posso capire se nessuno me lo spiega?» – Giovani che evangelizzano giovani
Obiettivo
Mettere a fuoco quale sia il compito specifico dei giovani nella comunità cristiana.
Voci giovani
Evangelizzare, cosa significa? Prima che tentare di spiegarlo, possiamo accogliere queste due testimonianze. Due giovani raccontano la responsabilità e la gioia di essere evangelizzatori nel loro quotidiano.
… Ho cominciato a girare in un vortice di esperienze, mi ci sono buttato: il lavoro, i viaggi, gli amici vecchi e nuovi… Tutte esperienze che può vivere un normale ragazzo. Finché dentro di me, ad un certo punto, ho sentito la necessità del silenzio, di non fuggire più, ma di prendere in mano la mia vita, finalmente… Contemporaneamente ho conosciuto una ragazza. Io so che noi siamo un dono reciproco che il Signore ci ha fatto, anche se a lei fa paura sentirlo dire. Lei non è la mia ragazza “ideale”, la ragazza dei miei sogni. Lei è la mia ragazza “concreta”, quella di cui inspiegabilmente mi sono innamorato... Ancora una volta il Signore mi ha forzato per insegnarmi ad amare concretamente… Lei pur non essendo contraria alla fede, ne è lontana.
Io non voglio forzarla a condividere con me ciò che so essere un lungo e difficile cammino, sento però la responsabilità di non nascondermi, di raccontarle ciò che faccio e che vivo. Spero che un giorno, piano piano, il suo animo inquieto possa trovare la pace che io sto trovando. Spero di essere strumento del Signore in questo…
Cristiano
Sono trascorsi quasi dieci anni, era un’ora di religione della quinta liceo scientifico...
Da un anno ero in banco assieme ad un ragazzo che da quando aveva ricevuto la cresima aveva avuto solo occasioni e fugaci entrate in chiesa, giusto per le feste importanti.
Era il "figo" della classe, il classico tipo che non passava assolutamente inosservato, aveva avuto un discreto numero di ragazze e non gliene mancavano mai, fumava... bestemmiava.
Eravamo apparentemente due poli opposti, tanto che i nostri compagni per scherzare ci chiamavano il diavolo e l'acqua santa. Volutamente ho sottolineato che solo apparentemente potevamo sembrare due poli opposti, perché ci incontravamo su aspetti importanti quali il rispetto l'uno per la persona dell'altra... del resto non si potrebbe spiegare altrimenti una "convivenza scolastica come compagni di banco" durata due anni perché voluta e difesa.
L'unica regola che gli avevo dato quando mi aveva chiesto di poter restare in banco con me era stata di non bestemmiare, per lo meno, in mia presenza... "perché" gli avevo detto "il nome di Dio che tu usi come intercalare nelle tue bestemmie, io lo invoco nelle mie preghiere... un intercalare un po' diverso" .
Quest'unica regola gli avevo dato e lui aveva imparato a rispettarla...sì, aveva imparato, perché all'inizio era un continuo correggersi e chiedere scusa. Poi si erano rincorsi uno dopo l'altro i tempi del dialogo civile, delle coscienza reciproca, della confidenza, dell'affettuosa amicizia, delle grandi chiacchierate, del lasciar trasparire quello che si era.
Fu in questo periodo che Lele mi lasciò intravedere in un paio di occasioni una certa nostalgia per la sua fede di bambino e il rimpianto per averla dimenticata nel corso degli anni.
Al di fuori di questi momenti noi non avevamo mai toccato il discorso religione-fede. Entrambi sapevamo esattamente quanto l'una fosse fin troppo inserita nella vita di parrocchia e l'altro ne fosse fùori.
Entrambi avevamo sempre rispettato le scelte dell'altro senza criticarlo e senza cercare di portarlo a tutti i costi dalla propria parte, e non avevamo neppure mai sentito il bisogno di giustificarci per quello che facevamo.
Per me fu pertanto un vero fulmine a ciel sereno quando durante quella famosa ora di religione della quinta liceo Lele all'improvviso, senza giri di parole mi disse "Io, ho bisogno di parlare di Dio con qualcuno e so che con te lo posso fare... vuoi parlare di Dio con me, per favore?”. Il sì che gli dissi era carico di riconoscenza: mai mi ero, e mai mi sono sentita cristiana come in quel momento.
Per rispetto a lui non avevo mai parlato apertamente della mia fede, di quello che provavo e vivevo come cristiana, ciononostante Lele era riuscito ugualmente ad intuirlo e leggerlo nella mia persona condividendo quel banco di scuola.
Quel giorno il mio amico mi insegnava cosa significava essere cristiana concreta; mi faceva vedere la strada che dovevo percorrere per diventare testimone di Cristo in una società che vuol far finta di aver dimenticato il linguaggio di Cristo.
Monica
Parola di Dio
Evangelizzare non è mai annunciare il Vangelo come un araldo che proclama un editto: è però avere il coraggio di raccontare quello che Gesù ha fatto e fa nella propria vita, di raccontarlo con la vita e anche con le parole; è avere il coraggio di offrire all’altro un modo nuovo di guardare la sua stessa vita, un modo che nasce dalla Buona Notizia che Gesù ha vinto la morte ed è vivo, presente.
Dopo che ha evangelizzato con successo in tanti villaggi, Filippo viene spinto dal Signore su una strada deserta…
Dagli Atti degli Apostoli (8,26-39)
Un angelo del Signore parlò così a Filippo: «Alzati, e va' verso sud, sulla strada che scende da Gerusalemme a Gaza: è una strada deserta».
Filippo si alzò e si mise in cammino. Tutto a un tratto incontrò un Etiope: era un eunuco, un funzionario di Candace, regina dell'Etiopia, amministratore di tutti i suoi tesori. Era venuto a Gerusalemme per adorare Dio e ora ritornava nella sua patria. Seduto sul suo carro, egli stava leggendo una delle profezie di Isaia.
Allora lo Spirito di Dio disse a Filippo: «Va' avanti e raggiungi quel carro». Filippo gli corse vicino e sentì che quell'uomo stava leggendo un brano del profeta lsaia. Gli disse: «Capisci quello che leggi?». Ma quello rispose: «Come posso capire se nessuno me lo spiega?». Poi invitò Filippo a salire sul carro e a sedersi accanto a lui.
Il brano della Bibbia che stava leggendo era questo: Come una pecora fu condotto al macello, e come un agnello che tace dinanzi a chi lo tosa, così egli non aprì bocca. È stato umiliato ma ottenne giustizia. Non potrà avere discendenti, perché con violenza gli è stata tolta la vita.
Rivoltosi a Filippo l'eunuco disse: «Dimmi, per piacere: queste cose il profeta di chi le dice. di se stesso o di un altro?». Allora Filippo prese la parola e cominciando da questo brano della Bibbia gli parlò di Gesù.
Lungo la via arrivarono a un luogo dove c'era acqua e l'Etiope disse: «Ecco, qui c'è dell'acqua! Che cosa mi impedisce di essere battezzato?». Allora l'eunuco fece fermare il carro: Filippo e l'eunuco discesero insieme nell'acqua e Filippo lo battezzò.
Quando risalirono dall'acqua, lo Spirito del Signore portò via Filippo, e l'eunuco non lo vide più. Tuttavia egli continuò il suo viaggio, pieno di gioia.
- Perché Filippo si trova in Samaria invece che a Gerusalemme? Perché la violenta persecuzione scoppiata con il martirio di Stefano ha costretto la comunità dei discepoli di Gesù a disperdersi. Così i discepoli cominciano a portare il Vangelo in altre città. È interessante: la crisi fa scoprire la missione. Anche i cristiani di oggi, ridotti a una minoranza, finalmente stanno tornando a rimettere al centro il Vangelo e la loro capacità di renderlo vivo là dove il Signore li porta a vivere, a lavorare, a viaggiare. Magari sembrano luoghi “deserti”, senza possibilità di dare testimonianza, invece…
- Filippo incontra un etiope, eunuco, amministratore…: come Gesù, Filippo non si risparmia di predicare il Vangelo a tutti, ma poi, come per Gesù, il cuore dell’evangelizzazione si gioca nell’incontro personale, nell’attenzione delicata alla persona, a qualsiasi persona il Signore faccia incontrare. È bello poter condividere con Gesù la passione di farsi compagno di viaggio per ogni persona umana; è bello farsi docili ai suggerimenti dello Spirito, imparando a condividere i pensieri e i sentimenti di Dio, la sua immensa libertà nell’amare, il suo percepire uno solo come se fosse tutto il mondo…
- Quell’uomo sul carro sta tornando da un pellegrinaggio e sta leggendo spontaneamente un libro della Bibbia… è evidente che è una persona in cerca di Dio. La missione di Filippo, quella di farlo incontrare con Gesù, sembra più facile di molte delle situazioni in cui normalmente i cristiani si trovano a dover rendere testimonianza. Vero, ma difficilmente incontreremo qualcuno che non sia portatore di una domanda! L’arte dell’evangelizzatore è forse nel riuscire a portarla alla luce, a partire dalle forme più disparate nelle quali essa può essere avvolta. Questione di competenze psicologiche, comunicative? Questione anzitutto di amore.
- Filippo comprende quale sia la domanda che inquieta il cuore di quella persona: c’è vita anche per me? Come posso sentirmi amato da Dio, io che sono una persona “a metà”, io che sono ricco e potente ma resto povero e impotente? Allora Filippo gli parla di Gesù: in Gesù morto e risuscitato la povertà diventa fonte di beatitudine, l’impotenza diventa fonte di libertà! E Gesù è vivo, vicino, pronto a donare la vita di Dio ad ogni cuore ferito che si apre alla fiducia in lui…
- «Ecco, qui c'è dell'acqua! Che cosa mi impedisce di essere battezzato?»: il cammino di iniziazione alla fede di un essere umano può svolgersi con velocità sorprendente, in pochi chilometri di strada! Ed egli, continuando il suo cammino di fede, può diventare a sua volta “portatore sano di Vangelo”... Chissà se i cristiani dell’Etiopia di oggi non sono “figli” anche di quell’eunuco…
Voce della Chiesa
Continuiamo a chiederci qual è il posto dei giovani nella chiesa: abbiamo parlato di profezia e del dover essere critici nella chiesa, di dialogo e del saper superare i confini del mondo, ma in molti sono convinti che la chiamata dei giovani che abbraccia tutte le altre è quella di evangelizzare.
L’essenziale della chiesa, il motivo per cui essa stessa esiste, è evangelizzare; è donare, condividere con tutti la gioia del Vangelo. I giovani quindi sono, a pieno titolo, protagonisti della missione della chiesa. È questo che, con grande simpatia, voleva dire Giovanni Paolo II quando, a conclusione della GMG del 2000, disse ai due milioni di giovani presenti: “Vedo in voi le sentinelle del mattino!”. Nel Messaggio per la Giornata Mondiale della Gioventù di Sydney (2008), Papa Benedetto XVI ribadisce con forza:
Cari giovani, come hanno più volte ribadito i miei venerati Predecessori Paolo VI e Giovanni Paolo II, annunciare il Vangelo e testimoniare la fede è oggi più che mai necessario (cfr Redemptoris missio, 1). Qualcuno pensa che presentare il tesoro prezioso della fede alle persone che non la condividono significhi essere intolleranti verso di loro, ma non è così, perché proporre Cristo non significa imporlo (cfr Evangelii nuntiandi, 80). Del resto, duemila anni or sono dodici Apostoli hanno dato la vita affinché Cristo fosse conosciuto e amato. Da allora il Vangelo continua nei secoli a diffondersi grazie a uomini e donne animati dallo stesso loro zelo missionario. Pertanto, anche oggi occorrono discepoli di Cristo che non risparmino tempo ed energie per servire il Vangelo. Occorrono giovani che lascino ardere dentro di sé l'amore di Dio e rispondano generosamente al suo appello pressante, come hanno fatto tanti giovani beati e santi del passato e anche di tempi a noi vicini. In particolare, vi assicuro che lo Spirito di Gesù oggi invita voi giovani ad essere portatori della bella notizia di Gesù ai vostri coetanei. L’indubbia fatica degli adulti di incontrare in maniera comprensibile e convincente l'area giovanile può essere un segno con cui lo Spirito intende spingere voi giovani a farvi carico di questo. Voi conoscete le idealità, i linguaggi, ed anche le ferite, le attese, ed insieme la voglia di bene dei vostri coetanei. Si apre il vasto mondo degli affetti, del lavoro, della formazione, dell’attesa, della sofferenza giovanile... Ognuno di voi abbia il coraggio di promettere allo Spirito Santo di portare un giovane a Gesù Cristo, nel modo che ritiene migliore, sapendo "rendere conto della speranza che è in lui, con dolcezza" (cfr 1 Pt 3,15) (n.7).
Echi
La capacità dei giovani di essere contagiosi della gioia del Vangelo è fuori discussione. Il problema è che per poter essere testimoni di un incontro, quell’incontro bisogna averlo fatto! Dice Enzo Bianchi, priore della Comunità di Bose:
Non dobbiamo mai dimenticare che il cuore del cristianesimo è certamente una persona, Gesù Cristo; ma proprio perché è una persona storicamente vissuta, noi lo conosciamo solo attraverso le Scritture. Non sussiste un'altra via per conoscere Cristo.
Questo implica l'esigenza di una conoscenza, di una gnosi cristiana che nutra la fede e nutra l'amore. In ebraico conoscere e amare sono sinonimi, significativamente, per cui la vera conoscenza dev'essere sempre penetrativa, deve avere un riferimento personale preciso, una fede che sia adesione e amore concreto nei riguardi di Cristo. Pietro definisce i cristiani come coloro che amano Cristo senza averlo mai visto, e il massimo comandamento della nostra fede è: «Amerai il Signore, tuo Dio, con tutte le tue forze, con tutta la tua anima, con tutta la tua mente». Questo è il primo comandamento, nel cristianesimo.
C'è in noi questo amore del Signore, che significa contemporaneamente conoscenza del Signore e adesione al Signore, oppure non c'è? La pastorale, la predicazione, la catechesi, hanno questo riferimento, sì o no? Io temo che sovente non si trovi questo riferimento in tutta la sua necessaria centralità. Si insegnano piuttosto dei valori, si indicano delle vie etiche, ma non questo amore-fede-conoscenza-adesione al Signore.
Ora è chiaro che un giovane, che percepisce la chiesa come un'istituzione che detiene valori e che sovente finisce con i suoi divieti e i suoi precetti per sembrare un vigile urbano, a diciotto anni, o anche prima, a sedici o a quattordici, se ne andrà, lascerà la chiesa, perché non ha per nulla conosciuto Cristo. Il giovane crede e dice di avere lasciato la chiesa, ma in verità ha lasciato la vita parrocchiale, la frequentazione dei preti, del parroco. Lui nemmeno si sogna di avere lasciato Cristo, perché questo Cristo non lo ha mai conosciuto. Nessuno gli ha mai richiesto l'esperienza di fede, di amore e di conoscenza effettiva di Cristo. Nessuno gliel'ha mai insegnata.
Questo è uno dei nodi fondamentali della crisi attuale del cristianesimo.
Mi ha sempre impressionato un detto di un padre della chiesa del IV secolo, che parlando ai preti li interrogava: «Voi vi chiedete come mai i giovani crescendo si allontanino dalla chiesa? Ma è naturale: è come nella caccia alla volpe, dove i cani che non l'hanno vista, prima o poi si stancano, rinunciano, e tornano a casa; mentre quei pochi che hanno visto la volpe proseguiranno la loro caccia fino in fondo». Ecco, il problema è far vedere la volpe ai giovani, far loro conoscere Gesù Cristo.
Poi il resto, compreso l'agire etico, viene da sé. Ma se non sussiste il fondamento della fede, dell'amore e della conoscenza di Cristo, come può avere saldezza e verità un'etica che appare solo un insieme di norme che si possono ritrovare anche altrove?
(da “Ricominciare”, ed. Marietti)
Guardiamo avanti
Tentiamo di tradurre la riflessione fatta in orientamenti pastorali.
- Ritornare all’annuncio del Vangelo dentro la vita quotidiana
Qualcuno è convinto che il primo messaggio che i giovani cercano e invocano dall’attività pastorale della Chiesa sia “la fede che rende significativa la vita semplice di ogni giorno”: è importante tornare a rendere Gesù, il Vangelo, capace di parlare al vissuto delle persone. Questo significa anche essere disponibili a sperimentare nuovi linguaggi e nuove tecnologie. I giovani sono portatori di competenze che possono dare all’annuncio cristiano occasioni per ripensarsi e riproporsi in situazioni, canali comunicativi e linguaggi nuovi. Non si tratta di rincorrere mode o di occupare spazi, ma di incrociare le nuove competenze e le nuove potenzialità dei giovani con l’essenzialità dell’annuncio senza forzare le une o snaturare l’altro.
- Investire su nuovi educatori ma soprattutto educatori “nuovi”
Finora molte comunità hanno rischiato, nel campo educativo, di giocare al ribasso, di puntare alla “sopravvivenza” senza slanci, senza progettualità; ci si accontenta di figure educative “improvvisate”. Pur essendo importante valorizzare anche le competenze specifiche, non si tratta di creare dei “professionisti”, ma di dare fiducia a persone (specialmente giovani e giovani-adulte) che abbiano il coraggio della novità interiore, che osino rinnovarsi nel cuore, nella mente e nello spirito, alla luce della Parola di Dio… che abbiano incontrato Gesù; così esse potranno essere punti di riferimento significativi per altri giovani e daranno volto concreto alla fiducia della comunità cristiana verso di loro.
Sei d’accordo con questi orientamenti? Li esprimeresti diversamente?
Ti sembra che siano altri gli orientamenti importanti?
Operativamente
- si possono stabilire contatti con le esperienze di evangelizzazione di strada già in atto (anche nella nostra diocesi), che scommettono sui giovani per evangelizzare altri giovani; si possono organizzare “corsi di evangelizzazione” a più livelli per aiutare giovani (animatori e non) a creare nel loro territorio iniziative di primo annuncio e cammini di fede per chi vive la scoperta della fede cristiana o il “risveglio” di essa;
- si tratta comunque di avviare e portare avanti una riflessione ad ampio raggio, non solo “da specialisti”, su cosa significhi proporre il Vangelo in chiave di primo annuncio, in modo da arrivare a incidere in modo sostanziale sulla catechesi, sulla predicazione nelle celebrazioni eucaristiche, sulle proposte formative in genere, e riaccendere così il coraggio e la gioia di testimoniare Gesù negli ambienti di vita (con i vicini di casa, tra i parenti e gli amici, al lavoro o all’università);
- è particolarmente cruciale che i giovani possano gustare la Parola di Dio come mai hanno fatto prima, vivano proposte concrete per imparare ad ascoltare la voce viva di Gesù: scuole di preghiera e di lectio divina, esercizi spirituali, sussidi (stampati e online) per l’ascolto quotidiano della Parola di Dio…
- Dal punto di vista metodologico, è interessante adottare a qualsiasi livello di formazione il metodo del “laboratorio della fede”, che vuole essere una esperienza formativa dove si fa una “sintesi” creativa e nuova: tra il presente dei giovani (colto così come è e non come vorremmo che fosse) e il patrimonio ecclesiale (cioè la rivelazione e il suo modo di “raggiungerci” qui ed ora in questa chiesa); è una esperienza nella quale il vissuto e la cultura della persona o del gruppo a cui mi rivolgo viene messo in gioco con l’esperienza e la tradizione cristiana, ricevuta dalle generazioni passate; questo significa anche rifiutare: da un lato, l’indottrinamento (= adesso ve lo spiego io! formazione ridotta ad informazione, cioè “imbottigliamento”, da un vaso vuoto ad uno pieno di idee che poi non servono a vivere… vedi la “lezione di catechismo”); dall’altro lato, la pura animazione (= ognuno può dire la sua; formazione = dis-informazione e confusione, cioè relativismo: ogni posizione va bene, purché sia “sentita” come vera da chi la esprime… vedi molte impostazioni del “post-cresima”).
Hai altre disposizioni pratiche da suggerire, per ri-centrarsi sul Vangelo e rinnovare la formazione?
Preghiera
Signore, una notte,
lontano dalle tue chiese,
ho ascoltato improvvisamente il silenzio.
Signore, una notte,
senza l'incenso delle liturgie a te dedicate,
ho ascoltato il sogno di un mio caro amico
e la sua preghiera.
Signore, una notte,
lontano dalle aule del catechismo,
ho raccolto la tristezza di un giovane
che non conoscevo.
Signore, una notte,
lontana dal giorno della mia cresima,
ho ascoltato lo Spirito di verità
che accompagnava le parole sincere di mio padre.
Signore, una notte,
lontano dalla tua casa,
ho abitato la casa disadorna delle mie paure.
Signore, una notte,
lontano dall'affetto della mia parrocchia,
ho accolto l'abbraccio dei miei amici
e la loro liturgia.
Signore, una notte,
spero che la lontananza più non sia,
e possa rivivere il dono dei tuoi sacramenti
e della tua santa chiesa.
Fa’ che ti possa percepire
nelle mie realtà più prossime,
allora la tua luce sarà, per tuo dono,
in quello che io stesso saprò dare agli altri.
PER COMINCIARE GIÀ A CAMBIARE
Confrontiamoci con la forza di alcuni giovani testimoni:
es. Sophie Schöll (v. anche il film: “La rosa bianca – Sophie Schöll” di Marc Rothemund (Germania, 2005)
es. Piergiorgio Frassati (v. anche la Compagnia dei tipi loschi, www.tipiloschi.com)
Confrontiamoci con lo stile e il metodo dell’evangelizzazione:
materiale e testimonianze sul sito: www.sentinelledelmattino.org
Approfondiamo il tema della testimonianza:
attività su: “Essere testimoni” (v. file allegati sul sito www.5pani2pesci.it)
ricchissimo materiale sul sito: www.agoradeigiovani.it (sussidio secondo anno)
Esercitiamoci concretamente nella testimonianza:
organizziamo una serata di nostre brevi testimonianze di vita da proporre in parrocchia, invitando gli amici;
scriviamo una lettera ad un quotidiano, raccontando la nostra esperienza di fede, o proviamo a scrivere una nostra risposta a qualche lettera sulle riviste giovanili (es. “Dimensioni nuove”);
partecipiamo a una delle serate di “Una Luce nella Notte” (evangelizzazione di strada) organizzate in diocesi o altrove (v. sito delle “Sentinelle del mattino”).
6. «Che cosa mi manca ancora?» – Giovani che si lasciano accompagnare
Obiettivo
Cogliere la bellezza di un legame tra giovani e adulti significativi; mettere a fuoco come concretamente farlo crescere.
Voci giovani
Tre voci per raccontare, in modi diversi, quanto il dialogo personale con una persona affidabile possa fare la differenza nella vita.
Nella mia vita sono stato sempre appassionato per fare i conti! E li ho fatti anche per la mia vita: farò questo, poi andrò a quel master, mi specializzerò in questa disciplina… Insomma, mi ero creato una vita così spianata e precisa, che nemmeno il circuito di Monza l’ha mai conosciuta! Ma la mia giovane esistenza si è fermata (ma non distrutta) ad un palo della luce, alle tre di notte di un 22 agosto di due anni fa. Sono vivo per miracolo. Ma miracolo di chi?, mi chiesi. Un giorno, dopo anni che non lo facevo più, sono andato a confessarmi. Quel prete non mi ha fatto lunghi discorsi; mi ha solo detto. “Tu sei figlio di Dio, prendi coscienza di questa ricchezza”. Da due anni a questa parte, la mia economia di vita è cambiata. Sono stato fermato dalla vita stessa, perché prendessi coscienza di chi fossi veramente”.
Piero, primo anno di Economia
Sino a qualche tempo fa, non sapevo nemmeno che esistesse la figura della guida spirituale. È stato un amico a parlarmene, quasi per caso. Un sabato pomeriggio mi diede buca per una passeggiata lungo il corso della città e gli chiesi il perché. La sua risposta fu: “Mi devo incontrare con don Peppe, la mia guida spirituale”. Se oggi anch’io ho una guida spirituale, lo devo a Gianca, questo mio amico. Quando ci vediamo, mi chiede come sto e come sta procedendo il mio cammino di fede; ma non solo quello: mi chiede dell’università, della mia famiglia. Ad essere sincero, non è che mi faccia tante domande, sono io che parlo a raffica dopo un imput iniziale. Lui mi ascolta e alla fine mi aiuta a riconoscere i passi di Dio in quello che ho detto, fatto, vissuto e viceversa. È un grande dono avere chi ti aiuta a riconoscere la volontà di Dio nel tuo agire. Grazie Gianca, grazie don Peppe.
Lele, studente di Veterinaria
La mia vita da prete è stata sempre segnata da figure forti e significative, viventi o solo nella memoria. Ne cito uno per tutti: l'incontro con la comunità di don Benzi, l'impegno di molti giovani nel condividere le sofferenze delle persone, dalla droga alla prostituzione, dall'affido al mondo dell'handicap. Ritengo fondamentale aiutare i giovani a leggere la propria storia alla luce non solo di ciò che essi vivono, ma soprattutto di chi incontrano o meno. Incontri che determinano la traiettoria del tuo procedere. Guardando la vita, come delle diapositive proiettate nello schermo del passato, sono grato a Dio per delle persone ben precise e di spessore che hanno segnato la mia esistenza e il mio essere oggi prete. Sono certo nel dire che se non le avessi incontrate, oggi non sarei sacerdote.
Giacomo, prete diocesano
Parola di Dio
Si tratta di un incontro molto conosciuto, che siamo abituati a leggere centrandolo sul problema dell’attaccamento ai beni. Vogliamo leggerlo invece guardando soprattutto al dialogo tra un giovane che cerca il bene e un adulto che si offre come guida.
Dal Vangelo secondo Matteo (19, 16-22)
Un tale si avvicinò a Gesù e gli domandò: - Maestro, che cosa devo fare di buono per avere la vita eterna?
Ma Gesù gli disse: - Perché mi fai una domanda su ciò che è buono? Dio solo è buono. Ma se vuoi entrare nella vita eterna ubbidisci ai comandamenti.
Quello chiese ancora: - Quali comandamenti? Gesù rispose: - Non uccidere; Non commettere adulterio; Non rubare; Non dire il falso contro nessuno; Rispetta tuo padre e tua madre; Ama il prossimo tuo come te stesso.
Quel giovane disse: - Io ho sempre ubbidito a tutti questi comandamenti: che cosa mi manca ancora?
E Gesù gli rispose: - Per essere perfetto, vai a vendere tutto quello che hai, e i soldi che ricavi dalli ai poveri. Allora avrai un tesoro in cielo. Poi, vieni e seguimi.
Ma dopo aver ascoltato queste parole, il giovane se ne andò via con la faccia triste, perché era molto ricco.
Prima che la scelta di staccarsi dai propri beni materiali, Gesù sembra avere a cuore un’altra scelta: quella di staccarsi dalla propria volontà, quella di fidarsi di un altro, di imparare la docilità. Si potrebbe obiettare: ma quel ragazzo è già docile, ha appena detto di essere sempre stato obbediente a tutti i comandamenti, e sembra sincero nel dirlo… La verifica della libertà da me stesso, la verifica della mia reale disponibilità a cambiare, a cercare il bene, “la vita eterna”, sta nella disponibilità concreta a confrontarmi con qualcuno che mi stia davanti in carne ed ossa, nella disponibilità a “fare come mi dice” anche senza essere subito convinto che sia la cosa migliore per me. Tutti quanti abbiamo il grande dono di avere già un Maestro interiore (lo Spirito, “la voce della coscienza”), ma sappiamo anche quanto siamo tentati di fargli dire quello che vogliamo sentirci dire…”Co-scienza”, già nel nome, dice che si conosce solo assieme, che è importantissimo ricevere un punto di vista “esterno”… Con tutta la buona volontà, non riusciamo mai a vederci per intero: almeno la metà di noi ci rimane invisibile, ci serve almeno uno specchio. Il confronto personale con la Parola di Dio è già un bel passo avanti, ma chi ne ha esperienza sa anche quanto non sia semplice ascoltarla davvero, lasciarla parlare…Si possono conoscere anche tutti i comandamenti a memoria, ma…
Voce della Chiesa
Nell’enciclica “Evangelii nuntiandi”, dedicata all’evangelizzazione, Papa Paolo VI scrive:
L'uso degli strumenti di comunicazione sociale per l'evangelizzazione presenta una sfida: il messaggio evangelico dovrebbe, per il loro tramite, giungere a folle di uomini, ma con la capacità di penetrare nella coscienza di ciascuno, di depositarsi nel cuore di ciascuno come se questi fosse l'unico, con tutto ciò che egli ha di più singolare e personale, e di ottenere a proprio favore un'adesione, un impegno del tutto personale.
Perciò, accanto alla proclamazione fatta in forma generale del Vangelo, l'altra forma della sua trasmissione, da persona a persona, resta valida ed importante. Il Signore l'ha spesso praticata - come ad esempio attestano le conversazioni con Nicodemo, Zaccheo, la Samaritana, Simone il fariseo e con altri - ed anche gli Apostoli. C'è forse in fondo, una forma diversa di esporre il Vangelo, che trasmettere ad altri la propria esperienza di fede? Non dovrebbe accadere che l'urgenza di annunziare la Buona Novella a masse di uomini facesse dimenticare questa forma di annuncio mediante la quale la coscienza personale di un uomo è raggiunta, toccata da una parola del tutto straordinaria che egli riceve da un altro. Noi non potremmo lodare a sufficienza quei sacerdoti che, attraverso il Sacramento della Penitenza o attraverso il dialogo pastorale, si mostrano pronti a guidare le persone nelle vie del Vangelo, a confermarle nei loro sforzi, a rialzarle se sono cadute, ad assisterle sempre con discernimento e disponibilità (n. 45-46).
Il grande dono dell'accompagnamento personale risponde in particolare all'esigenza di ogni giovane di fare chiarezza sulla sua chiamata. Scrive Giovanni Paolo II ai giovani:
L'uomo è una creatura ed è insieme un figlio adottivo di Dio in Cristo: è figlio di Dio. Allora, l'interrogativo: «Che cosa devo fare?» l'uomo lo pone durante la sua giovinezza non solo a sé e agli altri uomini, dai quali può attendere una risposta, specialmente ai genitori e agli educatori, ma lo pone anche a Dio, come suo creatore e padre. Egli lo pone nell'ambito di quel particolare spazio interiore, nel quale ha imparato ad essere in stretta relazione con Dio, prima di tutto nella preghiera. Egli chiede dunque a Dio: «Che cosa devo fare?», qual è il tuo piano riguardo alla mia vita? Il tuo piano creativo e paterno? Qual'è la tua volontà? Io desidero compierla.
In un tale contesto il «progetto» acquista il significato di «vocazione di vita», come qualcosa che viene all'uomo affidato da Dio come compito. Una persona giovane, rientrando dentro di sé ed insieme intraprendendo il colloquio con Cristo nella preghiera, desidera quasi leggere quel pensiero eterno, che Dio, creatore e padre, ha nei suoi riguardi. Si convince allora che il compito, a lei assegnato da Dio, è lasciato completamente alla sua libertà e, al tempo stesso, è determinato da diverse circostanze di natura interna ed esterna. Esaminandole la persona giovane, ragazzo o ragazza, costruisce il suo progetto di vita ed insieme riconosce questo progetto come la vocazione alla quale Dio la chiama.
Desidero, dunque, affidare a voi tutti, giovani destinatari della presente Lettera, questo lavoro meraviglioso, che si collega alla scoperta, davanti a Dio, della rispettiva vocazione di vita. È questo un lavoro appassionante. È un affascinante impegno interiore. In questo impegno si sviluppa e cresce la vostra umanità, mentre la vostra giovane personalità va acquistando la maturità interiore. Vi radicate in ciò che ognuno e ognuna di voi è, per diventare ciò che deve diventare: per sé - per gli uomini - per Dio.
“Dilecti amici”, n. 9
Echi
Posso fare anch’io l’esperienza di chiedere al Signore ciò che è importante per la mia vita e ricevere una risposta, come il “tale” del Vangelo? Sì, posso. Quel Dio che si è fatto carne e si è affidato alla testimonianza dei discepoli mi offre dei fratelli e delle sorelle che, mettendosi al mio fianco (e non di fronte, come per sostituirsi a Dio!), mi aiutano ad ascoltare la voce del Signore che mi guida nello Spirito. L’accompagnamento personale, il rapporto con un amico più esperto diventa il modo più concreto di vivere la chiesa, di sperimentare la “compagnia” dei discepoli di Gesù. E di trovare il mio vero “nome”, senza restare solo “un tale”.
Non ci nascondiamo le difficoltà, prima fra tutte quella di trovarla, la persona adatta: le figure autorevoli e disponibili scarseggiano… Ma chiederle in dono al Signore e tenere gli occhi aperti aiuta. E può capitare che qualcuno non sappia ancora di essere una buona guida: non glielo ha ancora chiesto nessuno.
Guardiamo avanti
Pensando a degli orientamenti pastorali, possiamo confrontarci con il seguente:
- Educarsi a un annuncio personale
La nuova sensibilità giovanile chiede un annuncio personale, capace di intercettare le domande profonde di ogni singolo destinatario. Se le generazioni precedenti accettavano e cercavano volentieri i percorsi di gruppo, le nuove generazioni sembrano più adatte ad una forma più simile al discepolato, in cui il vangelo possa vibrare insieme alle corde intime dell’anima. La pastorale giovanile dovrà, quindi, farsi carico di un accurato accompagnamento vocazionale, capace di sciogliere i percorsi educativi in attenzioni personali di cura spirituale.
Sei d’accordo con questo orientamento, così come è espresso? Hai altri suggerimenti?
Operativamente, questo può significare:
- negli incontri tra genitori, catechisti, animatori, magari a inizio e fine anno pastorale, operare insieme un accurato discernimento per individuare chi abbia carismi educativi da valorizzare e per cosa (giovani e adulti che mostrino effettive potenzialità e talenti per una certa fascia d’età o per un certo tipo di servizio…);
- nella formazione degli educatori (genitori, catechisti, animatori) avere cura per l’educazione al dialogo personale: dialogo genitori-figli, dialogo per la relazione d’aiuto, direzione spirituale (da parte dei sacerdoti ma non solo), ma anche forme più semplici di “tutoraggio” (che non sarebbero una novità, se i padrini e le madrine esercitassero davvero il loro servizio…);
- formare un elenco di persone disponibili in diocesi all’accompagnamento personale (preti, religiose, religiose, laici, …) e diffonderlo;
- continuare a proporre in ogni parrocchia e associazione, per le diverse fasce d’età, i gruppi diocesani di orientamento di fede (David, Giona, Siloe, Belle con l’anima), che possono facilitare il contatto con guide, anche per il discernimento vocazionale.
Ti sembrano scelte operative efficaci? Hai altre disposizioni pratiche da suggerire, per promuovere l’accompagnamento personale?
Preghiera
Davanti a me, Signore, ci sono due cammini:
il cammino del mondo, in discesa,
che mi attira e mi seduce per la sua facilità;
e il tuo progetto di amore
che mi invita a costruirmi.
Dammi forza, Signore, per seguire
il cammino che tu desideri per la mia vita.
Donami una persona ricolma di te, della tua Parola,
che mi sappia accompagnare nella ricerca della mia vocazione.
Donagli forza e speranza, perché attraverso di lui
riesca a capire che cosa tu vuoi da me!
E la mia vita sarà ricca dei tuoi doni
e di gioia e di bene profuso a piene mani.
PER COMINCIARE GIÀ A CAMBIARE
Confrontiamoci con lo stile dell’accompagnamento personale; tre film interessanti:
“Will Hunting – Genio ribelle” di Gus Van Sant (Usa, 1997)
“Scoprendo Forrester” di Gus Van Sant (Usa, 2000)
“Angel-a” di Luc Besson (Francia, 2005)
Approfondiamo il tema dell’accompagnamento:
attività: “Continuità e novità” (v. file allegati sul sito www.5pani2pesci.it)
scheda: “Il dialogo spirituale” (v. file allegati sul sito www.5pani2pesci.it)
incontro con un capo scout esperto che racconti cos’è la “progressione personale”
Esercitiamoci concretamente nell’accompagnamento:
se siamo un gruppo giovani con animatori, dedichiamo un’uscita al dialogo singolo-animatore;
facciamo una ricerca: quali sono le guide disponibili vicino a noi? (anche il sito www.pretionline.it è interessante…).