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    Chiesa e giovani

    Carlo Molari

    (NPG 1983-05-43)


    Nuovi passi sulla via della libertà e giustizia dei popoli.
    Cosa pensa un vescovo delle iniziative dei giovani per la pace.

    Uno degli aspetti centrali dell'attuale missione della Chiesa è la costruzione della pace. Lo è stato in ogni tempo, ma il carattere indilazionabile ed universale che oggi ha assunto il problema della pace pone la Chiesa in stato di allerta e l'impegno per la pace ai vertici delle sue preoccupazioni.
    Per lo stesso motivo i giovani ed i loro movimenti sono particolarmente sensibili alle questioni che concernono la pace. Anche le organizzazioni cattoliche giovanili hanno suscitato notevole interesse quando hanno centrato la loro attenzione su questi temi.
    È interessante perciò analizzare quale atteggiamento la Chiesa nel suo complesso assume di fronte a questi movimenti e come frena o sollecita i giovani ad affrontare i problemi della pace.
    Ho pensato potesse essere utile saggiare le opinioni di Mons. Dante Bernini, Presidente della Commissione CEI «iustitia et pax».

    Domanda. C'è in Italia un movimento sempre più esteso, soprattutto fra i giovani, per giungere a decisioni radicali contro gli armamenti e per la pace. La Chiesa sembra a volte nutrire sospetti di strumentalizzazione politica e quindi guardare con certa diffidenza a questi movimenti. Lei che valutazione ne dà, soprattutto in rapporto alla partecipazione dei giovani?
    Risposta. La mia impressione è che questi movimenti abbiano una grande autenticità, perché mai come oggi i problemi della pace (almeno nel loro aspetto minimo, come rifiuto della guerra) sono stati vivi nel cuore della gente.
    Quello che mi rende sospetto a proposito dei giovani è che a volte essi sembrano reagire solo con risposte emotive. Vorrei vedere i giovani muoversi non solo per marce e manifestazioni, ma anche ad es. per programmare la riconversione delle industrie degli armamenti o per chiedere nelle Università studi di questo tipo. Un altro atteggiamento che mi sembra discutibile è che molti sono pronti a fare manifestazioni per la pace, ma poi hanno molta difficoltà ad essere coinvolti nel volontariato, come scelta di un servizio alternativo al servizio militare, di maggior rilievo etico, morale e spirituale.

    Domanda. La Chiesa ha nella catechesi un'arma di socializzazione straordinariamente capillare e notevolmente efficace. Le pare che le nuove generazioni ecclesiali siano state educate in modo adeguato alla pace e al rifiuto della violenza?
    Risposta. In modo adeguato, direi di no. Nelle nostre catechesi c'è una formazione fondamentale alla non violenza: è l'aspetto negativo. Ma l'aspetto positivo è spesso insufficiente. Cioè l'educazione all'apertura, alla collaborazione, al dialogo e alla comprensione di tutti, anche di quelli che sono ideologicamente diversi.
    Per costruire la pace occorre far leva nella catechesi e nella evangelizzazione alla formazione di uno spirito non dedito al potere ma al servizio, capace di cogliere i valori là dove sono, e di armonizzarli per la crescita comune in vista non solo di una coesistenza ma anche di una amicizia.

    Domanda. Ancora pochi decenni fa iniziative per la pace come quella di D. Milani venivano giudicate sospette, sovversive o imprudenti.
    La Chiesa non si è lasciata sfuggire occasioni preziose per educare una generazione di costruttori di pace?
    Risposta. Posso senz'altro rispondere di sì. Ma forse questa osservazione vale non solo per la Chiesa ma per tutta la società.
    D'altra parte profeti della non violenza e della pace sono sorti un po' ovunque nella chiesa. Certamente nell'ambito della Chiesa vi sono state insensibilità. Alcune volte la decifrazione dei messaggi profetici è resa difficile dalla mentalità comune o dalla sensibilità del tempo. Oggi però come mai in passato ci sono nella Chiesa sollecitazioni in direzione della pace: molto concrete e stimolanti.

    Domanda. Movimenti come «Pax Christi», A cli, ecc., hanno sollecitato migliaia di giovani a confrontarsi con i problemi della pace e del disarmo, sollevando consensi entusiastici. Ma spesso si ha l'impressione che queste iniziative siano dall'Episcopato in genere considerate un po' estremiste e vengano più tollerate che favorite.
    La CEI non potrebbe prendere iniziative più coraggiose per spingere i giovani ad impegni generosi per la pace ed il disarmo generale?
    Risposta. Penso che anche in questa direzione si possa e si debba fare più di quanto è stato fatto in passato. Però gli impegni per la pace non sono quelli relativi al disarmo, ma anche quelli riguardanti una maggiore libertà dei popoli, una maggiore giustizia, un maggiore amore ed una verità senza compromessi.
    Il disarmo è certo importante ma non è sufficiente.
    La CEI non ha fatto grandi documenti sulla pace, ma ne ha fatti alcuni notevoli per una maggiore giustizia anche all'interno dell'Italia, ad esempio quello del novembre '81: «Ripartire dagli ultimi», e le iniziative dei Vescovi della Sicilia, Calabria e Campania.

    Domanda. Spesso la Chiesa sembra immobilizzata dagli argomenti dei «realisti» che considerano utopiche le proposte dei pacifisti. Ma la Chiesa non dovrebbe essere più dalla parte della «profezia» che da quella della politica contingente? Lei ha partecipato all'incontro organizzato dai Vescovi americani sul problema degli armamenti nucleari. Può dire qualcosa in merito?
    Risposta. Sono d'accordo che nella Chiesa coloro che devono stare dalla parte della profezia sono soprattutto i vescovi. Essi debbono proporre continuamente i principi della pace e indicare quali istanze operative ne provengono.
    Ma la traduzione o la mediazione storica di questi principi è compito di tutti coloro che «vivendo nel mondo, sono esperti nelle varie istituzioni e discipline» (GS 44). I Vescovi non possono sostituirsi né ai politici né ai militari. A ciascuno il suo compito. Ma costoro, se sono cristiani, non possono trascurare gli ideali come emergono dalla esperienza di fede fatta nella comunità ecclesiale. I cristiani possono essere anche oggi, per utilizzare un'espressione molto antica, l'anima del mondo. Ho l'impressione che in questo i Vescovi Nord Americani stiano dalla parte della profezia e svolgano con correttezza il loro compito di testimoni della fede ecclesiale.
    (Con la collaborazione di Onorino Rota).


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