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    Chiesa e giovani

    Carlo Molari

    (NPG 1983-10-34)


    Alcune indicazioni perché le proposte delle comunità ecclesiali socializzino efficacemente nella fede.

    Questa riflessione è nata da una recente esperienza. In un breve arco di tempo persone di esperienza ed attività diverse ma tutte dedicate in vario modo all'educazione dei giovani mi hanno espresso indipendentemente le une dalle altre, in una fortuita coincidenza, la loro sfiducia nel lavoro che facevano. L'impressione era di lavorare a vuoto. Che serve dedicare energie, tempo, denaro, vita, se i risultati sono questi?
    Se si esaminano le numerose iniziative che le comunità ecclesiali sviluppano nell'arco dell'anno per le nuove generazioni, l'elenco è certamente molto lungo: quanto tempo impiegato, quante persone coinvolte, quante energie spese, quante pubblicazioni, quanti gruppi, iniziative, organizzazioni! I risultati?
    La maggioranza dei giovani abbandona la pratica religiosa; le nozioni apprese nelle scuole di catechismo vengono presto dimenticate e restano vaghe idee: imprecise perché legate alla comprensione infantile, e frammentarie perché non inserite in un orizzonte unitario di pensiero.
    Anche dei pochi che restano, alcuni saranno presi dal vortice del lavoro o dagli impegni della famiglia e la loro vita religiosa sarà molto saltuaria. Chi di quelli che continueranno a mantenere un rapporto assiduo con la pratica religiosa vivrà veramente di fede? Possibile che vivere di fede sia così difficile da essere estremamente raro?
    Si potrebbero certo trovare molte vie consolatorie per giustificare questa situazione ed avere motivi seri per continuare. Si potrebbe riflettere sulla animazione profonda della cultura, sull'orientamento generale di vita, sulla misericordia di Dio, ecc. E sarebbero tutte riflessioni giuste. Ma è pure necessario chiedersi se qualche cosa è carente nella nostra pastorale; se il coinvolgimento vitale è sufficientemente completo, se il linguaggio utilizzato è adeguatamente armonico con la cultura quotidiana, se l'ambiente educativo è dovutamente oblativo.
    Coinvolgimento vitale. L'educazione religiosa non è semplice offerta di nozioni storiche o dogmatiche. Prima di essere istruzione è induzione di valori, proposta vitale di ideali. Tutto questo non avviene che attraverso esperienze e coordinate riflessioni sul vissuto. Noi abbondiamo in parole e dottrine, ma spesso le esperienze sono molto superficiali e vaghe, per cui anche le riflessioni sono semplici divagazioni. Non tutte le esperienze che chiamiamo religiose sono tali. Molte volte ci si accontenta di esperienze senza riferimento a Dio o ai valori assoluti e fondanti la nostra esistenza.
    Un'esperienza di amicizia ad es. è religiosa solo se è motivata dal Bene e non semplicemente da simpatia, interesse, bisogno di sostegno, ecc. Un'esperienza di ricerca non è ancora religiosa se manca il riferimento al Vero che si offre attraverso le diverse situazioni e le cose del mondo. D'altra parte non è sufficiente il rito o la preghiera per fare un'esperienza religiosa. Se il rito è vuoto di vita, se la preghiera è formale non c'è esperienza religiosa. È necessario che allo stesso tempo vi sia il contenuto reale dell'esistenza ed il riferimento esplicito a Dio come suo fondamento.
    Linguaggio armonico. Spesso l'analisi della situazione o il riferimento a Dio viene fatto con linguaggio diverso da quello della vita. Come se la religione avesse un suo linguaggio specifico. È un grave errore: la religione non ha altro linguaggio che quello vitale. Quando si dà l'impressione che la religione abbia un suo linguaggio tecnico le si fa un grave torto e si tradisce la sua funzione. Il presunto linguaggio tecnico della religione non è altro che il linguaggio quotidiano della vita di altri secoli. Le formule tecniche non sono altro che la traduzione dell'esperienza vitale (cioè della fede, dell'amore, del dolore, della morte, della speranza, ecc.) fatta in altri contesti culturali e in altri tempi.
    Ora i simboli vitali non si possono prendere a prestito. Debbono essere utilizzati quelli che nascono dalla vita stessa vissuta in un determinato orizzonte culturale. L'orizzonte non può essere scelto a piacimento: è quello dato dal complesso delle nozioni, delle acquisizioni scientifiche, delle convinzioni, ecc., che caratterizzano un ambiente in un determinato periodo di tempo.
    Il linguaggio religioso deve essere quello quotidiano e vitale.
    Ambiente oblativo. Ma tutto ciò è ancora superficiale e inadeguato. Richiesta in modo assoluto è l'oblatività dell'ambiente. È necessario che vi sia qualcuno che dia un tocco di gratuità ai rapporti, di generosità alle scelte, di disinteresse alle reciproche donazioni. Occorre ricordare che fino alla maturità (reale) le motivazioni dei rapporti sono necessariamente centrate sulla persona ed hanno quindi un carattere egoistico. Saranno quindi prevalentemente gli adulti a caratterizzare in modo oblativo l'ambiente di una comunità. Senza questo clima il tempo è occupato inutilmente e le iniziative non sono efficaci.
    Le offerte della chiesa alla nuova generazione sono numerose, a volte sembrano anche eccessive nel loro numero e nella loro varietà, ma spesso è carente l'offerta di vita. Senza questo tutto il resto è sterile, quando vi è questa il resto diventa strumentale e secondario. Se una comunità vuole efficacemente socializzare nella fede la nuova generazione, deve prima di tutto suscitare uomini oblativi e creare con lucida consapevolezza un clima vitale pervaso di generosità. Questa è l'offerta imprescindibile, che crea i santi, cioè gli uomini autentici.


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