Società e giovani
Claudio Bucciarelli
(NPG 1983-10-36)
Atteggiamenti e motivazioni verso il lavoro delle nuove generazioni nelle ricerche di questi ultimi anni.
Dal 1977 ad oggi la condizione giovanile ha, tra l'altro, offerto un'articolazione abbastanza differenziata di orientamenti culturali, attinenti in modo particolare ad una rinnovata soggettività giovanile. Tra questi orientamenti una portata significativa è espressa da vari atteggiamenti e motivazioni che le nuove generazioni esprimono nei confronti del lavoro.
L'occasione per questo spostamento focalizzato in direzioni un po' diverse dalla tradizione, fu offerta a proposito del «rifiuto del lavoro» da parte di un determinato strato della popolazione giovanile (cf J. ROUSSELET, L'Allergie au travail, Paris, ed. du Seuil, 1976). In realtà però le indagini effettuate a partire da quell'ipotesi ne dimostrano una certa fragilità se riferite al nostro Paese: infatti tali indagini (1) misero in luce significative modificazioni degli atteggiamenti e delle aspettative professionali, all'interno di una ridefinizione più generale dei valori e degli ideali. In particolare veniva messa in discussione la centralità dell'esperienza lavorativa rispetto ad altre esperienze all'interno di scelte esistenziali complessive.
Prima di tentare, comunque, una classificazione dei nuovi atteggiamenti giovanili verso il lavoro, occorre dire che il problema occupazione-disoccupazione giovanile si presenta oggi dinanzi al nuovo aspetto del mercato del lavoro, in modo assai articolato:
a) a partire dalla seconda metà degli anni '70 si è venuta creando, a cavallo tra l'area dell'occupazione ufficiale e l'area della disoccupazione esplicita, una terza area dai confronti difficilmente definibili e qualificabili, costituita da un insieme di figure in cui si intrecciano la caratteristiche del lavoratore-studente, del disoccupato con occupazione temporanea, dell'occupato precario, ecc..., che tende a rendere più sfumati i contorni della realtà occupazionale e di quella della disoccupazione;
b) per quanto riguarda un altro aspetto, i giovani in cerca di occupazione hanno dimostrato in molti casi una notevole capacità di adattamento alle novità emergenti: in fondo gli spezzoni di lavoro o ancora le opportunità di ritagliarsi degli spazi per attività in proprio o non dipendenti sono andate nella direzione desiderata, da una quota rilevante di loro, intenzionati a lavorare per procurarsi un reddito e accrescere la propria preparazione professionale, ma a non fare scelte definitive o comunque di lunga durata.
In questi ultimi 3-4 anni, allora, il panorama della letteratura italiana sulla questione giovanile si è arricchito di molti studi e ricerche sulla tematica «giovani-lavoro», e si è così ampliato un significativo dibattito sulle nuove caratterizzazioni a livello di atteggiamenti e motivazioni nei confronti del lavoro espresse dalle giovani generazioni, che potremmo così sintetizzare:
1. si può ritenere che la maggioranza dei giovani italiani abbia del lavoro una concezione sostanzialmente strumentale: mezzo di sussistenza e di ascesa sociale, dura necessità per la vita, modo di adeguarsi ai modelli produttivistici prevalenti. Questo atteggiamento priva ovviamente il lavoro di una dimensione umana precisa; esso viene vissuto in termini alienanti, aggravati talora dalla fatica e dalle altre condizioni stressanti: per questo motivo il lavoro non è percepito come mezzo per una crescita umana globale né per una promozione politica di diritti e di doveri comuni. Questi fattori coinvolgono molti giovani in un'esperienza di lavoro che è prevalentemente compulsiva, cioè priva di un controllo o gestione «umana», comandata da necessità non facilmente razionalizzabili;
2. dalle ricerche, inoltre, si evidenzia in particolare la distanza di comportamenti come di visione globale di valori di riferimento, fra gli anziani e i giovani: le nuove generazioni non trovano nel lavoro né la centralità esistenziale né una identità, come avveniva per il passato, per i lavoratori delle generazioni precedenti. Si evidenzia così una mancanza di mediazioni, fra anziani e giovani, di una
«cultura del lavoro» che si contrappone ad una «cultura del sociale»;
3. un altro atteggiamento comune ad una più contenuta minoranza, già caratterizzata da più alti gradi di sensibilità sociale, vede nel lavoro un'occasione privilegiata per la realizzazione di un quadro di valori, a condizione però che il lavoro sia diverso, con un «senso» ed un'etica nuova, con una connotazione «professionale» più evidente e perciò frutto di una formazione diversa, con una diversa gestione e soprattutto con una sua qualità reale.
Poste queste premesse e a determinate condizioni, i giovani, sulla qualità del lavoro e sulla strada per arrivarci, manifestano un certo consenso attorno ad un nuovo tipo di scuola che potrebbe meglio definirsi sia sul terreno sociale che su quello istituzionale, solo se saranno superati vecchi dualismi e astoriche dicotomie tra cultura e lavoro oppure tra scuola non professionalizzata e scuola professionalizzante. I giovani sembrano desiderare una scuola aperta alla cultura del lavoro, non più ignorabile, né recuperabile sostanzialmente con «letture» in classe o con esercitazioni in laboratori simulati, ma in forme di alternanza tra scuola e azienda: esperienze cioè collocate per sé al di fuori della scuola e tuttavia raccordate con il curriculum scolastico, in vista dell'acquisizione di competenze tecniche e sociali e relative abilità.
NOTA
(1) CENSIS-ISFOL, Atteggiamenti dei giovani nei confronti del lavoro, in «Quaderni Isfol», n. 38-39, 1977; C. TULLIO-ALTAN, I valori difficili, Milano, Bompiani, 1975; L. ANNUNZIATA C R. MOSCATI (a cura di), Lavorare stanca, Roma, Savelli, 1978; AA. Vv., I giovani e il lavoro, Bari, De Donato, 1978; A. ACCORNERO, Lavoro e non lavoro, Bologna, Cappelli, 1980; L. FREY, La problematica del lavoro, giovanile e le sue prospettive negli anni '80, Milano, F. Angeli, 1980; AA. Vv., Giovani e lavoro, Milano, Vita e Pensiero, 1981; A. PAGNIN, Atteggiamenti verso il lavoro in adolescenti, studenti e lavoratori, in «Scuola e città», n. 2, 1982.