Il prete e l'animatore

 

Giovane animatore, vita da cani /4

Riflessioni semiserie per «scoraggiare» l'animatore sprovveduto 

Domenico Sigalini

(NPG 1985-09-62)

IL PROBLEMA

Dopo tanti appostamenti reciproci, finalmente riesce a confessarsi. Non è Natale, né Pasqua: quest'anno li ha saltati. A Natale, il giorno del ritiro per gli animatori, ha fatto la coda per un po', poi non c'è più stato tempo; a Pasqua era a Roma dal Papa e si é sentito inondare di indulgenze e di entusiasmo che gli hanno fatto sembrare inutile ogni celebrazione del sacramento.
Altre volte era lì pronto e maturo per concludere col prete il suo cammino penitenziale iniziato in una veglia di preghiera col gruppo, ma lui, il prete, quando lo vedeva, aveva sempre qualcosa da chiedergli, da fargli organizzare, lo accoglieva sempre con la casa piena di gente o si faceva trovare in casa intento a fare la pastasciutta o a riciclare qualche minestrone.
Qualche volta invece sono lì soli in casa; tutto tace, il telefono stranamente sembra inceppato, il prete finge di preparare la predica della domenica, l'animatore gli gira attorno: imbarazzo reciproco, cinque minuti di penoso silenzio in cui uno pensa: «comincio io e glielo facilito» e l'altro «non c'è occasione migliore di questa» e alla fine contemporaneamente senza pause sbottano: «speriamo che domani ci sia bel tempo per la festa degli adolescenti». C'è voluto ancora un campo scuola, una situazione oggettiva, impersonale, decisa dal corso della programmazione, una occasione esterna che non nasce da un rapporto personale profondo, per attuare la confessione.
Poi, si sa: non è solo confessione: è dialogo, è ricomposizione in unità di tanti frammenti di vita, di tante incomprensioni, è percezione di stima reciproca, è riconquistata fiducia in sé, è lettura dell'esistente, è orientamento da prendere, sono proposte, disponibilità e distanze ragionate verso alcune decisioni.
Una volta la chiamavano direzione spirituale, oggi è una interminabile confessione, tanto confusa da risultare poco più di uno sfogo e molto meno di un incontro sacramentale col perdono di Dio.
Ne resta esclusa la comunità cristiana perché è un discorso fin troppo personalizzato col prete: il termine di confronto è quella porzione di vita comune a tutti e due e non l'esorbitante e globale dono della parola di Dio. La propria infedeltà al piano di Dio non viene colta, perché soffocata nella percezione da una serie di contorsioni sentimentali in cui spesso un giovane preferisce leggere e talora giustificare i suoi comportamenti.
E il prete, anziché caricare il perdono di Dio di grandi significati, coglie l'occasione per ricucire dialoghi troncati, fare osservazioni alla vita di gruppo, manifestare pareri e giudizi personalissimi sull'opinabile. Alla fine, quasi non si sa perché, bisogna concludere con l'assoluzione, sicuri che questi discorsi rimarranno sepolti almeno per un'altra stagione con grande soddisfazione di ambedue.
Quella della confessione è una esperienza-tipo che permette di fare una fotografia di un problema che diventa sempre più urgente affrontare.
Da una parte il prete, piuttosto giovane, o con lunga esperienza e consuetudine giovanile, dall'altra l'animatore sempre più autonomo nel suo ruolo e sempre più sicuro nella sua impostazione pedagogica.

IL PRETE E L'ANIMATORE

Dopo tanti anni di crisi, di ricerca e di supplenze finalmente esiste un gruppo di giovani che sanno prendersi cura con responsabilità precise del mondo degli adolescenti. Sanno fare attività di gruppo, elaborano sussidi, sviluppano tecniche originali di comunicazione, fanno itinerari e valutazioni con discreta competenza.
Il prete ci ha messo una vita per aiutare questa maturazione. Ha perso un po' di capelli, non è più giovanissimo, ma non sa ancora togliersi dal gruppo. Se si toglie dal gruppo, gli adolescenti o i giovani lo vedono come un estraneo. Loro non hanno mezze misure: un prete o è travolgente o è assente.
Il ruolo del prete non lo capiscono tanto, lo vedono al posto giusto quando celebra l'Eucarestia coi suoi paramenti; è un adulto rispettabile, ma la confidenza la danno all'animatore, la percezione di un lento crescere e aprirsi la fanno cogliere solo a lui, il diario più intimo lo fanno leggere a lui.
Il problema è ancora più acuto quando è un giovane prete che arriva in parrocchia e vede che i gruppi guidati dagli animatori vanno avanti senza di lui. Si sente il «due di coppe» quando si gioca a briscola.
L'animatore poi non è tanto avveduto da cogliere questo come problema, soddisfatto del suo indice di gradimento. Esistono luoghi di ricomposizione di questa «frattura».
C'è spesso il gruppo educatori o animatori in cui si valutano e si programmano gli itinerari educativi, dove il prete travasa la sua passione per il regno di Dio, esprime la sua «presidenza» di una Eucarestia che è vita di una comunità prima ancora che celebrazione staccata di un rito. Qui può dare sicurezza, esprimere il giudizio esigente della parola di Dio sui fatti, far convergere alla comunione con tutta la comunità parrocchiale il lavoro che si svolge, illuminare con le scelte del magistero il cammino di tutti, inscrivere la dinamica sacramentale nelle tappe educative.
Nello stesso tempo si sente responsabile della crescita di ogni animatore, della fedeltà della vita di ciascuno alla parola e alla testimonianza. Da un corretto rapporto con il gruppo animatori nasce la praticabilità di essere aiuto spirituale di ciascuno.
Se l'intervento a questo livello è solo organizzativo, i rapporti personali saranno solo organizzativi e stenteranno a caricarsi di ricerca, di sintonia profonda, di dialogo di fede. Non è detto che il prete sia l'animatore del gruppo degli animatori; è importante che vi faccia il prete con stile di animazione.

IL PRETE E I GIOVANI

Ma il problema non è risolto nei confronti degli adolescenti e dei giovani che hanno il diritto e il bisogno di incontrare il prete senza mediazioni e filtri.
L'incontro sacramentale (eucarestia, riconciliazione) avviene abbastanza facilmente, ma spesso in forme troppo asettiche e ritualistiche.
Occorre che il sacerdote non sia visto come estraneo nella vita dei ragazzi; momenti di condivisione del tempo libero, delle conversazioni, delle attività, di qualche momento significativo della vita di gruppo, di qualche ricorrenza personale fanno parte di ogni semplice rapporto pastorale.
C'è una amicizia tra prete e adolescenti che non va investita di ruolo per essere vissuta.
Occorre però andare oltre soprattutto con gli adolescenti.
É necessario che l'animatore, la vita di gruppo, l'itinerario educativo mettano a tema la figura del sacerdote, non solo in vista di una giornata vocazionale, ma per la stessa consistenza di un gruppo ecclesiale.
Esistono livelli della vita personale e di gruppo, quando vogliono inscriversi nella realtà ecclesiale, che non possono fare a meno della presenza del prete.
La stessa vita sacramentale non diventerà mai l'esplosione necessaria di una vita quotidiana se il carisma sacerdotale non sarà collocato, scoperto, studiato esplicitamente nella vita di gruppo.
Oggi molti gruppi sono fermi ancora alle simpatie e antipatie, agli occhi azzurri o all'indice di gradimento.
Si tratta di andare oltre.

L'ANIMATORE E IL PRETE

Esiste un altro punto di vista da cui porsi per sviluppare il problema: la crescita dell'animatore.
In genere l'animatore è grande amico del prete, si sente suo collaboratore, a lui deve la maturazione di alcune scelte di vita, la stabilità di un gruppo di appartenenza o la consistenza ecclesiale di un impegno. In altri casi lo sente come riferimento; non è più il suo prete con cui ha iniziato a lavorare, ha dovuto vincere un po' di riserve, non legarsi ai ricordi, ricominciare da capo con non poche incomprensioni e difficoltà di adattamento allo stile. Ora però c'è buona armonia.
Ma tanto nella prima situazione come in questa il rapporto di guida spirituale non è ancora scattato.
Non è solo un problema di intesa o di feeling, complesso di sentimenti e di indici di gradimento, è anche questione di collocazione del ruolo di animatore nella propria vita.
Solo se l'animazione diventa una scelta di vita e non solo una accozzaglia di attività, emerge il bisogno di un cammino di crescita costellato di revisioni, confronti, valutazioni che non possono essere solo discorsi amicali, ma anche giudizi «perentori», decisivi, della parola di Dio, esigenze ineludibili della vita della comunità, confronti sempre meno confusi e sommari con la volontà di Dio. Si delinea quindi la necessità del rapporto metodico con il prete, con l'uomo che serve la comunione e l'azione di grazie nella comunità cristiana, che ha il carisma della guida per le strade del regno.
La consapevolezza aiuta a rompere gli indugi e a vincere le reticenze e prendersi le proprie responsabilità di animatore e a far assumere il proprio ruolo al sacerdote.

CONCLUSIONE

È una strada impegnativa per tutti, ma è una richiesta di chiarezza su cui bisogna fare ancora più luce. L'esperienza la provoca, la comunità cristiana lo esige.
La vocazione di ciascuno è dono di Dio esigente.
Ci si può mettere per gioco a fare animazione nel mondo giovanile. Sarà bello se rimarrà sempre un gioco, ma capace di farvi ballare dentro il Signore della vita.

PER UN APPROFONDIMENTO

Indichiamo alcune pagine da «I quaderni dell'animatore», utili per una riflessione ulteriore sul rapporto prete-animatore. Il tema esplicitamente non è mai stato affrontato, anche se si è insistito più volte nel quadro entro cui può essere sviluppato.
Le situazioni sono ancora troppo eterogenee, la collocazione degli animatori di giovani è troppo legata ancora ad esperienze talora pionieristiche, piuttosto che a progetti pastorali calibrati, per poterne delineare con più precisione le linee operative. Comunque un contributo alla chiarezza può essere dato dal Q7 La scelta dell'animazione nella educazione alla fede (pp. 1924) per la necessità e il ruolo del prete nel gruppo animatori.
Q18 Il centro giovanile nella chiesa e nel territorio (pp. 19-23) per i modelli di integrazione territoriale che presuppongono quello ecclesiale.
Q15 Aggregazione giovanile e associazionismo ecclesiale (p. 25 ss.) per il rapporto gruppo/persone/istituzioni.
Q10 Leggere la parola di Dio «dentro» la vita quotidiana, globalmente perché fa cogliere l'esigenza, non assoluta, ma praticamente indispensabile del prete.
Q4 La spiritualità dell'animatore (p. 18 ss.) dove si delinea l'esigenza del confronto della propria vita con la parola di Dio.
Q8 Un itinerario di educazione dei giovani alla fede, globalmente per una chiarezza di collocazione nella vita di gruppo della esperienza cristiana completa.